domenica 29 novembre 2009

A CASA DI ROBERT OWEN


una parte di un articolo di Norberto Fragiacomo

Il 17 novembre di 150 anni fa moriva a Newtown (Galles) uno dei Padri del Socialismo europeo e della pedagogia moderna

Niente paura, ci rassicurano dopo una veloce telefonata: la custode sarà là a momenti. E così è: una simpatica signora di mezza età arriva quasi correndo, spalanca il portone e ci invita a entrare. Indugio un attimo, poi seguo i miei compagni. So dell’esistenza del museo da quando mi sono imbattuto casualmente nel sito web, molto ben fatto tra l’altro, quattro o cinque anni fa: ricordo di aver inviato un messaggio allora, ma essere qui realmente dà ben altra emozione, mi guardo attorno un po’ spaesato, sento la custode dire che l’ingresso è gratuito, il museo si mantiene grazie alle offerte ed alla vendita di qualche modesta pubblicazione, vabbè, darò volentieri il mio obolo, ma intanto il vociare degli amici quasi mi disturba, gli occhi non sanno dove posarsi, finchè non incontrano un primo busto in pietra nera, forse basalto, e lì sostano a riposare.

Accanto ai busti un gran numero di tele, ritratti di Owen in differenti età della vita: evidentemente fedeli, ci osservano con uno sguardo mite ed ottimista, che ingentilisce il grosso, lungo naso ed una faccia tipicamente inglese, “da lepre meditabonda”, come ebbe a scrivere il biografo G.D.H. Cole.

Il Robert Owen Memorial Museum è più piccolo di come me lo figurassi, praticamente un’unica sala, ma contiene un’infinità di cimeli: fotografie ingiallite, lettere autografe, oggetti d’uso quotidiano, disposti ordinatamente in teche di vetro ed all’interno di vetrinette. Scatto qualche foto, poi mi avvedo dei pannelli appesi alle pareti che raccontano sobriamente la vita del grande gallese, disegnando un percorso ideale che va dalla nascita, il 14 maggio 17 71, alla morte, avvenuta alla ragguardevole età di 87 anni.

Nasce dunque in un giorno di primavera che non fatico ad immaginare bagnato dalla pioggia, sesto di sette figli. Il padre, Robert anche lui, mantiene la numerosa famiglia dividendosi tra l’attività di sellaio e quella di fabbro, ed è uno dei cittadini più stimati, ma non naviga certo nell’oro. Sin dai primissimi anni il giovane Owen dimostra di possedere doti fuori dal comune: si diletta di musica, frequenta assiduamente le biblioteche e mostra una tale capacità di apprendere che all’età di appena sette anni viene invitato dal locale maestro elementare ad assisterlo nell’opera di insegnamento, guadagnandosi ben presto l’ammirazione e la simpatia dei coetanei.

A fare l’assistente, però, non si guadagna: così, dopo un breve apprendistato presso un fabbricante di tessuti, il decenne Robert parte per Londra, dove già lavora un suo fratello. Nei due lustri successivi si sposta con frequenza da una città inglese all’altra, sperimentando la realtà della bottega e quella, radicalmente nuova, della fabbrica tessile. Anche lontano dalle aule scolastiche, impara in fretta ciò che c’è da sapere, e brucia le tappe: a soli diciott’anni riceve un prestito da un familiare e, in società con tale Jones, avvia il suo primo business; due anni dopo, vincendo le perplessità di chi lo ritiene ancora un ragazzo, ottiene il posto di direttore di un’industria tessile nella Manchester del decollo economico. Mister Drinkwater, il proprietario, si frega le mani: gli affari vanno alla grande, grazie alla competenza ed alle innovazioni apportate dal “ragazzo” gallese; ma lui, Owen, non è intimamente soddisfatto, non gli basta essere un manager di successo, un highflyer di fine ‘700. La rivoluzione industriale è appena agli inizi, ma già nelle fabbriche le condizioni di vita sono insostenibili, Robert lo sa, e sa che i bimbi sono condannati fin da piccolissimi a ritmi di lavoro infernali, senza nessuna possibilità di studiare. Cerca risposte ai problemi nella filosofia, ma soprattutto medita sulle proprie esperienze: e nel tempo libero inizia ad elaborare soluzioni personali, augurandosi di verificarne presto l’efficacia.

L’occasione non tarda a presentarsi, nelle persone di uno stimato imprenditore e della sua giovane figlia.

David Dale, figlio di un droghiere scozzese, ha impiantato a New Lanark, presso Glasgow, un cotonificio che dà lavoro a 1400 operai, ed è forse il più grande esistente nel Regno Unito. Per l’epoca può essere considerato un progressista: tratta umanamente i suoi operai, scozzesi delle Highlands sradicati dalle valli native, ha costruito persino una scuola per i fanciulli. E’ la figlia Catherine a presentargli Robert, conosciuto durante un viaggio di lavoro fatto da quest’ultimo in Scozia. I due uomini, pur diversi per età e credo religioso, simpatizzano subito: non soltanto Dale approva il fidanzamento della figlia con Owen – si sposeranno nel ’99, e sarà un matrimonio felice, allietato dalla nascita di quattro figli maschi e tre femmine – ma, desiderando ritirarsi dagli affari, è ben lieto di cedere la sua creatura ad un gruppo di investitori di cui fa parte il giovane Robert.

Owen ha trentadue anni quando assume la direzione o, per usare le sue stesse parole, “il governo di New Lanark” . Nonostante le buone intenzioni del suocero, le condizioni della comunità appaiono terribili al nuovo arrivato: l’alcoolismo dilaga, i genitori preferiscono mandare i figli in fabbrica piuttosto che a scuola, gli orari di lavoro raggiungono per tutti le 13 ore giornaliere. Ad Owen non basta incremementare i profitti: crede fermamente nella possibilità, applicando le proprie idee, di trasformare quell’accozzaglia di sventurati in una comunità modello, e si mette all’opera.

L’inizio non è affatto facile: i lavoratori diffidano di lui, “gallese tra gli scozzesi”; ma pian piano cominciano ad abituarsi e a rispettare quello strano manager che dà più di quello che pretende. Ogni resistenza è vinta quando, nel 1807, Owen paga regolarmente per quattro mesi gli stipendi alle maestranze, nonostante il blocco degli stabilimenti causato da una disputa commerciale con gli Stati Uniti. Ai soci che protestano fa notare che produzione e profitti sono in costante crescita: se ne stiano quieti, mentre egli continua per la strada che ha scelto. Gli orari giornalieri vengono ridotti, si apre un punto vendita dove i lavoratori possono rifornirsi a prezzi calmierati; ma soprattutto il manager-filantropo intraprende una convinta battaglia per l’alfabetizzazione.

Il progetto di costruire un grande edificio scolastico porta alla definitiva rottura con gli altri azionisti: Owen liquida la società, ma nel 1813, trovati nuovi investitori, tra cui il filosofo Jeremy Bentham ed il quacchero William Allen, disposti ad accettare un rendimento predeterminato del capitale, torna alla guida del cotonificio. In quello stesso anno ha dato alle stampe il saggio “A New View of Society, or Essays on the Principle of the Formation of the Human Character”: nell’opera, che nonostante lo stile farraginoso tipico del suo autore gode di immediata notorietà, Robert Owen osserva che che l’essere umano è il prodotto delle circostanze in cui si è venuto a trovare, combinate con le sue qualità naturali. E’ l’ambiente dunque che forma il carattere, rende l’uomo buono o cattivo: compito di chi governa è predisporre le condizioni più favorevoli ad uno sviluppo armonico della persona, mettendo da parte gli interessi particolari, sempre dannosi. Da qui l’enfasi sull’importanza dell’educazione e dell’istruzione generalizzata, umanistica e professionale insieme, che sole possono permettere ai giovani di dar vita, in un prossimo futuro, alla vagheggiata Nuova Società.

Una volta enunciati i principi, tocca metterli in pratica: in pochi anni New Lanark subisce una trasformazione radicale, attirando l’attenzione di politici e pensatori non solo inglesi. Owen crea un fondo malattia, parzialmente finanziato dagli stessi lavoratori; introduce l’assistenza sanitaria gratuita; investe i profitti nella costruzione di confortevoli alloggi a schiera dotati di giardini, inaugura spazi ricreativi comuni per i lavoratori e le loro famiglie. Soprattutto realizza l’imponente edificio, ancor oggi esistente, dell’Istituto per la formazione del carattere, che prende a funzionare a pieno regime sin da subito: i bambini dai 3 ai 6 anni vengono iscritti alla scuola materna, la prima esistente al mondo, quelli più grandi alternano piacevolmente lo studio delle materie tradizionali e dell’arte con la pratica della musica e della danza. Fino ai dieci anni le giornate sono dedicate all’apprendimento, poi si inizia a lavorare ma per chi desidera progredire negli studi sono previste facilitazioni d’orario, e gli adulti sono incoraggiati a frequentare gratuitamente le scuole serali.

E’ superfluo dire che nella scuola di Owen le punizioni sono bandite: i bambini, convenientemente vestiti e ben nutriti, imparano divertendosi. Lo stesso metodo viene applicato, nei limiti del possibile, in ambito lavorativo: esistono sì delle regole da rispettare, ma riguardano più che altro la condotta individuale, di cui l’attività produttiva non è che un aspetto. Per accertarsi che i suoi operai lavorino diligentemente, Owen ha ideato un sistema di controllo innovativo: il silent monitor, di cui si può osservare un esemplare nel museo di Newtown.

Si tratta di un solido di legno a quattro facce, munito di gancio, che il responsabile del reparto ha cura di appendere giornalmente al di sopra di ciascuna postazione lavorativa, in un punto da cui sia facilmente visibile a tutti. Ognuna delle facce è dipinta in una tinta diversa: se viene esposta quella nera significa che, nella giornata precedente, il dipendente ha lavorato svogliatamente; la blu e la gialla esprimono livelli crescenti di partecipazione, mentre il colore bianco indica una prestazione ottimale.

La preferenza accordata alla moral suasion rispetto alla severità dà i frutti sperati: Owen annota che bastava un’occhiata di rimprovero a far sì che i reprobi, costernati, riprendessero il lavoro con raddoppiata lena.

New Lanark ci appare come un’anticipazione su scala ridotta dello Stato sociale novecentesco: ma è anche una realtà imprenditoriale in costante espansione, e sembra dimostrare l’assunto oweniano che a migliori condizioni di lavoro corrisponda un aumento della produttività.

Nella seconda decade dell’800 Robert Owen è ormai una celebrità in Gran Bretagna: appoggiandosi a politici influenti, come Robert Peel senior, si batte per l’introduzione di leggi che limitino il lavoro minorile e garantiscano l’accesso all’istruzione senza distinzioni di classe. Non solo: propone, suscitando interesse nell’opinione pubblica, la fondazione di “villaggi della cooperazione” come antidoto alla crisi economica che, concluse le guerre napoleoniche, si è abbattuta sulla Gran Bretagna. I villaggi, modellati su New Lanark, sono comunità tendenzialmente autosufficienti di 500-3000 persone, da impiegare nell’agricoltura e nell’industria: se i benpensanti li vedono come una temporanea risposta all’emergenza, per Owen sono destinati a diffondersi ed a costituire il nucleo di una futura società egualitaria a base socialista. Altro che “parallelogrammi di poveri del signor Owen”, come scioccamente li chiama il nostalgico William Cobbett!

Gli sforzi dell’imprenditore gallese non sono coronati dal successo: il Factory act, approvato dal Parlamento nel 1819, si limita a ridurre l’orario di lavoro giornaliero per i fanciulli a dodici ore ed a proibire l’impiego di chi non ha compiuto nove anni.

Il risultato delude enormemente Robert Owen, che incomincia a dubitare della buona fede e del disinteresse di chi regge lo Stato; inoltre, alcune sue sortite contro la religione, il matrimonio e la proprietà privata, mali del mondo contemporaneo, gli alienano molte delle simpatie di cui fino ad allora godeva. Forte è soprattutto il suo contrasto con le gerarchie anglicane: pur senza arrivare a definire la religione “oppio dei popoli”, come farà più tardi Marx, Owen ritiene che tutte le “sects”, nessuna esclusa, siano in errore, e fonte di conflitti all’interno della società.

Sono in molti quindi a tirare un sospiro di sollievo quando, a metà degli anni ’20, quell’imprenditore un po’ troppo originale si imbarca con l’omonimo figlio per gli Stati Uniti d’America. L’ambizione di Owen è provare la fattibilità del suo progetto comunitario anche lontano da New Lanark: acquista un vasto appezzamento nell’Indiana e dà vita al villaggio cooperativo di New Harmony.

Il “parallelogramma” prende forma al di là dell’Atlantico: opifici e botteghe vengono collocati all’interno di un vasto spiazzo delimitato da quattro file di edifici abitativi a schiera, al di là dei quali si stendono orti e giardini.

Tutto sembra procedere per il meglio, ma il materiale umano è troppo più variegato di quello con cui Owen, “Dio benevolo ma onnipotente” nell’efficace definizione di un biografo, è abituato a trattare a New Lanark: accanto agli idealisti, accorrono a New Harmony disperati ed avventurieri di ogni risma. Si verificano i primi contrasti, ben presto la situazione diventa ingovernabile: Owen resiste per due anni, con tenacia, poi avvilito se ne torna in Inghilterra (1828), lasciando in mano al figlio quel che resta della colonia. Simile per indole al padre, Robert Dale Owen, di cui si conserva nel museo un ritratto fotografico, diventerà in seguito membro del Congresso americano, e si batterà per la liberazione degli schiavi e l’emancipazione delle donne.

In patria intanto qualcosa è cambiato: legalizzate nel 1824, le Trade Unions (sindacati) escono dalla clandestinità e acquistano in poco tempo un imponente seguito tra i lavoratori salariati. Il primo sindacato a diffusione nazionale, quello dei filatori, si costituisce nel 1830 per iniziativa dell’irlandese John Doherty; l’entusiasmo emulativo di altre categorie, fra cui primeggia quella degli edili, porta in breve alla nascita del Grande Sindacato Unificato, che arriva presto a contare un milione di iscritti.

Per quanto capaci e determinati, i nuovi leaders sentono di aver bisogno di un organizzatore, di qualcuno che, dall’alto di una maggiore esperienza, faccia da guida ai lavoratori. La scelta cade naturalmente su Robert Owen che nel frattempo ha reciso i legami con New Lanark e si è trasferito nella capitale britannica.

Intuendo l’ostilità del governo di Sua Maestà nei confronti del movimento, Owen tentenna: non è mai stato un rivoluzionario, teme inoltre uno scontro aperto col capitale che, al momento, può soltanto concludersi con la sconfitta dei lavoratori. D’altra parte non nutre più nessuna fiducia nel riformismo dei politici, conservatori o liberali che siano: dopo un periodo di riflessione accetta la proposta di mettersi a capo dell’unione sindacale.

Il suo attivismo conferisce nuova spinta al movimento: l’ormai sessantenne Owen istituisce borse di lavoro, progetta e dà vita a cooperative di produzione e scambio che, nelle sue intenzioni, dovranno estromettere gli imprenditori privati dal mercato ed eliminare la distinzione tra profitto e salario, spianando la strada al socialismo.

Il padronato inglese contrattacca con rabbia: si susseguono intimidazioni e licenziamenti ai danni dei rappresentanti sindacali. Finalmente viene proclamato lo sciopero generale di tutti i lavoratori britannici, cui i capitalisti reagiscono con la serrata.

La determinazione degli operai e dei loro capi mantiene il confronto incerto per alcuni mesi, ma la lotta è obiettivamente impari: la cassa comune alimentata dai contributi individuali si esaurisce ben presto, mentre il capitale si giova del sostegno dichiarato del governo borghese.

Piegati e ridotti alla fame, gli scioperanti ritornano a capo chino nelle fabbriche, mentre il Grande Sindacato Unificato si scioglie (1834).

La notorietà ed il residuo rispetto di cui è circondato Robert Owen gli risparmiano l’onta del carcere, ma la lezione è amaramente appresa: la Nuova Società non vedrà la luce in tempi brevi, troppo forte è l’opposizione di chi detiene il potere del denaro.

Negli anni che gli restano da vivere, Robert Owen dirigerà la Società della Religione Razionale, da lui fondata a fini educativi, e tenterà un ultimo esperimento comunitario a Queenswood, nell’Hampshire; ma il lascito più importante è forse il movimento cooperativo, sorto su sua ispirazione nel 1844 a Rochdale, e al cui sviluppo dedicò, nell’indifferenza o quasi dell’opinione pubblica, le residue energie.

Uscendo, con la mia borsa della spesa, da un grande magazzino cooperativo a Newtown, mi è capitato di pensare che, con buona pace di Karl Marx, l’”utopismo” di Owen ha prodotto parecchio di concreto. Probabilmente è questo moderno megastore, erede diretto dello spaccio di Rochdale, il “monumento” che, tra i tanti dedicatigli dalla sua città, sarebbe maggiormente di suo gusto.

Comunque a Newtown Robert Owen, povero in canna e già malato, tornò per morire, nell’autunno del 1858. Accanto all’articolo di un giornale della sera del 17 novembre, che dà notizia della scomparsa avvenuta quel giorno stesso, trova posto, nella teca più distante dall’ingresso del museo, il manoscritto di un concittadino cui, poco prima di andarsene, il vecchio socialista dettò qualche pagina di memorie. Quel testo è diventata una breve fiction di una ventina di minuti che, interpretata da due attori, è possibile guardare all’interno del museo – televisore anni ’70 permettendo - ed anche acquistare per cinque pounds.

Vedere il filmato, lo confesso, mi ha suscitato un po’ di commozione, perché le parole udite, per quanto recitate da un attore, furono tra le ultime che Owen pronunciò, a mo’ di bilancio di un’esistenza che finiva. E sono parole serene, di un uomo che ha sempre vissuto coerentemente con le sue idee e le sue aspirazioni.

Mentre lo schermo si svuota, mi sfiora il pensiero di essere stato per qualche istante vicino all’anziano pensatore morente, nella stanzetta riscaldata dal fuoco del camino. Rimetto delicatamente a posto la sedia: siamo ancora a casa di Owen.

La tomba di Robert Owen, da noi visitata sotto una pioggia battente, si trova nel cimitero della chiesa di St. Mary, che dal medioevo al 1856 fu la parrocchiale di Newtown; poi le frequenti inondazioni del vicino fiume e l’aumentata popolazione della città fecero optare per la costruzione di una nuova chiesa. St. Mary, fotocopia o forse modello di altre pregevoli chiesette dei dintorni, come quelle di Bettws Cedewain e di Welshpool, ha tipiche finestre gotiche e un campanile tozzo che sostiene una sovrastruttura campanaria lignea munita di tettuccio e che – sospetto – doveva avere la medesima funzione militare del torrione di S. Giusto all’epoca del libero comune tergestino.

La costruzione, nel suo complesso, dà un’idea di robustezza e sobrietà, proprio come il sepolcro, arricchito nel 1902 da una targa commemorativa e da una ringhiera in ferro battuto, doni del movimento cooperativo.

Nonostante la sua avversione, mai smentita, per la religione degli avi, Robert Owen è seppellito accanto al padre e alla madre, morti entrambi in età matura, e a breve distanza dalla tomba di un leader cartista, N. Powell, scomparso nel 1862.

Sul libriccino acquistato da mia sorella Onoria viene orgogliosamente definito “un socialista prima di Marx, le cui idee sopravvivono al comunismo” e l’affermazione non suona impropria od eccessiva per chi, come abbiamo visto, può considerarsi un padre del cooperativismo e della socialdemocrazia moderna; ma l’epitaffio più bello gli fu dedicato da Friedrich Engels, suo sincero ammiratore, che scrisse: "Apparve allora come riformatore un industriale ventinovenne, un uomo dal carattere di fanciullo, semplice sino al sublime e ad un tempo dirigente nato come pochi. Robert Owen aveva fatta sua la dottrina dei materialisti dell'illuminismo, secondo la quale il carattere dell'uomo è, da una parte, il prodotto dell'organizzazione in cui nasce e, dall'altra, delle circostanze che lo circondano durante la sua vita e specialmente durante il periodo del suo sviluppo. (…) Ogni movimento sociale ed ogni reale progresso in Inghilterra da parte dei lavoratori è legato al nome di Robert Owen."

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