giovedì 1 ottobre 2009

Vita di Giovanni Gentile

Gentile Giovanni era un filosofo italiano (Castelvetrano 1875-Firenze 1944), docente a Palermo dal 1906 al 1914; passò poi a Pisa alla cattedra di filosofia teoretica; nel 1915 partecipò attivamente al Comitato pisano di preparazione e mobilitazione civile, secondo i principi espressi ne La filosofia della guerra (1914). Nel 1919 venne chiamato all'Università di Roma; dal 1922 al 1924 fu ministro della Pubblica Istruzione e legò al suo nome la riforma della scuola. A conclusione di quanto aveva scritto e fatto nel decennio precedente, nel 1923 si iscrisse al partito fascista, adoperandosi per dargli un programma ideologico e culturale: primo atto di questo suo impegno fu il Manifesto degli intellettuali del fascismo (1925), a cui Croce rispose con un contromanifesto che da allora rese insanabile il contrasto fra i due filosofi. Prospettando il fascismo come rigenerazione morale e religiosa degli Italiani, GENTILE tentò di collegarlo direttamente al Risorgimento. Dal 1920 in poi il filosofo diresse il Giornale critico della filosofia italiana e numerose collane di classici e di testi scolastici; dal 1925 al 1944 diresse l'Enciclopedia Italiana. Negli ultimi anni del fascismo GENTILE tentò di porsi al di sopra dei contrasti con un nuovo programma di unità nazionale (Discorso agli Italiani, 1943), ma venne ucciso dai partigiani fiorentini (15 aprile 1944) come uno dei maggiori responsabili del regime fascista.

IL PENSIERO E LE OPERE FILOSOFICHE
Al centro della ricerca filosofica di GENTILE è lo studio del pensiero di Rosmini e di Gioberti, che egli considera espressione genuina e autonoma della filosofia italiana, per cui conferma e assolutizza il primato e l'autonomia del pensiero italiano e critica quanto in esso crede immissione eterogenea e deviante. Programma della sua attività di studioso sono stati quindi: la riforma della dialettica hegeliana in senso soggettivistico (Riforma della dialettica hegeliana, 1913); la critica del marxismo (La filosofia di Marx, 1899; Economia ed etica, 1934); lo studio della tradizione culturale e filosofica delle varie regioni italiane (Il tramonto della cultura siciliana, 1919; Gino Capponi e la cultura toscana del secolo decimonono, 1922; La cultura piemontese, 1922); la riforma della scuola in chiave anti-illuministica e antipositivistica (Scuola e filosofia, 1908; Il problema scolastico del dopoguerra, 1919; La riforma dell'educazione, 1920; Sommario di pedagogia come scienza filosofica, 1913-14); la formulazione di un nuovo sistema filosofico come riforma della dialettica hegeliana (Teoria generale dello spirito come atto puro, 1916; Sistema di logica come teoria del conoscere, 1917; La filosofia dell'arte, 1931; Introduzione alla filosofia, 1933). Nel tentativo di riforma della dialettica hegeliana, GENTILE così procede: Hegel riteneva possibile una dialettica del «pensato», cioè della realtà nei suoi aspetti oggettivi e pensabili; secondo GENTILE invece è possibile solo una dialettica (in quanto attività dell'essere che si sviluppa e diviene) del «pensante» (cioè del soggetto che pensa nell'atto in cui pensa). Ogni cosa, infatti, è reale nella misura in cui è pensata, perciò ogni realtà deve essere ridotta al pensiero nell'atto in cui la pone, ovvero al soggetto del pensiero inteso non come Io empirico o individuale, ma come «soggetto trascendentale», cioè assoluto e universale. A questo si riduce tutta la realtà: il passato e il futuro, il bene e il male, la verità e l'errore, la natura, Dio e infine i vari Io particolari. È perciò assurdo pensare che la realtà sia autonoma rispetto al soggetto ed esista prima e indipendentemente da esso. A questa erronea concezione rimane ferma la scienza che considera la natura preesistente al soggetto pensante, cadendo nel dogmatismo e nel naturalismo, cioè in una visione realistica, statica e meccanica delle cose: la valutazione gentiliana della scienza è pertanto negativa. L'oggettivismo della scienza è ancora più accentuato nell'ambito della religione che subordina il soggetto all'oggetto assolutizzato, cioè a Dio che non è altro se non una posizione o creazione da parte dell'Io. La religione sostituisce al concetto del soggetto autonomo e creatore (autoctisi) quello della creazione del soggetto da parte dell'oggetto (eteroctisi) e al concetto di conoscenza come posizione che il soggetto fa dell'oggetto, quello della rivelazione che l'oggetto fa di se stesso. Il realismo oggettivistico della religione e della scienza sono superati dalla filosofia, nella quale il pensiero in atto si libera della sua alienazione, riconoscendosi come unica realtà. La filosofia in quanto sapere assoluto è quindi superiore sia alla scienza sia alla religione. Al realismo oggettivistico sfugge l'arte, che appartiene al momento della pura soggettività spirituale ed è perciò inattuale in quanto precede l'attualizzarsi, cioè l'oggettivarsi, dello spirito. L'arte è infatti fantasia e sentimento. L'esigenza d'identificazione di soggetto e oggetto è anche a fondamento della filosofia del diritto (Fondamenti di una filosofia del diritto, 1916; Genesi e struttura della società, post., 1946). Tutti i rapporti che sono a fondamento della vita morale e sociale sono risolti nell'interiorità dello spirito, non sussistendo inter homines, ma in interiore homine. Morale e diritto riposano sulla dialettica di volente e voluto, corrispondente a quella di pensante e pensato, in quanto l'atto del pensare puro è anche un atto di volontà. Nella volontà volente si risolve la moralità che è volontà creatrice del bene. Nel voluto, che è l'oggettivazione del contenuto dell'atto volente ed è costituito dall'insieme delle leggi e delle norme che ci obbligano, si risolve il diritto. La legge nella sua normatività e nella sua coattività non è dunque estranea all'Io, ma a esso interna. Da ciò consegue l'identificazione della volontà del singolo e dello Stato nell'unità del soggetto assoluto. Su questo concetto GENTILE insiste in Genesi e struttura della società dove, respingendo l'identificazione di pubblico e privato, nega l'autonomia dell'individuo di fronte allo Stato alla cui potenza non si attribuiscono limiti.

TEORIE PEDAGOGICHE
La pedagogia di G. s'identifica con i suoi concetti filosofici e si basa su due principi fondamentali: la realizzazione dell'identità fra educatore ed educando nell'atto educativo, che rispecchia il superamento delle distinzioni fra soggetti empirici nell'assolutezza dell'Io trascendentale, e il rifiuto di ogni carattere prefissato e astratto nel contenuto dell'insegnamento, e di ogni regola didattica, in quanto sia il metodo sia la tecnica d'insegnamento sono destituiti di senso dal momento che l'educazione è fondamentalmente un atto spirituale di autoeducazione. Questi principi non furono estranei alla riforma della scuola (1923) cui G. attese come ministro della Pubblica Istruzione e che, nota appunto come «riforma G.», venne peraltro condizionata in prevalenza da altri due fondamentali aspetti della posizione idealistica del filosofo: la concezione della scuola come funzione della vita dello Stato (rispecchiata, in particolare, nell'istituzione dell'esame di Stato a conclusione degli studi che potevano anche effettuarsi in istituzioni private) e il privilegio accordato alla formazione d'impronta umanistica.

La riforma di Giovanni Gentile

Riforma Gentile Legge di riforma della scuola italiana, varata nel 1923 da Giovanni Gentile, allora ministro dell'istruzione durante il regime fascista. Il testo della legge conservava molti dei tratti essenziali delle precedenti leggi di riforma della scuola, in particolare la legge Casati (1859).
Elementi essenziali di questa riforma furono la libertà di insegnamento e l'esame di stato. La libertà di insegnamento consentiva il libero sviluppo dell'iniziativa scolastica e, quindi, concedeva alla scuola privata condizioni di parità rispetto a quella pubblica; d'altro canto, con l'esame di stato, lo stato si garantiva un reale controllo sulla qualità dell'insegnamento. In questo modo, la riforma cominciò a gettare le basi dei rapporti tra stato e scuole private, che in parte furono formalizzati nel Concordato tra stato e Chiesa cattolica nel 1929.
La riforma rinnovò inoltre radicalmente l'insegnamento di ogni ordine e grado di scuola. Tra i punti più importanti della legge si ricordano: il collocamento della scuola materna alle dipendenze del ministero della Pubblica istruzione (ferma restando la possibilità dei privati di curarne l'organizzazione) e l'istituzione di un apposito programma, in quanto grado preparatorio alla scuola elementare; l'innalzamento dell'obbligo scolastico al corso triennale di avviamento professionale (Vedi istruzione obbligatoria) la riorganizzazione della scuola superiore e la creazione del liceo scientifico e dell'istituto magistrale, scuole equiparate al liceo classico; l'indirizzo più specificamente professionale conferito ai programmi degli istituti tecnici. Ebbe, invece, scarsa influenza sull'istruzione universitaria.
I programmi scolastici previsti dalla riforma Gentile, pur fortemente influenzati dalla cultura dell'epoca, ma grazie ad alcuni aspetti fortemente innovativi della legge stessa, sono rimasti per molti anni invariati. Una nuova riforma dell'ordinamento scolastico è oggi all'esame degli organismi competenti.

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GIOVANNI GENTILE
LA FILOSOFIA POLITICA


Nella filosofia giuridica e politica Gentile, seguendo Hegel, identifica lo Stato, il soggetto universale, con l’incarnazione della moralità ( Stato fu sempre per lui sinonimo di Stato etico). Nell’opera I Fondamenti della filosofia del diritto del 1916, come nell'ultimo suo scritto Genesi e struttura della società pubblicato postumo 1946 (in cui riprende e approfondisce i temi già trattati nella prima opera), nonché in altri scritti minori ( alcuni dei quali sono inseriti nella sezione della bibliografia sotto il titolo " Scritti politici") Gentile delineò il suo modello di Stato che, come la società, la morale, il diritto e la politica, egli risolse nell'atto di pensiero: società e Stato, e quindi diritto e politica, non sono, per Gentile, inter homines, ma in interiore homine e, per definirne la natura introduce nel saggio la dialettica di volontà volente e volontà voluta, che è identica a quella di pensante e pensato, data l’identità tra pensiero e volontà: il pensiero, essendo attività creatrice e infinita, è allo stesso tempo volontà creatrice e infinita. Il diritto è il voluto, cioè non più volontà in atto ma volontà passata, risultato dell'atto di volere, momento astratto della dialettica e come tale fissato nella sua oggettività, di contro alla moralità, che è volontà del bene, cioè creazione del bene nell'atto di volerlo e quindi momento concreto della dialettica. Diritto e morale, lo Stato e l'individuo si identificano nell'atto del volere volente o del soggetto pensante in cui consiste la loro verità. La struttura dello Stato che Gentile tracciò nei suoi saggi, rappresenta il momento della sintesi che risolve in sé l’individualità dei suoi componenti e come tale elimina la distinzione tra pubblico e privato, nella direzione di un totalitarismo che paradossalmente garantisce la libertà, la “vera libertà”, per tutti i cittadini. L’adesione al partito fascista sembrò a Gentile la scelta eticamente e filosoficamente più coerente. Ma l’episodio cruciale che gli diede la possibilità di definire la sua posizione in politica fu la prima guerra mondiale: Gentile condannò l’attendismo di coloro che, come Croce, temevano che una guerra pur se vittoriosa sarebbe risultata un disastro per il giovane Stato italiano, promuovendo con numerosi articoli la tesi che il conflitto rappresentasse un esame necessario da superare, che avrebbe unito il popolo italiano e gli avrebbe permesso di guadagnare credito internazionale. Scontento della burocrazia e della politica parlamentare (che bollò con disprezzo col termine giolittismo) vide, nel nuovo partito prima, e nel regime dopo, lo sviluppo e il compimento di quel moto storico-ideologico che, dopo aver animato tutto il Risorgimento italiano, si compiva finalmente nell'avvento di uno Stato etico forte, garante della libertà dei cittadini e essenza ed inveramento di questa stessa libertà. Gentile che si definì sempre un liberale (non un liberale di tipo anglosassone, ma di un liberalismo sui generis di derivazione hegeliana e risorgimentale) cercò, durante la sua militanza nel partito e nello Stato fascista, di mantenere una posizione chiara, per gli altri e per sé stesso, di fronte all'inarrestabile conformismo dogmatico del regime, pur difendendone le ragioni e i metodi anche violenti. Per la sua fedeltà ai valori liberali e risorgimentali dovette subire attacchi da molte correnti intransigenti del movimento che lo guardarono con sospetto sin dalla sua adesione al partito. Problematiche furono anche le sue relazioni con il Vaticano, prima e dopo il Concordato del 1929, dovute all’avversione di Gentile verso quella che giudicò una concessione di potere dello Stato alla Chiesa. Se la produzione culturale di Gentile e la sua attività contribuirono all’immagine del regime, sia in Italia che all’estero, è anche vero che l’appoggio di Mussolini non gli mancò mai e spesso alcuni suoi interventi lo tirarono fuori dalle polemiche che i suoi scritti e le sue iniziative di volta in volta provocarono all’interno del partito; la scelta di seguirlo a Salò fu una dimostrazione di coerenza, oltre che stima verso la persona che lo aveva voluto come faro del regime, e che gli aveva permesso di recitare un ruolo importante nella cultura italiana, ma non solo, per più di un ventennio.

A cura di Diego Fusaro

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