martedì 15 settembre 2009

Quale sindacalismo oggi?
















Max Gaozza

Il Sindacalismo Rivoluzionario non è che un modo di considerare, secondo Arturo Labriola pioniere del sindacalismo italiano, il Movimento Operaio, una previsione d'insieme sull'avviata delle forze sociali racchiuse nel Sindacato, una veduta del termine finale della evoluzione Sindacale.
Il Sindacalismo Rivoluzionario può quindi definirsi la dottrina che enuclea quanto di specificamente rivoluzionario, cioè operante verso un mutamento della società, esiste nel Sindacato e, senza rinnegare il rimanente, attribuisce solo a questi elementi specifici la virtù di concorrere al mutamento della società moderna.
I sindacalisti rivoluzionari sono soprattutto preoccupati della trasformazione della società. La questione del miglioramento degli operai nei termini della società attuale è importantissima, ma non è connessa al fine che si propongono i sindacalisti.
Il Sindacalismo Rivoluzionario è la conoscenza dei mezzi che devono attuare la società dell'uguaglianza, la società dei liberi produttori e diroccare i rapporti borghesi della produzione.
Ma quando il Sindacato diviene un organo rivoluzionario, quali momenti, fattori o attività pone in opera?
Il Sindacalismo Rivoluzionario non si preoccupa della legalità esistente (legalità borghese ).
L'argomentazione che il Capitale non ha più che cosa cedere lo lascia indifferente
Non si tratta più di mettersi d'accordo, anzi appunto il contrario, cioè d'imporsi.
Gli arbitrati intorno al contratto di lavoro non lo interessano più.
Il sindacato rivoluzionario vuol fare atto d'autorità; vuol diventare esso il padrone.
Esso proclama che il suo fine è la gestione sociale della fabbrica.
Su questo terreno è esclusa la base della mediazione e dell'accordo.
Per il Sindacalismo Rivoluzionario si tratta di una questione di vita o di morte.
Cioè di una questione di forza.
Lo scopo del movimento sindacal-rivoluzionario, è definito dal suo carattere economico. Qui si tratta di fabbrica, di capitali, di responsabilità, di gerarchia.
In altri termini il fatto rivoluzionario è economico, non politico, nel senso d'impadronirsi della macchina dello Stato. La pressione sullo Stato è superflua, nel senso che non elimina la necessità di contraddire direttamente con i capitalisti.
Trattandosi di ripigliare, a questi ultimi, i mezzi di produzione è un giro inutile impadronirsi della maggioranza dei seggi parlamentari.
Il presupposto da cui partono i sindacalisti è che una produzione Sindacale sia organizzata su di un piede autoritario e sia organizzata nell'interesse di tutti. Da questo presupposto discendono due conseguenze:
l) Nella fabbrica cessa la differenza di padrone e subordinato, ma ci sono soltanto liberi cooperatori. Il direttore ha un ufficio tecnico di direzione e non è il padrone.
2) Tutta la società è organizzata su questo principio, cioè che tutta la società è una cooperazione di lavoratori liberi. Lo Stato non è più un organo politico, ma organizzazione degli interessi generali (educazione, amministrazione ecc.).
Raccogliamo questi dati e avremo il Sindacalismo Rivoluzionario.
Esso è insieme:
1) estraneo alla legalità borghese;
2) a impronta fortemente economica;
3) antistatale.
Purtroppo il proletariato italiano non ha una tradizione di battaglie rivoluzionarie (a parte le impennate del '69, degli anni '70 e qualche rara eccezione negli anni '80).
La sua educazione è tutta legalitaria.
La sua meta è l'urna elettorale.
È stato avvezzo dai preti della DC al rispetto dei padroni, i quali una volta erano borghesi e oggi sono del PDS.
Infatti lo Stato Sociale realizzato negli anni '70 che fu il prodotto della fase economica di quel periodo fece crescere la credibilità delle scelte politico-sindacali della sinistra riformista (vecchio PCI in testa).
L'attuale crisi economica ha però ricondotto tutti con i piedi per terra: è crollato il mito del "capitalismo dal volto umano", si è disfatto il PCI, è entrato in crisi irreversibile il sindacato che cogestiva col capitale il potere; con essi sono andate in pezzi le speranze e le aspirazioni alimentate nelle Masse popolari in quegli anni.
In tutti i paesi capitalisti la borghesia sta eliminando, una dopo l'altra, le conquiste operaie, o abrogandole o lasciando andare in rovina le istituzioni in cui esse si concretizzavano.
Nel nostro belpaese stiamo assistendo:
- alla riduzione di quella parte della spesa pubblica destinata ai servizi assistenziali e previdenziali (scuola, sanità, pensioni ecc.);
- all'aumento del carico fiscale sui lavoratori e del costo di alcuni servizi assistenziali, come l'istruzione, l'assistenza medica, i trasporti, a fronte di un peggioramento della loro qualità;
- alla privatizzazione di alcuni settori di pubblica utilità (ferrovie, poste, INPS, scuola ecc.);
- ad un notevole aumento dei disoccupati e delle persone costrette a lavorare in nero, sottopagate, senza garanzie contro gli infortuni: non possiamo dimenticare che ogni anno muoiono sul lavoro più di 3.000 operai;
- all'uso strumentale della cassa integrazione, diventata ormai l'anticamera dei licenziamenti;
- all'introduzione dei contratti di formazione lavoro;
- all'eliminazione della scala mobile nel quadro dell'attacco agli automatismi salariali;
- all'attacco al diritto di sciopero e all'utilizzo di misure repressive e intimidatorie come la precettazione.
Nonostante tutto questo la tradizione legalitaria fa si che il proletariato non possa entrare nel fondamento del Sindacalismo Rivoluzionario e debba preferire i suggerimenti, non sempre disinteressati, della Sinistra riformista.
Ma il Sindacalismo Rivoluzionario giudica che l'essenziale per il movimento operaio è preparare le vie nuove. La nuova rivoluzione consisterà nel passaggio agli operai, liberamente associati, dei mezzi di produzione.
Qui si tratta di rafforzare l'autonomia e l'unità operaia.
Il Sindacalismo Rivoluzionario è la più rigorosa reazione contro questo avvenire di crisi e mediocrità. Esso non predica follie di eroismi collettivi, ma una rigorosa pratica della lotta di classe, che rafforza negli operai l'aspirazione al dominio.
Il pensiero fondamentale è che l'esercizio della lotta accresca le facoltà dell'operaio e avvicini il momento in cui sia capace di dirigere o condursi in una fabbrica non governata con princìpi autoritari.
L'operaio non può pretendere, se non possiede la capacità relativa.
Il Sindacalismo Rivoluzionario tende appunto ad accrescere le sue qualità di buon operaio, d'uomo libero, di buon produttore, che non sia un numero in un gregge capitalistico, economico o elettorale.
Non è però pensabile che la maggioranza della classe lavoratrice sia oggi capace di seguire la politica sindacalista rivoluzionaria ed è questo uno dei grandi limiti.
Fra troppe miserie vaga oggi l'animo delle migliaia e migliaia di operai e troppi problemi immediati ne occupano le azioni esterne.
Di fronte però anche al progressivo deteriorarsi del rapporto tra sindacati di regime (CGIL-CISL-UIL) è utile favorire il processo di auto-organizzazione attraverso la formazione di nuovi organismi sindacali (non ancora rivoluzionari), di espressioni organizzate e coscienti dell'autonomia del popolo dalla borghesia e dal suo regime.
Sviluppare e generalizzare l'auto-organizzazione non deve intendersi l'organizzazione in piccoli gruppi o in sindacatini, bensì l'organizzazione dei lavoratori e delle lavoratrici con l'istituzione di organismi rappresentativi nei luoghi di lavoro e nel territorio.
Possiamo sperimentare la possibilità di dar vita a strutture di base che poi possano essere in grado di coinvolgere nella lotta i tanti lavoratori che abbandonano la triplice ma che non aderiscono al Sindacalismo alternativo.
È quindi pensabile, nonché auspicabile che nuclei scelti di lavoratori, di soldati politici si organizzino sulla base dei princìpi del Sindacalismo Rivoluzionario e formare l'avanguardia di un vasto movimento nazionalrivoluzionario purtroppo ancora in formazione.

Max Gaozza

da "AURORA" n° 10 (Ottobre 1993)
http://www.aurora.altervista.org/Aurora_prima.htm

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