mercoledì 24 giugno 2009

Un po’ di storia

di Fara Misuraca

Da sempre la storia d'Italia è la storia di alcune città e regioni italiane nei rapporti intercorsi fra loro o con gli stranieri, ricalcata dalle cronache del Villani, del Compagni, del Malespini, del Guicciardini e via via fino al Muratore,al Sismondi e ai cronisti del Risorgimento. Da Napoli in su! Nessuno pare abbia mai consultato il Fazello, l'Auria, il Serio, il Baronio, il Pirri, il Mongitore, il Di Blasi, l'Amari e il La Lumia.

I libri, soprattutto quelli scolastici, della Storia d'Italia, sono stati da sempre una raccolta mal coordinata delle cronache di alcune regioni, o peggio, di alcune città o famiglie che avevano avuto parte preponderante in certi episodi, al seguito di un papa o di un sovrano straniero. Manca quasi sempre la storia del popolo. E poiché la coordinazione di queste cronache e la loro riduzione in trattati di storia è stata fatta sempre da scrittori del nord o del centro Italia che conoscevano meglio gli avvenimenti che riguardavano le loro contrade, ne è venuta fuori una storia d’Italia nella quale il mezzogiorno d'Italia e la Sicilia specialmente figurano come teatro di episodi secondari; fanno quasi da contorno alla storia del papato, a quella di Milano, di Venezia, di Genova, di Firenze e di Pisa. In questa storia di regioni e di città che comincia, nelle scuole, con la storia orientale e greca, troviamo Ninive, Babilonia e Cartagine; ma si accenna di sfuggita a Siracusa, Agrigento, Gela, Erice, Lentini, Catana, Zancle, e solo perché alcune di queste città entrarono in guerra con Atene, coi fenici o con i romani.

La storia d'Italia piuttosto che dagli etruschi di cui si sa poco o nulla, dovrebbe cominciare dalla Sicilia che, come valore politico nel mondo antico e fino alle guerre puniche contò più di Roma.

Il primo nucleo statale, la prima potenza civile italica fu in Sicilia, con capitale Siracusa.

Dalle invasioni barbariche al trasferimento del seggio papale ad Avignone la storia d'Italia non è che un continuo frazionarsi d'interessi, e di guerre fra imperatori e papi, fra vassalli e imperatori, di leghe fra comuni e pontefici. Solo Venezia riesce a fare un po' di politica estera ed a mostrarsi stato.

Mai si scrive che in quello stesso periodo, c'era in Italia, uno stato siciliano.

Si parla appena della conquista della Sicilia da parte degli avventurieri normanni. Che questi erano guerrieri mercenari, valorosi ma incolti e barbari appena latinizzati, che trovarono presso il popolo siciliano una maggiore civiltà, dalla quale rimasero allettati e, a loro volta, conquistati. Nessuno spiega che allora si formò in Sicilia il primo regno italiano, il più importante stato italiano autonomo ben più importante di qualsiasi altro staterello della penisola. Nessuno spiega che attorno alla corte di Palermo gravitò, dal 1130 circa al 1250 la cultura italiana e la politica italiana di cui fu autorevole portavoce Federico II, personaggio, nel bene e nel male, certamente di maggior spessore di Carlomagno.

Tutti i libri di testo ad esempio parlano del 1848 come dell'anno delle rivoluzioni, citando i moti di Francia e d'Ungheria, esaltando le 5 giornate di Milano, i moti di Venezia, di Roma, e dei piemontesi e dei toscani. Ma perché nessuno ricorda i siciliani? Perché non si dice che fu Palermo a dare il primo segnale in Europa ? Il dodici gennaio palermitano, esempio unico nella storia, in cui un popolo affigge alle cantonate un proclama di sfida al governo e lo avverte del giorno e del modo in cui la rivoluzione scoppierà e si compirà ?

Un corretto manuale di storia dovrebbe invece evidenziare 1'influenza che, specialmente in taluni periodi, esercitò la Sicilia rispetto ad altre regioni.

Basta solo pensare che nel decimo secolo dopo Cristo, quando l’Europa era devastata dalle orde barbariche e Bisanzio era ormai una civiltà in dissoluzione, Berlino era solo un borgo selvaggio della marca di Brandenburgo, Vienna la piccola capitale di un ducato, Londra e Parigi città di poco superiori ai centomila abitanti. In Italia soltanto Milano, Pisa e Venezia si salvavano e Roma era solo un borgo la cui potenza era soltanto spirituale. Il Piemonte con Nizza e la Savoia non era altro che uno staterello vassallo della Francia alle cui sorti legò le sue vicende finché non si alleò per convenienza politica ed economica all'Austria. In Sicilia invece, si era affermata la potenza araba, non una dominazione barbara, come qualcuno dei nostri politici oggi potrebbe pensare ma antesignana di quella nuova civiltà che doveva più tardi fiorire e spandersi per l'Europa tutta. Qui, infatti, in Sicilia dalla mescolanza dei retaggi della civiltà greca e romana, con la giovane e agguerrita civiltà araba, si origina e si sviluppa una nuova civiltà.

Gli arabi di Sicilia fanno rinascere e coltivano la poesia, reinventano l’architettura, diffondono la matematica, la medicina, l'alchimia (l’odierna chimica). Gli arabi di Sicilia riattivano i commerci prima ancora di Amalfi, di Pisa e di Genova che contro di loro lottarono per accaparrarsi la supremazia commerciale che nel Tirreno per circa due secoli fu in mano della Sicilia.

I mercenari normanni, primi crociati per la Chiesa, non erano che rozzi soldati di ventura, ma ebbero un merito e contro la stessa Chiesa: sostituitisi agli emiri mussulmani nell'antico fiorentissimo stato, essi s'incivilirono alla scuola dei vinti e favorirono lo sviluppo già dato da questi alle lettere, alle arti e alle discipline scientifiche. Sotto di loro la Sicilia divenne l'emporio europeo della civiltà, la culla del progresso, la sede di ogni bellezza. Con Federico II, Palermo, diventa sede degl'imperatori; è la prima città d'Italia e di Germania e di tutto l'occidente, e la storia di quel periodo, che si prolunga fino alla battaglia di Tagliacozzo, ruota attorno alla Sicilia. Ma nei libri di storia non se ne parla o quasi!

Tanto spazio viene dato alle lotte sanguinose tra i piccoli comuni, alle lotte tra le repubbliche marinare, alle carneficine tra guelfi e ghibellini e poi si parla di sfuggita di quella che potremmo chiamare la madre delle rivoluzioni: la guerra del Vespro del 1282, una vera e propria guerra d’indipendenza dallo straniero.

Mai nessuno parla delle battaglie navali combattute e vinte alle isole Eolie, a Capo d'Orlando, nel golfo Napoli e nelle acque di Malta, dai siciliani contro i francesi, mentre la battaglia della Meloria tra Genova e Pisa è da tutti ricordata. Perché solo la battaglia di Campaldino tra guelfi e ghibellini si ricorda e non la battaglia di Messina contro l'Angiò, battaglia combattuta anche dalle donne, in prima linea sulle mura accanto ai guerrieri?

Campaldino significa solo l’affermazione dello stato e dell'unità nazionale sul separatismo dei comuni e del papato; Messina rappresenta la voglia d’indipendenza, di cacciar via lo straniero. Ma tant’è!

La nostra storia, la storia del regno di Sicilia, come si può notare riempie gran parte del medioevo ed evidenzia, come in Sicilia sia sempre stato forte il sentimento dell'indipendenza, sentimento che fa della Sicilia il primo vivaio della nazionalità e dell' “italianità” anche per la nascita della letteratura in volgare.

Tutti conoscono Pier Capponi ma chi conosce Gian Luca Squarcialupo che comandò un’insurrezione contro le fazioni feudali che combattendosi tra loro facevano il gioco delle potenze straniere che soggiogavano l’isola?

Al regno di Sicilia, in quel periodo, erano aggregate Malta, l'isola di Gerba e Tripoli; i re di Sicilia avevano anche il titolo di re di Gerusalemme.

Boccone ghiotto per gli spagnoli o i francesi ….

Gli avvenimenti e le opere che hanno avuto per teatro la nostra terra sono soltanto in piccola parte da noi siciliani valorizzati; è come se noi non volessimo ricordare.

Milano, Firenze, Genova, Venezia, Roma, Napoli ricordano la loro storia di comune, di stato, con opere, con memorie, con monumenti. Noi no … a noi piace dimenticare.

Ad esempio un episodio importantissimo della storia nostra, è quasi completamente dimenticato. Tutti ricordano e celebrano la congiura di Bedmar a Venezia o la rivolta capitanata da Masaniello a Napoli ma Giuseppe D’Alesi, loro coevo chi lo conosce?

Fara Misuraca

Centro Culturale e di Studi Storici "Brigantino- il Portale del Sud" - Napoli e Palermo

ilportaledelsud@fastwebnet.it ®copyright MMV: tutti i diritti riservati. Webmaster: Brigantino.

Sito derattizzato e debossizzato

Nessun commento:

Posta un commento