martedì 30 giugno 2009

Produzione tessile - Il Regno delle Due Sicilie prima dell’Unità

Testo di Giuseppe Ressa
Editing e immagini a cura di Alfonso Grasso

Costituiva, in valore, la seconda fonte delle esportazioni del regno delle Due Sicilie (dopo i prodotti dell’agricoltura con l’olio in testa); era composta da tre settori principali: quello del cotone, della lana e della seta: prima dell’unità il settore cotoniero vantava, al suo vertice, quattro stabilimenti nella parte continentale del regno ed uno in Sicilia con 1.000 o più operai ciascuno (1425 lavoravano per VonWiller a Salerno, 1160 in un’altra filanda della provincia, 1129 nella filanda di Pellezzano, 2159 nella Egg di Piedimonte Matese di cui 200 erano fanciulle bisognose del Regio Albergo dei Poveri di Napoli, e un migliaio nella Aninis-Ruggeri di Messina).

Nello stesso periodo gli stabilimenti lombardi a stento raggiungevano i 414 operai della filatura Ponti; a Biella erano occupati 1600 operai [1], a Torino nelle industrie miste di cotone e lana ne erano occupati 3744 mentre, contemporaneamente, nel Salernitano, comprensorio in cui si concentrò per eccellenza l’industria tessile meridionale, gli operai addetti alle fabbriche di tessuti erano 10.244 dei quali 1606 avevano la qualifica di “Capo d’Arte”[2]; nei tre principali stabilimenti salernitani erano attivi 50mila fusi contro i 100mila di tutta la regione Lombardia; per questi motivi la provincia di Salerno venne definita, dal suo intendente, come la “Manchester delle Due Sicilie”. L’industria tessile era comunque capillarmente diffusa in tutto il regno: molti lavoratori erano impiegati negli stabilimenti della valle del Liri, di cui il più importante era la fabbrica Zino che aveva l’appalto per le uniformi dell’esercito, e nel circondario di Sora [3], al momento dell’unità erano 12mila nella sola zona del fiume Liri su una popolazione di 30mila abitanti, ad Arpino (vicino Sora) vi erano 32 fabbriche che impiegavano oltre 7mila operai [4]; altre svariate migliaia lavoravano in Abruzzo, Calabria, Basilicata e Puglia; “Un particolare riferimento va fatto per il lino e la canapa: con quest’industria, nella quale trovavano impiego ben 100.000 tessitrici e 60.000 telai, fu così dato lavoro a tutto un mondo rurale prevalentemente femminile”[5]. All’esposizione italiana di Firenze del 1861, lo stabilimento tessile di Sarno risultò essere il più grande della penisola nella produzione del lino. Il medesimo sviluppo coinvolge la produzione della lana grazie al miglioramento degli allevamenti, sono inoltre introdotti molti capi di razza “merino” e la manifattura conserva prevalentemente i caratteri di industria domestica per il parziale processo di trasformazione del manufatto.

Il Sud è invece nettamente svantaggiato, in confronto al Nord, per la produzione della seta ove incide solo per il 17.5% della produzione complessiva italiana ma in seguito all’incremento di nuove piantagioni di gelsi ed all’allevamento del baco si ha dal 1835[6] un rinnovato sviluppo; le filande sorgono in Calabria (la maggiore produttrice di seta grezza), in Lucania, in Abruzzo. Notissimo in tutta Europa era l’opificio di San Leucio (600 addetti, 130 telai per la seta e 80 per i cotoni) che introdusse, come novità, il fatto di riunire tutte le fasi della lavorazione della seta, dalla coltivazione dei gelsi, all’allevamento del baco da seta, fino al manufatto finito, si producevano prodotti serici di primissima qualità acquistati da tutte le corti europee.

Fu creato da re Ferdinando, nel 1789, ed era retto da uno Statuto dettato personalmente dal sovrano e rifinito dai suoi giuristi, che risentiva fortemente delle idee illuministe di Rosseau e che fu magnificato in tutta Europa. Esso prevedeva, per ogni membro della comunità, con decenni di anticipo sulle prime leggi inglesi del lavoro: casa, strumenti di lavoro, assistenza medica, istruzione obbligatoria per tutti i bambini dopo i 6 anni, pensione di invalidità e di vecchiaia, mezzi di sussistenza per la vedova e gli orfani dei lavoratori, “né resti esclusa la femmina dalla paterna eredità ancorché vi siano i maschi”; per questi motivi San Leucio fu definita dai posteri: “la repubblica socialista” dove persino il vestiario era uguale per tutti gli addetti (anche il sovrano ne era obbligato quando la visitava). La stessa Eleonora de Fonseca Pimentel, successivamente protagonista della Repubblica Napoletana, dedicò a Ferdinando di Borbone, in occasione della pubblicazione del regolamento della colonia serica, un sonetto, in cui celebrava il re quale “novello Numa, nuove leggi detta”. Ricordiamo anche gli stabilimenti di Nicola Fenizio che davano lavoro a più di 4mila persone e la cui produzione era largamente esportata in tutto il mondo, raggiungeva un tale grado di perfezione che i concorrenti americani arrivarono a contraffarne il marchio.

Giuseppe Ressa


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[1] P.Bevilacqua, Breve storia dell’Italia meridionale dall’Ottocento a oggi, Donzelli, Roma, 1997, pag. 20

[2] U. Schioppa, le industrie nel Regno delle Due Sicilie, Napoli, 2000

[3] S.De Majo, L’industria protetta, lanifici e cotonifici in Campania nell’Ottocento, Athena, Napoli, 1989

[4] U. Schioppa, Le industrie del Regno delle Due Sicilie, Napoli, 2000, pag. 23

[5] da F.M. Di Giovine, Atti del primo convegno Lions sul Regno delle Due Sicilie, pag.22

[6] In quell’anno si giunge a produrre circa 1.200.000 libbre (pari a 400.000 Kg.) di seta grezza, particolarmente pregiata.

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