mercoledì 24 giugno 2009

NAPOLI DUCALE

a cura di Alfonso Grasso

Le radici greche

La fondazione di questa illustre città risale così indietro nel tempo che non se ne conosce la data esatta. Gli antichi scrittori ci tramandarono romantiche leggende, al cui centro erano sempre le mitiche sirene, Partenope, Ligeia e Leucosia, che, suicidatesi per lo scorno di essere state vinte da Orfeo in una gara di canto, sarebbero state trasformate in scogli presso il nostro magnifico lido, che da una delle tre prese il nome.

Secondo un'altra versione, invece, le sirene, addolorate per l'indifferenza dimostrata da Ulisse per il loro dolcissimo canto, avrebbero cercato la morte lasciandosi andare alla deriva ed il corpo di Partenope sarebbe stato trascinato dalle correnti su quell'isoletta di Megaride sulla quale fu costruito poi nel Medio Evo il Castel dell'Ovo.

A parte le leggende, prima che Napoli fosse fondata, il litorale flegreo e le isole del golfo furono colonizzate da greci, eubei e calcidesi. Queste popolazioni fondarono una importante colonia a Cuma, donde il loro influsso si propagò in tutta la regione, anche se esse assimilarono a loro volta elementi delle civiltà locali. Furono questi cumani a fondare un piccolo centro abitato sulla collina di Pizzofalcone, e probabilmente essi lo discussero - si ignora per quale ragione - qualche secolo dopo. È accertato comunque che intorno al 470 a.C. la città fu ricostruita poco più ad oriente e, per distinguerla da quella vecchia, fu chiamata Neapolis, o città nuova; essa fu tracciata secondo un piano urbanistico prestabilito, con tre decumani in senso longitudinale intersecati ad angolo retto da cardini. Vi si adoravano gli dei prediletti dai fondatori: Minerva, Cerere, Diana e Afrodite, che ebbero quindi i loro templi, e ben presto i commerci vi prosperarono.

Napoli e Roma

Nel 340 a.C., quando i romani iniziarono la conquista della Campania, la situazione della città divenne critica e sfociò nel 328 a.C. in una dichiarazione di guerra a Roma, che non potè essere sostenuta a lungo, poiché il «neapolitano» era più un popolo di mercanti che di guerrieri. Tuttavia ottenne una pace onorevole, conservando una parvenza di libertà: la lingua ufficiale rimase quella greca e i magistrati conservarono i loro nomi e le loro funzioni.

Col passare del tempo, per effetto della Lex Julia, Neapolis divenne municipio romano ma conservò uno stato di privilegio poiché i dominatori, apprezzandone la civiltà, la considerarono un luogo di perfezionamento degli studi e dell'educazione, oltre che un piacevole luogo di soggiorno per l'amenità della natura e la dolcezza del clima. Sorsero quindi ville e palazzi di cui ancora restano le testimonianze sia nella città che nei dintorni. Cesare non perdonò a Neapolis di aver parteggiato per il suo avversario Pompeo, ma la città fu nuovamente protetta da Augusto e da altri imperatori, fra cui sopra tutti Tiberio; man mano gli usi e i costumi romani venivano sempre più assimilati, e con essi l'idioma.

La dominazione bizantina

Dopo la caduta dell'impero romano d'Occidente, l'imperatore d'Oriente Giustiniano inviò il generale Belisario a conquistare Napoli, ma questi, che riuscì facilmente a prendere la Sicilia ed una parte della Campania, trovò qui una resistenza accanita.

Gli assalitori bizantini stavano ormai perdendo ogni speranza di poter prendere la città, quando alcuni delatori li informarono che avrebbero potuto introdursi all'interno delle mura attraverso un antico acquedotto; solo così le truppe di Belisario riuscirono ad aver la meglio sui napoletani, su cui si vendicarono crudelmente per le perdite subite.

I Goti e Longobardi

Dovevano rivelarsi più generosi i barbari, che pochi anni dopo riuscirono a strappare la città al presidio bizantino: Totila, re dei Goti, fu umano col popolo stremato ed affamato, ma partendo commise l'errore di radere al suolo le mura, errore che costò a suo figlio il possesso della città, quando l'imperatore di Bisanzio inviò Narsete a riconquistarla. Nel 553 Napoli, nuovamente nelle mani dei bizantini, fu ripopolata dagli abitanti delle zone limitrofe e potè riprendere fiato. Intanto sempre più vi si affermava la religione cristiana, che sin dai primissimi anni della sua divulgazione vi aveva trovato terreno fertile.

La leggenda vuole che l'apostolo Pietro in persona si fosse fermato nella città, in cammino verso Roma, e che ne avesse consacrato il primo vescovo, sant'Aspreno: in seguito molti napoletani offrirono la loro vita per quella fede che praticavano nascostamente nelle catacombe. Sotto la dominazione bizantina il cristianesimo potè affermarsi infine liberamente e sorsero nella città i primi monasteri e le prime chiese, costruiti ad opera di Ordini religiosi orientali.

Napoli fu assediata dai longobardi nel 581 e nel 592; nel 599 fu rifugio di quanti dall'interno della Campania vollero sfuggire ai conquistatori che si erano fortificati a Benevento. In questo periodo il potere era praticamente nelle mani dei vescovi, ma quando i cittadini di Ravenna si ribellarono all'esarca, Napoli fu spinta ad imitare questa iniziativa e si diede un governo autonomo con a capo un certo Giovanni Consino: gloria effimera in quanto ben presto l'imperatore d'Oriente nominò un nuovo esarca, che riprese possesso delle due città ribelli. Nel 661 fu lo stesso imperatore a nominare un duca, nella persona di Basilio, un luogotenente imperiale, quindi, un governatore, ma in effetti fu l'inizio di un potere indipendente.

Il ducato elettivo

I duchi fornirono Napoli di un eccellente esercito, tanto che, quando Cuma fu conquistata dal longobardo Romoaldo II, duca di Benevento, il pontefice chiese l'aiuto dei napoletani e questi, con a capo Giovanni I, riuscirono brillantemente nell'impresa. Quando scoppiò la ribellione contro l'imperatore Leone l'Isaurico, Napoli rimase fedele all'imperatore, ma nel 773 il duca Stefano II riconobbe l'autorità del papa che lo elesse vescovo di Napoli; il ducato rimase formalmente alle dipendenze di Bisanzio, ma da allora saranno solo i napoletani ad eleggere i loro duchi.

Il ducato autonomo durò dal 763 al 1139 ed ebbe sotto la sua giurisdizione Ischia, Procida, Pozzuoli, Baia, Misene, Castellammare, Sorrento ed Amalfi. Questo fu uno dei periodi più felici della storia napoletana: la città assunse coscienza di sé e della propria unità, e mentre i monasteri ed il clero secolare aprivano le porte della loro cultura al popolo facendo fiorire le lettere, i duchi arricchivano la città di chiese e palazzi. I duchi venivano eletti da assemblee chiamate Piazze, poi Sedili, istituzioni che sopravvissero fino agli inizi del 1800, le cui determinazioni rimasero determinanti anche durante il successivo periodo del Regno di Napoli. Non mancarono pericoli ed insidie sia da parte dei longobardi che da parte dei saraceni, che vessavano con continue scorrerie le zone costiere: anche quando riuscirono ad avere dei periodi di pace, i napoletani furono costretti a stare in guardia, e il pericolo divenne più grave quando a capo dei pirati «barbareschi» fu il famoso corsaro Kair Ed Din Barbarossa. Fu quindi un'altalena di alleanze: quando dovevano difendersi dai longobardi, i napoletani si alleavano con i saraceni, e venivano per questo scomunicati dal papa; quando i longobardi venivano scacciati, ritornava il pericolo dei saraceni.

Questi pirati giunsero a minacciare il litorale laziale, ma la flotta napoletana, guidata dal figlio del duca Sergio, Cesario, nell'843 riuscì a liberare Gaeta dall'assedio e nell'849 ebbe una gloriosa vittoria ad Ostia riuscendo a salvare Roma dal saccheggio.

Il duca Sergio II si alleò di nuovo con i saraceni, ed intraprese una politica anticlericale che portò ad imprigionare il vescovo Atanasio, che fra l'altro era anche suo parente. A seguito di una rivolta popolare fomentata dal papa, Sergio fu dichiarato decaduto e costretto a fuggire.

La Repubblica marinara

La storia del ducato raggiunse l'apice della sua gloria verso la metà del secolo X sotto il duca Giovanni IV, che favorì la cultura e l'arte ed arricchì la sua biblioteca di opere pregiatissime; anche il commercio migliorò per l'accrescimento della flotta mercantile che permise di importare ed esportare merci di ogni genere.

Nel 1027 i longobardi tornarono all'attacco, e questa volta Pandolfo IV di Capua ebbe la meglio sul duca Sergio IV, costringendolo a fuggire.

La conquista normanna

Roberto il Guiscardo investito da papa Niccolò II del titolo di duca

Nel 1077 cominciò a prendere corpo un nuovo pericolo: i Normanni. Salerno, ultima roccaforte dei longobardi, cadde nelle mani del normanno Guiscardo mentre Napoli per ben due anni riuscì a resistere agli attacchi del principe di Capua Riccardo e del suo alleato Guiscardo. I duchi che si successero svolsero tutti una politica antinormanna e riuscirono a rimanere indipendenti, ma dopo che nel 1130 Ruggiero II fu incoronato re a Palermo con l'appoggio dell'antipapa Anacleto II, questi ingiunse al duca di Napoli Sergio VII di riconoscerlo come suo re e il duca non poté sottrarsi dall'accettare questo vassallaggio. Subito dopo però egli si mise segretamente in contatto con la lega che si era formata contro Ruggiero e come alleato di Rainulfo d'Alife inflisse a Scafati dure perdite ai normanni nel 1132.

Anche nel 1134, quando Ruggiero giunse con una cospicua flotta per prendere la città dal mare si tentò la resistenza, ma i napoletani erano stremati, il ducato in sfacelo e non rimase che arrendersi. L'anno seguente il duca era ancora contro il re di Sicilia, ma nel 1137, infine, fu costretto a seguirlo contro Rainulfo e morì sul campo di battaglia.

I napoletani allora con l'appoggio di papa Innocenzo II tentarono di costituirsi in una repubblica aristocratica, ma quando nel 1139 il pontefice fu vinto e imprigionato dal normanno, rimasti privi di ogni appoggio, furono costretti a consegnare la città a Ruggiero, inviandogli una ambasceria a Benevento, dove si era fermato. Il nuovo re volle mostrarsi generoso e umano con i vinti, ed il suo ingresso a Napoli fu trionfale. Egli distribuì della terra ai cavalieri e concesse agevolazioni ai nobili causando – però - un certo attrito fra i due ceti; diede il massimo incremento alle lettere e alle arti, favorì il commercio ed impose una moneta d'argento che fu chiamata «ducato» ed una di rame che fu chiamata «follaro». Assicurò alla città un'autonomia amministrativa, lasciandovi come suo rappresentante un conte palatino chiamato «compalazzo» che amministrava il demanio e la giustizia.

Tratto da Vittorio Gleijeses, La guida storica, artistica, monumentale, turistica della città di Napoli e dei suoi dintorni

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