domenica 15 dicembre 2019

Napoli tra le due guerre



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Napoli tra le due guerre

Napoli nell’Era Fascista

Quando fu provocata criminalmente la crisi economica mondiale del 1929,1 i
cui danni, in Italia, furono riassestati entro il 1933, l'Italia li affrontò meglio di
tante altre nazioni più industrializzate. Mussolini sostenne l’intervento
regolatore dello Stato nell’economia e volle quel "miracolo" economico che fu
realizzato concretamente dal napoletano Alberto Beneduce, del quale
Mussolini aveva grande stima nonostante fosse liberale. Ma quel liberale finì
per agire da fascista, dirigendo con giudizio l’opera dello Stato in soccorso
dell’economia nazionale. Il successo di questa operazione dimostrò come
l’interventismo dello Stato fascista in economia fosse efficace rimedio ai
disastri provocati dal lassismo dell'economia liberale mondiale.
Mussolini, dopo gli anni Venti, creò nel 1931 l'IMI (Istituto Mobiliare
Italiano), attraverso cui lo Stato acquistò le azioni quasi prive di valore delle
banche, poi sostenne nel 1933, con l'IRI (Istituto per la Ricostruzione
Industriale), gli investimenti industriali, guadagnandosi il plauso e la fiducia
del popolo. Milioni di piccoli risparmiatori furono salvati dalla rovina a cui li
1 Si provocò la grande depressione; fu una drammatica crisi economica provocata da continue e
pervicaci speculazioni sui valori in borsa, che sconvolse l'economia mondiale e la vita stessa di
milioni e milioni di uomini alla fine degli anni Venti, con gravissime ripercussioni nei primi
anni successivi. L'inizio della Grande Depressione si suole associare al crollo della borsa valori
del 29 ottobre dopo anni di boom azionari. Ma non è esatto: la vera causa fu un complotto tra le
banche, una grossa truffa “all’americana”. sfacciatamente evidente. Infatti Émile Moreau,
Governatore della Banca di Francia, registrava il 6 febbraio 1928 nel suo diario: « Le banche
avevano ritirato improvvisamente dal mercato diciottomila milioni di dollari, cancellando le
aperture di credito e chiedendone la restituzione». (Moreau Emile, Memorie di un governatore
della Banca di Francia, Cariplo-Laterza, Roma-Bari, 1986). I banchieri avevano agito in modo
da bloccare l'economia, e questo gravissimo complotto si sarebbe riversato anche sulla borsa di
New York, con la crisi del 1929. E spieghiamo meglio: a seguito della catena di fallimenti, con
la compiacenza corrotta di tribunali fallimentari, le banche entrarono in possesso di decine di
migliaia di aziende, negozi, industrie e tenute agricole. Vennero gettati sul lastrico quasi 10
milioni di artigiani, piccoli commercianti e contadini e si ebbero anche molti morti (di fame e
di stenti), sacrificati sull’altare del loro forzoso e sfrenato liberismo.
avrebbe portati il fallimento delle banche e la fiducia venne ristabilita; il Duce
ottenne poi l'occupazione attraverso un forte programma di opere pubbliche.
Con la costituzione dell'IMI e dell'IRI cambiò radicalmente il sistema del
finanziamento all'economia. Nacque così una struttura di "capitalismo di
Stato": questi due istituti pubblici si assunsero il compito di erogare il credito
a medio e lungo termine e acquisirono il possesso di importanti pacchetti
azionari in diversi settori fondamentali per l’economia nazionale. A Napoli
l’IRI salvò dalla bancarotta, tra le altre imprese, l’ILVA di Bagnoli e
l’Ansaldo di Pozzuoli, oltre a finanziare ex novo altre iniziative industriali.
Napoli, come molte altre città d’Italia, ha partecipato passionalmente, com’è
nel carattere dei napoletani, alla vita “nuova” della Nazione che tentava di
uscire dalla crisi mondiale del 1929, proiettandosi in un impetuoso emergere
di lavori pubblici e in un comune afflato di iniziative culturali, sociali e
politiche, che travalicava il ristretto svolgersi provinciale della vita di una città
del Mezzogiorno per sentirsi parte integrante di una nazione emergente che
sorgeva a nuova vita e aspirava a conquistare il rispetto delle altre nazioni.
Perciò il fervore dei cantieri, che davano lavoro a centinaia di disoccupati, si
integrava e si amalgamava nel pensiero, nei dibattiti e nel rapido risolversi con
una novella concretezza dei problemi nazionali.
Il sorgere di nuovi quartieri popolari, ma anche di un intero moderno,
prestigioso quartiere nel centro cittadino, la costruzione di nuovi edifici
pubblici, di servizi e strutture, che venivano incontro ai bisogni materiali della
città, non restavano fine a se stessi, ma si inserivano in un nuovo modo
unitario di vivere, un afflato comune, che travalicava i limiti angusti del
particolare per allargarsi nella consapevolezza di essere Nazione. Quando
tutta l’Italia era fascista, Napoli era fascista, una delle città più fasciste: a
Napoli il 24 ottobre 1922 ci fu l’adunata nazionale dei fascisti di tutta Italia in
preparazione della Marcia su Roma; da Napoli partì la conquista dell’Impero
in Etiopia; da Napoli partivano i legionari per l’intervento in Spagna; Napoli e
la Campania diedero i natali a migliaia di volontari nelle imprese del fascismo;
ma Napoli e la Campania ebbero anche l’attenzione, il particolare impegno del
governo fascista per risolvere i problemi delle città e delle campagne. Le
bonifiche integrali delle piane acquitrinose e malariche del Garigliano, del
Volturno, dei Regi Lagni e del Sele, assieme alla bonifica e alla riforestazione
delle montagne, resero abitabili e salutari zone difficili e abbandonate. Una
vitalità condivisa pervadeva i gangli vitali della regione, in linea con l’attività
corale della Nazione, nella frequenza delle scuole, nell’educazione dei
giovani, nel sorgere di opere sociali, nel sentito il bisogno di ridistribuire la
ricchezza al popolo lavoratore: Aurelio Padovani fu l’animatore di una prima
epoca di rinnovamento sociale; seguirono tanti altri, uniti nel disciplinato
concorso per eseguire le direttive del Capo del Governo: il Podestà Giovanni
Orgera, Vincenzo Tecchio, Alfredo Rocco, il cardinale Alessio Ascalesi,
Alberto Beneduce, napoletano, fondatore dell’IRI, il segretario federale
Eduardo Saraceno e ancora tantissimi altri.
Nel 1925 fu istituito l’Alto Commissariato per la città e la provincia di Napoli,
al quale veniva attribuita la gestione tecnica, amministrativa e finanziaria di
tutte le opere di competenza del Ministero dei Lavori Pubblici, di quelle
eseguite per le amministrazioni dello Stato. Nel 1926 vennero affidate all’Alto
Commissario le attribuzioni spettanti al comune di Napoli e al Regio
Commissariato per il Porto per la sistemazione della zona industriale, la
cessione delle aree per l’impianto o l’ampliamento di stabilimenti industriali.
Alto Commissario fu nominato il prefetto Michele Castelli, che restò in carica
fino al 1932, quando fu sostituito dal prefetto Pietro Baratono. Con
l’istituzione dell’Alto Commissariato l’intervento dello Stato per Napoli e
provincia fu reso più agile e l’esecuzione dei lavori assunse un ritmo più
intenso, rapido e preciso, anche nel campo delle infrastrutture di base:
fognature, servizi pubblici per la distribuzione dell’acqua, del gas,
dell’elettricità, nonché nel campo dell’edilizia popolare, scolastica
ospedaliera.
Le federazioni fasciste della Campania, come del resto le federazioni di tutta
l’Italia, erano partecipi della vita del popolo, sia con l’assistenza alle famiglie
numerose, o agli orfani di guerra, o ai lavoratori disoccupati. Gli uffici
provinciali del lavoro operavano per favorire l’occupazione, vegliavano
sull’applicazione delle leggi sociali da parte degli imprenditori, o si
adoperavano per assistere l’infanzia con manifestazioni come la Befana
fascista o le colonie marine, montane ed elioterapiche.
Il napoletano Alfredo Rocco, ministro della Giustizia dal 1925, rifece i codici
penale, di procedura penale e dell‘ ordinamento giudiziario, che furono varati
nel 1931: il cosiddetto “Codice Rocco”. Il concetto di delitto contro lo Stato
venne notevolmente ampliato. L‘attenzione prevalente fu accordata alla difesa
di interessi collettivi, di istituzioni quali la famiglia, la stirpe, l‘economia
pubblica. Fu il risultato di un lavoro estremamente accurato dal punto di vista
della tecnica giuridica e risultò utile per l’amministrazione della giustizia
penale. Su sollecitazione di Mussolini si impostò una lotta adeguata alla
camorra ed ai suoi sistemi, fu eliminata anche la piccola delinquenza, tanto
che si diceva “si potesse dormire con la porta di casa aperta.”
L’Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI) fu istituito nel 1933, quale organo
economico con il compito di fornire prestiti a scadenza ventennale alle
industrie, usando il denaro ricavato attraverso l‘immissione sul mercato di
obbligazioni garantite dallo Stato. La sezione smobilizzi acquisiva importanti
partecipazioni azionarie di industrie; salvò dalla bancarotta l’ILVA e
l’Ansaldo e finanziò l’impianto ex novo di un Centro Aeronautico tra i più
importanti d’Italia a Pomigliano D’Arco (NA).
L’acquedotto del Serino offriva ai napoletani direttamente dal rubinetto
un’acqua la cui purezza e il sapore organolettico erano rinomati in tutta Italia.
Oggi purtroppo l’acqua del Serino è stata strumentalmente appesantita dal
manganese dei pozzi del Lufrano, obbligando i Napoletani ad assoggettarsi ala
tirannia delle multinazionali, comprando a caro prezzo l’acqua cosiddetta
“minerale”.
Lo sport vero, provato sui propri muscoli, a cominciare dalle scuole, fu
diffuso, esaltato, propagandato e reso accessibile a tutti; si ripeteva l’adagio
latino «mens sana in corpore sano». Oggi è stato mercificato anche lo sport.
Agli obesi “sportivi” di oggi resta la poltrona davanti al televisore, la droga e
la bulimia. A Napoli furono realizzati palestre per l’educazione fisica, stadi, lo
Stadio del Littorio, la piscina e lo Sferisterio di Fuorigrotta.
Per l’assistenza sanitaria, oltre la ristrutturazione degli esistenti ospedali,
furono costruiti tre grandi nuovi complessi ospedalieri, ambulatori rionali e
specialistici e gli ambulatori e gli asili nido dell’Opera Nazionale Maternità ed
Infanzia (O.N.M.I.) per l’assistenza della madre e del fanciullo, opera sociale
nell’ottica di una politica demografica che oggi, invece, vediamo capovolta,
con famiglie italiane senza figli e con l’afflusso di milioni di immigrati che
imbastardiscono il popolo italiano, secondo le direttive dei dominatori
mondialisti.
L’Istituto Autonomo Case Popolari (I.A.C.P.) costruì alcuni nuovi rioni,
l’Istituto Nazionale Case Impiegati Statali (I.N.C.I.S.) costruì nuove case per
gli impiegati statali. Fu eliminata la piaga dei locali a piano terra, adibiti ad
abitazione dei ceti proletari.
L’Opera Nazionale Dopolavoro per la sana ricreazione dei lavoratori nel 1935
disponeva di cinema, di un teatro, filodrammatiche, orchestre, associazioni
professionali e culturali, biblioteche, scuole corali, sezioni sportive.
Entusiastica fu la partecipazione dei napoletani alla conquista prima e alla
valorizzazione poi dell’”Impero” in Africa Orientale Italiana; ne restò
valorizzato anche il porto di Napoli, da cui partivano i collegamenti marittimi.
I collegamenti ferroviari, furono potenziati con la “Direttissima” Napoli–
Roma a trazione elettrica. Il tratto che passava nel sottosuolo di Napoli fu la
prima metropolitana in Italia, attrezzata con scale mobili e stazioni. Fu
ristrutturata e ammodernata la ferrovia Cumana, furono eseguiti lavori di
ammodernamento della Circumvesuviana, e della ferrovia Piedimonte d’Alife
e furono costruite le funicolari di Napoli. Una funicolare anche sul Vesuvio
portava i turisti in vetta al cratere. Il Vesuvio allora emetteva un imponente
pennacchio di fumo che caratterizzava il panorama napoletano. Fu realizzata
la Galleria della Vittoria, che permetteva la comunicazione tra la zona
orientale e la zona occidentale della città di Napoli: una galleria larga oltre
sedici metri, con larga previsione delle esigenze future. L’esecuzione della
galleria dovette superare varie e pesanti difficoltà tecniche. Mussolini, che
seguiva l’esecuzione dei lavori con attenzione e interesse per qualsiasi impresa
che recasse prestigio all’Italia, fece giungere all’ing. Guadagno del Genio
Civile, autore del progetto e direttore dei lavori, il suo personale
compiacimento. Si realizzarono nuove strade, tra cui, di particolare interesse
per Mussolini, la via Litoranea. Fu realizzata rapidamente la seconda
autostrada in Italia, la Napoli-Pompei, subito dopo l’autostrada Milano-Laghi.
Fu incrementato il turismo di massa verso Napoli e dintorni, anche per i lavori
di scavi archeologici e di sistemazione dei reperti. Fu incrementato e
ristrutturato il Museo Nazionale, furono restaurate e valorizzate le regge di
Capodimonte, di Caserta e di Portici assieme a molti altri monumenti
interessanti per il prestigio della città e della Nazione. Ma il lavoro più
impegnativo fu quello di ampliare il porto portandolo a dimensioni molto più
grandi e con piena funzionalità, efficienza e adeguate attrezzature.
Contemporaneamente in tutta la Campania venivano costruite centrali
idroelettriche grandi e piccole, oggi, nell’era delle multinazionali, in parte
abbandonate per usare l’obbligatorio petrolio nelle centrali termoelettriche.
Il complesso fieristico della Mostra Triennale delle Terre d’Oltremare, iniziato
nel 1939, fu compiuto, a tempo di record, in soli cinquecento giorni; la sua
realizzazione era stata voluta da Mussolini e sostenuta dal segretario federale
del PNF Eduardo Saraceno, che propose la nomina di Vincenzo Tecchio come
Commissario Governativo per l’esecuzione dell’opera, il quale si impegnò con
dedizione totale, superando difficoltà di ordine legale, amministrativo e di
approvvigionamento dei materiali da costruzione, che già scarseggiavano
mentre soffiavano venti di guerra. Egli ottenne anche la collaborazione più
fervida delle maestranze, dei tecnici, degli artisti e dei dirigenti la cui
abnegazione eguagliava l’entusiasmo di donare a Napoli un’opera che
contribuiva ad incrementare notevolmente l’interesse artistico, culturale e
turistico di Napoli e quindi ne accresceva il prestigio.
Ha scritto Mario Bernardi Guardi: «La cultura italiana tra il’30 e il ’40? Una
laboriosa officina, un laboratorio di idee, un frastagliato paesaggio dello
spirito, dove ci si incontra e ci si scontra, si dibatte, si crea». Napoli non fu
estranea a tanta “tensione inventiva”. La vita culturale, durante il Ventennio, si
arricchì, a Napoli, come in tutte le città d’Italia, delle competizioni culturali
dei Ludi Juveniles, a cui partecipavano gli studenti delle scuole superiori, e dei
Littoriali a cui partecipavano gli studenti universitari. A proposito di studenti
universitari, il Gruppo Universitario Fascista (G.U.F.) di Napoli pubblicava
l’apprezzatissimo periodico “IX Maggio”, su cui scrivevano anche studenti
che poi divennero illustri col passare degli anni, fino a scalare la Presidenza
della Repubblica; noi ci limitiamo a citare, invece, soltanto uno di coloro che
non cambiarono bandiera: Vito Videtta, giovane di assoluta fede, aderì alla
Repubblica Sociale Italiana, e fu aggredito alle spalle con una scarica di mitra
nelle cosiddette “radiose giornate” dell’aprile 1945. Aveva scritto anche sui
quotidiani della Rsi.
L’Istituto di Cultura Fascista aveva anche a Napoli una sua organizzazione:
l’Istituto Provinciale di Cultura Fascista, in cui chiunque desiderava offrire il
proprio contributo di pensiero e di opere alla cultura nazionale, trovava
possibilità di operosa attività. Cooperavano alla diffusione culturale le
seguenti Istituzioni: l’Istituto Nazionale per il Dramma Antico, con la
rappresentazione delle opere drammatiche classiche greche e latine; l’Istituto
per il Medio ed Estremo Oriente (varato nel 1933); l’Istituto Italo-Germanico
(del 1932); il Consiglio Nazionale delle Ricerche (1923); l’Istituto Nazionale
di Diritto Internazionale (1922); l’Istituto Fascista dell’Africa Italiana (1928);
il Centro Italiano di Studi per le Scienze Amministrative (1934); la
Commissione Nazionale per la Cooperazione Intellettuale (1928); l’Istituto
Giovanni Treccani per la pubblicazione dell’Enciclopedia Italiana (1925) ;
l’Istituto nazionale L.U.C.E. (1925) per diffondere la cultura mediante
proiezioni cinematografiche; e vari altri Istituti culturali, che per brevità
dobbiamo tralasciare. In tanto fervore di iniziative culturali furono potenziati a
Napoli l’Istituto Universitario Orientale, a cui fu dato un grande impulso con
l’aggiunta di molte lingue e di validissimi e illustri docenti, e l’Istituto
Universitario Navale.
Il nuovo mezzo della Radio cominciava a diffondersi e a contribuire
all’attenuazione dei campanilismi e del dialetto, ma il dialetto napoletano, una
lingua viva e capace di sonore espressività è rimasto ancora oggi vitale nei
rapporti familiari e nell’intimità con gli amici.
L’industria metalmeccanica annoverava gli stabilimenti operosi dell’Ilva,
dell’Ansaldo, della Corradino, della De Luca, dell’Otis, della Stanzieri, de La
Precisa, del Silurificio di Bacoli; l’IRI, grazie all'opera dell'ingegnere Ugo
Gobbato, diede vita ad un Centro Aeronautico tecnologicamente
all'avanguardia, in grado di produrre motori aeronautici Alfa Romeo per
l'epoca tecnologicamente molto evoluti. Il complesso industriale appena
ultimato era tra i più grandi e moderni in Europa. Per i dipendenti residenti in
zona, fu realizzato un quartiere con circa cinquecento abitazioni ognuna delle
quali disponeva di un piccolo giardino, mentre per i forestieri fu costruito un
albergo di circa settecento posti. Nel 1939 operava nel porto di Napoli la
Navalmeccanica che assorbì le preesistenti officine dei bacini di carenaggio.
Da ricordare l’Istituto Italiano dei Motori, gli opifici delle Manifatture
Tabacchi e le Cotoniere Meridionali; il comparto conserviero aveva
centocinquanta stabilimenti con 14 mila lavoratori, oltre le industrie
complementari, sorse uno zuccherificio a Capua; l’industria molitoria-pastaia
soffrì a causa delle sanzioni la perdita di mercati per le tradizionali
esportazioni; inoltre l’obbligo di acquisti di grano nazionale costrinse a
spendere di più per la materia prima. Altra industria che soffrì disagi per le
esportazioni fu quella guantaia; si cercò di ovviare con un programma
imponente di opere pubbliche. L’industria chimica, oltre la Raffineria dei
petroli, acquisì uno stabilimento per la produzione di fibre sintetiche..
Il complesso edilizio del Collegio per i figli del popolo, a Bagnoli, opera
realizzata con la disponibilità finanziaria del Banco di Napoli, avrebbe dovuto
ricoverare, educare ed addestrare alle arti e ai mestieri, per avviarli al lavoro,
duemila e cinquecento ragazzi e ragazze in difficili condizioni economiche e
sociali. Purtroppo l’opera, per una delle tante sopraffazioni della NATO è stata
sottratta ai suoi compiti di istituto, in piena combutta con la eliminazione
consensuale e masochistica ancora in corso delle provvidenze sociali del
Ventennio.

TRATTO DA:

I.S.S.E.S

Atti del Convegno di Studi Storici
tenutosi a Napoli il 28 febbraio 2008
NAPOLI
TRA LE DUE
GUERRE


Per capire quale fu lo sviluppo economico e industriale di Napoli nel ventennio fascista,ossia nel periodo tra le due guerre mondiali,occorre premette che esso non può prescindere da quella che fu la politica meridionalistica del Regime. Napoli,pur nella sua particolarità di grande conglomerato urbano non era qualcosa di avulso dal Mezzogiorno nel suo complesso. E,contrariamente a quanto si è detto in seguito anche prendendo spunto da quanto scritto dal Tasca sulla questione meridionale nell’Enciclopedia Italiana,il Fascismo non ignorò la questione meridionale,che considerò però come qualcosa di variegato e non unitario e comunque parte integrante di un'unica questione nazionale. Non a caso la più importante rivista di studi al riguardo si chiamò “Questioni meridionali” fra il 1934 e il 1939, per sottolineare la pluralità di problemi che si nascondevano sotto il termine “questione meridionale”. La rivista fu diretta da Giuseppe Cenzato e Francesco Giordani,personaggi che in gran parte dopo la disfatta si ricicleranno con l’antifascismo e giunsero pure a collaborare con il PCI.
E ancora è da dire che,mentre in campo politico in Italia nel corso del primo cinquantennio dello scorso secolo vi sono stati tre regimi politici - quello liberale,quello fascista e quello democratico -repubblicano - nel campo economico,e non solo per quel che concerne Napoli e il Mezzogiorno, non vi è stata praticamente alcuna soluzione di continuità. Spesso gli stessi personaggi che avevano collaborato con Nitti ministro del Tesoro - tipici Beneduce, Menichella, Pasquale Saraceno - saranno nel 1933 alla testa dell’IRI costituito dal Fascismo dopo la “grande crisi” e nel secondo dopoguerra daranno vita alla Cassa del Mezzogiorno. Il Fascismo,che costrinse Nitti all’esilio, adottò in politica economica gran parte del programma nittiano, che già era stato definito da Gobetti l’unico serio programma per un’Italia conservatrice. Basti pensare al riguardo proprio a Napoli: il Fascismo attuò l’idea nittiana della “grande Napoli” con l’accorpamento nella struttura municipale di Napoli di comuni limitrofi quali Bagnoli, Secondigliano, Pianura, Soccavo, Barra, Ponticelli, San Giovanni a Teduccio, Chiaiano. Occorre dire che fin dal primo momento il “problema Napoli” fu considerato dal Fascismo così particolare che ritenne non bastasse, come per altre città d’Italia, sostituire i sindaci elettivi con i podestà: a Napoli si ebbero spesso gli “Alti Commissari” fra i quali si ricorda soprattutto Castelli. E’ anche da dire che lo sviluppo economico a Napoli fu strettamente collegato alle due fasi della politica economica fascista: quella “liberista”, impersonata soprattutto dal ministro delle Finanze Alessandro de’ Stefani fino al 1930, e quella “interventista” dopo la “grande crisi” con la costituzione dell’IRI, del1’IMI, il complesso e originale sistema delle Partecipazioni Statali e la legge bancaria del 1936.
Nella prima fase, soprattutto nei tre anni – 1925-26 - in cui fu ministro delle Finanze Giuseppe Volpi di Misurata, successore del de’ Stefani ma in sostanza continuatore della sua politica, si ebbe la ristrutturazione delle fabbriche del gruppo Cotoniere Meridionali e la riapertura dell’Ilva nittiana di Bagnoli (polo siderurgico) anche in vista della “direttissima” ferroviaria Napoli-Roma via Formia, che evitava la deviazione per Cassino. Favorirono questa ripresa i buoni rapporti stabiliti dal Volpi con gli Stati Uniti donde l’esuberanza di capitali stranieri che favorirono anche l’industria napoletana, 1’istituzione appunto dell’Alto Commissario della provincia di Napoli e alcune particolari provvidenze fiscali che avvantaggiarono soprattutto l’industria conserviera che aveva allora a Napoli il principale fulcro nella CIRIO[1]. L’Alto Commissario fu istituito con decreto del 1925 per un periodo di cinque anni,ma fu prorogato fino al 1935. Fino al 1932 fu Alto Commissario il pugliese Michele Castelli, successivamente il genovese Pietro Baratono. Di particolare giovamento alle industrie conserviere napoletane fu il RDL 23 ottobre 1924 n.1736 che riduceva di tre quarti l’imposta di fabbricazione dello zucchero da marmellate e abbassava il dazio di confine relativo. Sempre in questo periodo si costruiscono a Napoli i primi impianti per la produzione di benzina, come la Benit (SA Benzina italiana) per l’estrazione della benzina dai residui della distillazione degli oli minerali.
L’impianto Benit si collegò al ponte di Vigliena con due oleodotti della lunghezza di 1860 metri. Ma sorgono altri depositi e punti di vendita quali quello dell’AGIP, primo nucleo del futuro ENI, la SIPOM (Società impianti e provvista di oli minerali), la SIAP (Società italoamericana per il petrolio). Riaprono o sorgono ex novo anche industrie indotte o comunque collegate all’industria conserviera, quali la Società Lattografica controllata da Signorini, “patron” della CIRIO, la Metalgraf, che produce barattoli e recipienti di latta, la Dewey & Almy Chemical Company a prevalente capitale americano che produce mastice, la Gold Seal Lining Company, la Metallurgica Meridionale, specializzata nei profilati di ferro per l’edilizia e le macchine agricole, l’ACME (Anonima Costruzioni MEridionali) che costruisce ville e abitazioni soprattutto a Bagnoli e Arco Felice, la Vetreria Meccanica Italiana, la Cristalleria Nazionale, la Precisa che produce macchine utensili esportate soprattutto in Nord America, la SAMSA (Società Anonima Meridionale Seta Artificiale) che produce viscosa e fibre artificiali in genere.
La ripresa produttiva è favorita anche dalla trasformazione del Banco di Napoli che perde sì il suo potere di emissione, ma che diventa organismo finanziario operante a sostegno della piccola, media e grande industria. È il Banco di Napoli a promuovere la costituzione della Società Autostrade Meridionali con l’esecuzione del tratto Napoli - Pompei, primo tratto della Napoli – Salerno, che sarà completata dopo la guerra. Al censimento industriale del 1927 risultano nella città. di Napoli 75.002 addetti all’industria su una popolazione di 843.751 abitanti, quindi quasi il 10% in un’epoca in cui l’intera Italia e non solo il Sud era considerata un Paese prevalentemente agricolo.
La crisi del 1929 arrestò questo sviluppo produttivo per almeno cinque anni sia per il mancato afflusso dei capitali USA, sia perché fu danneggiato 1’interscambio commerciale. Molte industrie furono costrette a chiudere o a ridimensionare impianti e produzione. Persino le allora floride Manifatture Cotoniere meridionali ebbero il loro momento di difficoltà, da cui uscirono grazie all’impulso del Banco di Napoli. Fu quello il momento dell’IRI e dell’intervento dello Stato nell’economia industriale. Il Fascismo, che aveva puntato soprattutto sull’agricoltura, sulla ruralizzazione dell’economia italiana e su un rallentamento dello sviluppo industriale, fu costretto dalla “grande crisi” ad accelerare l’industrializzazione italiana per arginare un eventuale effetto disoccupazione. Il che avvenne anche in seguito alla guerra d’Etiopia, alla scelta dell’autarchia e al riarmo.
La conquista dell’Impero significò anche lo spostamento del baricentro politico - economico del Paese verso il Mezzogiorno e l’assunzione da parte di Napoli del ruolo di principale porto proiettato verso l’Africa. Già fra il 1934 e il 1935 le Officine Ferroviarie Meridionali, in collaborazione con le Industrie Aeronautiche Romeo di Pomigliano, avevano superato la crisi fornendo il 25% dei velivoli necessari alla guerra d’Etiopia all’Aereonautica militare. Tali Officine nel 1926 passarono sotto il controllo del gruppo Breda con il nuovo nome di Industrie Meccaniche e Aeronautiche Meridionali e costruirono l’aereo da combattimento tutto metallico Breda 88, che fece buona prova nella guerra di Spagna. Il vecchio opificio meccanico Catello Coppola di Castellammare di Stabia fu ristrutturato con la denominazione AVIS (Avioindustrie stabiesi) alla dipendenza del gruppo Caproni. Ma l’iniziativa più importante fu l’apertura il 1° aprile 1939 dello stabilimento aeronautico dell’Alfa Romeo a Pomigliano che occupava 7.000 operai.
In campo cantieristico, sempre nel 1939, si costituì grazie all’IRI la Navalmeccanica che assorbiva precedenti industrie quali i cantieri Pattison, la Bacini e Scali, il cantiere di Castellammare, le Officine meccaniche già Miani e Silvestri. Al posto delle Officine e cantieri meridionali di Baia si impiantò il Silurificio italiano, importantissimo durante tutto il corso della guerra, per non parlare dell’impianto a Bagnoli da parte della Montecatini di un vero polo chimico. Alla vigilia della seconda guerra mondiale dunque Napoli con la sua provincia era una vera città industriale con 128.776 addetti su una popolazione di 875.855 abitanti, dunque il 14%. Per quanto concerne l’intera provincia gli addetti all’industria erano il 34,53% della popolazione attiva contro il 30,65% degli addetti all’agricoltura. Questo senza sottovalutare la prevalenza o di industrie di Stato, dovute dunque all’IRI, o di industrie come la Montecatini aventi i loro centri direzionali nel Nord.
Va detto che la gestione della politica di sviluppo a Napoli fu mantenuta dal governo nazionale attraverso gli organi dello Stato quali prefetti, alti commissari e al massimo podestà. Non vi fu, come in altre città d’Italia quali Firenze o Ferrara, la gestione strettamente politica da parte dei locali “ras” o dei federali. A Napoli non vi fu un Pavolini che istituì il Maggio musicale fiorentino o un Di Crollalanza che strutturò integralmente la Bari nuova. E questo perché il “ras” locale, Aurelio Padovani, cadde ben presto in disgrazia e fu addirittura espulso dal partito. Qualche eccezione però vi fu, come nel caso di Vincenzo Tecchio, cui ancora miracolosamente è dedicata una piazza a Napoli, chefu il massimo promotore e diremmo creatore della Mostra d’Oltremare, il cui significato era quello della proiezione di Napoli, del Meridione e dell’Italia intera verso il Mediterraneo.
Tecchio, già braccio destro di Padovani e poi contrarissimo alla sua riammissione nel partito, oltre che presidente della citata Mostra, fece parte del consiglio d’amministrazione della irizzata Navalmeccanica e dell’Alfa Romeo di Pomigliano.Anche Tecchio avrà un periodo di eclissi dopo la fine della segreteria Farinacci, ma riemergerà nel 1934 con l’assunzione della carica di federale da parte di Francesco Picone e chiuderà la sua stagione politica nella Repubblica Sociale. Comunque tutti i più noti federali di Napoli, da Nicola Sansanelli a Niccolò Castellino, da Natale Schiassi a Picone, da Edoardo Saraceno agli ultimi Fabio Milone e Francesco Saverio Siniscalchi, anche per temperamento personale, non furono se non marginalmente protagonisti dello sviluppo economico di Napoli in quel periodo, mentre lo furono invece tecnocrati come Ivo Vanzi, Giuseppe Paratore, Giuseppe Cenzato, Stefano Brun, e in genere  l’ambiente dirigenziale della SME (Società Meridionale Elettrica), cui fu facile poi riciclarsi nella restaurata democrazia.
A titolo di curiosità va ricordato che dal novembre 1927 al gennaio 1930 fu commissario al comune di Napoli l’ebreo Dante Almansi, il quale nel 1939, dopo le leggi razziali, diventerà presidente dell’Unione delle Comunità israelitiche. I tecnocrati come Cenzato e Giordani dettero vita, oltre che alla menzionata rivista “Questioni meridionali”, anche alla Fondazione Politecnica per il Mezzogiorno d’Italia, il cui scopo era di promuovere la cultura tecnica e le attività industriali nel Sud, in pratica la formazione di una classe dirigente adeguata.
Alla “Fondazione” si deve il piano regolatore di Napoli, elaborato nel 1936 e approvato con legge nel 1939. Da notare che quasi tutti i nomi dei dirigenti della “Fondazione” si ritroveranno dopo il 1945 nel CEIM (Centro Economico Italiano per il Mezzogiorno) promosso dal partito comunista cui parteciparono Giuseppe Paratore, Giovanni Porzio, Giorgio Amendola ed Emilio Sereni. Il piano regolatore, giudicato positivamente da esperti urbanisti, fu completamente disatteso nel dopoguerra, anche da amministrazioni di destra, e travolto dalla grande speculazione edilizia.
Il periodo tra le due guerre è anche contraddistinto a Napoli da uno sviluppo dell’edilizia che,se non è paragonabile alla speculazione selvaggia del dopoguerra, fu notevole e incisivo, anche perché accompagnò fenomeni di mobilità sociale. Lo sviluppo edilizio non fu dovuto solo all’imprenditoria privata, ma anche alle cooperative e allo IACP (Istituto Autonomo Case Popolari). Le case dell’Istituto furono date in genere a proletari specializzati, impiegati, militari soprattutto sottufficiali. Quando si ebbe il risanamento del Rione Carità, la massima opera urbanistica compiuta dal Fascismo a Napoli e nel dopoguerra completata da Lauro, le famiglie sgombrate o furono alloggiate in case dell’istituto o ricevettero un sussidio.
Le due opere maggiori sul piano della ristrutturazione urbanistica furono dunque il Rione Carità e la Mostra d’Oltremare cui si collegava la costruzione di un quartiere del tutto nuovo quale Fuorigrotta, ben presto popolato da piccola borghesia. Furono curate le infrastrutture, come dimostrano la galleria Laziale, uella della Vittoria, la funicolare centrale e quella di Mergellina. Si vollero migliorare i collegamenti tra il Vomero e il Centro oltre che tra la parte orientale e quella occidentale della città. Grazie anche allo sviluppo edilizio cominciò lo spostamento della borghesia benestante verso i quartieri Chiaia, Vomero e Posillipo, ove un tempo esistevano solo ville per vacanze. Oltre la bonifica del rione Carità si ebbe su scala minore quella del rione Betlemme alle spalle di via dei Mille. Si tentò anche, ma con scarso successo, la chiusura dei “bassi” attraverso tre diverse ordinanze del 1924, del 1928 e del 1934. I “bassi” erano, come sono ancora, rifugio di sottoproletari,,di malavitosi e qualche volta anche di artigiani. Le famiglie sgombrate furono alloggiate in case popolari o ricevettero un sussidio. Ma non mancarono provvedimenti più drastici: nel 1928 furono espulsi dalla città 1.400 pregiudicati e 5.000 persone che non avevano un mestiere dichiarato[2].
Indubbiamente si puntava molto alla “facciata” tanto da proibire addirittura di stendere i panni sui balconi. Ma l’immagine reggeva molto più che con il “rinascimento” di Bassolino: nel 1928 la rivista municipale riportava un articolo della “Gazette de Lausanne” che definiva Napoli irriconoscibi1e per la buona pavimentazione, la pulizia delle strade, le facciate dei palazzi ripulite. Napoli dei “fondachi” e dei vicoli descritta nelle “Lettere meridionali” di Pasquale Villari sembrava solo un ricordo. Certo si sarebbe potuto fare di più e lo si sarebbe fatto se non fosse sopravvenuta nel 1935 la stagione delle guerre: prima quella d’Etiopia, poi quella di Spagna e infine il catastrofico secondo conflitto mondiale.

Gabriele Fergola


[1] V. per tutto questo Michele Fatica in “Mezzogiorno e fascismo” – Edizioni Scientifiche Italiane – Napoli 1978 – vol.I, pag.9  e seg., soprattutto pag . 121-124.
[2] Per l’edilizia a Napoli in quel periodo cfr. Laura Guidi “Le condizioni abitative e lo sviluppo edilizio a Napoli tra le due guerre” in Mezzogiorno e Fascismo,  op. cit. – vol . II – pag. 553 - 575.

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