venerdì 14 giugno 2019

Vendetta




Prima di raccontare la più sacrosanta ed esemplare vendetta dell’assassinio di Ernesto “Che” Guevara, ovvero l’eroica impresa di Monica (Monika) Ertl che giustiziò il macellaio Roberto Toto Quntanilla Pereira, al tempo già colonnello poi console boliviano in Germania, tra i responsabili dell’oltraggio finale a Guevara: l’amputazione delle sue mani, che gli piacque farsi fotografare mentre si accende la sigaretta e la cenere va sul cadavere del “Che” adagiato sul lavatoio della lavanderia-obitorio all’ospedale Nuestra Senora de Malta di Valle Grande, riassumiamo le miserande fini di alcuni degli attori, responsabili o partecipanti alla repressione della guerriglia boliviana , alla uccisione del “Che” e al suo oltraggio.
Un esauriente elenco, di quella che fu chiamata “la maledizione del Che”, lo pubblica Roberto Occhi nella sua “biografia del “Che”, citata, noi seguendo il suo ordine cronologico ne diamo un analoga panoramica.
Lungi da noi avallare fantasie di “maledizioni” o leggende metropolitane del genere, ma riportiamo solo i fatti accaduti che non possono non dare soddisfazione.

- Il 14 luglio 1969 il losco Honoratio Rojas il campesino che aveva denunciato ai soldati il gruppo della retroguardia di Joaquin che poi il 31 agosto ’67 venne sterminato, mentre si stava godendo il suo Ranch di 5 ettari vicino Santa Cruzz, dono del presidente Barrientos, viene giustiziato con un paio di colpi alla testa da parte del risorto Esercito di Liberazione Nazionale, ELN.
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- Il traditore della sua patria, legato alla Cia, presidente della Bolivia generale Renè Barrientos, responsabile con i suoi sodali statunitensi della decisione di assassinare il “Che”, un prigioniero ferito, appena 18 mesi dopo quell’assassinio, il 19 aprile 1969, creperà carbonizzato precipitando con il suo elicottero.
- Il tenente Mario Lorenzetti una delle guardie preposte al “Che” chiuso nella scuola di La Higuera, viene assassinato, proprio nel giorno della ricorrenza di quell’assassinio, il 9 ottobre 1970, per non aver partecipato ad un fallito attentato contro il presidente boliviano Juan Josè Torres.
- Guarda caso, il giorno successivo, 10 ottobre 1970, per un incidente d’auto crepa il tenente Eduardo Huerta il primo ufficiale Alla cattura del “Che”.
- Nel 1970 il generale Alfredo Ovando Candia che aveva emanato per radio l’ordine di assassinare il “Che” e poi predisposto il taglio delle sue mani, fatto Presidente con un golpe militare nel settembre 1969, viene rovesciato e buttato giù da una finestra del palazzo presidenziale. Il desso comunque non morì nell’occasione.
- Nel 1971, toccherà quindi a Roberto Quintanilla, ora Console ad Amburgo in Germania, ma al tempo capo dei Servizi segreti del ministero Interni boliviano, che presenziò all’amputazione delle mani del “Che” e che tutto tronfio si fece fotografare nella lavanderia-obitorio a Valle Grande mentre si fuma la sigaretta sul cadavere del “Che”. L’anno successivo fece assassinare Inti Peredo. Ma della sua leggendaria esecuzione, parleremo appresso.
- Nel settembre 1972 il maggiore Miguel Ayoroa dei rangers, quello arrivato con il capitano Gary Prado e il colonnello Andres Selich, alla scuola di La Higuera dove era rinchiuso il “Che”, e si spartirono le sue poche cose, venne incarcerato dal governo Banzer, e da allora di lui non se ne è saputo più nulla.
- E non poteva mancare il colonnello Andrès Selich, sopra menzionato, il compagno di merende di Prado e Ayoroa, che entrato nell’aula dove vi era il “Che” ferito e legato cercò oltretutto di interrogarlo con arroganza e metodi brutali mettendogli le mani addosso. Questo serpente, nel 1973, venne fatto ministro nel governo Banzer, ma sospettato di preparare un colpo di Stato venne interrogato a La Paz e ammazzato a calci e pugni.
Mai vendetta , sia pure indiretta, fu più attinente.+
- Juan Josè Torres Gonzales, il generale boliviano “socialista”, che divenne Presidente “di fatto” per meno di un anno dall’ottobre 1970 (succedendo ad Alfredo Ovando di cui era stato il bracco destro), dopo essere stato rapito, molto probabilmente dallo “squadrone della morte” (AAA) argentino, venne ucciso il 12 febbraio 1976 a Buenos Aires.
Torres era stato capo di Stato maggiore durante la spietata caccia al “Che” e la sera dell’8 ottobre ‘67 aveva partecipato a La Paz alla riunione straordinaria con Barrientos e il colonnello Arana Serrudo capo dei Servizi militari, in cui ci si orientò per l’uccisione del “Che” (indicata anche dalla CIA) da poco catturato.
- A maggio 1976 è quindi la vota di Joaquin Zenteno Anaja ucciso da colpi di pistola, in una strada di Parigi, forse per un regolamento di conti tra boliviani. Già comandante della VIII divisione a Santa Cruz , poi generale e quindi ambasciatore in Francia. Era stato agli ordini del capo Cia a La Paz John Tilton, e fu tra quelli che disposero di occultare i resti di Guevara.
- Ed eccoci al comandante Gary Prado Salmòn, dei ranger che avevano catturato Guevara e che per disgrazia della città eterna era nato a Roma nel 1919. Agli inizi del 1981, fronteggiando manifestanti di destra che avevano occupato un accampamento petrolifero a Santa Cruz, venne ferito dalla pallottola di un suo soldato, che lo rese permanentemente paralitico.
Ed infine due furfanti che purtroppo scamparono alla giusta morte:
- Félix Ismael Rodríguez Mendigutia l’agente CIA ex Cubano, si dice che tornato nella sua Miami, opulento porcile di profughi anticastristi, cominciò, come Guevara, a soffrire di asma che non aveva mai avuto e che le prove allergiche non riuscivano a spiegare. Ma, questo figuro, utilizzato dagli yankee per tante altre operazioni militari, per notorietà era dedito a rilasciare racconti e testimonianze , oltretutto contraddittorie, e di dubbia credibilità-
- Ed eccoci al boia, quel Mario Teràn Salazar
Nel 1969 il governo boliviano per tutelarne la vita diffuse la falsa notizia che si era suicidato. Sembra che per un certo tempo ha fatto l’istruttore per l’esercito, poi ha continuato a vivere in Bolivia come un topo evitando di uscire di casa da solo e mezzo alcolizzato. Alla fine lo rintracciarono e gli strapparono qualche intervista a pagamento. Si disse perseguitato dalla immagine di Guevara e che dovette sottoporsi a cure psichiatriche.
Se sono veritiere certe informizoni, anche un altro boia, quel sergente Bernardino Huanca che entrò nell’altra aula a La Higuera e uccise a colpi di mitra i prigionieri inermi, il boliviano Simon Cuba Willy e il peruviano, Chang il cinese, per giunta ferito, passo la sua miserabile vita in cure psichiatriche.
Ed arriviamo così alla esecuzione giustizialista in memoria del “Che”.
L’esecuzione di Roberto Toto Quintanilla
Ad Amburgo, in Germania, erano le dieci meno venti della mattina del 1° aprile 1971. Una bella ed elegante donna dai profondi occhi color del cielo entra nell’ufficio del console della Bolivia e, aspetta di essere ricevuta dal console Roberto Quintanilla.
Vestito elegantemente con un abito scuro di lana, il console Quintanilla, appare nell’ufficio e saluta, colpito dalla bellezza della donna che dice di essere australiana, e che pochi giorni prima gli aveva chiesto un’intervista.
Per un fugace istante, i due sono di fronte.
La vendetta è incarnata in un viso femminile molto attraente che lo guarda fissamente negli occhi e senza dire nulla estrae una pistola e spara.
Non ci fu resistenza, né lotta: tre pallottole avevano centrato il bersaglio. Nella fuga, la donna lasciò dietro di sé una parrucca, la borsetta, la Colt Cobra 38 Special, ed un pezzo di carta con scritto: “Vittoria o morte. ELN”.
Chi era questa audace donna e perché sparò a “Toto” Quintanilla ?
Nella milizia guevarista c’era una donna che si faceva chiamare Imilla, il cui significato in lingua quechua ed aymara è Niña o giovane indigena.
Il suo nome di battesimo: Monica (Monika) Ertl.
La storia di Monika, scrive Nina Ramon in un post su “Conflitti Metropolitani”, ha potuto essere ampiamente raccontata grazie alle ricerche del giornalista investigativo Jürgen Schreiber, autore del libro “La ragazza che vendicò Che Guerava”.
Monika, nata a Monaco di Baviera nel 1937, era figlia del documentarista Hans Ertl che aveva ritratto i Giochi Olimpici di Berlino del 1936 sotto la direzione di Leni Riefenstahl, ed era considerato “il fotografo di Hitler” benché l’iconografo ufficiale del Führer sia stato Heinrich Hoffman.
Uomo in realtà pacifico e senza nemici, neppure iscritto al partito nazionalsocialista, dopo la guerra il padre di Monika abbandona la Germania per il Cile, raggiungendo l’arcipelago australe di Juan Fernández, «affascinante paradiso perduto» dove realizza un documentario nel 1950.
L’anno seguente raggiunge Chiquitania, a cento chilometri da Santa Cruz, per stabilirsi nelle terre vergini amazzoniche e insediarsi a “La Dolorida”, una proprietà di tremila ettari.
La ragazza cresce in una cerchia ristretta, dominata dal padre e da un sinistro personaggio, lo “Zio Klaus”, presentatole come “imprenditore tedesco di origine ebraica”. Vero nome: Klaus Barbie, ex alto dirigente della Gestapo che lavorava sotto falso nome (Altmann); tutti rifugiati dalla Germania che spesso erano protetti dalla Cia. Questo furfante infatti nel 1947 venne assunto dalla Cia e da allora si mise al servizio degli interessi americani, il che in Sud America voleva dire lavorare contro il popolo latino americano..
Monika, ha vissuto la sua infanzia nell’effervescenza della Germania, in Bolivia apprende l’arte di suo padre, utile poi per lavorare con il documentarista boliviano Jorge Ruiz..
La vita di Monika, dopo il matrimonio fallito con un giovane tedesco e l’apertura di un ospizio per orfani a La Paz, cambia di colpo con la notizia dell’atroce fine di Ernesto Guevara, l’icona rivoluzionaria di Cuba. «Lo adorava come fosse un dio», confida la sorella, Beatriz. Col padre i rapporti si complicano improvvisamente, nonostante Hans sia legatissimo alla figlia: «Monika fu la sua figlia preferita».
Alla morte del “Che”, Monica si separa dal padre e aderisce alla militanza della sinistra rivoluzionaria per combattere la disuguaglianza sociale.
«Monika – scrive Nina Ramon – smise di essere quella ragazza appassionata di fotografia per diventare “Imilla la rivoluzionaria”, rifugiata in un accampamento sulle colline boliviane. Man mano che la maggior parte dei suoi compagni cadevano, il suo dolore si trasformò in forza per pretendere giustizia e lei divenne una figura chiave dell’Eln.
Nei quattro anni durante i quali restò nell’accampamento, scrisse a suo padre una sola volta l’anno, per dirgli testualmente “non preoccupatevi per me, sto bene”. Purtroppo, non l’avrebbe mai più rivista, né viva, né morta».
Così, nel 1971 Monika attraversa l’Atlantico, torna nella sua Germania e, ad Amburgo, giustizia personalmente il console boliviano, il “macellaio” Quintanilla, uno degli uomini che tutti i guerriglieri sognano di uccidere.
Un istante dopo, Monika si trasforma a sua volta in preda, braccata in ogni dove da polizie e servizi segreti. Cade due anni dopo, nel 1973, in Bolivia, vittima di un’imboscata tesale proprio dallo “Zio Barbie”, gli infami tedeschi passati dalla parte della CIA.
Monika Ertl aveva solo 36 anni. La sua tomba “simbolica” è in un cimitero di La Paz, ma i suoi resti – sepolti chissà dove – non sono mai stati consegnati ai familiari.
Aveva compiuto un viaggio di 11 mila Km. dalla Bolivia, con l’unico proposito di giustiziare il console boliviano, l’ex colonnello Roberto Quintanilla Pereira.
Questo [schifoso, mia N.d.A.], che presenziò all’amputazione delle mani del “Che", con quella profanazione firmò la sua sentenza di morte e, da allora, la fedele “Imilla” si propose una missione di alto rischio: giurò che avrebbe vendicato Ernesto Che Guevara.
ONORE A IMILLA ALIAS MONIKA ERTL


1 commento:

  1. Caro Antonio Pocobello, non avrai le idee un pò confuse? Sei fascista o comunista? Gli assassini di Che Guevara erano fascisti sudamericani che meritavano di morire esattamente come Mussolini e gli assassini repubblichini come Alessandro Pavolini, Giuseppe Solaro e tanti altri.

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