giovedì 6 giugno 2019

La stampa Usa e Mussolini: una vera storia d'amore



Da Hemingway a Matthews: i reporter a stelle e strisce lodavano i fascisti.
Si ricredettero con le leggi razziali

Del resto non è un caso il fatto che, appena costituito il governo, Mussolini si fosse recato a fare una visita di cortesia proprio all'ambasciatore americano, il quale, dal canto suo, aveva già scritto al padre che in Italia era in atto «una rivoluzione bella e giovane» che gli stava «piacendo molto».

L'opinione del diplomatico, che si era insediato a Roma da più di un anno e che in seguito avrebbe più volte manifestato segni di apprezzamento per Mussolini e per il regime, non rappresentava un caso isolato.

Negli Stati Uniti, infatti, le notizie riguardanti l'Italia e, in particolare, quelle sul movimento fascista giungevano attraverso le corrispondenze di giornalisti o inviati speciali che, quasi tutti, davano del nascente fascismo un giudizio positivo.

Un importante, documentato e originale studio di Mauro Canali dal titolo La scoperta dell'Italia.

Il fascismo raccontato dai corrispondenti americani (Marsilio, pagg. 496, euro 20) narra in qual modo (e perché) oltreoceano si fosse diffusa una immagine positiva del fascismo delle origini: una immagine, che solo molto più tardi e in gran parte come conseguenza degli eventi internazionali, sarebbe stata corretta.


Per quanto, dopo la Grande Guerra, l'attenzione della stampa americana nei confronti non soltanto dell'Italia ma anche dell'Europa tutta fosse, in realtà ancora molto scarsa, tuttavia già di fronte a certi eventi di conflittualità sociale come quelli culminati nel «biennio rosso», alcuni giornalisti americani presentarono l'Italia come un Paese ormai alla vigilia di una prossima e inevitabile rivoluzione bolscevica.

Tra questi vi fu Kenneth L. Roberts, inviato in Europa per il Saturday Evening Post, in seguito divenuto famoso in tutto il mondo per il romanzo storico Passaggio a nord-ovest.
Roberts denunciò il pericolo comunista raccontando l'occupazione delle fabbriche nell'Italia settentrionale e, una volta comparso sulla scena il fascismo, lo esaltò come un movimento necessario per impedire che l'Italia precipitasse in un «turbine caotico di comunismo e disastri finanziari».

Anche il giovane Ernest Hemingway, che nel giugno del 1922 era tornato in Italia per rivedere i luoghi della sua breve esperienza al fronte durante la Grande Guerra e scrivere qualche articolo per il Toronto Daily Star, rimase affascinato dalla personalità di Mussolini.

Lo descrisse come «un uomo grande dalla faccia scura con una fronte alta, una bocca lenta nel sorriso, e mani grandi ed espressive» e nel suo movimento politico vide l'espressione di una legittima reazione contro il pericolo incombente della rivoluzione bolscevica e della distruzione della proprietà privata.

L'apprezzamento di Hemingway per Mussolini e il fascismo durò, tuttavia, solo lo spazio di un mattino e presto il regime manifestò tutta la sua intolleranza nei confronti dello scrittore americano.

Mauro Canali rivela che, nel pieno della guerra di Spagna e dopo che erano apparse alcune sue corrispondenze molto critiche sul valore dei volontari italiani impegnati a combattere al fianco delle truppe franchiste, fu elaborato da alcuni personaggi gravitanti attorno al consolato italiano di New York un progetto di aggressione fisica nei confronti di Hemingway.

In realtà il declino della popolarità di Mussolini e dell'immagine positiva del fascismo negli Stati Uniti era cominciato già con la campagna d'Etiopia.
Prima di allora molti corrispondenti o inviati speciali giunti in Italia per intervistarlo finirono per tratteggiare ritratti apologetici di Mussolini presentato come l'uomo che, con la sua personalità decisionista, era riuscito a mettere in riga una popolazione in fondo anarchica.

Sul The New York Times, Isaac F. Marcosson giunse a paragonarlo a Theodore Roosevelt, il grande presidente americano insignito del premio Nobel per la pace il cui volto è scolpito sul monte Rushmore.

E lo stesso paragone venne fatto da un altro celebre giornalista del tempo, Lincoln Steffens, mentre una delle firme più prestigiose del Chicago Daily News, Edward Price Bell, ne parlò come di «una sovrumana dinamo umana».

Persino all'indomani del delitto Matteotti, sia pure con qualche significativa eccezione, il mito di Mussolini non venne sostanzialmente messo in discussione.

La giornalista Vera Bloom, per esempio, che aveva ammirato il capo del fascismo fin dai tempi della sua conquista del potere lo intervistò e ne sostenne l'estraneità nel delitto.

Quali fossero le motivazioni di questa fascinazione presso la stampa americana è difficile dire, ma certo un ruolo importante dovettero averlo sia l'efficienza della macchina propagandistica del regime sia l'impegno con il quale Mussolini stesso cercava, attraverso interviste e incontri, di far giungere all'estero una immagine positiva di se stesso come di uno «statista» equilibrato e di grande spessore interessato al benessere del suo Paese.

Di qui nascevano iniziative come la collaborazione di Mussolini ai giornali della catena di William Randolph Hearst con articoli a sua firma (ma in realtà in gran parte redatti da Margherita Sarfatti) o i ricorrenti accostamenti, in convegni e pubblicazioni scientifiche, della politica del New Deal di Franklin Delano Roosevelt alle scelte di politica economica interventista del fascismo.

Su questo punto, in particolare sul ruolo e sulle tecniche di propaganda messe in atto dal fascismo, il saggio di Canali si sofferma con attenzione e acutezza interpretativa sulla base di una eccezionale documentazione archivistica.

L'idillio si ruppe completamente nel secondo scorcio degli anni trenta quando il fascismo si imbarcò nell'alleanza con la Germania hitleriana e, soprattutto, dopo la promulgazione delle leggi razziali sul finire del 1938.

Vi furono espulsioni di corrispondenti americani dall'Italia a seguito delle denunce sempre più frequenti nella stampa americana del carattere totalitario e della natura poliziesca del regime.

E vi furono anche «conversioni» clamorose come quella, per esempio, di Herbert L. Matthews (il cui nome è legato anche a un bel libro, I frutti del fascismo, tra i primi e più equilibrati tentativi di analisi storica del periodo), che, inizialmente favorevole al fascismo, sarebbe finito in rotta di collisione con esso.

La storia della nascita e della costruzione del mito di Mussolini oltreoceano e quella di una progressiva presa di coscienza della sua inconsistenza e, al tempo stesso, della scoperta di una realtà tanto diversa da quella idealizzata è una storia ricca di sorprese nella quale le tante e singole vicende personali si incastonano in un quadro complessivo che offre, grazie all'originale angolo visuale proposto da Mauro Canali, uno spaccato suggestivo e del tutto inedito della società italiana durante il periodo fascista.



TRATTO DA:
http://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/stampa-usa-e-mussolini-vera-storia-damore-1466335.html



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