La stampa Usa e Mussolini: una vera storia d'amore
Francesco Perfetti
Da Hemingway a Matthews: i reporter a stelle e strisce lodavano i fascisti.
Si ricredettero con le leggi razziali
Del resto non è un caso il fatto che,
appena costituito il governo, Mussolini si fosse recato a fare una
visita di cortesia proprio all'ambasciatore americano, il quale, dal
canto suo, aveva già scritto al padre che in Italia era in atto «una
rivoluzione bella e giovane» che gli stava «piacendo molto».
L'opinione
del diplomatico, che si era insediato a Roma da più di un anno e che in
seguito avrebbe più volte manifestato segni di apprezzamento per
Mussolini e per il regime, non rappresentava un caso isolato.
Negli
Stati Uniti, infatti, le notizie riguardanti l'Italia e, in
particolare, quelle sul movimento fascista giungevano attraverso le
corrispondenze di giornalisti o inviati speciali che, quasi tutti,
davano del nascente fascismo un giudizio positivo.
Un importante,
documentato e originale studio di Mauro Canali dal titolo La scoperta
dell'Italia.
Il fascismo raccontato dai corrispondenti americani
(Marsilio, pagg. 496, euro 20) narra in qual modo (e perché) oltreoceano
si fosse diffusa una immagine positiva del fascismo delle origini: una
immagine, che solo molto più tardi e in gran parte come conseguenza
degli eventi internazionali, sarebbe stata corretta.
Per quanto,
dopo la Grande Guerra, l'attenzione della stampa americana nei confronti
non soltanto dell'Italia ma anche dell'Europa tutta fosse, in realtà
ancora molto scarsa, tuttavia già di fronte a certi eventi di
conflittualità sociale come quelli culminati nel «biennio rosso», alcuni
giornalisti americani presentarono l'Italia come un Paese ormai alla
vigilia di una prossima e inevitabile rivoluzione bolscevica.
Tra
questi vi fu Kenneth L. Roberts, inviato in Europa per il Saturday
Evening Post, in seguito divenuto famoso in tutto il mondo per il
romanzo storico Passaggio a nord-ovest.
Roberts denunciò il pericolo
comunista raccontando l'occupazione delle fabbriche nell'Italia
settentrionale e, una volta comparso sulla scena il fascismo, lo esaltò
come un movimento necessario per impedire che l'Italia precipitasse in
un «turbine caotico di comunismo e disastri finanziari».
Anche il
giovane Ernest Hemingway, che nel giugno del 1922 era tornato in Italia
per rivedere i luoghi della sua breve esperienza al fronte durante la
Grande Guerra e scrivere qualche articolo per il Toronto Daily Star,
rimase affascinato dalla personalità di Mussolini.
Lo descrisse come «un
uomo grande dalla faccia scura con una fronte alta, una bocca lenta nel
sorriso, e mani grandi ed espressive» e nel suo movimento politico vide
l'espressione di una legittima reazione contro il pericolo incombente
della rivoluzione bolscevica e della distruzione della proprietà
privata.
L'apprezzamento di Hemingway per Mussolini e il fascismo durò,
tuttavia, solo lo spazio di un mattino e presto il regime manifestò
tutta la sua intolleranza nei confronti dello scrittore americano.
Mauro
Canali rivela che, nel pieno della guerra di Spagna e dopo che erano
apparse alcune sue corrispondenze molto critiche sul valore dei
volontari italiani impegnati a combattere al fianco delle truppe
franchiste, fu elaborato da alcuni personaggi gravitanti attorno al
consolato italiano di New York un progetto di aggressione fisica nei
confronti di Hemingway.
In realtà il declino della popolarità di
Mussolini e dell'immagine positiva del fascismo negli Stati Uniti era
cominciato già con la campagna d'Etiopia.
Prima di allora molti
corrispondenti o inviati speciali giunti in Italia per intervistarlo
finirono per tratteggiare ritratti apologetici di Mussolini presentato
come l'uomo che, con la sua personalità decisionista, era riuscito a
mettere in riga una popolazione in fondo anarchica.
Sul The New York
Times, Isaac F. Marcosson giunse a paragonarlo a Theodore Roosevelt, il
grande presidente americano insignito del premio Nobel per la pace il
cui volto è scolpito sul monte Rushmore.
E lo stesso paragone venne
fatto da un altro celebre giornalista del tempo, Lincoln Steffens,
mentre una delle firme più prestigiose del Chicago Daily News, Edward
Price Bell, ne parlò come di «una sovrumana dinamo umana».
Persino
all'indomani del delitto Matteotti, sia pure con qualche significativa
eccezione, il mito di Mussolini non venne sostanzialmente messo in
discussione.
La giornalista Vera Bloom, per esempio, che aveva ammirato
il capo del fascismo fin dai tempi della sua conquista del potere lo
intervistò e ne sostenne l'estraneità nel delitto.
Quali fossero
le motivazioni di questa fascinazione presso la stampa americana è
difficile dire, ma certo un ruolo importante dovettero averlo sia
l'efficienza della macchina propagandistica del regime sia l'impegno con
il quale Mussolini stesso cercava, attraverso interviste e incontri, di
far giungere all'estero una immagine positiva di se stesso come di uno
«statista» equilibrato e di grande spessore interessato al benessere del
suo Paese.
Di qui nascevano iniziative come la collaborazione di
Mussolini ai giornali della catena di William Randolph Hearst con
articoli a sua firma (ma in realtà in gran parte redatti da Margherita
Sarfatti) o i ricorrenti accostamenti, in convegni e pubblicazioni
scientifiche, della politica del New Deal di Franklin Delano Roosevelt
alle scelte di politica economica interventista del fascismo.
Su questo
punto, in particolare sul ruolo e sulle tecniche di propaganda messe in
atto dal fascismo, il saggio di Canali si sofferma con attenzione e
acutezza interpretativa sulla base di una eccezionale documentazione
archivistica.
L'idillio si ruppe completamente nel secondo scorcio
degli anni trenta quando il fascismo si imbarcò nell'alleanza con la
Germania hitleriana e, soprattutto, dopo la promulgazione delle leggi
razziali sul finire del 1938.
Vi furono espulsioni di corrispondenti
americani dall'Italia a seguito delle denunce sempre più frequenti nella
stampa americana del carattere totalitario e della natura poliziesca
del regime.
E vi furono anche «conversioni» clamorose come quella, per
esempio, di Herbert L. Matthews (il cui nome è legato anche a un bel
libro, I frutti del fascismo, tra i primi e più equilibrati tentativi di
analisi storica del periodo), che, inizialmente favorevole al fascismo,
sarebbe finito in rotta di collisione con esso.
La storia della
nascita e della costruzione del mito di Mussolini oltreoceano e quella
di una progressiva presa di coscienza della sua inconsistenza e, al
tempo stesso, della scoperta di una realtà tanto diversa da quella
idealizzata è una storia ricca di sorprese nella quale le tante e
singole vicende personali si incastonano in un quadro complessivo che
offre, grazie all'originale angolo visuale proposto da Mauro Canali, uno
spaccato suggestivo e del tutto inedito della società italiana durante
il periodo fascista.
TRATTO DA:
http://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/stampa-usa-e-mussolini-vera-storia-damore-1466335.html
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