Beppe Niccolai
da: "Proposta", anno II, n° 5-6, settembre - dicembre 1987
La rivista socialdemocratica «Ragionamenti» ha pubblicato
nel numero di ottobre un'ampia intervista con l'on. Giuseppe Niccolai, a cura di
Massimiliano Solofra Longobardi. Ne riportiamo il testo integrale (con il titolo
originale) sicuri di fare una cosa gradita ai nostri lettori. Le argomentazioni
esposte da Niccolai completano, infatti, da una visuale diversa, quel che Pino
Romualdi ci aveva raccontato sullo scorso numero di "Proposta". Capire
questo partito significa anche dare voce e cittadinanza alle sue «anime»:
confrontandole si può creare un progetto comune, si può superare e vincere la
prova di Sorrento. È il silenzio, la mancanza di dibattito, la presunzione di
aver sempre ragione, l'attesa messianica di una verità fatta solo di slogans
che ha abbrutito il partito. Che ha reso la nostra comunità una Torre di
Babele. Che ha svilito il dibattito nella polemica, creando un clima di
diffidenza verso chiunque esprimesse delle idee. Per voltare pagina, è nata due
anni fa "Proposta". Per andare avanti, è necessario ritrovarsi
insieme.
* * *
On. Niccolai, lei è conosciuto, dentro e fuori il suo
partito, come un filo-socialista, come il fautore -meglio- di un dialogo
integrale e permanente con l'insieme dell'area socialista e laica. Sembra anzi
che, mentre questa sua posizione riscuote simpatie e consensi in non irrilevanti
strati popolari e intellettuali missini, fa, viceversa, molto arrabbiare
Almirante e il suo éntourage. Non è così?
Andiamo per ordine. La verità è che fin dall'estate '83 io
sostenni a tutti i livelli del partito, e innanzitutto in direzione, che sarebbe
stato grave ignorare l'elemento di novità rappresentata dal governo a guida
socialista; novità ricca di significati e conseguenze per la intera comunità
nazionale e quindi, in particolare, per il ruolo, la funzione, gli orizzonti dei
MSI. Orbene, se il blocco della politica che in vari lustri si è delineato è
imposto dal monopolio della DC e della sua principale controparte, ossia il PCI;
se l'occupazione del potere posta in essere dai partiti è garantita dalla
staticità assoluta del sistema che essi rappresentano, non c'è dubbio che la
crescita (in taluni casi) e la riconquista della specificità dei partiti
socialisti e laici nel loro complesso può rappresentare un fattore di rottura
di equilibri, può essere uno dei varchi attraverso cui far passare una
revisione profonda degli schemi di potere. E qualche segnale di mobilità, di
rivitalizzazione della politica, in questo senso è venuto. Non è infatti
casuale che, proprio in concomitanza con il quadriennio governativo craxiano, il
MSI abbia ritrovato quegli spazi di azione, quelle udienze, che nel quindicennio
precedente gli erano stati preclusi. Si tratta, dunque, di comprendere la
portata della novità e, superata la fase dell'accerchiamento e della chiusura,
attrezzarci a superare quella più sottilmente insidiosa della auto-ghettizzazione
che si manifesta negli atteggiamenti di pretesa superiorità tipo «soli contro
tutti». Ma si tratta, anche di evitare l'affermarsi di una politica
dell'accordo spicciolo, del piccolo compromesso, dell'insediamento avventizio
nel sottopotere.
Va bene, onorevole, l'area laico-socialista -ma soprattutto
la sua componente socialista- vi ha fatto delle aperture. Tutti ricordiamo bene
che Craxi, non appena insediato a Palazzo Chigi, si premurò di liquidare il
famoso «arco costituzionale», ricevette il responsabile dell'ufficio Esteri
dei MSI che gli veniva a parlare del voto agli emigrati e di altro, con il
lancio della formula del «Socialismo Tricolore», inaugurò un certo clima di
distensione nei confronti della Destra politica, con il recupero dei valori
libertari della Sinistra delle origini si vietò e vietò emarginazioni. Però,
ecco il punto, li suo partito come dovrebbe utilizzare tali aperture?
Se un varco si è aperto va decisamente imboccato per giocare
a tutto campo, lavorando in vista di una trasformazione radicale della politica.
È velleitario continuare a credere di essere l'alternativa, quando dobbiamo
realisticamente darci il compito di favorire, di costruire, di creare una
alternativa di sistema: un compito che non può prescindere da una
ricomposizione della intera comunità del nostro Paese.
Immagino che facendo riferimento all'alternativa lei tenga
presente le note posizioni di Nicolazzi, di Craxi, di Formica, di Martelli e via
disordinatamente elencando.
Naturalmente.
E che parlando di alternativa di sistema alluda anche al tema
della grande riforma delle istituzioni, fiorito nella serra culturale dell'area
socialista.
Più che ovvio.
Lei, Niccolai, è conosciuto come un leader della sinistra
missina. Come si colloca nel confronti della Sinistra storica?
Vede, quando ho attaccato la Sinistra l'ho fatto non perchè
la ritenessi troppo rivoluzionaria. Tutt'altro! Ho aguzzato l'ingegno e affilato
le armi allorché è venuta in evidenza come forza negativamente conservatrice
di un ordine costituito che tende a emarginare sempre più il politico -inteso,
ovviamente, nella accezione più nobile del termine- dall'interesse, dalla
partecipazione, dalle passioni sanguigne e vitali degli uomini.
Cosa pensa dell’anticomunismo?
L'anticomunismo non può e non deve essere un alibi per
atteggiarsi a paladini del meno peggio.
On. Niccolai, lei è unanimemente considerato -anche se
talvolta le si addebita un caratteraccio tipicamente toscano- un uomo di buona
volontà, un uomo del dialogo. Io le chiedo: come mai orienta la proposta
dialogista in modo assolutamente preferenziale verso sinistra?
Perchè la Sinistra, una volta saltate le preclusioni di
principio al dialogo, è la più accessibile a un discorso culturale e
progettuale rinnovatore e di grande respiro.
Adesso mi lasci fare per un momento l'avvocato dei diavolo.
Del diavolo... democristiano, intendo. Da varie parti si asserisce che, in
fondo, gira e rigira, anche la DC ha una natura popolare, sociale, progressista.
Perchè, allora, non si industria di dialogare anche con lo Scudo Crociato?
La Democrazia cristiana, partito eminentemente di potere e di
interessi, è meno permeabile ai discorsi culturali, Tuttavia si è già visto
che, una volta rotto il sigillo della discriminazione, si apre in questa
direzione un processo emulativo. Tecnicamente, solo iniziando un dialogo con la
Sinistra lo si può poi estendere anche al Centro. Perchè è la Sinistra che
detiene per tutti le chiavi della demonizzazione della Fiamma Tricolore.
Ma per lei cosa significa veramente dialogare?
Deve essere estremamente chiaro che dialogare non significa
sbracarsi, ma misurare e responsabilizzare il proprio linguaggio e le proprie
capacità di analisi. Ciò vale soprattutto nei rapporti con il «Socialismo
Tricolore», trattandosi di una formula germinata in seno allo spazio socialista
e che lì deve svilupparsi.
È vero che unitamente al suo collega on. Tommaso Staiti
-anche lui membro della direzione- porterà al fuoco del dibattito congressuale
un documento recante il titolo "Progetto Nazionale"? Di cosa si
tratta, esattamente?
In questo elaborato segnaleremo la opportunità che l'Italia,
quarant'anni dopo la sconfitta e in un clima interno meno conflittuale,
ricominci a darsi delle mète, degli obiettivi per gli anni Novanta e la svolta
del Duemila. Primi traguardi: divenire in tempi brevi la sesta o la quinta
potenza economica dei mondo; promuovere una nostra più incisiva presenza nel
Mediterraneo; rafforzare, al fianco della Germania Federale e della Francia, il
ruolo italiano nella Comunità Europea.
E cosa può dirmi circa le condizioni da costruire perchè
questa progettualità vada felicemente in porto?
C'è ancora molto da discutere, da studiare. E -come
giustamente fa presente lei- vanno approfondite e realizzate le condizioni
operative del «Progetto» da indicare alla collettività dei cittadini,
soprattutto come compito della nuova generazione. Esse sono individuabili sia
nella grande riforma in senso efficientistico delle istituzioni, sia nelle vie
più idonee da battere per rafforzare -nel rispetto dei naturali contrasti
dialettici fra interessi e posizioni ideologiche diversi- la coesione sociale e
nazionale.
Relativamente poi alla strumentazione più efficace volta a
raggiungere gli obiettivi centrali come si pronuncia?
Noi dei MSI dobbiamo promuovere un largo dibattito in vista
di larghe intese, così dando luogo ad un intenso, paziente, riflessivo,
ragionato impegno per i prossimi dieci anni. Si tratta, insomma, della tessitura
di una nuova solidarietà al di sopra della fisiologica -e non più patologica-
concorrenza fra forze politiche e di classe.
Il leader del suo partito, on. Almirante, dopo alcune
iniziali dichiarazioni di simpatia per il Socialismo Tricolore ha inopinatamente
preso le distanze, ma non solo e non tanto per evitare commistioni, del resto
impensabili, quanto per meglio centrarlo quale bersaglio privilegiato della sua
notoria verve polemica. Sappiamo tutti che l'elettorato non lo ha perdonato. Io
vorrei conoscere il suo parere su questo comportamento almirantiano.
Noi missini da oggi in poi dovremmo evitare di fare la figura
delle tre scimmiette che non vedono, non sentono, non parlano magari per paura
di perdere qualche voto salvo poi perderne tanti perchè la prudenza è
inefficace quando scade in prudenzialismo e la paura è notoriamente pessima
consigliera -di fronte a fenomeni culturali e politici di portata storica quale,
appunto quello della Patria che insperatamente rinasce proprio lì dove era
stata negata in nome della classe.
Amor di giustizia e omaggio alla verità mi inducono a farle
presente che nell'area socialista ad agitare il Tricolore e ad agitarsi per il
medesimo non c'è soltanto il PSI ma anche il PSDI. Alcuni anni or sono l'on.
Ruggero Puletti, ora componente la direzione e allora vicesegretario nazionale e
direttore dell'organo ufficiale «L'Umanità», nel corso di un viaggio politico
ufficiale in Etiopia, si recò in devoto raccoglimento ai cimiteri di guerra
italiani, scrivendo quindi corrispondenze su quella sua esperienza commovente e
non priva di un fascino elegiaco oltre che di un significato profondo.
Evidentemente non ho nulla da obiettare alla sua
precisazione.
Illustri qualche elemento della sua strategia del dialogo.
Una crisi di rigetto per le ubriacature ideologiche e per gli
eccessi sanguinosi degli anni di piombo hanno portato a una sdrammatizzazione
dei rapporti politici in tutte le direzioni. C'è dunque una possibilità di
dialogo e di confronto più civile anche per quel che ci riguarda. Naturalmente
si tratta di valori da proiettare ormai nell'avvenire, relativi alla riscoperta
dell'identità nazionale e alla necessità di elaborare tutti insieme il
«Progetto» di cui si accennava. Noi del partito della Fiamma verremmo meno
alla nostra funzione se, rinchiudendoci in posizioni rancorose, evitassimo di
prendere atto delle novità emerse -e che, come tutto sembra indicare, ancora
emergeranno- nel campo laico-socialista, per di più contestando a una Sinistra
che decide di fare riferimento alla nazione in modo sempre più organico e
permanente, i titoli per procedere in questo senso. Insomma, sui suddetti valori
va tentato un colloquio autentico e fraterno, senza peraltro pretendere che
possa dare immediatamente grossi risultati.
Non posso dire di trovarmi a conversare con una testa calda.
Mi sbaglio, o lei, ovviamente, da posizioni del tutto opposte, ha assorbito la
grande lezione togliattiana dei piccoli passi?
Non credo di poter essere definito allievo di Togliatti.
Però, vede, non si può non riconoscere che costui ebbe l'intelligenza e la
pazienza di mantenere aperto -in un disegno storico a lungo termine- il dialogo
con i cattolici persino negli anni delle scomuniche e della guerra fredda. Ciò
che faceva quel leader del PCI sembrava ridicolo e velleitaria un sacco
di gente, ma il tempo gli ha dato ragione perchè ha finito per allentare la
discriminazione anticomunista, anche se il PCI non ha raggiunto l'obiettivo
pieno del compromesso storico.
Cosa è stato e cosa è l'almirantismo?
Se l'almirantismo è stato, ieri, lo scudo necessario dietro
il quale e con il quale il MSI ha passato il deserto della ghettizzazione, ora
non serve più, anzi è d'impedimento a vedere oltre, ad andare oltre. Ecco ciò
che è l'almirantismo alle soglie del Duemila: l'impossibilità di aprirsi al
dialogo o al rapporto con gli altri. Dialogo, dico, non intrallazzo. Idee, non
favori o posti. Confronto, non combinazioni sotto banco.
Quali sono le caratteristiche più propriamente politiche del
leader missino uscente?
Almirante ha saputo tenere in piedi una comunità
perseguitata attraverso una propaganda costruita di volta in volta sulle
occasioni che, da attore politico nato, pesca e recita: i bottegai, i bassi
napoletani, la pena di morte, l'abusivismo edilizio, la rivolta fiscale, lo
sfascio istituzionale, il caos dei servizi. Egli è però afflitto da un limite
dimostratosi invalicabile: l'incapacità di portare avanti un disegno storico,
un programma a vasto respiro di conciliazione e di ripresa nazionale. Grande
propagandista, grande oratore, grande parlamentare, navigatore eccelso nelle
acque di Montecitorio, è però, timorosissimo nell'intraprendere viaggi nei
mari aperti di una politica sublime.
Se ben ricordo, fin da quando è tornato dalla guerra, ha
sempre tenuto rapporti diallogici con il mondo della Sinistra politica e
intellettuale. Oggi interlocutori privilegiati sono i Iaico-socialisti, ma anni
fa, tanti anni fa, furono i comunisti.
Ricorda bene. Nel dopoguerra il dialogo lo sviluppai con il
povero Ruggero Zangrandi, l'autore del "Lungo viaggio attraverso il
fascismo", columnist autorevole di "Paese Sera", sulle
colonne del quale affrontò, d'intesa con me ed altri, il tema
dell'atteggiamento della Sinistra nei confronti dei combattenti fascisti reduci
dai fronti di guerra o dai campi di concentramento. Si trattava di elaborare una
politica non nervosa, non «psicologica», nei confronti di costoro -in gran
parte giovanotti, ragazzi, addirittura adolescenti- al fine di impedire che
divenissero strumenti delle forze reazionarie, utilizzati contro la classe
operaia, il movimento dei lavoratori, il popolo. In definitiva, contro la
nazione italiana.
Solo "Paese Sera" venne coinvolto nelle operazioni di
questa sorta di «Esercito della Salvezza» comandato da lei e da Zangrandi?
Buona la battuta sull'Esercito della Salvezza che però non
fu «comandato», per usare la sua espressione, soltanto da me e da Zangrandi,
bensì anche da uno scrittore celebre, pure lui comunista, Romano Bilenchi.
Ambedue, se non vado errato, con robuste radici giovanili
nelle esperienze culturali fasciste.
Certo, Zangrandi era stato un habituè di Villa
Torlonia, residenza della famiglia Mussolini, dove insieme al giovane amico
Vittorio aveva elucubrato la, chiamiamola così, teoria dei l'universal-fascismo,
travasata in un giornale studentesco recante il titolo "Anno XII".
Bilenchi, fiorentino, a sua volta aveva fatto parte della redazione di
"Campo di Marte", periodico della gioventù intellettuale fascista
della Città del Giglio, ed era stato nel gruppo di Berto Ricci a "l’Universale",
altro foglio di punta delle giovani leve littorie.
Che mi dice del mensile toscano da lei ispirato
"Cronache della Versilia"? Mi par di capire che lei è un patito di
Berto Ricci. Vuoi dire qualcosa di costui?
Berto Ricci, giovane anarchico militante, nel 1930, a 25
anni, si era convertito al fascismo fondando, appunto, l'«Universale» e
svolgendo con esso, insieme ad altri intellettuali più o meno coetanei, un
ruolo di sinistra, rivoluzionario, anticonformista, pronunciatamente
repubblicano -allora!-, mazziniano, sociale. Le cito a memoria, e con la massima
esattezza, ciò che di Ricci dice Indro Montanelli -anche lui del gruppo, almeno
ai primi tempi- nella prefazione a una antologia di scritti ricciani: «... egli
fu il solo maestro di carattere che io abbia trovato in Italia». La morte
avvenne nel 1941. Tenga presente che Berto veniva schedato dalla polizia
perchè, appunto, repubblicano; ed era inviso ai circoli conservatori del
regime. Di modesta condizione economica, guadagnava da vivere per sè, per la
moglie e per un figlio insegnando matematica in una scuola di Prato. La sua
prosa era scintillante, godibilissima, fruibilissima, gratificantissima e lo
resta anche oggi, piena com'è di idee che sembrano uscite da uno dei grandi
laboratori culturali dell'epoca che viviamo. Mussolini lo volle collaboratore al
"Popolo d'Italia".
Con Zangrandi o senza, lei utilizzò per la sua azione di
pilotaggio a sinistra dei reduci solo "Paese Sera" o anche qualche
altra testata?
Scesero in campo anche la "Gazzetta di Livorno" e
il "Nuovo Corriere" di Firenze, magna pars dei quale era il
succitato Romano Bilenchi. A costui, nel 1949, scrissi una lettera dalla quale
scaturì, proprio nelle pagine del giornale fiorentino, un dibattito sulla
questione del destino e della destinazione del volontariato bellico in camicia
nera. L'iniziativa non si rivelò per nulla sterile, tanto è vero che dalle
colonne dei due quotidiani il dibattito si trasferì, negli anni Cinquanta,
nella sala di un teatro di Livorno celeberrimo, ormai consegnato alla storia: il
"Golfoni", dove nel '21 era stato fondato il PCI. Sa cosa le dico? In
politica i fatti sono come le ciliege: l'uno tira l'altro. La pubblicità e il
successo del raduno labronico attrassero l'attenzione di Enrico Berlinguer,
allora segretario della federazione giovanile comunista, che decise di
sperimentare a Roma un rapporto con i giovani reduci fascisti o ex-fascisti, che
dir si voglia, disponibili al dialogo con la Sinistra e, in particolare, con
Botteghe Oscure. E così il futuro capo dei più grande partito comunista
dell'Occidente un bel dì venne in una sede romana della «Giovane Italia»,
l'organizzazione giovanile missina, a parlare con noi.
Mi tolga una curiosità. Ruggero Zangrandi aveva relazioni
politiche solo con lei e con i suoi amici di gruppo, di corrente, diciamo così,
oppure si interessava dei suo partito in quanto tale?
Zangrandi seguiva con grande attenzione i congressi e i più
importanti convegni politici e culturali dei MSI. Con particolare applicazione
presenziò al congresso di Viareggio, perchè fu lì che iniziarono gli scontri
in grande dimensione fra la sinistra e la destra del partito.
Ma su quale base culturale-ideologica si fondavano questi sia
pur dialettici incontri e confronti con i comunisti?
Il discorso sarebbe lungo e ci porterebbe lontano. E poi
dovrei munirmi degli appunti dell'epoca che ho a Pisa, nel mio archivio. Ricordo
però un tema ricorrente, che creava fra di noi una sorta di inconfessata, forse
reciprocamente imbarazzante, ma profonda solidarietà: quello della
inevitabilità e della giustezza, della positività, della contrapposizione fra
i popoli poveri e i popoli ricchi.
Un tema, questo, che ha avuto diritto di cittadinanza
nell'area della cultura corradiniana e mussoliniana.
Non dimentichi che quelli erano gli anni della guerra fredda
sempre in procinto di diventare calda, dello scontro fra potenze occidentali e
campo del socialismo realizzato. USA, Inghilterra, Francia etc. erano, per i
comunisti italiani, i nemici da battere; così come, dieci anni prima o anche
meno, lo erano stati per i fascisti. Tutto ciò non poteva non favorire certi
agganci con conseguenti reciproche simpatie. Allora Berlinguer non si sognava
neppure di presentare la NATO come ombrello idoneo a riparare anche il PCI.
Che fine ha fatto il "Nuovo Corriere"?
Nel '56 venne chiuso da Togliatti, ma non perchè dialogava
con me, con noi, bensì a causa dell'atteggiamento non ortodosso assunto in
occasione dei fatti di Ungheria.
Lei nel '40 si arruolò volontario e andò a combattere in
Africa Settentrionale. Perchè fece ciò?
Fu il mio modo di protestare contro il regime, cui addebitavo
di non avere onorato una precisa promessa al popolo italiano: l'effettuazione di
una autentica rivoluzione sociale.
Ormai tutti, e anzitutto De Felice, ci dicono che nel regime
agirono una autentica destra conservatrice e una sinistra rivoluzionaria.
Secondo lei cosa scaturi, nel dopoguerra, dall'una e dall'altra?
Dalla destra emersero cinici alla Vitaliano Brancati, dalla
sinistra uscirono i più brillanti ideologi della sinistra antifascista.
Per esempio?
Beh, facciamo un nome: Pietro Ingrao.
Senta, ebbe ragione Ingrao, ebbero ragione i vari Ingrao.
Voglio dire dal suo punto di vista come vede il passaggio?
Guardi, io mi sono comportato diversamente, tanto vero che
siamo a fine estate dell'anno di grazia 1987 e sono ancora dove stavo da
ragazzo, a battermi per la sinistra, e sia pure per una sinistra intesa come la
intendo io e, soprattutto, come la intendeva Berto Ricci. Ciò premesso e dato
ragione a me, non posso non dare ragione anche a un Ingrao il quale a suo tempo
ritenne -adducendo analisi e spiegazioni niente affatto disprezzabili- di dover
tagliare la corda per inseguire quelle che nella più perfetta buona fede
riteneva più plausibili ipotesi rivoluzionarie. Ovviamente, quanto detto per
Ingrao vale anche per gli altri, purchè non si sia trattato di opportunisti, di
gente abituata a sputare nel piatto in cui ha mangiato.
Ma dove si annidava questa sinistra fascista nel ventennio?
Nelle varie riviste giovanili e universitarie, nei GUF, nei
cenacoli intellettuali di Bottai, di Spirito, dei Gentile seconda maniera, etc.,
nei Littoriali, nelle organizzazioni sindacali, nei centri di elaborazione della
cultura corporativa.
Torniamo ai nostri tempi. Quando ha cominciato a guardare con
interesse all'area socialista e laica?
Quando da tale area sono cominciate a partire le prime
polemiche contro il bipolarismo. Tuttavia il mio interesse si rivelò più
puntuale e acceso nell'agosto del 1983, allorchè Craxi ruppe la ghettizzazione.
Allora coniai uno slogan: «Craxi e Almirante: la civiltà del confronto»
.
E Almirante quale uso fece dei suo slogan?
Almirante sopportava. Egli era ed è portatore di una
propaganda, non di una politica. Temeva che il MSI finisse per essere infiltrato
da una tematica prestigiosa e vincente quale quella dei «Socialismo
Tricolore», potenzialmente idoneo, secondo lui, a sfaldare il nostro partito.
La verità è che egli non si è mai liberato, e mai si libererà, della
mentalità del ghetto, della psicologia da setta religiosa perseguitata.
Insomma, ha avuto paura del dialogo perchè, accettandolo, avrebbe
implicitamente accettato, a suo insindacabile giudizio, la diaspora della nostra
gente.
Ma queste aperture nei vostri confronti lei le capta solo
dall'area socialista o anche da altri settori della Sinistra?
A livello strettamente culturale colgo atteggiamenti nuovi
anche da parte del PCI. Per esempio, al festival dell'«Unità» di Bologna si
vendevano libri di Francesco Tommaso Marinetti e di Ezra Pound.
Quale etichetta le hanno appioppato dirigenti e militanti del
suo partito che non le vogliono troppo male?
Beh, secondo loro io sarei la coscienza critica del MSI.
Senta Niccolai, aperture o non aperture, Craxi o non Craxi,
bisogna pur prendere atto che nel Paese non è venuta meno la tradizionale
conflittualità tra fascismo e antifascismo. O non è così?
Vede, io sono assolutamente persuaso che la conflittualità
fra rossi e cosiddetti neri è un aspetto, un frutto della strategia del
moderatismo, ossia una trappola reazionaria nella quale occorre star bene
attenti -da una parte e dall'altra- a non cascare. Ciò anche perchè la
spaccatura verticale del Paese, la mentalità da guerra civile, il muro contro
muro sono mali da rifuggire con risolutezza. Peraltro, queste cose non avrebbero
alcuna credibilità, essendo un vero delitto, alle soglie del Duemila, tenere in
piedi un partito non privo di valide energie popolari, culturali, intellettuali
solo in funzione contrappositoria verso la Sinistra.
Quando si convinse della necessità di battersi per una linea
di dialogo e di confronto del suo ambiente con almeno una parte della Sinistra?
Come le ho già detto, la vocazione dialogica del
sottoscritto viene da lontano. Tuttavia, c'è un importante episodio della mia
vita parlamentare del tutto inedito che mi ha segnato profondamente, radicandomi
in quella che definisco una «cultura dell'intesa nazionale». Dunque, in
occasione di un voto delle Camere riunite per la elezione del Capo dello Stato,
all'inizio degli anni Settanta, il socialista Rino Formica mi abbordò a
Montecitorio pregandomi di intervenire su di un personaggio autorevolissimo del
partito, il senatore Araldo di Crollalanza, per indurlo ad appoggiare, nei modi
più opportuni, prudenti e discreti, la candidatura dei segretario dei PSI, on.
Francesco De Martino. Promisi e mantenni. Però il presidente dei senatori
missini mi disse queste testuali parole: «Poco prima della rovinosa caduta
della Repubblica Sociale Italiana Mussolini mi chiamò e mi disse: ''Araldo, qui
ormai è tutto finito, non c'è più nulla da fare. Ti raccomando i socialisti
e, in particolar modo, Nenni''. Pertanto io non voto per De Martino bensì per
Nenni».
Onorevole Niccolai, per i primi giorni di dicembre è
previsto un importante congresso del MSI convocato anche per sostituire
Almirante. Lei quale ruolo pensa di svolgervi?
Io mi prodigherò nel tentativo di far scaturire dall'assise
congressuale una maggioranza non reazionaria, non conservatrice, non moderata,
non socialmente e politicamente arretrata. Una maggioranza, aggiungo,
inequivocabilmente vaccinata contro ogni tentazione -a livello sia nazionale che
internazionale- di concepire l'ordine come militarizzazione della politica. Ove
questi sforzi dovessero essere frustrati non esiterei a passare risolutamente
all'opposizione presentando, insieme ai miei amici, un documento politico,
pronto a dare battaglia con esso e su di esso.
Cosa è per lei la Patria?
Stia pur tranquillo: nella mia concezione della Patria non
c'è posto per alcun elemento di aggressività, di supponenza boriosa, di
chiusura, di arroccamento, di espansionismo. Per me la Patria va difesa
tutelandola ecologicamente, garantendone l'integrità dei paesaggi e delle
bellezze artistiche, comportandosi da accigliati restauratori del fascino delle
sue coste devastate da speculazioni e abusivismi urbanistici, montando la
guardia alla pluralità e ricchezza dei suoi costumi e delle sue tradizioni
popolari, battendosi per tenere alto il livello del sapore e della qualità
della vita, evitando la messa in non cale dei dialetti.
Tutto qui?
Scusi tanto se è poco! Ammetto, però, che a monte c'è ben
altro: l'indipendenza nazionale, la difesa del lavoro italiano nel mondo, la
salvaguardia della italianità delle aggregazioni di emigrati, il made in
ltaly, la promozione di un nostro ruolo planetario pacifico ma competitivo,
la protezione della identità nazionale dagli assalti colonizzatori delle mode e
delle culture straniere, specie quelle edoniste, materialiste, consumiste.
Immagino che lei odi le minoranze regionali indipendentiste,
per esempio i sardi sardisti etc.
Lei è in errore. Ferma restando la doverosa devozione,
sentimentale e politica, all'idea dell'Italia unita, mi sento vicino e solidale
con le minoranze sarde e siciliane discriminate e, talvolta, addirittura
oppresse.
Accetti la sfida: vorrei sapere dov'è la radice della
fiducia che lei ripone nella parte socialista.
Vede, le formazioni socialiste si diversificano dalla DC e
dal PCI per il fatto di possedere un progetto politico di largo respiro, di
vasto orizzonte, di lunga scadenza. Purtroppo però -e qui entro davvero in fase
critica- tale progetto risente di una psicologia di passività rispetto al
prevalere dei disvalori tipici di un periodo in cui il denaro, l'economia, lo
spirito di consumo trionfano sui valori della persona sopprimendo la
solidarietà nazionale, umana, fraterna.
Torniamo al congresso missino, da alcuni definito storico
perchè chiamato a dare soluzione di continuità alla leadership di Giorgio
Almirante. Secondo lei di cosa si tratta?
Potrebbe essere storico come potrebbe non esserlo. Sarebbe
storico se il partito fosse disposto a capire che si passa ormai da un'epoca
all'altra e, insomma, che c'è da cogliere una grande occasione per una grande
politica.
Che significato avrebbe il mancato utilizzo di questa
occasione?
Un significato ridicolo. Vorrebbe dire, cioè, che c'è
ancora chi pensa, alle soglie del Duemila, di poter risolvere i problemi
italiani rivestendoli come li vestiva Mussolini.
Il quale Mussolini come reagirebbe a queste ingenue
distorsioni ove fosse in grado di ottenere un permesso di libera uscita dall'Ade
per raggiungere la sede dei lavori congressuali?
Ci prenderebbe tutti a calci nelle natiche.
Secondo lei Mussolini si iscriverebbe al MSI?
Direi proprio di no.
Lei cosa pensa di Mussolini?
Mussolini delle feluche, delle greche, dei battichiappe, dei
pennacchi, delle divise, dei maresciallati, delle patacche e, insomma, delle
pompe varie, non mi è mai piaciuto, mentre confesso di avere sempre avuto un
debole per il Mussolini emigrato in Svizzera a stomaco vuoto e senza il becco di
un quattrino, per il Mussolini cui mancavano sempre diciannove soldi per fare
una lira, per il Mussolini che in periodi tragici cerca di fare onorevole
ammenda delle omissioni rivoluzionarie del passato tentando un esperimento di
socializzazione dell'economia in favore dei lavoratori contro tutto e tutti.
Quale dovrebbe essere il compito fondamentale dei MSI nella
società civile, nelle istituzioni, nel mondo della cultura?
Il compito dei MSI quale io lo concepisco andrebbe
individuato nella ricucitura del pensiero politico scisso dal secolo delle
rivoluzioni. Terrei però a precisare che condizione non eludibile per portare
avanti questo e altri discorsi è una esaustiva moralizzazione del partito.
Lei è una vera mosca bianca del giro missino. Nel suo
partito non fa altro che battibeccare con un mucchio di persone, di
personalità, di personaggi, a cominciare da Almirante, mentre è in odor di
dialogo con elementi che hanno ben poco o addirittura nulla a che fare con
quello che voi missini chiamate «il nostro ambiente»; con elementi -aggiungo-
prevalentemente di sinistra e della Sinistra. Come mai?
Vede, io concordo con il suo amico Ruggero Puletti quando
dice che spesso e volentieri si va d'accordo più con l'avversario che ha fatto
la stessa esperienza che con i propri amici di cordata politica. E da Puletti
passo a Mao, al suo invito alle Guardie Rosse così formulato: «Spariamo sulle
burocrazie soffocanti». Lei sa benissimo che questo tipo di burocrazia è male
che alligna in tutti i partiti, a tutti i livelli del partitismo.
Lei ha citato un esponente socialdemocratico. Io, altrettanto
opportunamente e a proposito, voglio citare Saragat, di cui non si ricorda un
episodio tipico di Socialismo Tricolore, risalente all'epoca della presenza al
Quirinale. Egli si era recato in visita ufficiale alla Casa Bianca felicemente
regnante Johnson, anche per esporre alcune idee dell'Italia relative alle
esigenze di pacificare il Vietnam. Il presidente statunitense non si comportò
bene con il suo ospite, trattandolo con sufficienza, ascoltando in modo
distratto i suoi argomenti, rispondendogli senza cordialità e anzi con
malcontenuta irritazione. Tenne, insomma, un contegno poco riguardoso. Al
ritorno in patria il Capo dello Stato, intervistato all'aeroporto, fece subito
capire la musica che intendeva suonare dichiarando che a Washington aveva
parlato come rappresentante non certo di una grande potenza ma certissimamente
di una grande nazione.
Vede, più bandierine tricolori è possibile far sventolare
sull'area socialista e su altre aree e meglio è. Per l'Italia e per tutti noi
che ci occupiamo di queste cose nei partiti e fuori di essi. Quindi non posso
che registrare con soddisfazione quanto lei mi dice.
Onorevole, gettiamo un'occhiata sul dopo-Almirante. Ritiene
che solo la precarietà delle condizioni di salute sia alla radice
dell'allontanamento dalla segreteria di un personaggio non certo insignificante?
Oppure nel negativo risultato elettorale è da ravvisare la causa scatenante
dell'esaurimento di un plurillustre leaderato missino?
Ambedue hanno avuto un peso nell'indurre il segretario a
rassegnare le dimissioni. Tuttavia io vado più a fondo nell'analisi dell'almirantismo
e della sua fine e pervengo alla conclusione che la leadership di
Almirante era ormai totalmente superata, era qualcosa, insomma, che sopravviveva
a se stessa. Vede, nel MSI, oggi, siamo tutti politicamente, culturalmente,
intellettualmente, ideologicamente maggiorenni e, pertanto, più non ci serve il
demiurgo, il capo che pensa per tutti, il messia, l'uomo-partito, mentre ci
occorrono collegialità, gioco di squadra, dibattito. C'è bisogno di una
svolta, voglio dire, qualificata da una identità politica che si fondi sulla
discussione, sulla pluralità degli apporti ideali, sul confronto creativo
dentro e fuori le mura di casa, In altri termini, si tratta di sostituire ai
meccanismi dell'autoritarismo e del feticismo quelli della libertà, della
elaborazione comune, della ricerca, della rneditazione. In rapporto a ciò la
persona dei quasi ex-leader sarebbe di impedimento al recupero, o alla
instaurazione, di questi valori. Così come lo sarebbe l'almirantismo senza
Almirante, ossia una gestione magari anche fresca, vivace e intelligente ma in
qualche modo eterodiretta o, quanto meno, psicologicamente, e culturalmente
condizionata.
Qual’è, a suo giudizio, il più grosso problema politico
che oggi è necessario affrontare?
È presto detto: la rottura della centralità democristiana.
Io rimprovero alla DC di avere fatto dell'Italia -al di là delle apparenze- il
Paese meno cristiano dell'Europa.
Siamo alla fine della nostra conversazione. Lei fu
protagonista, l'anno scorso, di un dibattito con i socialisti nella sede di
"Mondoperaio". Che effetto le fece quell'esperienza?
Un effetto positivo, indubbiamente, in quanto momento,
aspetto, episodio di quel confronto tra le varie forze socialiste e laiche da me
sempre reclamato. Però, però ...
Però che cosa?
Un autorevole intellettuale dei PSI mi chiese, non senza una qualche burbanza
e quasi con accento ultimativo, se accettavo la civiltà liberale. Avrebbe
invece dovuto chiedermi se facevo mio il principio di libertà per i singoli,
per i gruppi, per la collettività. In tal caso gli avrei risposto che non solo
l'accettavo ma che ero disposto a difenderlo con tutte le mie forze.
La rivista socialdemocratica «Ragionamenti» ha pubblicato
nel numero di ottobre un'ampia intervista con l'on. Giuseppe Niccolai, a cura di
Massimiliano Solofra Longobardi. Ne riportiamo il testo integrale (con il titolo
originale) sicuri di fare una cosa gradita ai nostri lettori. Le argomentazioni
esposte da Niccolai completano, infatti, da una visuale diversa, quel che Pino
Romualdi ci aveva raccontato sullo scorso numero di "Proposta". Capire
questo partito significa anche dare voce e cittadinanza alle sue «anime»:
confrontandole si può creare un progetto comune, si può superare e vincere la
prova di Sorrento. È il silenzio, la mancanza di dibattito, la presunzione di
aver sempre ragione, l'attesa messianica di una verità fatta solo di slogans
che ha abbrutito il partito. Che ha reso la nostra comunità una Torre di
Babele. Che ha svilito il dibattito nella polemica, creando un clima di
diffidenza verso chiunque esprimesse delle idee. Per voltare pagina, è nata due
anni fa "Proposta". Per andare avanti, è necessario ritrovarsi
insieme.
* * *
On. Niccolai, lei è conosciuto, dentro e fuori il suo
partito, come un filo-socialista, come il fautore -meglio- di un dialogo
integrale e permanente con l'insieme dell'area socialista e laica. Sembra anzi
che, mentre questa sua posizione riscuote simpatie e consensi in non irrilevanti
strati popolari e intellettuali missini, fa, viceversa, molto arrabbiare
Almirante e il suo éntourage. Non è così?
Andiamo per ordine. La verità è che fin dall'estate '83 io
sostenni a tutti i livelli del partito, e innanzitutto in direzione, che sarebbe
stato grave ignorare l'elemento di novità rappresentata dal governo a guida
socialista; novità ricca di significati e conseguenze per la intera comunità
nazionale e quindi, in particolare, per il ruolo, la funzione, gli orizzonti dei
MSI. Orbene, se il blocco della politica che in vari lustri si è delineato è
imposto dal monopolio della DC e della sua principale controparte, ossia il PCI;
se l'occupazione del potere posta in essere dai partiti è garantita dalla
staticità assoluta del sistema che essi rappresentano, non c'è dubbio che la
crescita (in taluni casi) e la riconquista della specificità dei partiti
socialisti e laici nel loro complesso può rappresentare un fattore di rottura
di equilibri, può essere uno dei varchi attraverso cui far passare una
revisione profonda degli schemi di potere. E qualche segnale di mobilità, di
rivitalizzazione della politica, in questo senso è venuto. Non è infatti
casuale che, proprio in concomitanza con il quadriennio governativo craxiano, il
MSI abbia ritrovato quegli spazi di azione, quelle udienze, che nel quindicennio
precedente gli erano stati preclusi. Si tratta, dunque, di comprendere la
portata della novità e, superata la fase dell'accerchiamento e della chiusura,
attrezzarci a superare quella più sottilmente insidiosa della auto-ghettizzazione
che si manifesta negli atteggiamenti di pretesa superiorità tipo «soli contro
tutti». Ma si tratta, anche di evitare l'affermarsi di una politica
dell'accordo spicciolo, del piccolo compromesso, dell'insediamento avventizio
nel sottopotere.
Va bene, onorevole, l'area laico-socialista -ma soprattutto
la sua componente socialista- vi ha fatto delle aperture. Tutti ricordiamo bene
che Craxi, non appena insediato a Palazzo Chigi, si premurò di liquidare il
famoso «arco costituzionale», ricevette il responsabile dell'ufficio Esteri
dei MSI che gli veniva a parlare del voto agli emigrati e di altro, con il
lancio della formula del «Socialismo Tricolore», inaugurò un certo clima di
distensione nei confronti della Destra politica, con il recupero dei valori
libertari della Sinistra delle origini si vietò e vietò emarginazioni. Però,
ecco il punto, li suo partito come dovrebbe utilizzare tali aperture?
Se un varco si è aperto va decisamente imboccato per giocare
a tutto campo, lavorando in vista di una trasformazione radicale della politica.
È velleitario continuare a credere di essere l'alternativa, quando dobbiamo
realisticamente darci il compito di favorire, di costruire, di creare una
alternativa di sistema: un compito che non può prescindere da una
ricomposizione della intera comunità del nostro Paese.
Immagino che facendo riferimento all'alternativa lei tenga
presente le note posizioni di Nicolazzi, di Craxi, di Formica, di Martelli e via
disordinatamente elencando.
Naturalmente.
E che parlando di alternativa di sistema alluda anche al tema
della grande riforma delle istituzioni, fiorito nella serra culturale dell'area
socialista.
Più che ovvio.
Lei, Niccolai, è conosciuto come un leader della sinistra
missina. Come si colloca nel confronti della Sinistra storica?
Vede, quando ho attaccato la Sinistra l'ho fatto non perchè
la ritenessi troppo rivoluzionaria. Tutt'altro! Ho aguzzato l'ingegno e affilato
le armi allorché è venuta in evidenza come forza negativamente conservatrice
di un ordine costituito che tende a emarginare sempre più il politico -inteso,
ovviamente, nella accezione più nobile del termine- dall'interesse, dalla
partecipazione, dalle passioni sanguigne e vitali degli uomini.
Cosa pensa dell’anticomunismo?
L'anticomunismo non può e non deve essere un alibi per
atteggiarsi a paladini del meno peggio.
On. Niccolai, lei è unanimemente considerato -anche se
talvolta le si addebita un caratteraccio tipicamente toscano- un uomo di buona
volontà, un uomo del dialogo. Io le chiedo: come mai orienta la proposta
dialogista in modo assolutamente preferenziale verso sinistra?
Perchè la Sinistra, una volta saltate le preclusioni di
principio al dialogo, è la più accessibile a un discorso culturale e
progettuale rinnovatore e di grande respiro.
Adesso mi lasci fare per un momento l'avvocato dei diavolo.
Del diavolo... democristiano, intendo. Da varie parti si asserisce che, in
fondo, gira e rigira, anche la DC ha una natura popolare, sociale, progressista.
Perchè, allora, non si industria di dialogare anche con lo Scudo Crociato?
La Democrazia cristiana, partito eminentemente di potere e di
interessi, è meno permeabile ai discorsi culturali, Tuttavia si è già visto
che, una volta rotto il sigillo della discriminazione, si apre in questa
direzione un processo emulativo. Tecnicamente, solo iniziando un dialogo con la
Sinistra lo si può poi estendere anche al Centro. Perchè è la Sinistra che
detiene per tutti le chiavi della demonizzazione della Fiamma Tricolore.
Ma per lei cosa significa veramente dialogare?
Deve essere estremamente chiaro che dialogare non significa
sbracarsi, ma misurare e responsabilizzare il proprio linguaggio e le proprie
capacità di analisi. Ciò vale soprattutto nei rapporti con il «Socialismo
Tricolore», trattandosi di una formula germinata in seno allo spazio socialista
e che lì deve svilupparsi.
È vero che unitamente al suo collega on. Tommaso Staiti
-anche lui membro della direzione- porterà al fuoco del dibattito congressuale
un documento recante il titolo "Progetto Nazionale"? Di cosa si
tratta, esattamente?
In questo elaborato segnaleremo la opportunità che l'Italia,
quarant'anni dopo la sconfitta e in un clima interno meno conflittuale,
ricominci a darsi delle mète, degli obiettivi per gli anni Novanta e la svolta
del Duemila. Primi traguardi: divenire in tempi brevi la sesta o la quinta
potenza economica dei mondo; promuovere una nostra più incisiva presenza nel
Mediterraneo; rafforzare, al fianco della Germania Federale e della Francia, il
ruolo italiano nella Comunità Europea.
E cosa può dirmi circa le condizioni da costruire perchè
questa progettualità vada felicemente in porto?
C'è ancora molto da discutere, da studiare. E -come
giustamente fa presente lei- vanno approfondite e realizzate le condizioni
operative del «Progetto» da indicare alla collettività dei cittadini,
soprattutto come compito della nuova generazione. Esse sono individuabili sia
nella grande riforma in senso efficientistico delle istituzioni, sia nelle vie
più idonee da battere per rafforzare -nel rispetto dei naturali contrasti
dialettici fra interessi e posizioni ideologiche diversi- la coesione sociale e
nazionale.
Relativamente poi alla strumentazione più efficace volta a
raggiungere gli obiettivi centrali come si pronuncia?
Noi dei MSI dobbiamo promuovere un largo dibattito in vista
di larghe intese, così dando luogo ad un intenso, paziente, riflessivo,
ragionato impegno per i prossimi dieci anni. Si tratta, insomma, della tessitura
di una nuova solidarietà al di sopra della fisiologica -e non più patologica-
concorrenza fra forze politiche e di classe.
Il leader del suo partito, on. Almirante, dopo alcune
iniziali dichiarazioni di simpatia per il Socialismo Tricolore ha inopinatamente
preso le distanze, ma non solo e non tanto per evitare commistioni, del resto
impensabili, quanto per meglio centrarlo quale bersaglio privilegiato della sua
notoria verve polemica. Sappiamo tutti che l'elettorato non lo ha perdonato. Io
vorrei conoscere il suo parere su questo comportamento almirantiano.
Noi missini da oggi in poi dovremmo evitare di fare la figura
delle tre scimmiette che non vedono, non sentono, non parlano magari per paura
di perdere qualche voto salvo poi perderne tanti perchè la prudenza è
inefficace quando scade in prudenzialismo e la paura è notoriamente pessima
consigliera -di fronte a fenomeni culturali e politici di portata storica quale,
appunto quello della Patria che insperatamente rinasce proprio lì dove era
stata negata in nome della classe.
Amor di giustizia e omaggio alla verità mi inducono a farle
presente che nell'area socialista ad agitare il Tricolore e ad agitarsi per il
medesimo non c'è soltanto il PSI ma anche il PSDI. Alcuni anni or sono l'on.
Ruggero Puletti, ora componente la direzione e allora vicesegretario nazionale e
direttore dell'organo ufficiale «L'Umanità», nel corso di un viaggio politico
ufficiale in Etiopia, si recò in devoto raccoglimento ai cimiteri di guerra
italiani, scrivendo quindi corrispondenze su quella sua esperienza commovente e
non priva di un fascino elegiaco oltre che di un significato profondo.
Evidentemente non ho nulla da obiettare alla sua
precisazione.
Illustri qualche elemento della sua strategia del dialogo.
Una crisi di rigetto per le ubriacature ideologiche e per gli
eccessi sanguinosi degli anni di piombo hanno portato a una sdrammatizzazione
dei rapporti politici in tutte le direzioni. C'è dunque una possibilità di
dialogo e di confronto più civile anche per quel che ci riguarda. Naturalmente
si tratta di valori da proiettare ormai nell'avvenire, relativi alla riscoperta
dell'identità nazionale e alla necessità di elaborare tutti insieme il
«Progetto» di cui si accennava. Noi del partito della Fiamma verremmo meno
alla nostra funzione se, rinchiudendoci in posizioni rancorose, evitassimo di
prendere atto delle novità emerse -e che, come tutto sembra indicare, ancora
emergeranno- nel campo laico-socialista, per di più contestando a una Sinistra
che decide di fare riferimento alla nazione in modo sempre più organico e
permanente, i titoli per procedere in questo senso. Insomma, sui suddetti valori
va tentato un colloquio autentico e fraterno, senza peraltro pretendere che
possa dare immediatamente grossi risultati.
Non posso dire di trovarmi a conversare con una testa calda.
Mi sbaglio, o lei, ovviamente, da posizioni del tutto opposte, ha assorbito la
grande lezione togliattiana dei piccoli passi?
Non credo di poter essere definito allievo di Togliatti.
Però, vede, non si può non riconoscere che costui ebbe l'intelligenza e la
pazienza di mantenere aperto -in un disegno storico a lungo termine- il dialogo
con i cattolici persino negli anni delle scomuniche e della guerra fredda. Ciò
che faceva quel leader del PCI sembrava ridicolo e velleitaria un sacco
di gente, ma il tempo gli ha dato ragione perchè ha finito per allentare la
discriminazione anticomunista, anche se il PCI non ha raggiunto l'obiettivo
pieno del compromesso storico.
Cosa è stato e cosa è l'almirantismo?
Se l'almirantismo è stato, ieri, lo scudo necessario dietro
il quale e con il quale il MSI ha passato il deserto della ghettizzazione, ora
non serve più, anzi è d'impedimento a vedere oltre, ad andare oltre. Ecco ciò
che è l'almirantismo alle soglie del Duemila: l'impossibilità di aprirsi al
dialogo o al rapporto con gli altri. Dialogo, dico, non intrallazzo. Idee, non
favori o posti. Confronto, non combinazioni sotto banco.
Quali sono le caratteristiche più propriamente politiche del
leader missino uscente?
Almirante ha saputo tenere in piedi una comunità
perseguitata attraverso una propaganda costruita di volta in volta sulle
occasioni che, da attore politico nato, pesca e recita: i bottegai, i bassi
napoletani, la pena di morte, l'abusivismo edilizio, la rivolta fiscale, lo
sfascio istituzionale, il caos dei servizi. Egli è però afflitto da un limite
dimostratosi invalicabile: l'incapacità di portare avanti un disegno storico,
un programma a vasto respiro di conciliazione e di ripresa nazionale. Grande
propagandista, grande oratore, grande parlamentare, navigatore eccelso nelle
acque di Montecitorio, è però, timorosissimo nell'intraprendere viaggi nei
mari aperti di una politica sublime.
Se ben ricordo, fin da quando è tornato dalla guerra, ha
sempre tenuto rapporti diallogici con il mondo della Sinistra politica e
intellettuale. Oggi interlocutori privilegiati sono i Iaico-socialisti, ma anni
fa, tanti anni fa, furono i comunisti.
Ricorda bene. Nel dopoguerra il dialogo lo sviluppai con il
povero Ruggero Zangrandi, l'autore del "Lungo viaggio attraverso il
fascismo", columnist autorevole di "Paese Sera", sulle
colonne del quale affrontò, d'intesa con me ed altri, il tema
dell'atteggiamento della Sinistra nei confronti dei combattenti fascisti reduci
dai fronti di guerra o dai campi di concentramento. Si trattava di elaborare una
politica non nervosa, non «psicologica», nei confronti di costoro -in gran
parte giovanotti, ragazzi, addirittura adolescenti- al fine di impedire che
divenissero strumenti delle forze reazionarie, utilizzati contro la classe
operaia, il movimento dei lavoratori, il popolo. In definitiva, contro la
nazione italiana.
Solo "Paese Sera" venne coinvolto nelle operazioni di
questa sorta di «Esercito della Salvezza» comandato da lei e da Zangrandi?
Buona la battuta sull'Esercito della Salvezza che però non
fu «comandato», per usare la sua espressione, soltanto da me e da Zangrandi,
bensì anche da uno scrittore celebre, pure lui comunista, Romano Bilenchi.
Ambedue, se non vado errato, con robuste radici giovanili
nelle esperienze culturali fasciste.
Certo, Zangrandi era stato un habituè di Villa
Torlonia, residenza della famiglia Mussolini, dove insieme al giovane amico
Vittorio aveva elucubrato la, chiamiamola così, teoria dei l'universal-fascismo,
travasata in un giornale studentesco recante il titolo "Anno XII".
Bilenchi, fiorentino, a sua volta aveva fatto parte della redazione di
"Campo di Marte", periodico della gioventù intellettuale fascista
della Città del Giglio, ed era stato nel gruppo di Berto Ricci a "l’Universale",
altro foglio di punta delle giovani leve littorie.
Che mi dice del mensile toscano da lei ispirato
"Cronache della Versilia"? Mi par di capire che lei è un patito di
Berto Ricci. Vuoi dire qualcosa di costui?
Berto Ricci, giovane anarchico militante, nel 1930, a 25
anni, si era convertito al fascismo fondando, appunto, l'«Universale» e
svolgendo con esso, insieme ad altri intellettuali più o meno coetanei, un
ruolo di sinistra, rivoluzionario, anticonformista, pronunciatamente
repubblicano -allora!-, mazziniano, sociale. Le cito a memoria, e con la massima
esattezza, ciò che di Ricci dice Indro Montanelli -anche lui del gruppo, almeno
ai primi tempi- nella prefazione a una antologia di scritti ricciani: «... egli
fu il solo maestro di carattere che io abbia trovato in Italia». La morte
avvenne nel 1941. Tenga presente che Berto veniva schedato dalla polizia
perchè, appunto, repubblicano; ed era inviso ai circoli conservatori del
regime. Di modesta condizione economica, guadagnava da vivere per sè, per la
moglie e per un figlio insegnando matematica in una scuola di Prato. La sua
prosa era scintillante, godibilissima, fruibilissima, gratificantissima e lo
resta anche oggi, piena com'è di idee che sembrano uscite da uno dei grandi
laboratori culturali dell'epoca che viviamo. Mussolini lo volle collaboratore al
"Popolo d'Italia".
Con Zangrandi o senza, lei utilizzò per la sua azione di
pilotaggio a sinistra dei reduci solo "Paese Sera" o anche qualche
altra testata?
Scesero in campo anche la "Gazzetta di Livorno" e
il "Nuovo Corriere" di Firenze, magna pars dei quale era il
succitato Romano Bilenchi. A costui, nel 1949, scrissi una lettera dalla quale
scaturì, proprio nelle pagine del giornale fiorentino, un dibattito sulla
questione del destino e della destinazione del volontariato bellico in camicia
nera. L'iniziativa non si rivelò per nulla sterile, tanto è vero che dalle
colonne dei due quotidiani il dibattito si trasferì, negli anni Cinquanta,
nella sala di un teatro di Livorno celeberrimo, ormai consegnato alla storia: il
"Golfoni", dove nel '21 era stato fondato il PCI. Sa cosa le dico? In
politica i fatti sono come le ciliege: l'uno tira l'altro. La pubblicità e il
successo del raduno labronico attrassero l'attenzione di Enrico Berlinguer,
allora segretario della federazione giovanile comunista, che decise di
sperimentare a Roma un rapporto con i giovani reduci fascisti o ex-fascisti, che
dir si voglia, disponibili al dialogo con la Sinistra e, in particolare, con
Botteghe Oscure. E così il futuro capo dei più grande partito comunista
dell'Occidente un bel dì venne in una sede romana della «Giovane Italia»,
l'organizzazione giovanile missina, a parlare con noi.
Mi tolga una curiosità. Ruggero Zangrandi aveva relazioni
politiche solo con lei e con i suoi amici di gruppo, di corrente, diciamo così,
oppure si interessava dei suo partito in quanto tale?
Zangrandi seguiva con grande attenzione i congressi e i più
importanti convegni politici e culturali dei MSI. Con particolare applicazione
presenziò al congresso di Viareggio, perchè fu lì che iniziarono gli scontri
in grande dimensione fra la sinistra e la destra del partito.
Ma su quale base culturale-ideologica si fondavano questi sia
pur dialettici incontri e confronti con i comunisti?
Il discorso sarebbe lungo e ci porterebbe lontano. E poi
dovrei munirmi degli appunti dell'epoca che ho a Pisa, nel mio archivio. Ricordo
però un tema ricorrente, che creava fra di noi una sorta di inconfessata, forse
reciprocamente imbarazzante, ma profonda solidarietà: quello della
inevitabilità e della giustezza, della positività, della contrapposizione fra
i popoli poveri e i popoli ricchi.
Un tema, questo, che ha avuto diritto di cittadinanza
nell'area della cultura corradiniana e mussoliniana.
Non dimentichi che quelli erano gli anni della guerra fredda
sempre in procinto di diventare calda, dello scontro fra potenze occidentali e
campo del socialismo realizzato. USA, Inghilterra, Francia etc. erano, per i
comunisti italiani, i nemici da battere; così come, dieci anni prima o anche
meno, lo erano stati per i fascisti. Tutto ciò non poteva non favorire certi
agganci con conseguenti reciproche simpatie. Allora Berlinguer non si sognava
neppure di presentare la NATO come ombrello idoneo a riparare anche il PCI.
Che fine ha fatto il "Nuovo Corriere"?
Nel '56 venne chiuso da Togliatti, ma non perchè dialogava
con me, con noi, bensì a causa dell'atteggiamento non ortodosso assunto in
occasione dei fatti di Ungheria.
Lei nel '40 si arruolò volontario e andò a combattere in
Africa Settentrionale. Perchè fece ciò?
Fu il mio modo di protestare contro il regime, cui addebitavo
di non avere onorato una precisa promessa al popolo italiano: l'effettuazione di
una autentica rivoluzione sociale.
Ormai tutti, e anzitutto De Felice, ci dicono che nel regime
agirono una autentica destra conservatrice e una sinistra rivoluzionaria.
Secondo lei cosa scaturi, nel dopoguerra, dall'una e dall'altra?
Dalla destra emersero cinici alla Vitaliano Brancati, dalla
sinistra uscirono i più brillanti ideologi della sinistra antifascista.
Per esempio?
Beh, facciamo un nome: Pietro Ingrao.
Senta, ebbe ragione Ingrao, ebbero ragione i vari Ingrao.
Voglio dire dal suo punto di vista come vede il passaggio?
Guardi, io mi sono comportato diversamente, tanto vero che
siamo a fine estate dell'anno di grazia 1987 e sono ancora dove stavo da
ragazzo, a battermi per la sinistra, e sia pure per una sinistra intesa come la
intendo io e, soprattutto, come la intendeva Berto Ricci. Ciò premesso e dato
ragione a me, non posso non dare ragione anche a un Ingrao il quale a suo tempo
ritenne -adducendo analisi e spiegazioni niente affatto disprezzabili- di dover
tagliare la corda per inseguire quelle che nella più perfetta buona fede
riteneva più plausibili ipotesi rivoluzionarie. Ovviamente, quanto detto per
Ingrao vale anche per gli altri, purchè non si sia trattato di opportunisti, di
gente abituata a sputare nel piatto in cui ha mangiato.
Ma dove si annidava questa sinistra fascista nel ventennio?
Nelle varie riviste giovanili e universitarie, nei GUF, nei
cenacoli intellettuali di Bottai, di Spirito, dei Gentile seconda maniera, etc.,
nei Littoriali, nelle organizzazioni sindacali, nei centri di elaborazione della
cultura corporativa.
Torniamo ai nostri tempi. Quando ha cominciato a guardare con
interesse all'area socialista e laica?
Quando da tale area sono cominciate a partire le prime
polemiche contro il bipolarismo. Tuttavia il mio interesse si rivelò più
puntuale e acceso nell'agosto del 1983, allorchè Craxi ruppe la ghettizzazione.
Allora coniai uno slogan: «Craxi e Almirante: la civiltà del confronto»
.
E Almirante quale uso fece dei suo slogan?
Almirante sopportava. Egli era ed è portatore di una
propaganda, non di una politica. Temeva che il MSI finisse per essere infiltrato
da una tematica prestigiosa e vincente quale quella dei «Socialismo
Tricolore», potenzialmente idoneo, secondo lui, a sfaldare il nostro partito.
La verità è che egli non si è mai liberato, e mai si libererà, della
mentalità del ghetto, della psicologia da setta religiosa perseguitata.
Insomma, ha avuto paura del dialogo perchè, accettandolo, avrebbe
implicitamente accettato, a suo insindacabile giudizio, la diaspora della nostra
gente.
Ma queste aperture nei vostri confronti lei le capta solo
dall'area socialista o anche da altri settori della Sinistra?
A livello strettamente culturale colgo atteggiamenti nuovi
anche da parte del PCI. Per esempio, al festival dell'«Unità» di Bologna si
vendevano libri di Francesco Tommaso Marinetti e di Ezra Pound.
Quale etichetta le hanno appioppato dirigenti e militanti del
suo partito che non le vogliono troppo male?
Beh, secondo loro io sarei la coscienza critica del MSI.
Senta Niccolai, aperture o non aperture, Craxi o non Craxi,
bisogna pur prendere atto che nel Paese non è venuta meno la tradizionale
conflittualità tra fascismo e antifascismo. O non è così?
Vede, io sono assolutamente persuaso che la conflittualità
fra rossi e cosiddetti neri è un aspetto, un frutto della strategia del
moderatismo, ossia una trappola reazionaria nella quale occorre star bene
attenti -da una parte e dall'altra- a non cascare. Ciò anche perchè la
spaccatura verticale del Paese, la mentalità da guerra civile, il muro contro
muro sono mali da rifuggire con risolutezza. Peraltro, queste cose non avrebbero
alcuna credibilità, essendo un vero delitto, alle soglie del Duemila, tenere in
piedi un partito non privo di valide energie popolari, culturali, intellettuali
solo in funzione contrappositoria verso la Sinistra.
Quando si convinse della necessità di battersi per una linea
di dialogo e di confronto del suo ambiente con almeno una parte della Sinistra?
Come le ho già detto, la vocazione dialogica del
sottoscritto viene da lontano. Tuttavia, c'è un importante episodio della mia
vita parlamentare del tutto inedito che mi ha segnato profondamente, radicandomi
in quella che definisco una «cultura dell'intesa nazionale». Dunque, in
occasione di un voto delle Camere riunite per la elezione del Capo dello Stato,
all'inizio degli anni Settanta, il socialista Rino Formica mi abbordò a
Montecitorio pregandomi di intervenire su di un personaggio autorevolissimo del
partito, il senatore Araldo di Crollalanza, per indurlo ad appoggiare, nei modi
più opportuni, prudenti e discreti, la candidatura dei segretario dei PSI, on.
Francesco De Martino. Promisi e mantenni. Però il presidente dei senatori
missini mi disse queste testuali parole: «Poco prima della rovinosa caduta
della Repubblica Sociale Italiana Mussolini mi chiamò e mi disse: ''Araldo, qui
ormai è tutto finito, non c'è più nulla da fare. Ti raccomando i socialisti
e, in particolar modo, Nenni''. Pertanto io non voto per De Martino bensì per
Nenni».
Onorevole Niccolai, per i primi giorni di dicembre è
previsto un importante congresso del MSI convocato anche per sostituire
Almirante. Lei quale ruolo pensa di svolgervi?
Io mi prodigherò nel tentativo di far scaturire dall'assise
congressuale una maggioranza non reazionaria, non conservatrice, non moderata,
non socialmente e politicamente arretrata. Una maggioranza, aggiungo,
inequivocabilmente vaccinata contro ogni tentazione -a livello sia nazionale che
internazionale- di concepire l'ordine come militarizzazione della politica. Ove
questi sforzi dovessero essere frustrati non esiterei a passare risolutamente
all'opposizione presentando, insieme ai miei amici, un documento politico,
pronto a dare battaglia con esso e su di esso.
Cosa è per lei la Patria?
Stia pur tranquillo: nella mia concezione della Patria non
c'è posto per alcun elemento di aggressività, di supponenza boriosa, di
chiusura, di arroccamento, di espansionismo. Per me la Patria va difesa
tutelandola ecologicamente, garantendone l'integrità dei paesaggi e delle
bellezze artistiche, comportandosi da accigliati restauratori del fascino delle
sue coste devastate da speculazioni e abusivismi urbanistici, montando la
guardia alla pluralità e ricchezza dei suoi costumi e delle sue tradizioni
popolari, battendosi per tenere alto il livello del sapore e della qualità
della vita, evitando la messa in non cale dei dialetti.
Tutto qui?
Scusi tanto se è poco! Ammetto, però, che a monte c'è ben
altro: l'indipendenza nazionale, la difesa del lavoro italiano nel mondo, la
salvaguardia della italianità delle aggregazioni di emigrati, il made in
ltaly, la promozione di un nostro ruolo planetario pacifico ma competitivo,
la protezione della identità nazionale dagli assalti colonizzatori delle mode e
delle culture straniere, specie quelle edoniste, materialiste, consumiste.
Immagino che lei odi le minoranze regionali indipendentiste,
per esempio i sardi sardisti etc.
Lei è in errore. Ferma restando la doverosa devozione,
sentimentale e politica, all'idea dell'Italia unita, mi sento vicino e solidale
con le minoranze sarde e siciliane discriminate e, talvolta, addirittura
oppresse.
Accetti la sfida: vorrei sapere dov'è la radice della
fiducia che lei ripone nella parte socialista.
Vede, le formazioni socialiste si diversificano dalla DC e
dal PCI per il fatto di possedere un progetto politico di largo respiro, di
vasto orizzonte, di lunga scadenza. Purtroppo però -e qui entro davvero in fase
critica- tale progetto risente di una psicologia di passività rispetto al
prevalere dei disvalori tipici di un periodo in cui il denaro, l'economia, lo
spirito di consumo trionfano sui valori della persona sopprimendo la
solidarietà nazionale, umana, fraterna.
Torniamo al congresso missino, da alcuni definito storico
perchè chiamato a dare soluzione di continuità alla leadership di Giorgio
Almirante. Secondo lei di cosa si tratta?
Potrebbe essere storico come potrebbe non esserlo. Sarebbe
storico se il partito fosse disposto a capire che si passa ormai da un'epoca
all'altra e, insomma, che c'è da cogliere una grande occasione per una grande
politica.
Che significato avrebbe il mancato utilizzo di questa
occasione?
Un significato ridicolo. Vorrebbe dire, cioè, che c'è
ancora chi pensa, alle soglie del Duemila, di poter risolvere i problemi
italiani rivestendoli come li vestiva Mussolini.
Il quale Mussolini come reagirebbe a queste ingenue
distorsioni ove fosse in grado di ottenere un permesso di libera uscita dall'Ade
per raggiungere la sede dei lavori congressuali?
Ci prenderebbe tutti a calci nelle natiche.
Secondo lei Mussolini si iscriverebbe al MSI?
Direi proprio di no.
Lei cosa pensa di Mussolini?
Mussolini delle feluche, delle greche, dei battichiappe, dei
pennacchi, delle divise, dei maresciallati, delle patacche e, insomma, delle
pompe varie, non mi è mai piaciuto, mentre confesso di avere sempre avuto un
debole per il Mussolini emigrato in Svizzera a stomaco vuoto e senza il becco di
un quattrino, per il Mussolini cui mancavano sempre diciannove soldi per fare
una lira, per il Mussolini che in periodi tragici cerca di fare onorevole
ammenda delle omissioni rivoluzionarie del passato tentando un esperimento di
socializzazione dell'economia in favore dei lavoratori contro tutto e tutti.
Quale dovrebbe essere il compito fondamentale dei MSI nella
società civile, nelle istituzioni, nel mondo della cultura?
Il compito dei MSI quale io lo concepisco andrebbe
individuato nella ricucitura del pensiero politico scisso dal secolo delle
rivoluzioni. Terrei però a precisare che condizione non eludibile per portare
avanti questo e altri discorsi è una esaustiva moralizzazione del partito.
Lei è una vera mosca bianca del giro missino. Nel suo
partito non fa altro che battibeccare con un mucchio di persone, di
personalità, di personaggi, a cominciare da Almirante, mentre è in odor di
dialogo con elementi che hanno ben poco o addirittura nulla a che fare con
quello che voi missini chiamate «il nostro ambiente»; con elementi -aggiungo-
prevalentemente di sinistra e della Sinistra. Come mai?
Vede, io concordo con il suo amico Ruggero Puletti quando
dice che spesso e volentieri si va d'accordo più con l'avversario che ha fatto
la stessa esperienza che con i propri amici di cordata politica. E da Puletti
passo a Mao, al suo invito alle Guardie Rosse così formulato: «Spariamo sulle
burocrazie soffocanti». Lei sa benissimo che questo tipo di burocrazia è male
che alligna in tutti i partiti, a tutti i livelli del partitismo.
Lei ha citato un esponente socialdemocratico. Io, altrettanto
opportunamente e a proposito, voglio citare Saragat, di cui non si ricorda un
episodio tipico di Socialismo Tricolore, risalente all'epoca della presenza al
Quirinale. Egli si era recato in visita ufficiale alla Casa Bianca felicemente
regnante Johnson, anche per esporre alcune idee dell'Italia relative alle
esigenze di pacificare il Vietnam. Il presidente statunitense non si comportò
bene con il suo ospite, trattandolo con sufficienza, ascoltando in modo
distratto i suoi argomenti, rispondendogli senza cordialità e anzi con
malcontenuta irritazione. Tenne, insomma, un contegno poco riguardoso. Al
ritorno in patria il Capo dello Stato, intervistato all'aeroporto, fece subito
capire la musica che intendeva suonare dichiarando che a Washington aveva
parlato come rappresentante non certo di una grande potenza ma certissimamente
di una grande nazione.
Vede, più bandierine tricolori è possibile far sventolare
sull'area socialista e su altre aree e meglio è. Per l'Italia e per tutti noi
che ci occupiamo di queste cose nei partiti e fuori di essi. Quindi non posso
che registrare con soddisfazione quanto lei mi dice.
Onorevole, gettiamo un'occhiata sul dopo-Almirante. Ritiene
che solo la precarietà delle condizioni di salute sia alla radice
dell'allontanamento dalla segreteria di un personaggio non certo insignificante?
Oppure nel negativo risultato elettorale è da ravvisare la causa scatenante
dell'esaurimento di un plurillustre leaderato missino?
Ambedue hanno avuto un peso nell'indurre il segretario a
rassegnare le dimissioni. Tuttavia io vado più a fondo nell'analisi dell'almirantismo
e della sua fine e pervengo alla conclusione che la leadership di
Almirante era ormai totalmente superata, era qualcosa, insomma, che sopravviveva
a se stessa. Vede, nel MSI, oggi, siamo tutti politicamente, culturalmente,
intellettualmente, ideologicamente maggiorenni e, pertanto, più non ci serve il
demiurgo, il capo che pensa per tutti, il messia, l'uomo-partito, mentre ci
occorrono collegialità, gioco di squadra, dibattito. C'è bisogno di una
svolta, voglio dire, qualificata da una identità politica che si fondi sulla
discussione, sulla pluralità degli apporti ideali, sul confronto creativo
dentro e fuori le mura di casa, In altri termini, si tratta di sostituire ai
meccanismi dell'autoritarismo e del feticismo quelli della libertà, della
elaborazione comune, della ricerca, della rneditazione. In rapporto a ciò la
persona dei quasi ex-leader sarebbe di impedimento al recupero, o alla
instaurazione, di questi valori. Così come lo sarebbe l'almirantismo senza
Almirante, ossia una gestione magari anche fresca, vivace e intelligente ma in
qualche modo eterodiretta o, quanto meno, psicologicamente, e culturalmente
condizionata.
Qual’è, a suo giudizio, il più grosso problema politico
che oggi è necessario affrontare?
È presto detto: la rottura della centralità democristiana.
Io rimprovero alla DC di avere fatto dell'Italia -al di là delle apparenze- il
Paese meno cristiano dell'Europa.
Siamo alla fine della nostra conversazione. Lei fu
protagonista, l'anno scorso, di un dibattito con i socialisti nella sede di
"Mondoperaio". Che effetto le fece quell'esperienza?
Un effetto positivo, indubbiamente, in quanto momento,
aspetto, episodio di quel confronto tra le varie forze socialiste e laiche da me
sempre reclamato. Però, però ...
Però che cosa?
Un autorevole intellettuale dei PSI mi chiese, non senza una qualche burbanza
e quasi con accento ultimativo, se accettavo la civiltà liberale. Avrebbe
invece dovuto chiedermi se facevo mio il principio di libertà per i singoli,
per i gruppi, per la collettività. In tal caso gli avrei risposto che non solo
l'accettavo ma che ero disposto a difenderlo con tutte le mie forze.
TRATTO DA:
http://www.beppeniccolai.org/
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