di Gianfranco Cenci
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Il precedente articolo sulla rimozione da parte dell’esercito Britannico della ferrovia Mogadiscio-Villaggio Duca degli Abruzzi
ha suscitato in qualche lettore dei dubbi sulla censurabilità di tale
tipo di appropriazione di beni nemici in tempo di guerra, sostenendo la
tesi secondo la quale anche per quelle infrastrutture esisteva il
diritto di essere rimosse dall’occupante.
A mio avviso invece il testo dell’art. 53 della IV convenzione dell’AjA del 1907 afferma il contrario. Infatti il capoverso che ci interessa testualmente recita:
“tutti i mezzi destinati in terra sul mare e
nell’aria alla trasmissione di notizie, al trasporto delle persone e
delle cose fuori dei casi regolati dal diritto marittimo i depositi di
armi ed in generale ogni specie di munizioni da guerra possono essere
sequestrati anche se appartengono a privati MA DOVRANNO ESSERE
RESTITUITI E LE RELATIVE INDENNITA SARANNO REGOLATE ALLA CONCLUSIONE
DELLA PACE”.
Quindi non solo non poteva essere smontata la
ferrovia ma addirittura il materiale rotabile, in quanto mezzo di
trasporto poteva essere usato ma custodito e restituito alla fine delle
ostilità.
Comunque la ormai famosa ferrovia non fu l’unico
bene asportato invece che custodito. Per rimanere nel campo del
trasporto su rotaia fu rimosso il tratto a scartamento ridotto tra
Villaggio Duca degli Abruzzi e Bulo Burti verso il confine con l’Etiopia
la decauville nel comprensorio agricolo di Genale di 20 km. tra la
località di Genale ed il porto di Merca, infrastruttura che diveniva
essenziale durante il periodo delle piogge quando gli allagamenti
stradali impedivano il transito dei camion carichi di banane dai vari
centri di raccolta della produzione bananiera al porto.
Fra gli impianti industriali rimossi secondo
quanto documentato anche nel prezioso volume dello storico somalo
MOHAMED TRUNJI che ha recentemente pubblicato in edizione italiana il
suo volume “SOMALIA – La storia mai raccontata”, a pagina 32 testualmente recita:
“Durante
l’Amministrazione britannica un certo numero di piccoli impianti
industriali furono demoliti o trasferiti eliminando in tal modo
infrastrutture vitali. Nel 1943 fu smantellata e rimossa una serie di
macchinari tra cui impianti elettrogeni, cantieri navali cavi ecct. dal
complesso delle saline di DANTE (HAFUN)
per uso militare e impiego in altri teatri di guerra. I depositi di
sale di Hafun (Migiurtinia) producevano più di 200.000 tonnellate di
sale all’anno la maggior parte dei quali era esportata nell’estremo
oriente. Gli impianti industriali che furono distrutti o chiusi erano le
cave minerarie di Mayahan e Kandala. Altre infrastrutture includevano
le 70 miglia di ferrovia a scartamento ridotto che collegava Mogadiscio,
Afgoi e Villaggio Duca degli Abruzzi, il ponte di Afgoi sul fiume Uebi
Scebeli, i frantoi e l’impianto di stoccaggio dell’olio di semi di
Mogadiscio. Come era prevedibile queste misure drastiche
produssero effetti negativi sull’economia del territorio e sulle sue
popolazioni in particolare su chi, direttamente o indirettamente era
beneficiario di questi vitali mezzi di produzione ed il settore
dei servizi che supportavano. La struttura economica costruita dagli
italiani prima della guerra si degradò nel tempo e fu destinata a
crollare con conseguenze disastrose. Il deterioramento della situazione economica colpì duramente i somali
e la comunità italiana in Somalia in egual misura. Anche se
quest’ultima era il più grande datore di lavoro della maggior parte dei
salariati somali, la disoccupazione, in particolare all’interno della
popolazione somala fu inevitabile. Diversi lavoratori persero il posto
di lavoro e la maggior parte di loro rimase disoccupata durante
l’occupazione militare britannica. Il Protettorato del
Somaliland si trovava in una situazione economica peggiore della Somalia
occupata, era rimasto isolato e trascurato dato che la Gran Bretagna
l’aveva considerato poco più di un fornitore di carne per la guarnigione
di Aden.
Facendo un confronto tra il grado di sviluppo
raggiunto nei territori abitati dai somali I. M. LEWIS ha scritto:
«Qualunque fossero le motivazioni e nonostante l’impronta del FASCISMO
per i somali ci furono più vantaggi in Somalia che nel Somaliland
britannico nel somaliland francese o, sopratutto nella Provincia
settentrionale del Kenya che per lungo tempo fu destinata a rimanere una
landa desolataca»”.
Non posso però chiudere questo argomento senza
indicare, sia pur brevemente di che ordine di grandezza economica stiamo
parlando quando si tratta dei beni NON custoditi dagli occupanti.
Le SALINE DI HAFUN da dove furono asportate
chilometri di teleferiche, rotaie impianti elettrogeni pompe idrovore:
questo impianto che raggiunse la produzione di mezzo milione di
tonnellate di sale nel 1939 fu descritto nella GUIDA DELL’AFRICA
ORIENTALE ITALIANA edita dalla C.I.T. nel 1938 che a pagina 620 descrive
Hafun come la località ove si trovavano le saline più grandi del mondo.
Se queste affermazioni possono sembrare esagerate
e frutto della propaganda del regime, posso citare una descrizione del
sito fatta da un ufficiale inglese D. Collins che ha scritto un libro
ove disprezza gli italiani e che parla di Hafun da lui visitato nel 1941
in questi termini:
“Hafun
durante il periodo fascista doveva essere stato un sito straordinario
con vari e vasti impianti salini e fabbricati adesso malamente
danneggiati dai proiettili del H.M.S. Dorchester durante la guerra, con
una ventina di ampi edifici a due piani un DOPOLAVORO ed una missione
cattolica”.
Questo ufficiale scrisse poi il libro “A tear for Somalia”,
illustrato dal pittore italiano Bruno Di Sopra, partecipò
all’occupazione britannica della Somalia e rimase in Somalia per 10 anni
come Residente nei vari capoluoghi, l’ultimo dei quale fu Alula dove,
evidentemente con non nascosto rammarico passò le consegne al Residente italiano nell’aprile del 1950. Tanto per descrivere il carattere dell’uomo divenuto nel frattempo maggiore, così descrive il passaggio delle consegne:
My Somalia odyssey came to an end with the
arrival of my italian successor a lieutenant in the italian army. He was
young, about twenty one and spoke perfect english. We shook hands as I
ushered him into the house.
Have a drink tenente? I pushed over the gin bottle.
Grazie, no thank you Major. I gave the pilot the instructions that I wished to leave immediatey.
But Major, my successor protested “what about the handing over notes?”
“It is all in the files Tenente” I reply gently.
Questo era l’ ufficiale che era rimasto estasiato davanti agli impianti di Hafun.
Tentando di dare un valore a questo complesso
industriale esso non era certo inferiore ai 20 milioni di lire
dell’epoca. E in definitiva sommando il valore della rete ferroviaria
somala, le saline di HAFUN, beni completamente distrutti e tutti gli
altri impianti industriali (oleifici, cantieri navali, tonnare,
complessi agrari) si raggiunge agevolmente la cifra di un centinaio di
milioni di lire dell’epoca. Non poco se si pensa che all’epoca la
Somalia era considerata la cenerentola degli investimenti italiani nelle
colonie africane.
Questa narrazione supporta puntualmente le
considerazioni, sopra indicate, del maggior storico inglese in affari
somali – I.M. Lewis – ma debbo anche aggiungere che lo stesso destino
di abbandono toccò anche all’Ogaden Etiopico mentre per la Provincia del
Northern Frontier District non vi fu solo sottosviluppo e desolazione
ma un continuo rigurgito di guerre (le famose SHIFTA WARS) che hanno
ridotto il terreno un campo di battaglia per oltre un trentennio.
.
CONCLUSIONE
Alcuni amici somali mi hanno fatto notare che per quanto riguarda i “predati” gli italiani lo sono stati pro tempore (e cioè durante il dominio coloniale) mentre i depredati definitivi sono stati i somali in quanto proprio il popolo somalo quale “end user” dei beni ne è stato privato per sempre.
Che il danno sarebbe stato definitivo non
poteva essere ignorato dagli occupanti in quanto già prima della seconda
guerra mondiale il principio dell’autodeterminazione dei popoli
cominciava ad essere ben radicato e quindi vi era la consapevolezza che
quei beni sarebbero, prima o poi, divenuti proprietà dei popoli al
momento sottomessi ma con la precisa prospettiva che un giorno sarebbero
appartenuti alla nazione post coloniale.
Nè si può sostenere che dato il trascorrere
del tempo quelle infrastrutture sarebbero divenute obsolescenti perché
ancora negli anni ’80 nel momento in cui la cooperazione Italo-Somala
raggiungeva i livelli più alti furono finanziati progetti per la
riattivazione sia della ferrovia con prolungamento fino Lugh-Ferrandi,
sia per le saline di Hafun. Tutto poi fu bloccato dallo scoppio della
guerra civile del ’90-’91
TRATTO DA:
https://italiacoloniale.com/2018/10/17/somalia-preda-bellica-degli-inglesi/?fbclid=IwAR0w667Gsqdnrlf1PXtA2CtEvlQ4OPkzV55kVxROqPmmcFZRU1tIzf8bfpc
TRATTO DA:
https://italiacoloniale.com/2018/10/17/somalia-preda-bellica-degli-inglesi/?fbclid=IwAR0w667Gsqdnrlf1PXtA2CtEvlQ4OPkzV55kVxROqPmmcFZRU1tIzf8bfpc
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