venerdì 27 ottobre 2017

La radice dei nostri mali economico-sociali: la separazione tra capitale e lavoro.



La globalizzazione ci consente oggi di essere aggiornati in tempo reale rispetto ad una miriade di informazioni provenienti dai più disparati angoli dei mondo e di ottenere in tempi rapidissimi, attraverso internet, dati che prima erano accessibili solo a costo di lunghe ricerche.
Tutto questo però ha una suo lato negativo. La nostra mente infatti rischia di essere sopraffatta da tale mole di informazioni e di perdere la sua qualità più importante: la capacità di critica, di “intus” (=dentro) “legere” (=leggere), di “leggere dentro” le notizie. Rischiamo cioè di accumulare nozioni ma di perdere la nostra intelligenza.
Ciò è vero soprattutto per quanto riguarda la situazione economico-sociale. Gli “esperti” ci sommergono di cifre e di termini criptici e super-specialistici (“rapporto deficit/PIL”, “quantitative easing”, “pareggio di bilancio”, “bilancia dei pagamenti”), ma cosa veramente capiamo noi dell’economia?
Soprattutto: cosa capiamo delle vere cause che hanno indotto questa grave crisi economico-sociale strutturale iniziata nel 2007 e tuttora perdurante?
Il distributismo (distributismomovimento.blogspot.com) a questo proposito può essere di grande aiuto.

Riflettiamo insieme: qual è il fenomeno economico-sociale che sta alla base delle costante instabilità economica del sistema capitalistico e della evidente progressiva accumulazione di beni e risorse nelle mani di una sempre più ristretta elitè di persone?
 
La risposta è molto semplice: la separazione tra capitale e lavoro.
Cosa vuol dire “separazione tra capitale e lavoro”?
Vuol dire che si considera buono e giusto che da una parte ci sia chi sia possessore del capitale e dall’altra chi offra la propria attività lavorativa. Non quindi capitale e lavoro uniti nelle stesse persone, cioè nel lavoratore che è anche proprietario dei mezzi di produzione e che quindi ha un ruolo attivo in tutte le fasi decisionali dell’attività produttiva ed è anche destinatario finale dei proventi di tale attività ma una netta separazione tra la figura del proprietario e del lavoratore. Non quindi due uomini liberi, ma la divisione tra un uomo libero ed un uomo “dipendente”.

Questa modalità di intendere l’attività economica ciclicamente si affaccia alla ribalta della storia: il mondo romano per esempio, dopo un periodo iniziale in cui aveva prevalso la distribuzione della proprietà produttiva, di natura prevalentemente agraria, progressivamente, anche con l’affermarsi della schiavitù, avanzò verso una sempre più rigida separazione tra capitale e lavoro, un’affermazione che comportò immediatamente il sorgere di problemi economico-sociali molto simili ai nostri (impoverimento generale della classe media, concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi). Speculazioni economiche e finanziarie erano all’ordine del giorno nella Roma imperiale ed il popolo ne subiva le conseguenze.
L’avvento del cattolicesimo rivalutò invece enormemente il lavoro come principale fattore dell’economia e primario creatore di valore, arricchendolo di una dimensione sacrale e corredentrice, ed allo stesso tempo condannò fortemente l’usura, cioè il diritto del capitale a rigenerarsi dal nulla attraverso il prestito ad interesse.
Il monachesimo diffuse dovunque il motto “ora et labora”, ponendo appunto il lavoro e la dimensione spirituale dell’esistenza, e non il capitale, al centro dello sviluppo economico. Questo consentì secoli di stabilità e prosperità economica, che incominciarono ad incrinarsi nel momento in cui, con il Rinascimento, il mondo occidentale iniziò lentamente ad abbandonare gli insegnamenti morali della Chiesa in campo economico, per intraprendere ancora una volta la strada della separazione tra capitale e lavoro.

La Firenze di Lorenzo De Medici del XV secolo segna in questo senso il passaggio di un’epoca: Lorenzo De Medici può considerarsi ad tutti gli effetti il precursore della figura del banchiere, dell’imprenditore e del politico moderno, che da una parte trae immensi profitti dalla separazione tra capitale e lavoro, essendo possessore di capitali, dall’altra cerca di imbonire le masse con il “panem et circenses”.

Fu poi l’Inghilterra del XVI sec., con Enrico VIII e la sottrazione delle immense proprietà della Chiesa Cattolica, che passarono dall’uso comune all’impiego capitalista da parte di una ristretta cerchia oligarchica di grandi famiglie, svincolato dagli insegnamenti morali della Chiesa. Ciò segno l’avvio in grande stile di quel sistema economico che si caratterizza per l’assoluta centralità della separazione tra capitale e lavoro: il capitalismo
 Nel 1694 la fondazione della Banca d’Inghilterra, di proprietà privata, segnò la definitiva conquista del capitale sullo Stato, in quanto per la prima volta veniva affidata a dei banchieri privati la proprietà della moneta a corso legale al momento dell’emissione. 
 Si diede cioè ad un gruppo di capitalisti privati il monopolio della produzione monetaria ed il diritto di creare questa moneta dal nulla solo ed esclusivamente come debito dello Stato e dei cittadini.
Tale debito, destinato inevitabilmente a crescere in maniera esponenziale, sarebbe poi stato ripagato dallo Stato stesso, attraverso le tasse od una restrizione dei servizi dei pubblici. 
Il modello della Banca d’Inghilterra fu poi esteso nel corso dei secoli a tutte le altre nazioni (la creazione nel 1913 della Federal Reserve rappresenta una tappa importante di questo processo). Si spiega così e solo così il fatto che in tutto il mondo Stati, imprese e cittadini sono sempre più indebitati con il sistema bancario.

Nel corso dei secoli successivi fu il liberalismo a dare ulteriore impulso alla separazione del capitale dal lavoro. Il liberalismo infatti “liberò” il capitale da ogni residuo freno di ordine morale, consentendone l’ulteriore sviluppo sotto il profilo finanziario. Il turbo-capitalismo dei nostri giorni, il totale dominio della finanza sull’economia reale, non è quindi altro l’esito finale di questo processo dalle radici ben più profonde.

Che fare dunque?
E’ inutile cercare di porre qualche toppa alle continue falle che il sistema capitalistico continua a presentare. Non si può procedere con una visione miope dei fatti, reiterando poi sempre e comunque, con una vera e propria coazione a ripetere, gli stessi errori che sono alla base della grave crisi odierna.
E’ necessario prendere atto che il capitalismo è fallito perché fallimentare è il principio che sta alla base della sua prassi operativa: la separazione tra capitale e lavoro.
 
Bisogna quindi armarsi di buon senso e ragionevolezza e procedere nella direzione del distributismo, che in maniera netta e chiara pone l’unione tra capitale e lavoro come uno dei caposaldi irrinunciabili di ogni ordine economico-sociale che voglia essere equo, prospero ed umanamente soddisfacente.
Per informazioni: distributismomovimento.blogspot.com

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