LA MONETA NON E’ UNA MERCE. ESSA APPARTIENE AL MONDO DELLE IDEE.
Volete essere proprietari o debitori della vostra moneta? Preferite pensare o essere pensati?
Che cosa si intende per merce? Marx direbbe che è un oggetto esterno che soddisfa i bisogni umanii.
Secondo altre fonti la merce sarebbe un bene economico naturale o, tecnicamente, prodotto suscettibile di essere scambiato con altri beni o contro denaroii. Già da queste definizioni si percepisce immediatamente che merce e denaro sono oggetti che rivestono funzioni distinte.
Il valore monetario non è una merce, non è materia.
La
moneta non prevede affatto il “do ut des”, ossia lo scambio di bene
contro bene. Se così fosse si sarebbe rimasti ancorati al baratto, senza
il bisogno di inventarsi uno strumento che avesse un diverso fine.
È
notorio che proprio per superare la scomodità del baratto la società ha
previsto e convenuto uno strumento che avesse un incentivo specifico,
ossia consentisse lo scambio di beni attraverso il denaro.
Pertanto la particolare utilità della moneta risiede nell’accordo sociale tra consociatiiii.
La moneta è strumento di raccordo, un “medium” che consente lo scambio di merci.
Il
cittadino accetta moneta in previsione del fatto che altre persone a
loro volta saranno disposte ad accettare moneta contro beni.
Il
valore della moneta è un prodotto del pensiero dell'uomo, senza il
quale l'oggetto non avrebbe alcuna utilità. Questa nasce nel momento in
cui ci si rapporta ad un futuro più o meno prossimo nel quale si ha
fiducia nel fatto che la stessa moneta potrà essere spesa. È questo
processo mentale che conferisce valore autentico alla moneta. Pertanto il valore della moneta sta nell’attività mentale dei cittadini, a cui di conseguenza, spetta la proprietà.
La moneta dunque, come direbbe a squarciagola Platone, appartiene al mondo delle idee.
Come
tale deve essere riconosciuta agli uomini vivi, perché è da essi che
nasce e senza essi non esisterebbe. In nessun modo il valore della
moneta può individuarsi nel supporto cartaceo che, merceologicamente, è
carta e inchiostro. Tanto meno nella moneta elettronica. In effetti il
simbolo (banconota) riveste la sola funzione di rendere percepibile ai
sensi il bene in questione, attribuendone la titolarità al portatore,
che giuridicamente è concetto differente da proprietario.
Semplificando:
Il possesso è situazione precaria legata al fatto che la moneta possa
esplicare la propria funzionalità di produrre ricchezza. La proprietà
diritto romano insegna, è il dominio totale sull’oggetto, compreso usus,
abusus, fructus. Ancora una volta è l’approccio psicologico che segna
il passo, è il tempo che fa la differenza: precarietà vs sicurezza.
A
conferma di ciò portiamo ad esempio l’episodio avvenuto a Luco de Marsi
(L'Aquila), dove i familiari di un defunto hanno ritrovato otto milioni
delle vecchie lire in una busta e che purtroppo, oggi, non hanno più
alcun valore.
E’ di tutta evidenza che il simbolo monetario è rimasto inalterato. La composizione merceologica risulta intatta.
Cosa dunque è cambiato? È venuta meno l’accettazione, la fiducia da parte dei cittadini negli altri uomini. Mancando
la convenzione sociale viene meno il valore che, lo ripetiamo, è un
modo di essere dello spirito umano, dovuto alla previsione. Essa è cioè
tempo, non spazio, e la vita senza tempo non esisterebbe. La
moneta, quando è imposta da fantasmi giuridici senza contenuto umano,
non consente di stabilire con chiarezza chi è il proprietario, e uno
strumento senza chi lo adopera non è pensabile.
Quando
la sostanza viene attribuita a questi enti si ha come risultato il
privare l’uomo della sua attività previsionale, della sua coscienza, e
con essa del frutto della propria attività mentale. È così che si è
realizzato l’oltreuomo nicciano, con il carattere distintivo del
pensiero e in più la peculiarità dell’immortalità. Se all’uomo si toglie
la facoltà di pensare non resta altra alternativa che l’essere pensato.
Le scuole che affermano che a dare
valore alla moneta sarebbero le tasse accettano dunque di essere
pensati, annichilendo ogni facoltà dell’intelletto umano.
Ecco che siamo strumenti, oggetti.
Come
si è giunti a ciò? Confondendo appositamente e sapientemente il valore
monetario che è convenzione, e non, valore creditizio. Il denaro misura
il valore, non è esso stesso il valore misurato, un valore in sé, cioè
non vale come fede di deposito. Anche un bambino capirebbe che un pezzo
di carta non può valere un capo di abbigliamento, o un carrello della
spesa. Il denaro però è anche valore della misura. Della misura,
non del valore misurato, ed è in questo che consiste il valore
monetario: nell'induzione di valore ad opera di chi accetta quella
moneta come strumento per scambiarsi beni economici. I valori esplodono
così in un’attività mentale collettiva.
Oggi
la moneta non nasce se non ci si indebita, ed è così che l’uomo viene
spogliato di quanto gli spetta. Infatti il valore creditizio esaurisce
la sua funzione una volta che il pagamento è stato effettuato, mentre il
denaro continua a circolare. Pertanto attraverso una stretta creditizia
il creditore, in realtà solo apparente, si attribuisce una ricchezza
sostanzialmente creata da altri.
La
titolarità di un bene va riconosciuta all’uomo in quanto dona benessere
spirituale, sicurezza, previsione del futuro. Le linee di pensiero che
negano questa evidenza hanno solo un obiettivo: spogliare il cittadino del valore da lui prodotto e quindi delle sue proprietà.
Una
conferma di ciò la troviamo nella Sentenza della Corte Costituzionale
n. 216/2015, che accoglie il ricorso di cittadini avverso il decreto
legge 6 dicembre 2011 n. 201, emanato dal governo Montiiv. Il provvedimento de quo anticipava di tre mesi la “cessazione di convertibilità” delle lire in euro, che sarebbe dovuta avvenire il 28 febbraio 2012.A seguito del decreto legge i ricorrenti reclamavano grave nocumento derivante dall’impossibilità sopravvenuta, di convertire le lire nella nuova valuta denominata in euro, per un controvalore di € 27.543,67.
Con
un tratto di penna il governo ha cancellato il potere d’acquisto
inglobato nelle banconote, lasciando i ricorrenti con un pugno di
mosche. La Consulta ha dichiarato il provvedimento governativo lesivo,
tra gli altri, anche dell’Art. 42 (che salvaguarda la proprietà da
minacce esterne), oltreché dell’Art. 3 e 117 della Costituzione.
In
pratica, la Corte ha accolto le doglianze dei ricorrenti mettendo in
evidenza come il valore derivi dalla legge che è convenzione, la quale
non sarebbe nemmeno pensabile in un mondo di morti e non-enti.
Non è il simbolo (carta o bit sul computer) che conferisce il valore, ma la fiducia umana in un altro essere umano.
Se
quindi il valore per nascere necessita dell’uomo è all’uomo che ne va
riconosciuta la proprietà.
E’ qui che sta la rivoluzione auritiana.
Non
esiste nessuna coperta corta, non è una questione di plusvalore
sottratto ai lavoratori e non si tratta neppure di ottenere il massimo
impiego, che è “mission” del Federal Reserve System per poter ottenere
un innalzamento dell’inflazione.
La faglia è infinitamente più profonda e
vede contrapposto il popolo tutto che lavora, contro i detentori del
bene giuridico moneta.
Senza rarità monetaria, concetto caro alla teoria
classica, neoclassica e moderna, non si potrebbe drenare ricchezza dal
ceto popolare e lavoratore.
La
moneta oggi si comporta come un bene esclusivamente economico: più è
resa rara, maggiore valore assume. Ed è per questo che il sistema è
orientato all’export, per incamerare quanta più valuta possibile. Ed è
per lo stesso motivo che nascono le concentrazioni delle multinazionali,
non a caso sotto forma giuridica di fantasma.
Il legislatore deve
intervenire colmando il vuoto giuridico sui valori convenzionali,
facendo finalmente chiarezza.
Con questa sentenza si è fatto un primo
passo che ha però bisogno di essere perfezionato attraverso il diritto,
che è della stessa sostanza della moneta: forma e realtà spirituale,
intelletto.
E la sub-stantia non può che essere lo spirito umano.
“Il valore non è mai una qualità della materia ma una dimensione dello spirito” G. Auriti
Il 18.11.2016
Per Scuola di Studi Giuridici e Monetari “Giacinto Auriti”
Dott.ssa Sara Lapico
note
iii L’ordinamento internazionale del sistema monetario, Giacinto Auriti, Solfanelli.
Nessun commento:
Posta un commento