domenica 20 novembre 2016

La moneta non è una merce. Il caso delle lire fuori corso

moneta pinocchio

LA MONETA NON E’ UNA MERCE. ESSA APPARTIENE AL MONDO DELLE IDEE.
Volete essere proprietari o debitori della vostra moneta? Preferite pensare o essere pensati?

Che cosa si intende per merce? Marx direbbe che è un oggetto esterno che soddisfa i bisogni umanii.
Secondo altre fonti la merce sarebbe un bene economico naturale o, tecnicamente, prodotto suscettibile di essere scambiato con altri beni o contro denaroii. Già da queste definizioni si percepisce immediatamente che merce e denaro sono oggetti che rivestono funzioni distinte.

Il valore monetario non è una merce, non è materia.
La moneta non prevede affatto il “do ut des”, ossia lo scambio di bene contro bene. Se così fosse si sarebbe rimasti ancorati al baratto, senza il bisogno di inventarsi uno strumento che avesse un diverso fine.
È notorio che proprio per superare la scomodità del baratto la società ha previsto e convenuto uno strumento che avesse un incentivo specifico, ossia consentisse lo scambio di beni attraverso il denaro.
Pertanto la particolare utilità della moneta risiede nell’accordo sociale tra consociatiiii.
La moneta è strumento di raccordo, un “medium” che consente lo scambio di merci.

Il cittadino accetta moneta in previsione del fatto che altre persone a loro volta saranno disposte ad accettare moneta contro beni.  
Il valore della moneta è un prodotto del pensiero dell'uomo, senza il quale l'oggetto non avrebbe alcuna utilità. Questa nasce nel momento in cui ci si rapporta ad un futuro più o meno prossimo nel quale si ha fiducia nel fatto che la stessa moneta potrà essere spesa. È questo processo mentale che conferisce valore autentico alla moneta. Pertanto il valore della moneta sta nell’attività mentale dei cittadini, a cui di conseguenza, spetta la proprietà.

La moneta dunque, come direbbe a squarciagola Platone, appartiene al mondo delle idee.
Come tale deve essere riconosciuta agli uomini vivi, perché è da essi che nasce e senza essi non esisterebbe. In nessun modo il valore della moneta può individuarsi nel supporto cartaceo che, merceologicamente, è carta e inchiostro. Tanto meno nella moneta elettronica. In effetti il simbolo (banconota) riveste la sola funzione di rendere percepibile ai sensi il bene in questione, attribuendone la titolarità al portatore, che giuridicamente è concetto differente da proprietario.
Semplificando: Il possesso è situazione precaria legata al fatto che la moneta possa esplicare la propria funzionalità di produrre ricchezza. La proprietà diritto romano insegna, è il dominio totale sull’oggetto, compreso usus, abusus, fructus. Ancora una volta è l’approccio psicologico che segna il passo, è il tempo che fa la differenza: precarietà vs sicurezza.
A conferma di ciò portiamo ad esempio l’episodio avvenuto a Luco de Marsi (L'Aquila), dove i familiari di un defunto hanno ritrovato otto milioni delle vecchie lire in una busta e che purtroppo, oggi, non hanno più alcun valore.
E’ di tutta evidenza che il simbolo monetario è rimasto inalterato. La composizione merceologica risulta intatta.
lire nascoste
Cosa dunque è cambiato? È venuta meno l’accettazione, la fiducia da parte dei cittadini negli altri uomini. Mancando la convenzione sociale viene meno il valore che, lo ripetiamo, è un modo di essere dello spirito umano, dovuto alla previsione. Essa è cioè tempo, non spazio, e la vita senza tempo non esisterebbe. La moneta, quando è imposta da fantasmi giuridici senza contenuto umano, non consente di stabilire con chiarezza chi è il proprietario, e uno strumento senza chi lo adopera non è pensabile.
Quando la sostanza viene attribuita a questi enti si ha come risultato il privare l’uomo della sua attività previsionale, della sua coscienza, e con essa del frutto della propria attività mentale. È così che si è realizzato l’oltreuomo nicciano, con il carattere distintivo del pensiero e in più la peculiarità dell’immortalità. Se all’uomo si toglie la facoltà di pensare non resta altra alternativa che l’essere pensato.  

Le scuole che affermano che a dare valore alla moneta sarebbero le tasse accettano dunque di essere pensati, annichilendo ogni facoltà dell’intelletto umano.
Ecco che siamo strumenti, oggetti.
Come si è giunti a ciò? Confondendo appositamente e sapientemente il valore monetario che è convenzione, e non, valore creditizio. Il denaro misura il valore, non è esso stesso il valore misurato, un valore in sé, cioè non vale come fede di deposito. Anche un bambino capirebbe che un pezzo di carta non può valere un capo di abbigliamento, o un carrello della spesa. Il denaro però è anche valore della misura. Della misura, non del valore misurato, ed è in questo che consiste il valore monetario: nell'induzione di valore ad opera di chi accetta quella moneta come strumento per scambiarsi beni economici. I valori esplodono così in un’attività mentale collettiva.
Oggi la moneta non nasce se non ci si indebita, ed è così che l’uomo viene spogliato di quanto gli spetta. Infatti il valore creditizio esaurisce la sua funzione una volta che il pagamento è stato effettuato, mentre il denaro continua a circolare. Pertanto attraverso una stretta creditizia il creditore, in realtà solo apparente, si attribuisce una ricchezza sostanzialmente creata da altri.
La titolarità di un bene va riconosciuta all’uomo in quanto dona benessere spirituale, sicurezza, previsione del futuro. Le linee di pensiero che negano questa evidenza hanno solo un obiettivo: spogliare il cittadino del valore da lui prodotto e quindi delle sue proprietà.
Una conferma di ciò la troviamo nella Sentenza della Corte Costituzionale n. 216/2015, che accoglie il ricorso di cittadini avverso il decreto legge 6 dicembre 2011 n. 201, emanato dal governo Montiiv. Il provvedimento de quo anticipava di tre mesi la cessazione di convertibilità” delle lire in euro, che sarebbe dovuta avvenire il 28 febbraio 2012.A seguito del decreto legge i ricorrenti reclamavano grave nocumento derivante dall’impossibilità sopravvenuta, di convertire le lire nella nuova valuta denominata in euro, per un controvalore di 27.543,67.
Con un tratto di penna il governo ha cancellato il potere d’acquisto inglobato nelle banconote, lasciando i ricorrenti con un pugno di mosche. La Consulta ha dichiarato il provvedimento governativo lesivo, tra gli altri, anche dell’Art. 42 (che salvaguarda la proprietà da minacce esterne), oltreché dell’Art. 3 e 117 della Costituzione.
In pratica, la Corte ha accolto le doglianze dei ricorrenti mettendo in evidenza come il valore derivi dalla legge che è convenzione, la quale non sarebbe nemmeno pensabile in un mondo di morti e non-enti.
Non è il simbolo (carta o bit sul computer) che conferisce il valore, ma la fiducia umana in un altro essere umano.  

Se quindi il valore per nascere necessita dell’uomo è all’uomo che ne va riconosciuta la proprietà. 
E’ qui che sta la rivoluzione auritiana. 
Non esiste nessuna coperta corta, non è una questione di plusvalore sottratto ai lavoratori e non si tratta neppure di ottenere il massimo impiego, che è “mission” del Federal Reserve System per poter ottenere un innalzamento dell’inflazione. 
La faglia è infinitamente più profonda e vede contrapposto il popolo tutto che lavora, contro i detentori del bene giuridico moneta. 
Senza rarità monetaria, concetto caro alla teoria classica, neoclassica e moderna, non si potrebbe drenare ricchezza dal ceto popolare e lavoratore.

La moneta oggi si comporta come un bene esclusivamente economico: più è resa rara, maggiore valore assume. Ed è per questo che il sistema è orientato all’export, per incamerare quanta più valuta possibile. Ed è per lo stesso motivo che nascono le concentrazioni delle multinazionali, non a caso sotto forma giuridica di fantasma. 
Il legislatore deve intervenire colmando il vuoto giuridico sui valori convenzionali, facendo finalmente chiarezza. 
Con questa sentenza si è fatto un primo passo che ha però bisogno di essere perfezionato attraverso il diritto, che è della stessa sostanza della moneta: forma e realtà spirituale, intelletto.
E la sub-stantia non può che essere lo spirito umano.

Il valore non è mai una qualità della materia ma una dimensione dello spirito” G. Auriti
Il 18.11.2016
Per Scuola di Studi Giuridici e Monetari “Giacinto Auriti”
Dott.ssa Sara Lapico

note
iii L’ordinamento internazionale del sistema monetario, Giacinto Auriti, Solfanelli.

Nessun commento:

Posta un commento