Lino Patruno
A chi lo dici che ci vuole più Stato al Sud. A chi lo dici che lo
Stato si è ritirato dal Sud come se il Sud fosse un’altra Italia, una
diversamente Italia. E lasciamo stare lo storico Galli della Loggia che fa come
il maestrale da queste parti: nasce, pasce e muore. Nel senso che se ne
scandalizza alle feste comandate e amen, magari scambiando la vittima per il
colpevole. Non basta denunciare che il Sud è un mondo a parte per la sua
disoccupazione, per il basso sviluppo, per il crollo demografico, per i suoi
servizi, i suoi treni, la sua criminalità e arrivederci alla prossima sparata.
Bisogna dire anche perché. Non cavandosela col dito puntato (giustamente) sulle
Regioni, che ci infestano però solo dal 1970. E con zero in condotta anche al
Nord.
Se lo Stato non c’è,
lo Stato dica perché. E se anche il Sud continua a chiamarsi Italia pur senza
avere il piacere di esserlo come altri, chi lo denuncia (giustamente) non se ne
ritorni in vacanza con l’aria convinta di aver fatto la sua. Grazie per non aver
pensato a malformazioni genetiche dei meridionali, essendosi per questo già
ridicolizzato un Lombroso. Ma è più generico della comparsa in un film accusare
“una storia infelice caratterizzata da un’antica indigenza e da secoli delle più
varie forme di malgoverno”.
E’ vero che lo Stato
ha significato stessa lingua, stesse regole, stessi uffici pubblici. Ma non ha
significato stessa presenza. Non ha significato stesse risorse a disposizione
come qualsiasi statistica dimostra. Né stessa attenzione. Insomma non lo hanno
deciso i meridionali di retrocedere in serie B. E se la loro società civile è
sempre stata così poco civile, non è che il resto d’Italia può suonare tante
campane. E se tutto è peggiorato anche al Sud dal 1970 in poi, già allora il
danno era fatto, già allora la
partenza non era affatto alla pari.
Lo Stato al Sud non ha
significato neanche stessa legalità. Metti questa storia di Valenzano, immediata
provincia di Bari. Dove su una mongolfiera in onore di san Rocco, appare la
dedica di una tal famiglia Buscemi, clan malavitoso molto noto alla patria
giustizia. Come nella peggiore storia siciliana o calabrese degli inchini di
statue di patroni, cristi e madonne davanti a casa del boss. E lasciamo stare
l’improvvido sindaco che, replicando alle accuse di mafia, perde l’occasione per
denunciarla denunciando invece chi avrebbe voluto infangare la sua popolazione.
Sistema rapido per fare (sia pure a sua insaputa) un favore ai
mafiosi.
Allora ci si chiede:
possibile che nessuno si sia accorto di nulla? Non è che una mongolfiera è un
palloncino che scappa di mano ai bambini. Chi l’ha preparata, chi vi ha apposto
la scritta, chi l’ha trasportata (fra l’altro per un volo non autorizzato). E
non è che dire Buscemi in una cittadina di soli 18mila abitanti è come dire un
Catacchio o un Lopedote qualsiasi. Questi comitati di feste patronali. Anche (lo
permetta) questa chiesa, ancorché poi netta nel parlare di vicenda blasfema e
scandalosa. Qualcuno doveva porsi domande, magari solo dissociarsi dicendo che
la sera della processione aveva altro da fare. Nessuno lo ha fatto: tutti
mafiosi?
No, tutti sfiduciati
verso lo Stato. Tutti convinti che esporsi in prima linea non è igienico visto
che lo Stato non solo non previene ma poi non protegge quanto serve. Con le
leggi o con i carabinieri. Meno che mai anticipa, visto che ormai ogni
ricorrenza religiosa può essere l’occasione per l’antiStato di dimostrare di
dominare il territorio al posto dello Stato. E la commissione parlamentare
antimafia sempre pronta a sapere tutto il giorno
dopo?
Non bisogna fare torto
a tutti i comitati antipizzo del Sud, a tutti i sindaci-coraggio, a tutti quei
ribelli positivi la cui rete sta facendo al Sud più bene di tanti ministri. Agli
imprenditori edili che in Puglia conducono una guerra santa non solo alla
tangente ma anche al sottosviluppo che le mafie portano. Re-esistenza. Ma da
nessuno si può pretendere che faccia l’eroe. Più magistrati, più posti di
blocco, più pene, meno compromessi e meno cavalieri solitari che guadagnano i
titoli sui giornali ma poi quasi tutto resta come sta. Non è un invito
all’omertà. Ma sia chiaro che l’omertà non è condivisione ma appunto sfiducia.
Verso chi non riesce a eliminare neanche un posteggiatore
abusivo.
E’ solo un esempio
della cosiddetta ritirata dello Stato nazionale dal Meridione. Si può anche
essere d’accordo con della Loggia su un futuro del Sud sul quale si va sempre
più chiudendo la soffocante prigione di una differenza immutabile con gli altri.
A chi lo dice, appunto. Certo il Sud dovrebbe mettere più mano alle sue trombe.
Isolare le sue zavorre, smascherare le sue pigrizie. Ma lo Stato non può far
correre (si fa per dire) i suoi treni al Sud a 64 chilometri orari e poi dire
che schifo i meridionali, tanto poi al Nord c’è l’alta velocità.
Nessun commento:
Posta un commento