giovedì 1 settembre 2016

LE ULTIME ORE DI VEZZALINI E DEL FASCISMO


Maurizio Barozzi


Racconterò le ultime ore in armi di ENRICO VEZZALINI, già prefetto di Ferrara e poi di Novara, uomo di fiducia di Pavolini e già a capo del PFR ferrarese, una delle più belle figure di fascista, fucilato a guerra finita anche con il consenso del "magistrato" baciapile Oscar Luigi Scalfaro.

Farò uno stringato riassunto di ricerche storiche precise che feci molti anni addietro anche su documenti di archivio e con incrocio diretto di testimonianze. 

Lasciate perdere le rievocazione edulcorate e false di vari scrittori neofascisti, tutte tese a nascondere varie infamità e tradimenti, al fine di proteggere le fortune elettorali di vari furfanti riciclatisi nel MSI, e quelle degli antifascisti di cui non vale neppure la pena accennare.
Come sapete, Mussolini all'alba del 26 aprile 1945, con uno spezzone di governo, aveva proseguito per Menaggio sull'Alto lago, circa 30 Km. dopo Como, e lì prese ad attendere i fascisti armati in arrivo da Milano, via Como.
Ma i comandanti fascisti arrivati da Milano la mattina a Como, assieme a circa 4 mila fascisti ben armati, si fermarono nella cittadina e ben presto si sfaldarono. Pesò anche il fatto che molti fascisti si erano portati dietro le famiglie.

In realtà, in alcuni comandanti, era prevalso il desiderio di arrendersi agli Alleati (con cui alcuni erano anche in contatto da tempo), salvare la pelle e magari riciclarsi come anticomunisti.
Un desiderio, in quelle tremende ore, umanamente comprensibile, ma scellerato e infame se si considera che ci si sarebbe poi dovuto mettere a disposizione degli Alleati, i nostri peggiori nemici, liquidando ogni realizzazione socialista della RSI.

E così, praticamente, fecero finire il fascismo in modo indecoroso e il Duce, abbandonato, venne poi catturato.

Come notò Bruno Spanpanato, che li inchiodò alle loro responsabilità, quella mattina, giunti a Como, sarebbe bastato non fermare i motori e proseguire verso il Duce.
A Como, a metà mattinata oramai la situazione era compromessa e neppure comandanti di polso come Colombo e Pavolini potettero fare più nulla. Avevano dilapidato una forza di migliaia di fascisti armati e ben decisi, lasciandoli, con quella sosta, in balia di voci incontrollate e profferte di salvezza che venivano da ogni parte.

Eppure in quel momento, a Como e dintorni, non c'era traccia di partigiani e il CLN locale contava solo sette elementi attivi e qualche decina in incognito. Con questi elementi, a cui poi si aggiunsero due agenti americani: Salvadore Guastoni e Giovanni Dessì, i fascisti, partito Pavolini per Menaggio per andare dal Duce, si misero a trattare. E fu la fine.

A notte Romualdi, più alta autorità partito Pavolini e Vincenzo Costa ultimo federale di Milano, sottoscrissero una vergognosa tregua, di fatto una "resa" che lasciò Mussolini solo a Menaggio senza una colonna armata. Una "tregua" che comportava anche la consegna di Mussolini agli Alleati, con la scusa di salvarlo, ma senza sapere se Mussolini fosse d'accordo.
Tanto più grave in quanto si sapeva che era in arrivo a Como, da Bergamo, una colonna di quasi tremila fascisti, al comando di Facduelle (generale, capo di stato maggiore delle Brigate Nere) potentemente armati, di cui i partigiani locali erano terrorizzati.



Come sappiamo poi, Romualdi e Costa, in qualche modo, si misero in borghese e vennero fatti scappare salvando la pelle. Cosa che non avvenne per Colombo e tanti altri fascisti catturati.
Lo scrittore Alessandro Zanella, nella sua inchiesta fece una giusta e sacrosanta considerazione:
“Basterebbe che un “Capo” desse l’ordine di marcia per far ritrovare ai militi la loro anima guerriera e la fede nel loro ideale. Invece no. I capi sono invischiati nelle sale delle Prefettura dove il Comitato di Liberazione sa già di aver partita vinta ed è pronto ad assumere il comando ufficiale della situazione senza colpo ferire: la maggiore preoccupazione è quella di allontanare le formazioni armate fasciste delle quali si ha, in fondo, una gran paura”.

Non a caso una relazione anonima, attribuendo il crollo fascista al particolare clima che si viene a verificare in città, è intitolata: “A Como e non a Dongo è finita la RSI.”.
Premesso quanto sopra torniamo a ENRICO VEZZALINI, che arrivò a Como al mattino quando Pavolini non c’era perchè era momentaneamente andato a Menaggio da Mussolini.
Proveniente da Genova dove aveva assolto ad un incarico per il salvataggio del porto per conto di Mussolini e non avendo trovato il Duce a Milano, Vezzalini si era precipitato a Como. Questa la testimonianza del capitano Carlo Tortonesi del Reparto autonomo Corazzato della BN Mobile “Attilio Pappalardo”, il quale si era sistemato attorno alla Federazione di Como:
“... ho visto arrivare di corsa Vezzalini, che aveva già il soprabito macchiato di sangue e qualche ferita al volto”.

Enrico Vezzalini, dopo aver invano cercato il Duce in Prefettura, chiede dove fosse Pavolini e Tortonesi gli dice che forse è su in Federazione. Vezzalini di corsa sale in Federazione, ma ne discende profferendo le seguenti e significative parole:
“Caro Tortonesi, non è in federazione, qui c’è soltanto chi vuol salvare la pelle”!
Infuriato si rivolge agli astanti, mostrando un giornale:
L’ho comprato così vestito (e indica la camicia nera) un ora fa a piazza Cardusio a Milano. Nessuno mi ha toccato. Perché siete fuggiti vigliacchi?”.
Vezzalini quindi decide di partire per Menaggio per incontrare sia Mussolini che Pavolini.
A metà strada si incontra con Pavolini il quale stava tornando a Como con l'ordine di Mussolini di portargli una colonna armata.
Ma come sappiamo Pavolini a Como ritrovò una situazione oramai compromessa, e nel tardo pomeriggio non gli restò altro da fare che ripartire per Menaggio, con Utimpergher e pochi altri, per andare a morire con il Duce.
Si accodò anche Vezzalini anche lui tornato poi a Como.
Ricordano vari presenti che nello sfascio di Como, di chiacchiere se ne facevano tante: “"C'é Mussolini, andiamo tutti là a dare una mano!". Però, tutti si stavano squagliando”.

Vezzalini, che nel frattempo, dopo essere arrivato a Menaggio anche lui era ridisceso a Como, con un paio di autoblindo del gruppo Corazzato Leonessa e con il loro tenente Giulio Morandi, un paio di ufficiali e quattro carristi, imboccherà la stessa strada di Pavolini per arrivare dal Duce.
E così il Duce si vide arrivare questo gruppetto, senza le camice nere armate promessigli.
Ricorda Pietro Carradori, l'attendete di Mussolini:
“E' probabile che il Segretario del Partito (Pavolini, n.d.r.) abbia convocato di sopra tutte le autorità presenti, perché li trovai tutti là fuori: Zerbino, Liverani, Daquanno, Porta e così via. “Chiamate pure gli altri” disse il Duce. Giunsero tutti, uno per uno. Tutta la stanza era piena. Arrivarono anche Utimpergher e Vezzalini.
Fu allora che Pavolini fece la sua relazione.
Aveva con sè solo tre autoblindo, con pochissimi uomini, inoltre c’era una colonna tedesca di autocarri in ritirata, disarmata o quasi. ...
A Como aveva trovato lo sfracello: i fascisti si erano dileguati, le truppe arrivate in città avevano dato credito alla voce che il Duce fosse scappato in Svizzera. Tanto che Romualdi convinto dell’inutilità di versare sangue fratricida, aveva aderito all’invito del nemico di far disarmare “questi ragazzi”.

Tutto ciò era l’opposto di quanto Pavolini aveva pensato di realizzare con le sue categoriche disposizioni date la mattina prima della partenza. Purtroppo, riferì Pavolini, quelli del CLN avevano avvicinato Romualdi dicendo:
“Che cosa volete più sperare? Mussolini è in Svizzera. Oramai tutto è finito. E’ inutile fare spargimenti di sangue. A voi diamo un lasciapassare, già pronto, per farvi tornare a casa.
Non vi sarà torto un capello. I soldati buttano le armi e sono liberi di tornare alle loro case, dove vogliono; anche le Brigate Nera e i bersaglieri. Romualdi ha abboccato.
A Como levavano le armi ai fascisti, mano a mano che arrivavano con ogni mezzo, gli davano questo foglio e dopo poche centinaia di metri li prendevano e li portavano nelle caserme e in campo di concentramento. Tutti, tranne una cinquantina di vecchi fascisti che non avevano voluto aderire all’invito di farsi disarmare e, perciò c’erano state delle sparatorie”.
Aggiunge Carradori:
Mussolini ascoltò impassibile. Immobile, serio.
Era teso, disgustato,
finalmente si rivolse a Paolo Porta e, rinfacciandogli la vanteria di Como (aveva promesso almeno 1500 fascisti irriducibili), l’apostrofò: “Dove sono i vostri mille e cinquecento uomini disposti a portarmi in salvo dovunque desidero ed a ogni evenienza?” Abbassò la testa e aggiunse: “Fino all’ultimo mi avete tradito, mi avete ingannato”….”.

Vezzalini attestò di avere delle autoblindo. Disse che alle sei in mattinata Romualdi a Como deve dare una risposta al CLN. Propose che prima di arrendersi, lui con due autoblinde avrebbe cercato di tornare a Como per organizzare una colonna magari con le forze che vi stavano ancora arrivando, portando un messaggio di Pavolini per Romualdi.
Mussolini approvò ed ancora una volta si dimostra la sconfessione piena di quanto si intendeva, anzi si stava facendo a Como!
Non restò, infatti, al Duce e a Pavolini, che prendere la decisione di partire in qualche modo a notte inoltrata, accodandosi ai tedeschi e superando Menaggio per andare verso la Valtellina.
Nel frattempo Pavolini aveva affidato a Vezzalini il pericoloso compito di tornare a Como per consegnare una lettera a Romualdi dove si chiedeva un ultimo sforzo per radunare quanti armati possibile e arrivare a Menaggio.

Il tenente Morandi sta per prendere lui l’incarico, quando si era avvicinato Vezzalini che disse: “Dalla a me la lettera, Pavolini”.
Ricorda ancora Carlo Tortonesi:
“Dirò che il Duce era in quel giorno sereno, calmo, direi bello, come non l’avevo visto mai.... “Tortonesi” mi disse Vezzalini, “dobbiamo tornare subito a Como. Ordine del Duce”... Non fu più possibile cavare di bocca una sola parola a Vezzalini, di modo che io non seppi, né ho saputo mai, quale fosse l’incarico preciso a lui affidato””.

E così Vezzalini tornò verso Como e sarà catturato strada facendo, essendo oramai la strada sotto controllo di partigiani dell'ultima ora, sbucati dopo lo sfascio di Como, ma comunque affiderà l’incarico di consegnare la lettera a Feliciani (già vice comandante della GIL, ora alla Divisione Italia, come capitano dei bersaglieri), che era andato con lui.

Secondo A. Zanella e lo raccontò anche il tenente Giulio Morandi, Vezzalini vuole assecondare una manovra di Pavolini che intende utilizzare due autoblinde della Leonessa per far credere che in una ci sia Mussolini. Quindi Vezzalini rischia grosso per salvare il Duce.
Quindi a Menaggio, annotò Ermanno Amicucci (già direttore del Corriere della Sera):
“Tutti gli animi erano turbati perché si era perduta una giornata inutile nella vana attesa di una colonna che cominciava a diventare un fantasma”.
A tarda sera Mussolini e il suo seguito consumeranno una misera cena calda preparata da una ausiliaria.
Nel refettorio della scuola, ricorda Feliciani, Mussolini si sfogò con gli astanti profferendo una specie di requisitoria. Dirà Marcello Fabiani (ex questore di Bologna), ivi presente:
Sentii da Mussolini cose che non avrei mai pensato, su amici e nemici, ...e troppi ne uscirebbero ora bollati anzitutto come uomini”.

E così Vezzalini, con il tenente Morandi Feliciani, ecc. tornò verso Como e sarà catturato strada facendo, essendo oramai la strada sotto controllo dei partigiani.
In quei drammatici frangenti Vezzalini consegnò al Tenente Morandi il proprio impermeabile macchiato di sangue per la ferita riportata dicendogli:
“"C'é dentro la lettera di Pavolini: butta tutto nel lago, mi hanno forse riconosciuto!"”.
Malgrado le rimostranze dei carristi, i quali vorrebbero restare con lui, Vezzalini ordina loro di proseguire e viene arrestato.

Per la lettera comunque verrà affidato l’incarico di consegnarla a Romualdi, a Feliciani, che in qualche modo gliela farà avere, per quel che oramai poteva valere.

Il resto lo conoscete. A notte alta il gruppo di camion tedeschi e i fascisti di Menaggio, decisero di unirsi per proseguire.
Ma fu una trappola perchè i tedeschi oramai arresisi avevano anche ordine di lasciar prendere il Duce (il Generale delle SS Wolf si era venduto Mussolini durante le sue trattative con gli Alleati a Berna, quindi aveva messo attorno a Mussolini un gruppetto di SS agli ordini del tenente Birzer, con la scusa di proteggerlo, ma in realtà per tenerlo sotto controllo. Il progetto era di farlo prendere dai partigiani, senza far apparire che lo avevano consegnato loro).

A Como, al primo mattino, intanto, a tregua oramai firmata, a quelle poche centinaia di fascisti rimasti, radunati attorno a Romualdi e Costa, gli venne spiegata la situazione e la raggiunta "tregua" con l'inesistente CLN e i due agenti americani.
Scrisse il tenente Enrico Mariani (già capo dell’Ufficio politico all’XI Brigata Nera comasca "Cesare Rodini"): fotografando perfettamente e spietatamente la situazione:
“Romualdi era in divisa e occupava l’ufficio del Federale di Como. Con lui ricordo c’erano diversi fra i quali Pasella, il baritono Giampieri e altri. Passai con loro nell’ufficio tutta la notte del 26 aprile. Della Federazione di Como eravamo alla Casa del Fascio solo io, il capitano Ciceri e due altri di cui non mi ricordo il nome.
So che dopo la riunione dei Federali che avvenne al mattino Romualdi, esortato da qualcuno, si affacciò alla loggia interna della Casa del Fascio di Como. La stessa Casa del Fascio era gremita di fascisti, militi, ausiliarie provenienti da diversi parti, e disse qualche parola a quei fedeli che attendevano direttive.
Mi ricordo che il Romualdi disse presso a poco così: “Pavolini è andato a Menaggio e ritornerà a Como col Duce il quale (incredibile!) ci darà ancora la vittoria”.
Si vede che non sapeva neanche lui cosa dire. E’ uno di quegli oratori che parlano alla folla con la mentalità dei mercanti da fiera”.
In mattinata, quindi, una colonna di rimanenti fascisti prese a dirigersi verso la Valle d'Intelvi, luogo concordato per la farlocca "resa e la consegna agli Alleati, ma appena in strada vennero circondati da una folla eccitata. Chi offriv"a fiaschi di fino per fargli deporre le poche armi rimaste, chi minacciava e così via
Si scompaginarono ben presto e potettero fare solo poche centinai di metri prima di essere catturati.
Per molti, nonostante gli accordi di resa e le promesse, si prospettò una brutta fine.
Ma come abbiamo visto, ci fu anche chi venne fatto mettere in salvo
.
NON CI SONO DUBBI: QUEL GIORNO, ERA MORTO IL FASCISMO, ED ERA NATA LA SUA ORRIBILE E PENOSA CONTROFIGURA:
IL MSI
.

Tratto da:
https://www.facebook.com/maurizio.barozzi.7/posts/1445773442116187

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