ROMANIA. CEAUSESCU VENNE FATTO FUORI PERCHE' VOLEVA LIBERARSI DALLE DIPENDENZE DELLA BANCA MONDIALE DEI ROTHSCHILD
La storia vera della fine di Ceausescu e della dittatura in Romania. Altro che rivoluzione ... colpo di stato straniero ...
Ogni tanto incontro qualcuno che mi racconta qualcosa che finisce nei file obsoleti dell' hard disk per poi saltar fuori quando meno te lo aspetti, nello specifico tempo fà incontrai un meccanico Rumeno parecchio acculturato che mi disse che la storia raccontateci su Nicolae Ceausescu erano tutte palle. Perchè ne parlo ora ? Perchè gli attori son sempre gli stessi FMI, CIA, KGB e compagnia danzante. Ho raccolto una serie di articoli per raccontare la vera storia che non differisce da tante altre e ne è anche accomunata, una serie di articoli perchè ognuno tratta una parte della storia e preferisco in genere lasciare gli originali aggiungendo qualche commento quando serve.
La storia inizia il giorno che Ceausescu arriva a Teheran per incontrare Gheddafi e Khomeyni, a Timisoara in Romania il reverendo Laszlo Tokes diede il via alla rivolta, vedremo dopo i dettagli, quì stà il bello se così si può chiamare ...
14 Ottobre 2012
In generale ci fidiamo poco delle
rivoluzioni. Prese di Palazzi d’Inverno, marce su Roma, primavere arabe
sono più che altro colpi di Stato. Ci aveva già avvertito un pamphlet
scritto nel 1931 da Curzio Malaparte, testimone del sorgere di comunismo
e fascismo: le rivoluzioni moderne sono colpi di Stato. Dunque, non
avevamo dubbi sul fatto che a quella categoria appartenesse anche la
rivoluzione rumena del dicembre 1989, quella che culminò con la
fucilazione del dittatore Nicolae Ceausescu e di sua moglie Elena.
Ciò che potevamo solo immaginare, tutto il contorno di tradimenti, complicità interne ed estere, opportunismi e crimini, lo ha raccontato con dovizia di particolari Grigore Cristian Cartianu, caporedattore del più letto quotidiano romeno, in un libro che ha interessato parecchio i suoi connazionali. Sono circa duecentomila le copie vendute in patria di “La fine dei Ceausescu”, un’accuratissima inchiesta giornalistica, frutto di una ricerca ventennale. Possiamo leggerla anche noi italiani grazie all’editore Aliberti e al traduttore e curatore Luca Bistolfi.
Ciò che potevamo solo immaginare, tutto il contorno di tradimenti, complicità interne ed estere, opportunismi e crimini, lo ha raccontato con dovizia di particolari Grigore Cristian Cartianu, caporedattore del più letto quotidiano romeno, in un libro che ha interessato parecchio i suoi connazionali. Sono circa duecentomila le copie vendute in patria di “La fine dei Ceausescu”, un’accuratissima inchiesta giornalistica, frutto di una ricerca ventennale. Possiamo leggerla anche noi italiani grazie all’editore Aliberti e al traduttore e curatore Luca Bistolfi.
Il puzzle composto da Cartianu, che in
Romania si è già arricchito di altri due volumi, mostra una realtà molto
più squallida di quella propagandata dal nuovo corso rumeno. Il
giornalista afferma che se ci fu una giusta rivolta popolare contro il dittatore, finì il 22 dicembre 1989, giorno della fuga in elicottero dei Ceausescu. Poi iniziò la controrivoluzione ben più sanguinaria, responsabilità non del despota in fuga ma degli esponenti del regime più vicini all’Urss. Cartianu
chiama pesantemente in causa anche Ion Iliescu, primo ministro fino a
pochi anni fa, il quale pare abbia replicato più con insulti che con
argomenti.
Ma procediamo con ordine, torniamo a quel dicembre 1989: la perestrojka di Gorbaciov sta sgretolando la Cortina di Ferro, il Muro è appena crollato. Alla fine di novembre il “Conducator” Ceausescu è stato riconfermato ed idolatrato come duce del paese, ancora fresche sono dichiarazioni di stima di insigni personalità, anche italiane, come Giulio Andreotti e Nilde Iotti. Però il vecchio dittatore comunista non intende accettare le novità di Mosca, meno che mai mettere in discussione il suo potere ultra quarantennale, il culto della sua personalità e della compagna Elena (la scienziata che ha collezionato lauree in tutto il mondo senza aver finito le elementari). Un mese dopo i due finiranno “ammazzati come bestie selvatiche”.
Dato che la Romania non si sta adeguando alle riforme democratiche e liberali, Bush padre e Gorbaciov si son trovati d’accordo sulla necessità di detronizzare Ceausescu. Con ogni mezzo necessario. Non è una missione impossibile, l’Urss è penetrata da anni dentro la Romania, ha fedeli nell’esercito, presso il ministero dell’Interno, nella polizia segreta, la famigerata Securitate. Agli uomini del Cremino non era piaciuta affatto la presa di posizione di Ceausescu contro l’invasione della Cecoslovacchia del 1968, né l’ostentata rivendicazione di sovranità nazionale. Ecco il perché degli uomini fidati nei posti giusti, ora finalmente utili. Inoltre, in quel dicembre ’89 molti sovietici attraversarono il confine con la Romania, troppi per non destare dubbi: quasi settantamila (con visto turistico NdR). Il popolo non amava certo Ceausescu, voleva liberarsene, ma i moti popolari non furono del tutto spontanei. Qui potrebbero finire le responsabilità dirette del Cremino (con la complicità statunitense) e cominciare quelle di chi applaudiva fino a qualche giorno prima, di chi volle quasi un rito espiatorio per mondarsi mediaticamente dal peccato comunista.
Ma procediamo con ordine, torniamo a quel dicembre 1989: la perestrojka di Gorbaciov sta sgretolando la Cortina di Ferro, il Muro è appena crollato. Alla fine di novembre il “Conducator” Ceausescu è stato riconfermato ed idolatrato come duce del paese, ancora fresche sono dichiarazioni di stima di insigni personalità, anche italiane, come Giulio Andreotti e Nilde Iotti. Però il vecchio dittatore comunista non intende accettare le novità di Mosca, meno che mai mettere in discussione il suo potere ultra quarantennale, il culto della sua personalità e della compagna Elena (la scienziata che ha collezionato lauree in tutto il mondo senza aver finito le elementari). Un mese dopo i due finiranno “ammazzati come bestie selvatiche”.
Dato che la Romania non si sta adeguando alle riforme democratiche e liberali, Bush padre e Gorbaciov si son trovati d’accordo sulla necessità di detronizzare Ceausescu. Con ogni mezzo necessario. Non è una missione impossibile, l’Urss è penetrata da anni dentro la Romania, ha fedeli nell’esercito, presso il ministero dell’Interno, nella polizia segreta, la famigerata Securitate. Agli uomini del Cremino non era piaciuta affatto la presa di posizione di Ceausescu contro l’invasione della Cecoslovacchia del 1968, né l’ostentata rivendicazione di sovranità nazionale. Ecco il perché degli uomini fidati nei posti giusti, ora finalmente utili. Inoltre, in quel dicembre ’89 molti sovietici attraversarono il confine con la Romania, troppi per non destare dubbi: quasi settantamila (con visto turistico NdR). Il popolo non amava certo Ceausescu, voleva liberarsene, ma i moti popolari non furono del tutto spontanei. Qui potrebbero finire le responsabilità dirette del Cremino (con la complicità statunitense) e cominciare quelle di chi applaudiva fino a qualche giorno prima, di chi volle quasi un rito espiatorio per mondarsi mediaticamente dal peccato comunista.
La rivolta di Timisoara fece cadere
Ceausescu nella trappola di ordinare la repressione più violenta, di
imporre la legge marziale che lo porterà alla tomba. Salita la marea
della protesta, non rimase ai due coniugi che un fuga penosissima, con
tappa simbolica nella casa di un esperto in derattizzazioni. Catturati
da chi fino a qualche ora prima ubbidiva loro, il dittatore e la moglie
furono costretti a mangiare pane raffermo, dormire su letti di ferro e a
fare i bisogni dentro un bidone di plastica. L’ultima notte la
passarono dentro un mezzo anfibio, il giorno dopo, 25 dicembre, “primo
Natale libero dopo quasi mezzo secolo di comunismo anticristiano”, i
congiurati avevano già deciso la condanna a morte, lasciando cadere la
proposta d’esilio avanzata da Washington.
La parabola dei Ceausescu si chiuse con la beffarda nemesi, un processo stalinista fuori da ogni minima tutela giuridica, risolto in poco più di un’ora. Come andò a finire si vide nella televisioni di tutto il mondo, anche se con qualche taglio nel montaggio: i loro cadaveri crivellati contro un muro.
La parabola dei Ceausescu si chiuse con la beffarda nemesi, un processo stalinista fuori da ogni minima tutela giuridica, risolto in poco più di un’ora. Come andò a finire si vide nella televisioni di tutto il mondo, anche se con qualche taglio nel montaggio: i loro cadaveri crivellati contro un muro.
Iniziava un’epoca di pace per la
Romania? Mica tanto, se il buongiorno si vede dal mattino. E se il
mattino fu quello del 14 giugno 1990, quando il governo finalmente “democratico” della Romania decise di sedare definitivamente gli spiriti di rivolta e libertà accora accesi.
Spedì così a Bucarest dalla provincia remota ventimila minatori armati di sbarre di ferro,
tutti convinti di dover sedare un complotto “fascista”. Per due giorni
seminarono il terrore in città aggredendo oppositori, giornalisti e
persone prese a caso.
Eccola, la Rivoluzione..
_______________________________________________________________
1. La Romania entra nel GATT, nel FMI e nel BIRD
Tra il 1967 e il 1968, alcuni passi intrapresi dal governo romeno
gettarono le basi per un cambiamento significativo nei rapporti di
Bucarest con Washington. Infatti nel 1967 la Romania mostrò la propria
autonomia nei riguardi di Mosca con un paio di iniziative che vennero
positivamente apprezzate dagli Stati Uniti: all’inizio dell’anno
Bucarest stabilì rapporti diplomatici con la Repubblica Federale Tedesca
e, in seguito alla guerra dei sei giorni, rifiutò di rompere le
relazioni diplomatiche con Israele, come invece avevano fatto le altre
capitali del Patto di Varsavia. Sempre nel 1967, in marzo, Ceausescu
organizzò una calorosa accoglienza per Nixon, che in quel momento vedeva
declinare la propria popolarità negli Stati Uniti. Nell’agosto del
1968, Ceausescu rifiutò di allinearsi con gli altri paesi del Patto di
Varsavia nella questione cecoslovacca; anzi, condannò energicamente
l’intervento sovietico, annunciò la mobilitazione immediata del popolo
romeno per difendersi da un eventuale intervento di quel genere, si
oppose alle manovre militari del Patto di Varsavia sul territorio
romeno.
In seguito a ciò, le relazioni tra gli Stati Uniti d’America e la
Romania registrarono un cambiamento significativo. Eletto nel 1969 alla
presidenza statunitense, Richard Nixon si recò in visita ufficiale a
Bucarest e accolse Ceausescu negli Stati Uniti nell’ottobre 1970 e nel
dicembre 1973. In occasione di questa seconda visita, i due presidenti
firmarono una dichiarazione comune, nella quale si parlava di relazioni
basate su uguaglianza di diritti, di rispetto della sovranità e
dell’indipendenza nazionale, di non ingerenza nelle faccende interne e
di vantaggio reciproco, di rifiuto dell’uso della forza. Negli anni
successivi, Ceausescu avrebbe citato spesso questi principi, allorché
dovette respingere le richieste statunitensi relative ai “diritti
umani”, appellandosi al fatto che esse rappresentavano un atto di
ingerenza nelle faccende interne della Romania.
Il presidente Gerald Ford ricevette Ceausescu nel giugno 1975 e
restituì la visita nell’agosto di quel medesimo anno. Nel periodo della
presidenza di Ford, come già al tempo di Nixon, i ministri degli esteri
romeni e i segretari di Stato statunitensi, ma anche altri membri dei
due governi, effettuarono visite reciproche quasi ogni anno.
Le relazioni tra i due paesi, a parte le manifestazioni di amicizia,
ebbero anche una certa sostanza. Per esempio, il governo romeno fu utile
all’amministrazione Nixon nell’instaurazione di rapporti confidenziali
tra Washington e Pechino, nel periodo che precedette la visita di Henry
Kissinger in Cina del 1969.
I due paesi firmarono numerosi accordi economici e culturali. La
Romania diventò membro di diverse istituzioni economiche e finanziarie
internazionali, come l’Accordo Generale per le Tariffe e il Commercio
(GATT), il Fondo Monetario Internazionale (FMI), la Banca Internazionale
per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BIRD) e fu bene accolta dappertutto
in Occidente, essendo considerata un paese indipendente nel quadro del
Patto di Varsavia.
Il commercio tra gli Stati Uniti e la Romania crebbe fino a superare,
nel 1974, i 400 milioni di dollari; ma questa crescita era ostacolata
dalla mancanza del trattamento speciale che viene accordato dagli Stati
Uniti con la clausola della nazione più favorita. Tale clausola, che
come è noto comporta un vantaggio nelle tariffe doganali, venne
accordata alla Romania per la prima volta nel 1975, quando il Congresso
statunitense adottò la “Legge del Commercio del 1974” e permise al
presidente degli Stati Uniti di estendere al campo comunista la
concessione della clausola della nazione più favorita. La clausola
diventò così il simbolo delle relazioni speciali tra gli Stati Uniti e
la Romania, essendo la più importante concessione fatta a Bucarest dalle
amministrazioni Nixon e Ford. Il Congresso di Washington approvò
l’accordo commerciale con la Romania alla fine del luglio 1975 e le
nuove tariffe entrarono in vigore il 3 gennaio 1976, in applicazione
della clausola della nazione più favorita. Grazie alle basse tariffe
doganali, le esportazioni della Romania negli Stati Uniti passarono, tra
il 1975 e il 1977, da 133 milioni di dollari a 233,3 milioni di
dollari. Nel 1985 ammontavano a 949,7 milioni di dollari.
Inoltre, la clausola della nazione più favorita rese possibile che la
Romania beneficiasse dei crediti della Banca di Export-Import.
In una misura considerevole, il rinnovo annuale della clausola diventò
il principale strumento dell’amministrazione statunitense per
influenzare il comportamento della Romania. La Sezione 402 della “Legge
del Commercio del 1974”, nota come emendamento Jackson-Vanik, vietava
l’estensione della clausola a un paese che non avesse un’economia di
mercato, come era appunto il caso della Romania, e negava ai propri
cittadini la possibilità di emigrare; tuttavia, l’emendamento prevedeva
che il presidente statunitense potesse ricevere assicurazioni che “le
procedure di emigrazione porteranno in futuro, in modo considerevole, a
realizzare lo scopo proposto circa la libertà di emigrazione”. Gli
Stati Uniti usarono la Sezione 402 per convincere il governo romeno a
consentire l’emigrazione di oltre 180.000 persone nel periodo compreso
tra il 1975 e il 1988 – anno, quest’ultimo, in cui la clausola della
nazione più favorita cessò di essere applicata alla Romania. In questi
quattordici anni l’emigrazione dalla Romania si diresse essenzialmente
verso tre paesi: Repubblica Federale Tedesca, Stati Uniti, Israele.
L’emigrazione ebraica dalla Romania (soprattutto verso la Palestina e
gli Stati Uniti) era già cominciata negli anni cinquanta; Ceausescu
lasciò che proseguisse, “in cambio di molto denaro, s’intende, e
dell’aiuto della comunità ebraica americana per ottenere la famosa
clausola di nazione più favorita negli scambi commerciali con gli Stati
Uniti” (1).
In questo periodo gli Stati Uniti cominciarono a legare il mantenimento
della concessione della clausola non solo alla questione
dell’emigrazione, ma anche ad altri aspetti della dottrina dei “diritti
umani”: la libertà religiosa, la liberazione dei dissidenti in stato
d’arresto, le privazioni economiche.
Inoltre, la “Legge del Commercio del 1974” consentì all’amministrazione
statunitense di estendere il Regime Generalizzato di Preferenze
Doganali (GSP) non solo ai paesi in via di sviluppo, ma anche a quei
paesi comunisti che erano membri del Fondo Monetario Internazionale
(FMI) e dell’Accordo Generale per le Tariffe e il Commercio (GATT),
beneficiavano della clausola della nazione più favorita e non erano
controllati dal “comunismo internazionale”. Il Regime Generalizzato di
Preferenze Doganali (GSP) consentiva in maniera legale agli Stati Uniti
di godere di tariffe bassissime per certe importazioni provenienti dai
paesi in via di sviluppo.
La Romania si inquadrava nella definizione prevista per i paesi in via
di sviluppo, perché il governo degli Stati Uniti aveva stabilito che
l’indipendenza della Romania nei confronti di Mosca era sufficiente per
non considerarla come un paese controllato dal comunismo internazionale.
D’altra parte, la Romania era membro dell’Accordo Generale per le
Tariffe e il Commercio (GATT) e del Fondo Monetario Internazionale
(FMI). Una volta ricevuta la concessione della clausola della nazione
più favorita, la Romania si candidò a beneficiare del Regime
Generalizzato di Preferenze Doganali (GSP) e a tale regime essa venne
ammessa per un periodo di dieci anni a partire dal 1 gennaio 1976.
Un ostacolo nelle relazioni tra i due paesi insorse nell’ottobre 1982
(all’epoca della presidenza Reagan), quando il governo di Bucarest
decretò che i cittadini romeni che desideravano emigrare dovevano pagare
allo Stato una somma in valuta equivalente al costo della loro
scolarizzazione media e superiore. Il decreto contrastava apertamente
con quanto previsto dall’emendamento Jackson-Vanik, che escludeva dalla
concessione della clausola della nazione più favorita quei paesi i quali
imponevano ai loro emigranti una tassa che non fosse puramente
simbolica. Dopo mesi di negoziati confidenziali che non diedero alcun
risultato, nel marzo 1983 Reagan annunciò che non avrebbe rinnovato alla
Romania la concessione della clausola, che sarebbe scaduta il 30 giugno
di quell’anno, se la tassa per la scolarizzazione si fosse trovata
ancora in vigore a quella data. Dopo oltre due mesi di intense
discussioni, il governo romeno dovette cedere alle pressioni
statunitensi e rinunciò all’applicazione della tassa. Così il 3 giugno
1983 Reagan annunciò che la clausola veniva prorogata alla Romania per
un altro anno e il Congresso statunitense non si oppose alla decisione
del presidente.
La Romania conservò la clausola fino al 1988. Quando si trattava di
prorogarla “il gran rabbino di Bucarest Moses Rosen dava l’impressione
di essere un ministro degli esteri aggiunto (…) Rosen descrisse il
proprio atteggiamento con il proverbio yiddish ‘Den Ganef vor die Tir stelln‘: mettere il ladro a guardia della porta” (2).
La crescita del debito estero della Romania aggiunse un nuovo motivo di
irritazione nei rapporti di Bucarest con Washington. Nel corso del
1982 il debito estero romeno oltrepassava gli undici miliardi di
dollari, sicché il Fondo Monetario Internazionale (FMI) intervenne
ripetutamente presso Ceausescu, per spiegargli che per far fronte a tale
debito e risollevare le sorti dell’economia romena era indispensabile
accettare un credito a interessi crescenti. Si riproduceva così, nel
caso della Romania, quello che John Kleeves ha descritto come il copione
di prammatica nei rapporti tra FMI e dittatori quali Marcos, Mobutu,
Batista, Duvalier, Somoza ecc.:
“… la figura del dittatore filoamericano pazzo è importante: con i
suoi progetti megalomani di ‘sviluppo economico’ egli giustifica
l’accensione del megaprestito da parte del suo paese, in genere
finanziariamente poverissimo. Ma la sua parte non è finita. Egli sa
che il prestito non deve mai essere restituito: il FMI, nonostante le
raccomandazioni sulla carta, non lo vuole; vuole solo – e su ciò è
intransigente – il pagamento in dollari degli interessi annui. E’
chiaro il perché: solo finché c’è il debito ci sono le condizioni
capestro sull’economia interna. Egli sa anche che il prestito non deve
assolutamente servire per scopi utili, per far decollare l’economia del
paese: sarebbe di nuovo la fine del gioco. Quindi il dittatore cosa fa?
Ciò che veniamo a sapere dai giornali: usa una quota del prestito per
le sue opere inutili (i cui appaltatori sono in genere ancora le
multinazionali); un’altra per soddisfare l’entourage
locale di militari e politici che lo sostengono al potere, e il resto
viene versato sui suoi conti all’estero, in genere negli Stati Uniti”
(3).
A un certo punto, Ceausescu non volle più stare al gioco. E ciò determinò la sua fine.
1. Richard Wagner, Il caso romeno, Manifestolibri, Roma 1991, p. 98.
2. Ibidem.
3. John Kleeves, Finanziatori Militar Imperialisti, “Lo Stato”, 30 giugno 1998.
2. Chi volle la caduta di Ceausescu?
Il 22 novembre 1989 si apriva a Bucarest il XIV congresso del Partito
Comunista Romeno. Il messaggio di felicitazioni inviato da Gorbaciov al
“partito fratello” assomigliava, più che a una dichiarazione di
solidarietà, a una sprezzante ingiunzione di cambiamento. Ma il 23
novembre, nel discorso di chiusura che precedette la sua trionfale
rielezione alla segreteria del Partito Comunista Romeno, Nicolae
Ceausescu rispose per le rime, ricordando che il patto
tedesco-sovietico, denunciato qualche settimana prima a Mosca per quanto
riguardava la Polonia e i paesi baltici, sanciva anche un’ingiustizia
commessa ai danni della Romania interbellica, alla quale erano state
strappate e inglobate nell’URSS la Bucovina del Nord e la Bessarabia
(che l’URSS trasformò “Repubblica Socialista Sovietica di Moldavia”).
Ma, oltre a questo, il Conducator
metteva l’accento sull’indipendenza nazionale romena, ottenuta a prezzo
di pesanti sacrifici che avevano portato finalmente al saldo del debito
contratto con la Banca Mondiale.
E’ qui che deve essere cercata la causa della caduta di Ceausescu?
Nel corso di un’intervista giornalistica, venne rivolta a Marian
Munteanu (capo del Movimento per la Romania e animatore delle lotte
studentesche di Piazza dell’Università) la seguente domanda: “In che
misura si deve credere alla versione che ha presentato la caduta di
Ceausescu come l’effetto di un moto insurrezionale partito dal popolo? E
in che misura si può invece legittimamente parlare di un colpo di
Stato? In altre parole: non sarà che la fine di Ceausescu debba essere
ricondotta, principalmente, alla sua volontà di liberare la Romania da
ogni dipendenza nei confronti della Banca Mondiale?” Risposta di
Marian Munteanu: “E’ per me una gradita sorpresa constatare che Lei ha
avuto un’intuizione rara” (1).
La rara intuizione dell’intervistatore di Munteanu si fondava
semplicemente sull’osservazione dei fatti. I personaggi che si erano
insediati al potere dopo l’eliminazione di Ceausescu rappresentavano, in
maniera evidente, la convergenza di due linee. La prima era quella
degli interessi statunitensi (Petre Roman, Silviu Brucan, Dumitru
Mazilu, l’ex diplomatico Bogdan ecc.), la seconda era quella più
propriamente “gorbacioviana” (Ion Iliescu, Nicolae Militaru ecc.).
Gorbaciov voleva la fine di Ceausescu perché questi era contrario ad
accettare il programma di liquidazione dei regimi socialisti, sicché le
esigenze del Cremlino in relazione alla Romania coincidevano con quelle
degli ambienti usurocratici e mondialisti, danneggiati dalla politica
autarchica di Bucarest. Veniva quindi spontaneo pensare che
l’eliminazione di Ceausescu fosse stata decisa da Bush e Gorbaciov
nell’incontro di Malta, sui contenuti del quale è stato d’altronde
osservato il massimo segreto. Fatto sta che la campagna per la
demonizzazione di Ceausescu, effettuata dalla stampa e dalle televisioni
di tutto l’Occidente, ebbe inizio circa un anno prima della
“rivoluzione” romena. Anche dall’osservatorio italiano era possibile,
considerando i fatti con una certa attenzione, comprendere quali fossero
le forze che ispiravano l’attacco contro “il Dracula di Bucarest”. Non
è un caso, ad esempio, che in Italia l’avvio alla campagna di stampa
sia stato dato dal noto sionista Wlodek Goldkorn sulle pagine dell’
“Espresso”.
Marian Munteanu non poté negare che “effettivamente esisteva da tempo
una congiura, ispirata da centrali politiche estere per rovesciare il
regime”, anche se, ovviamente, ci tenne ad aggiungere che “è esistita
un’azione parallela, spontanea e indipendente, svolta da giovani che non
disponevano di nessun supporto organizzativo”. Insomma:
“l’insurrezione scoppiò in maniera, per così dire, naturale: solo in un
secondo tempo venne utilizzata e strumentalizzata da gruppi già
preparati che agivano secondo intendimenti propri. E questi gruppi
avevano legami col capitalismo internazionale e con gli Stati Uniti: è
un fatto che non è possibile negare” (2).
Tali legami, infatti, emergono evidenti dalle biografie di alcuni
protagonisti della “rivoluzione” del dicembre 1989. Vediamone un paio.
Silviu Brucan, (alias Samuil Bruekker o Bruckenthal), era l’ideologo
del Fronte di Salvezza Nazionale. Nato nel 1916 da famiglia ebraica, si
iscrisse al partito comunista nel corso degli anni trenta. Nel
settembre 1944, quando apparve il primo numero ufficiale di “Scanteia”,
organo del Comitato Centrale del Partito Comunista Romeno, Silviu Brucan
fu segretario generale di redazione. Dopo la guerra, prese parte
all’allestimento dei processi per la liquidazione degli uomini politici
rivali del PCR. Secondo fonti dell’emigrazione romena, ebbe il compito
di architettare artificiosamente una campagna antisemita pretestuosa
(3). Dal 1956 al 1958 fu ministro plenipotenziario della legazione
della Repubblica Popolare di Romania negli Stati Uniti d’America (fino
al 1964 la Romania non ebbe un ambasciatore a Washington). Quindi, fino
al 1962, fu a New York, dove rappresentò la Romania presso le Nazioni
Unite. In seguito a uno scontro con il ministro degli esteri Corneliu
Manescu, dovette andarsene dal ministero e accettare l’incarico di
vicepresidente del Comitato di Stato per la Radio e la Televisione,
incarico che tenne dal 1962 al 1967. Con l’arrivo al potere di
Ceausescu, l’uomo che aveva sostenuto Ana Rabinsohn Pauker e Gheorghe
Gheorghiu-Dej venne allontanato dalle funzioni politiche; benché privo
di diploma universitario, ricevette un posto di docente di Scienze
Sociali e di Sociologia all’Università di Bucarest. Pubblicò diversi libri di taglio politologico, che a partire dal 1971 sono stati sistematicamente editi negli Stati Uniti: The Dissolution of Power (Alfred Knopf, New York 1971), The Dialectic of World Politics (Macmillan, New York and London 1978), The Post-Brezhnev Era (Praeger, New York 1983), World Socialism at the Crossroads (Praeger, New York 1987), Pluralism and Social Conflict (Praeger, New York 1990, prefazione di Immanuel Wallerstein), The Wasted Generation. Memoirs (West View Press, Boulder 1993). All’inizio
del 1988 fu messo agli arresti domiciliari per una dichiarazione che
aveva rilasciata a Radio Europa Libera. Nel 1989 però era di nuovo in
circolazione: era spesso ospite dell’ambasciatore statunitense Roger
Kirk e di Michael Parmly, consigliere politico dell’ambasciata degli
USA. Al momento degli eventi che portarono alla caduta di Ceausescu,
Brucan rientrava dagli Stati Uniti, dopo aver fatto scalo a Mosca e
incontrato Anatoli Dobrynin, vecchia spia del KGB.
Petre Roman, anch’egli di famiglia ebraica, si era tenuto nell’ombra
fino ai giorni della “rivoluzione”. Suo padre Walter Roman (vero nome:
Neuländer), “era stato uno dei veterani delle Brigate Internazionali in
Spagna, per poi rifugiarsi, nel periodo della guerra, in Unione
Sovietica. Ritornato in Romania, diventerà l’uomo di fiducia di
Gheorghe Gheorghiu-Dej, predecessore di Ceausescu. E’ uno dei fondatori
della Securitate, dove aveva il grado di generale, al quale aggiungeva
quello di colonnello del KGB. (…) Dopo il fallimento della rivolta
ungherese del 1956, per ordine di Gheorghiu Dej incontrò Imre Nagy e lo
persuase a rifugiarsi in Romania… da dove sarà consegnato all’Unione
Sovietica. Walter Roman muore nel 1983, lasciando a suo figlio Petre
un’eredità sociale e politica. Quest’ultimo conosce tutti i vertici
della nomenclatura, tra i quali anche i figli di Ceausescu. Ma è
soprattutto un intimo di Brucan e di Iliescu” (4).
Il verbale5 della riunione tenuta la sera del 17 dicembre 1989
dall’ufficio esecutivo del Comitato Centrale del Partito Comunista
Romeno, alla vigilia della partenza del Conducator
Nicolae Ceausescu per Teheran, è fondamentale per interpretare la
“rivoluzione” romena del 1989 come un vero e proprio colpo di Stato. Da
questo verbale risulta che Ceausescu rimproverò il ministro
dell’interno Postelnicu, il ministro della difesa generale Milea, nonché
il comandante in capo della Securitate generale Vlad, perché non
avevano riportato l’ordine a Timisoara, dove si trovavano solo poche
unità, equipaggiate semplicemente con manganelli o con armi da fuoco
sprovviste di munizioni.
Il prof. Claude Karnoouh, specialista di problemi ungheresi e romeni,
ha dedotto che “i ‘massacri’ del 17 dicembre non furono niente altro che
una montatura architettata dai mezzi di comunicazione: le agenzie di
stampa e le stazioni radiofoniche jugoslave, ungheresi e sovietiche se
ne fecero immediatamente strumenti, moltiplicando i dispacci sulla
violenza degli scontri tra l’esercito e le truppe della Securitate.
Ora, se veramente vi fossero stati a Timisoara i 4.800 morti di cui si
parlò, si sarebbero dovuti pure contare, come minimo, dai 25.000 ai
30.000 feriti! In condizioni del genere, non si sarebbe più trattato di
una rivolta popolare, ma di una vera e propria guerra tra fazioni
contrapposte che usavano armi pesanti e forze aeree – cosa che
evidentemente non è stata. Inoltre, mentre il 22 e il 23 dicembre i
dispacci dell’agenzia sovietica Tass segnalavano combattimenti con armi
pesanti a Brasov, il bilancio tracciato poco dopo da un giornalista di
‘Le Monde’ si limitava a contare 61 morti e 120 feriti. A Cluj si sono
avuti 20 morti; nessun morto a Iasi, capoluogo della Moldavia romena,
né a Târgu Mures, capoluogo della regione ungherese, né a Ploiesti e a
Pitesti, le due grandi città industriali vicine a Bucarest. Nella
stessa Bucarest, nessuno ha mai potuto vedere, né in televisione né
altrove, i famosi pretoriani del regime. Tutt’al più si indovinava la
presenza di qualche franco tiratore isolato, mai identificato, al quale
soldati, miliziani e civili rispondevano con un autentico diluvio di
fuoco” (6).
Quanto ai “mercenari” (libici, palestinesi, siriani, iraniani e
addirittura nordcoreani) di cui si favoleggiò inizialmente, in capo a
qualche giorno non se ne parlò più. Erano stati inventati per
confermare il concetto che il tiranno era estraneo al popolo romeno (gli
vennero attribuite origini turche o zingare) e quindi poteva essere
difeso soltanto da pretoriani stranieri. Inoltre, la leggenda dei
“mercenari arabi” serviva perfettamente a collegare tra loro due
equazioni: “securista=terrorista” e “terrorista=arabo”. D’altronde la
demonizzazione di Ceausescu, che nel corso di più d’un anno di
propaganda mondiale era stato paragonato a Bokassa, a Idi Amin Dada e al
vampiro Dracula, aveva predisposto gli animi, in Romania e altrove, ad
accettare anche le menzogne più grossolane.
Ma vi sono anche altri elementi, secondo il prof. Karnoouh, che
rafforzano l’ipotesi del colpo di Stato. “Bisogna insistere a questo
riguardo sulla cronologia della giornata del 22 dicembre, che suggella
la caduta di Ceausescu. Alle dieci e mezzo del mattino il capo dello
Stato fugge. Un quarto d’ora più tardi Petre Roman, accompagnato da un
gruppo di studenti, penetra nell’edificio del Comitato Centrale,
considerato una delle fortezze della Securitate a Bucarest. Si può
constatare, oggi, che l’immobile non reca alcuna traccia di proiettili.
Chi era dunque a sparare? E su chi sparava? Nello stesso momento,
con un sincronismo perfetto, Ion Iliescu, capo del consiglio del Fronte
di Sicurezza Nazionale, arriva alla sede della radiotelevisione; qui il
poeta Mihai Dinescu annuncia ai microfoni la caduta del tiranno.
Strano sincronismo, per una guerra civile! In realtà, se davvero ci
fosse stata una guerra civile, avremmo assistito a scene simili a quelle
dell’invasione di Panama City da parte degli Americani, o ai
bombardamenti di Beirut, cosa che invece non è avvenuta. Inoltre, se
davvero una frazione dell’esercito e schiere di civili insorti si
fossero trovati a combattere contro la Securitate, Ceausescu e sua
moglie non sarebbero fuggiti immediatamente su un elicottero
dell’aviazione militare (e non su un aereo della Securitate) per
atterrare poi a 40 chilometri da Bucarest e farsi immediatamente
arrestare. Infine, qualora una tale ipotesi fosse reale, non si
spiegherebbe come mai gli uomini del consiglio del Fronte di Salvezza
Nazionale, che erano costretti alla residenza coatta o comunque
sottoposti a una sorveglianza speciale, non siano stati giustiziati, o
per vendetta o per privare il potere futuro delle sue élites
potenziali, politiche o intellettuali. Al contrario, fin dal momento
in cui fu dato l’annuncio della caduta di Ceausescu, i poliziotti
incaricati di vigilare su di loro sparirono come per incanto” (7).
L’interpretazione del prof. Karnoouh ha trovato una sostanziale
conferma, con l’aggiunta di dati ulteriori, nelle dichiarazioni
rilasciate nel corso di un’intervista giornalistica da Gelu Voican
Voiculescu, l’uomo del Fronte di Salvezza Nazionale che organizzò il
processo sommario contro Nicolae ed Elena Ceausescu e che
successivamente diventò vice primo ministro.
“La Securitate – ha detto Voican Voiculescu – era una forza molto
compatta e capace di reprimere ogni insurrezione. Il suo ruolo fu
provvidenziale, perché essa non sparò, ma si tirò da una parte e lasciò
Ceausescu privo di protezione. Anzi, il 18 dicembre il generale Vlad,
capo del Dipartimento di Sicurezza dello Stato, con un atto di sua
propria iniziativa aveva liberato tutti i detenuti politici che si
trovavano agli arresti presso la Securitate – e si trattava di un
certo numero di persone. Dunque esistono prove evidenti che la
Securitate aveva ricevuto l’ordine di non immischiarsi nei moti di
piazza. Di più: il piano che mirava a contrapporre la Securitate
all’Esercito venne sventato per iniziativa degli stessi generali che
dirigevano la Securitate, i quali intorno al 22 dicembre disposero che
la Securitate si subordinasse all’Esercito. Non fu un atto impensabile,
perché era previsto che in una situazione di guerra la Securitate si
integrasse nell’Esercito. Ma negli eventi in questione, tale decisione
fu presa il 22 dicembre; e a Timisoara non fu la Securitate a sparare
contro i dimostranti, ma, purtroppo, l’Esercito. Questo è anche il
motivo per cui, in una crisi di coscienza e di colpa, il capo
dell’Esercito generale Milea si suicidò – se non fu assassinato. E’ un
enigma irrisolto della nostra rivoluzione” (8).
Insomma, la “rivoluzione” romena non sarebbe riuscita senza l’apporto decisivo della Securitate.
*
La tesi del colpo di Stato guidato da potenze straniere venne enunciata
dallo stesso Ceausescu nel corso del processo sommario cui venne
sottoposto da parte degli uomini del Fronte di Salvezza Nazionale. “La
mia sorte è stata decisa a Malta”, ebbe a dire Ceausescu in quella
circostanza, alludendo all’incontro tra Bush e Gorbaciov; e aggiunse
che quelli che a Timisoara avevano sparato sulla folla erano agenti
segreti stranieri.
Gelu Voican Voiculescu ha dichiarato nel corso della medesima intervista:
“Noi non possiamo sapere che cosa sia stato deciso a Malta. Però è un
dato di fatto che la rivoluzione romena fu innescata dai servizi di
diverse potenze straniere. Nella misura in cui il terreno operativo era
di pertinenza dell’URSS, la presenza effettiva e la manodopera furono
fornite dal KGB. Nello stesso tempo, la CIA aveva installato una sua
centrale operativa a Budapest. Tra i due organismi spionistici vi fu
una stretta collaborazione. L’operazione prese il nome di ‘Valacchia
89’ e richiese l’impiego di mezzi cospicui. La Cia partecipò più che
altro con piani e fondi, il KGB con la logistica. Le posso dire, sulla
base di informazioni provenienti da fonti autorevoli, che dopo il 6
dicembre il numero dei turisti sovietici crebbe bruscamente di dieci
volte e a partire dal 16 dicembre vi furono in Romania 67.000 turisti
sovietici. Sono cifre esatte, che provengono dai punti di frontiera.
In genere, entravano in Romania automobili Lada, ciascuna con quattro
uomini a bordo, di età giovane o media. Sono significative, poi, le
registrazioni effettuate nelle camere d’albergo, anche se non tutti
questi strani turisti alloggiavano in albergo. La maggior parte entrò
dalla Jugoslavia e dall’Ungheria. A Timisoara forse operarono agenti
jugoslavi di nazionalità croata, sicuramente vi furono agenti ungheresi.
La TV ungherese praticamente diresse le operazioni.
“Adesso, disponendo delle informazioni cui ho avuto accesso, posso
formulare un’ipotesi: il 16-17 dicembre a Timisoara e il 21-22 a
Bucarest, questi servizi che preparavano il rovesciamento di Ceausescu
vollero fare una prova generale per valutare la situazione. Siccome
ritenevano che il popolo romeno fosse inerte e che gli organi repressivi
fossero fedeli a Ceausescu, gli ispiratori dell’operazione volevano
sapere quale sarebbe stata l’adesione della popolazione, come sarebbero
entrati in azione la Milizia, l’Esercito, la Securitate, il Partito, i
mezzi di comunicazione. Pensarono quindi di fare una prova a Timisoara e
nella capitale. Orbene, questo tentativo diede il via a un processo
che sfuggì loro di mano e li colse di sorpresa. Essi avrebbero voluto
fare scoppiare la rivolta il 30 dicembre o anche in gennaio, e invece
furono colti all’improvviso da un incendio generale che oltrepassava le
loro aspettative. Fu questo a paralizzarli, oltre al nostro
comportamento atipico. Noi infatti, nel nostro dilettantismo e
confusionismo, demmo a questi superprofessionisti l’impressione di agire
secondo un piano prestabilito che a loro sfuggiva. In realtà,
procedevamo alla cieca. Allora si bloccò qualcosa nel meccanismo degli
agenti stranieri. Essi fecero qualche provocazione, ma poi tutto
acquisì una sua dimensione e prese una sua via. Così Ceausescu cadde in
maniera assai rapida, praticamente in un giorno solo”.
Secondo l’ex vice primo ministro, “i servizi segreti stranieri avevano
lo scopo di smembrare la Romania come entità statale: il caos avrebbe
dovuto creare le premesse per l’ingresso di truppe straniere che
smembrassero il paese. Una proposta del genere, d’altronde, era stata
fatta da James Baker al Patto di Varsavia. L’URSS si sarebbe presa il
Delta del Danubio e la Moldavia fino ai Carpazi, la Bulgaria avrebbe
preso il Sud della Dobrugia, la Jugoslavia il Banato, l’Ungheria la
Transilvania. E’ normale che non sia stato previsto un successore a
Ceausescu, proprio perché si voleva produrre il massimo disordine. Nel
caos, inoltre, era prevedibile lo scoppio di una guerra civile tra la
Securitate e l’Esercito: si sapeva che sotto Ceausescu tra queste due
istituzioni c’era una certa rivalità.
“Inoltre gli eventi romeni di dicembre, monopolizzando gli schermi
televisivi di tutto il mondo, costituirono la cortina fumogena dietro
cui gli USA poterono tranquillamente commettere quell’abuso che fu il
rapimento di Noriega, il quale era comunque un capo di Stato, fosse o
non fosse un narcotrafficante; gli americani violarono la sovranità di
Panama con un vero e proprio atto di pirateria, approfittando
dell’intensa mediatizzazione dei fatti romeni” (9).
Da parte sua, l’ultimo ministro degli Esteri del governo comunista, Ion
Totu, nel periodo si trovava detenuto nel carcere di Jilava dichiarò
testualmente: Gli eventi del dicembre 1989 facevano parte di un vasto
programma di azione degli Stati Uniti e dell’Occidente (in primo luogo
l’Inghilterra) per destabilizzare l’URSS e gli altri paesi socialisti e
per attrarli nella sfera d’influenza del capitalismo; lo scopo
principale era che gli Stati Uniti dovevano restare l’unica superpotenza
mondiale, che decidesse a proprio piacimento. In questo programma, le
prospettive della Romania avevano come obiettivi principali: a) la
trasformazione del nostro paese in un avamposto militare, in una base
militare nell’Est europeo, ai confini con l’URSS; b) la trasformazione
del nostro paese in una semicolonia economica sottoposta agli stimoli e
alle richieste del capitale finanziario internazionale” (10).
1. Una conversazione con Marian Munteanu, intervista a cura di Claudio Mutti, “Orion”, dicembre 1992.
2. Ibidem.
3. Traian Golea, How the Condamnation of a Nation is staged, Romanian Historical Studies, Hallandale 1996, p. 12.
4. Radu Portocala, România. Autopsia unei lovituri de stat. In tara în care a triumfat minciuna, Agora Timisoreana, Bucuresti 1991, p. 97.
5.
Pubblicato il 10 gennaio 1990 dal quotidiano “Romania libera”
(Bucarest) e parzialmente ripreso il 17 gennaio 1990 da “Le Nouvel
Observateur” (Parigi).
6. A l’Est, du nouveau. L’exemple roumain, Entretien avec Claude Karnoouh, “Krisis”, n. 5, aprile 1990.
7. Ibidem.
8. Claudio Mutti, Quale fine per Ceausescu?, “Storia del XX secolo”, n. 9, gennaio 1996.
9. Ibidem.
TRATTO DA:
http://www.eurasia-rivista.org/come-e-perche-cadde-ceausescu/2478/
TRATTO DA:
http://www.eurasia-rivista.org/come-e-perche-cadde-ceausescu/2478/
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