di Andrea Giacobazzi
Ebrei e Rivoluzione
Se si
volesse guardare all’origine famigliare, si dovrebbe riscontrare che la
Rivoluzione russa fu un avvenimento considerevolmente ebraico. In questa
panoramica storica non indagheremo le ragioni di questa ampia
partecipazione, le lasceremo ai sociologi ed eventualmente ai
criptopolemologi. In ogni caso, l’instaurazione del socialismo vide tra i
suoi principali protagonisti talmente tanti soggetti
dall’inequivocabile ascendenza israelitica da far scrivere a Winston
Churchill:
Non c’è
bisogno di esagerare il ruolo giocato da questi Ebrei internazionali e
per lo più atei, nella creazione del Bolscevismo e nell’attuale
realizzazione della Rivoluzione Russa. E’ stato certamente un
importantissimo ruolo che ha inciso più di qualsiasi altro. […]
Così
Tchitcherin, un russo puro, viene eclissato dal suo simbolico subalterno
Litvinoff, e l’influenza di russi come Bukharin o Lunacharsky non può
essere paragonata al potere di Trotsky o di Zinovieff […][1].
Lo stesso Lenin poteva contare nella sua genealogia famigliare “un quarto” ebraico essendo suo nonno materno Israel(Alexander)
Blank, poi battezzato. Lo storico israeliano L. Rapoport, scrisse che
“subito dopo la Rivoluzione [Bolscevica], molti ebrei erano euforici
della loro presenza nel nuovo governo in un così alto numero. Il primo
Politburo di Lenin era dominato da uomini di origine ebraica”[2]. Un altro storico ebreo – L. Schapiro – sostenne che chiunque fosse caduto nelle mani della Cheka
aveva “ottime possibilità di trovarsi davanti ad un inquirente ebreo e
con ogni eventualità essere fatto fucilare da quest’ultimo”[3].
È generalmente riconosciuto che “molti ebrei parteciparono attivamente
alle purghe staliniane e occuparono posti-chiave nel famigerato sistema
dei Gulag”[4],
anche se a questo proposito bisogna sfatare il mito che vuole il
brutale sistema repressivo sovietico come una creazione di Stalin; Lenin
e il suo governo lo avevano ideato e sviluppato sensibilmente: ne
faranno le spese anche diversi ebrei.
Nel 1919,
anche l’effimera e sanguinosa esperienza della Repubblica Sovietica
Ungherese vide una “presenza ebraica” del tutto sproporzionata. Al
Memento Park di Budapest è ancora possibile vedere il Béla Kun, Jenő
Landler and Tibor Szamuely Memorial raffigurante tre esponenti di spicco
della Repubblica: tutti e tre di origine israelitica. Béla Kun, aveva
magiarizzato il suo nome che in origine era Khon, il padre era ebreo. Lo stesso Georg
Lukács, famigerato Ministro (commissario) – e censore – della Cultura
nel breve esperimento rosso ungherese, proveniva da una famiglia
ebraica.
Casi non
troppo dissimili si potevano riscontrare in altri Paesi che in seguito
formarono il Patto di Varsavia. Già nel 1936, il cardinale polacco A.
Hlond parlava di lotta degli ebrei contro la Chiesa Cattolica,
sottolineando come dalle fila israelitiche provenissero quei soggetti
che costituivano “l’avanguardia dell’ateismo, del movimento bolscevico e
delle attività rivoluzionarie”[5]. Quando dopo la guerra il socialismo fu impiantato in Polonia, lo stesso cardinale – come si scrisse sul Catholic Herald – denunciò: “Gli ebrei occupano i posti chiave nel governo polacco”[6]. J. Gunther, autore di Oltre la cortina,
riconobbe che “gli uomini che dominavano la Polonia erano ebrei, il
segretario generale del partito comunista cecoslovacco era ebreo, Ana
Pauker [Hannah Rabinsohn, alto dirigente del partito comunista e ministro degli esteri] in Romania era ebrea”[7],
in generale – come riferisce L. Canfora – si può dire che i vertici
delle “democrazie popolari”, specie in Cecoslovacchia, fossero “in larga
parte rappresentati da comunisti di origine ebraica”[8]. Appare quindi corretta[9] la definizione riportata in Questione ebraica e socialismo reale: “L’influenza ebraica nel partito comunista e nel governo [cecoslovacco] era considerevole”[10].
Sul
bollettino dei rifugiati ebrei in Gran Bretagna, Richard Yaffe non
nascondeva che – citiamo testualmente – il governo di Praga “con l’aiuto
di agenzie ebraiche americane, si mise a ricostruire sinagoghe ovunque
gli ebrei le volessero”. Poco dopo affermava addirittura: “In one case,
in the Sudetenland [Sudeti], where the Germans have been expelled and
which is being populated from other parts of the country, the Jews there
asked for synagogues, got them, and promptly departed for Israel”.
Parlando chiaramente di “supporto del governo”, diceva:
tutte le
spese delle sinagoghe, gli stipendi del rabbinato e di altri funzionari
sono a carico del regime: ricevono lo stesso stipendio del Primate
Cattolico. Le case di riposo per ebrei anziani sono in alberghi
requisiti. Il Dr. Unger [neurologo, dirigente della comunità ebraica] ha
detto: – “Abbiamo un grande beneficio, perché abbiamo ricevuto il
corretto riconoscimento dal Governo. Non c’è bisogno di mendicare denaro
al governo, essi vengono da me e continuano a chiedere se ne voglio di
più[11].
I toni
ottimistici qui riportati descrivevano un ruolo centrale nel governo di
Praga, ruolo che, come vedremo a breve, andrà verso un sostanziale
ridimensionamento di lì a qualche anno.
Quelli che
abbiamo riportato in relazione a Cecoslovacchia, Polonia, Ungheria, URSS
sono solo esempi minimali di un quadro ben più ampio. Trattandosi di
una panoramica non entreremo eccessivamente nei dettagli ma molto ancora
si potrebbe scrivere sui dati statistici riguardanti la “presenza
ebraica” nei vari organi degli Stati presi in esame e sulla parte non
secondaria avuta da molti soggetti con ascendenza israelitica nelle
varie fasi del cosiddetto “Terrore Rosso”.
Si può in
generale affermare che il peso degli ebrei fu ampio ma che – con
modalità diverse da Paese a Paese e in determinati casi attraverso
interventi esterni – gli esponenti delle etnie maggioritarie arrivarono
ad una successiva presa di coscienza, talvolta violenta, con la quale si
identificò la consistente presenza israelitica nei gangli dello Stato
come un fattore non positivo per gli interessi generali o come un vero e
proprio elemento di penetrazione straniera. In ambito sovietico, il
ridimensionamento numerico della componente ebraica procedette
concretamente con il consolidamento al potere di Stalin. Non solo
nell’URSS ma anche nelle repubbliche socialiste instaurate dopo il
secondo conflitto mondiale, si arrivò dopo alcuni anni ad un redde rationem, contornato di imprigionamenti ed esecuzioni.
Stalin e il sionismo
L’era di
Stalin coincise per decenni con l’affermazione in Europa di governi
nazional-corporativi: dal fascismo italiano, al salazarismo portoghese,
dal franchismo spagnolo al nazionalsocialismo tedesco, modelli diversi
ma che nel loro complesso non potevano non influenzare, almeno
indirettamente, l’uomo forte di Mosca. Non v’è dubbio che in questi anni
il carattere più schiettamente ideologico della politica sovietica
abbia lasciato il passo a toni patriottici e a grandi gesti di
pragmatismo politico (si pensi al Patto Molotov-Ribbentrop).
Appoggiandosi al principio dell’autonomia nazionale, Stalin tentò di creare una provincia ebraica (Oblast’ autonoma ebraica)
in cui concentrare gli israeliti. L’area consisteva in uno sperduto
territorio dell’estrema Siberia orientale, confinante con la Cina,
caratterizzato da condizioni climatiche non facili e privo di accesso al
mare. I risultati di questo progetto furono fallimentari: secondo un
censimento del 1989 i giudei non supervano il 4,2% della popolazione a
fronte di un 7,4% di ucraini e di un 83,2% di russi, per un totale di
circa 200.000 abitanti[12]. La Gerusalemme sovietica – che si contrapponeva al sionismo “nazionalismo borghese” – non poteva prendere piede.
Nei primi
decenni del ‘900 il sionismo era tutt’altro che maggioritario in seno
alle comunità israelitiche e l’idea che alcuni ebrei volessero
costituire una loro Patria attorno al Monte Sion era considerata
dall’URSS come reazionaria, sciovinista, sostanzialmente antisocialista.
Giusto per inquadrare il clima politico si tenga presente che quando
nel 1941 il dirigente sionista E. Epstein si intrattenne con
l’ambasciatore di Mosca in Turchia S. Vinogradov, il diplomatico gli
chiese: “Ma davvero in Palestina gli ebrei lavorano?”[13].
L’Unione
sovietica, in ogni caso, era guidata da un grande pragmatico che non
mancò di dare un contributo indispensabile alla nascita dello Stato di
Israele.
Abba Eban,
diplomatico e ministro degli esteri israeliano, ricordando il suo lavoro
nel comitato speciale delle Nazioni Unite per la Palestina, scrisse
nella sua autobiografia: “L’Urss era la sola potenza mondiale che
sosteneva la nostra causa”[14].
Effettivamente nel periodo immediatamente precedente l’indipendenza,
inglesi e statunitensi erano tiepidi se non contrari alla nascita di uno
Stato ebraico sicuramente inviso a quei Paesi arabi ricchi di petrolio
con cui le potenze occidentali volevano mantenere buone relazioni
politiche ed economiche. Inoltre, dato non secondario, Israele sarebbe
probabilmente stata una repubblica di “sinistra” in mezzo a Stati non
ostili agli anglo-americani. Il Dipartimento di Stato si manteneva
abbastanza freddo verso i sionisti e raccomandò al presidente Truman che
si evitasse di favorire la nascita di un loro Stato perché “nell’arco
di tre anni questo si sarebbe trasformato in una marionetta comunista”[15].
In effetti è
possibile che Stalin pensasse che uno Stato israeliano, popolato in
buona parte da ebrei provenienti da Paesi slavi, con un governo quasi
certamente filosocialista, sarebbe potuto essere un’utile pedina nello
scacchiere del Vicino Oriente e una spina nel fianco per le Potenze che
di lì a poco avrebbero costituito il Patto Atlantico. L’appoggio dato ai
sionisti in questa fase non fu comunque dettato da simpatie ebraiche,
anzi si può dire che questo fatto fu accompagnato e seguito da un
inasprimento dell’atteggiamento sovietico verso le comunità israelitiche
sotto la giurisdizione di Mosca: la battaglia per la creazione di
Israele era affiancata dall’espulsione degli ebrei dall’apparato[16] e ad una forte diffidenza verso gli israeliti sovietici che approvavono il sionismo.
Senza voler
confondere situazioni differenti, si può notare un certo parallelismo
con il fascismo italiano: lo stesso Mussolini in alcune fasi della sua
esperienza di governo appoggiò il sionismo identificandolo, almeno
pubblicamente, come movimento votato alla creazione di una Patria
israelitica per gli ebrei che non erano stati integrati in alcuni Stati
europei ma, allo stesso tempo, vedeva con sospetto le ragioni del
sionismo italiano, non esistendo in Italia alcuna necessità per gli
ebrei residenti di abbandonare la terra in cui erano nati, la Penisola
doveva essere la “loro Sionne”, almeno fino al 1938. Hitler, a
differenza di quanto appena scritto, favorì l’emigrazione ebraica dalla
Germania – anche verso la Palestina – proprio perché credeva che gli
ebrei non dovessero essere integrati, fu così che decine di migliaia di
giudei tedeschi si trasferirono nelle colonie sioniste. In sostanza si
può dire che se il nazionalsocialismo guardò al sionismo come ad
un’opportunità per risolvere la questione ebraica nel Reich, sia Stalin
che Mussolini credettero, in momenti distinti e con scenari diversi,
nella possibilità di utilizzare il movimento sionista come strumento per
estendere la propria influenza e per trarre alcuni benefici politici.
Resteranno entrambi delusi.
A parziale conferma di quanto detto, L. Mlečin nel suo Pechè Stalin creò Israele sostiene:
Stalin si
accingeva a donare uno stato agli ebrei palestinesi, ma vietava a
quelli sovietici di solidarizzare con i sionisti, cosa che invece
consentiva ai suoi diplomatici. In Unione sovietica persino il sostegno
morale al sionismo era considerato un crimine[17]
Nel 1947 la
posizione sovietica fu decisiva, arrivati al voto sulla risoluzione per
spartizione della Palestina (indispensabile per la nascita di Israele)
si ebbero trentatrè voti a favore, tredici contro e dieci astensioni.
Insieme all’URSS votarono Bielorussia, Cecoslovacchia, Polonia e
Ucraina. Se si fossero astenuti o se avessero votato contro la
risoluzione non sarebbe passata.
Tanto più
esplicitamente l’Unione Sovietica si avvicinava alle istanze sioniste
tanto più gli statunitensi temevano l’idea di creare uno Stato
israeliano. Truman tuttavia, siccome Stalin aveva deciso di dare uno
Stato agli ebrei, probabilmente pensò che opporsi sarebbe stato inutile
se non dannoso per gli USA. Gli avversari più intransigenti erano il
segretario di Stato G. Marshall (che diede il nome al celeberrimo piano)
e il ministro della difesa J. Forrestal. Lo stesso Marshall pochi
giorni prima della proclamazione dell’indipendenza, guardò il presidente
negli occhi e gli disse che se avesse riconosciuto lo Stato ebraico
avrebbe votato contro di lui alle elezioni di novembre[18]. Gore Vidal, aggiunge a questa vicenda alcuni suoi ricordi:
Alla fine
degli Anni Cinquanta, quel grande pettegolo e storico dilettante che
era John F. Kennedy mi disse che nel 1948 Harry Truman, proprio quando
si presentò candidato alle elezioni presidenziali, era stato
praticamente abbandonato da tutti. Fu allora che un sionista americano
andò a trovarlo sul treno elettorale e gli consegnò una valigetta con
due milioni di dollari in contanti. Ecco perché gli Stati Uniti
riconobbero immediatamente lo Stato d’Israele. A differenza di suo
padre, il vecchio Joe, e di mio nonno, il senatore Gore, né io né Jack
eravamo antisemiti e così commentammo quell’episodio come una delle
tante storielle divertenti che circolavano sul conto di Truman e sulla
corruzione tranquilla e alla luce del sole della politica americana[19]*
Mentre la
Gran Bretagna (che in quanto Potenza mandataria era stata duramente
colpita dal terrorismo sionista in Palestina) riforniva di armi gli
arabi, le operazioni sovietiche di supporto ai sionisti videro un ruolo
centrale della Cecoslovacchia. Un ponte aereo fece giungere in Palestina
il materiale bellico al punto che il governo statunitense protestò
ufficialmente con quello cecoslovacco e informò le Nazioni Unite delle
forniture clandestine di armi[20]. Golda Meir[21] avrebbe commentato anni dopo: “Non sappiamo se avremmo potuto resistere senza le loro armi”[22]. Dello stesso parere era Yitzhak Rabin[23].
Una volta
fondato, lo Stato andò incontro al riconoscimento delle due principali
Potenze mondiali, nei mesi successivi il ministro degli esteri
israeliano Shertok parlava di sostegno fermo del blocco orientale ad
Israele, di ottima intesa con l’URSS sulla maggior parte delle questioni
aggiungendo: “al Consiglio di Sicurezza si comportano non solo come
nostri alleati ma addirittura come nostri emissari”[24]. Qualche tempo dopo[25]
Yaakon Arié Hazan, dirigente del partito della sinistra israeliana
Mapam, sostenne: “il sionismo ha potuto raggiungere il suo scopo solo
grazie alla Rivoluzione russa”[26].
In sintesi
il ruolo sovietico fu essenziale in ordine alla nascita di Israele, in
particolare in tre fasi: l’approvazione della proposta di spartizione
del 1947[27],
il riconoscimento dopo la fondazione del nuovo Stato e l’aiuto militare
determinate dato durante la prima guerra arabo-israeliana.
Non passò
molto tempo e questo clima svanì, del resto i sionisti erano ben lontani
dal volersi consacrare al comunismo sovietico. Già prima della
proclamazione d’indipendenza israeliana, il presidente Truman aveva
deciso di incontrare segretamente Weizmann per avere rassicurazioni
circa il fatto che l’URSS non fosse sul punto di utilizzare la presenza
ebraica per penetrare la regione. Il dirigente sionista gli rispose:
Ciò non
accadrà, se i Soviet avessero voluto servirsi dell’emigrazione ebraica
per la diffusione delle loro idee, avrebbero potuto farlo già da un
pezzo. Ma da noi vengono colore che fuggono il comunismo. I buoni
coltivatori e gli operi qualificati aspirano ad un livello di vita che è
impossibile in un regime comunista. Il comunismo si può diffondere solo
negli strati impoveriti e incolti della società[28]
Una volta
riconosciuto Israele, i sovietici iniziarono a vedere di cattivo occhio
gli scambi tra la rappresentanza diplomatica israeliana e la comunità
ebraica moscovita, il ministro degli esteri Sharett nel dicembre 1949
dichiarò che Israele si atteneva al non allineamento e che non si
darebbe schierato con alcuna delle parti coinvolte nello scontro
bipolare (in realtà lo Stato ebraico era sempre più spesso a fianco del
cosiddetto “Occidente”), inoltre, come già detto, nell’URSS si procedeva
a ritmo intenso con l’allontanamento di molti ebrei dai ranghi dello
Stato, il clima di diffidenza verso gli israeliti era in crescita.
Nel luglio 1949 sulbollettino informativo dell’AJC (Association of Jewish Refugees in Great Britain)
apparve un attacco allo stalinismo che, pur con alcune evidenti
forzature, rifletteva sul mutamento dell’atteggiamento sovietico
rispetto agli ebrei. Si scriveva del ruolo prominente dei comunisti di
origine ebraica nel primo Politburo e del fatto che dopo il 1917
l’ “antisemitismo” fosse punito “under criminal law” ma quando “il
comunismo si sviluppò nello stalinismo l’idea della solidarietà del
proletariato si sostituì il panslavismo, all’internazionalismo si
sostituì lo sciovinismo e così le virtù di molti ebrei diventarono vizi”[29].
Più avanti si prendeva di mira la cattiva accoglienza riservata dalle
popolazioni residenti agli ebrei in fuga dalle truppe nazionalsocialiste
ai tempi della Seconda Guerra Mondiale e si concludeva parlando della
xenofobia e sostenendo che l’URSS subiva “un attacco acuto di questa
patologia mentale”[30].
L’ultima frase del pezzo firmato da Herbert Freeden era chiara: “Questo
può passare solo con un nuovo orientamento russo verso il mondo”[31].
Gli accenti
non devono stupire: a ottobre Sharett disse al rappresentante
diplomatico israeliano M. Namir che sarebbe stato opportuno “lanciare
una campagna sulla stampa ebraica internazionale, soprattutto
statunitense, e anche sulla stampa non ebraica”[32]
in relazione alla questione degli ebrei sovietici. Il governo di Mosca,
parecchio infastidito dalla situazione, percepiva la presenza di una
“quinta colonna” ebraica e gli israeliani non sapevano esattamente che
fare: un attacco mediatico diretto contro l’URSS avrebbe portato alla
rottura delle relazioni. A dicembre S. Carapkin, il numero due dalla
rappresentanza di Mosca all’ONU, disse al delegato israeliano G. Rafael:
“I vostri interventi all’Assemblea generale dimostrano chiaramente che
state passando dalla parte degli Stati Uniti”[33].
Nel 1952 la presenza ebraica negli organi dirigenti dello Stato
sovietico era stata ridotta all’osso, il primo dicembre di quell’anno
Stalin affermò:
Ogni
ebreo è un nazionalista, un potenziale agente dei servizi americani. I
nazionalisti ebrei si ritengono in debito con gli USA, che avrebbero
salvato il loro popolo. E fra i medici si annidano molti ebrei
nazionalisti[34]
Era in
ebollizione il caso giudiziario-politico passato alle cronache come
“Complotto dei Dottori”. Diversi medici, in larga parte ebrei, furono
accusati di aver assassinato alcuni esponenti di spicco dell’URSS, il 13
gennaio 1953 la Pravdapubblicò un articolo daltitoloSotto la maschera dei professori-dottori: Spie ed assassini infami. La campagna si smorzò con la morte di Stalin (5 marzo) e venne in seguito sconfessata dalle stesse autorità sovietiche.
Nel febbraio ’53 Lucjan Blit, sempre da AJR Information,
puntava il dito verso Mosca e si domandava: “La Russia comunista sta
per scatenare le forze del razzismo? L’antisemitismo nazista
sarà seguito dall’antisemitismo comunista?”[35]. La situazione stava precipitando: il 9 febbraio una bomba devastò la rappresentanza diplomatica sovietica a Tel Aviv, l’atto fu condannato ufficialmente dalle autorità israeliane ma l’URSS decise di rompere le relazioni con lo Stato ebraico.
sarà seguito dall’antisemitismo comunista?”[35]. La situazione stava precipitando: il 9 febbraio una bomba devastò la rappresentanza diplomatica sovietica a Tel Aviv, l’atto fu condannato ufficialmente dalle autorità israeliane ma l’URSS decise di rompere le relazioni con lo Stato ebraico.
L’arrivo al
potere di Chruščёv e il ripristino delle relazioni diplomatiche nel
luglio di quello stesso anno segnarono un miglioramento dei rapporti ma i
tempi dell’idillio non tornarono. Nel 1956, in occasione della Crisi di
Suez, l’Unione Sovietica si trovò nuovamente contrapposta al governo
israeliano.
Anni ’50-’60-‘70. Battaglie culturali e politiche.
Certa
stampa israelitica, non senza una visibile utilità di fazione nello
scontro bipolare, sottolineava ancora nell’autunno 1960 come le
organizzazioni ebraiche americane avessero emesso un solenne
appello
agli “uomini di buona volontà in tutto il mondo” per contribuire ad
alleviare le sofferenze degli ebrei sovietici. I gruppi, in una
dichiarazione in occasione dello Yom Kippur, espressero “Profondo dolore
e montante preoccupazione” per la posizione “tragica” degli ebrei
sovietici, e condannarono la campagna di incitamento in Russia contro il
giudaismo[36]
Qualche mese prima il congresso del P.E.N.
(poets, essaysts, novelists) a Rio de Janeiro aveva espresso una
condanna formale riguardo alla “suppression of Yiddish and Hebrew
culture and language in the Soviet Union”[37]*.
Nel febbraio
1963, su alcuni periodici ebraici non mancò chi sostenne che nell’URSS
fossero stati attuati attacchi alla cultura ebraica, chiuse
frequentemente delle sinagoghe ed identificato – durante alcuni processi
– i luoghi di culto giudaici come punti d’incontro di “truffatori e
speculatori”[38].
Sul bollettino informativo dell’AJR[39] dell’ottobre
1963 una delle due colonne relative alle notizie dall’estero era
dedicata all’Unione Sovietica. In tre riquadri venivano sintetizzate le
informazioni. Nel primo si parlava della condanna a morte di un rabbino
per “crimini economici”. Contestualmente la nota esprimeva dubbi circa
la qualifica di “rabbi” che la stampa sovietica aveva attribuito al
soggetto da giustiziare.
Secondo
riquadro: il cimitero ebraico di Mosca era stato chiuso a luglio dalle
autorità “presumibilmente per mancanza di spazio”. I funerali ebraici
“avrebbero dovuto essere celebrati in cimiteri non-ebraici”[40].
Numerosi appelli “di Rabbi Levin – Rabbino Capo di Mosca – e di altri
esponenti di spicco della sinagoga moscovita per l’ottenimento di una
enclave ebraica di fianco alla nuova area di sepoltura municipale, erano
stati rigettati”. Si concludeva evidenziando “la diffusa paura tra gli
ebrei di Mosca che questo fatto potesse creare un precedente”[41].
Nel terzo
riquadro si passava la parola a Nahum Goldmann il quale sosteneva che la
condizione degli ebrei in Russia non era come ai tempi di Stalin ma che
la situazione, “sostanzialmente migliorata dopo la sua morte, è
gradualmente e nuovamente deteriorata”.
Il Governo
Sovietico, ci si lamentava nella nota, “usava tutti i mezzi possibili
per raggiungere l’assimilazione della popolazione ebraica”. A tal fine
“la pratica della religione ebraica e l’organizzazione dell’ebraismo
sovietico come minoranza nazionale erano limitate o interamente
vietate”.
Il testo si concludeva sottolineando che la risoluzione del World Jewish Congress
“esprimeva la speranza che nell’Unione Sovietica fossero garantiti agli
ebrei gli stessi diritti e le stesse agevolazioni che le Nazioni Unite
garantivano a tutte le minoranze e che l’Unione Sovietica concedeva alle
altre minoranze nazionali o religiose”[42].
Quello stesso anno ebbe luogo l’uscita del libro di Trofim K. Kichko Giudaismo senza abbellimenti,
pubblicato con l’importante avallo dell’Accademia ucraina delle
Scienze. Il testo venne in seguito ritirato dalla circolazione per le
dure contestazioni che aveva suscitato in tutto il mondo e per le accuse
di antisemitismo che sempre più frequentemente erano lanciate in
direzione dell’URSS, pochi anni dopo Kichko fu comunque premiato dal
Presidente del Soviet supremo ucraino con un diploma d’onore (1967) e
diede alle stampe un nuovo libro dal titolo Giudaismo e sionismo (1968). In Italia una dura protesta per la pubblicazione fu fatta dal giornale comunista Paese Sera diretto da Fausto Coen[43].
In Giudaismo senza abbellimenti la
critica non si limitava affatto al sionismo ma si estendeva
all’ebraismo in quanto tale, definito come religione “al servizio delle
classi ricche, le quali se ne servivano per distogliere l’attenzione
degli ebrei poveri dalla lotta per la giustizia sociale”[44].
Più avanti si sottolineava: “Tutto il culto ebraico è un commercio
trasposto in termini religiosi. Sono traffici la vendita del pane
azzimo, i riti dei funerali e della circoncisione, delle nozze e del
divorzio. Dappertutto c’è al primo posto il denaro e il disprezzo per il
lavoro produttivo”[45].
In più passaggi si faceva riferimento al giudaismo descrivendone le
pretese d’elezione ed alcuni tratti xenofobi, collegando questi aspetti
alla politica sionista, vista come manifestazione attuale e “statale” di
elementi identitari già riscontrabili nel passato. Scriveva Kichko: “Le
invenzioni della Torah sul “popolo prescelto da Dio” e sulla
superiorità del popolo ebraico in confronto agli altri, da tempo nutrono
e continuano a nutrire il nazionalismo e il sionismo”[46].
In sostanza, “la lotta coi relitti del giudaismo, nella fase attuale,
non è una lotta astratta, puramente accademica, che abbia un interesse
solo teorico, ma è dettata dalle necessità dell’edificazione della
società comunista ed acquista grande valore patriottico”[47].
In questo clima non devono stupire gli inviti ateizzanti – lanciati nel
1964 sulla stampa lituana – nei quali veniva sottolineata “l’essenza
reazionaria del giudaismo”, contestualmente si ribadiva che la lotta
doveva essere rivolta principalmente contro il Cattolicesimo, in quanto
Fede maggioritaria, ma non andava dimenticato che gli scismatici* e “la
Sinagoga ebraica” avevano una certa influenza su determinati settori
della società[48]. Su una linea affine si inseriva una notizia diffusa da Canadian Jewish News
in base alla quale era stato pubblicato (1966) dall’Istituto di
filosofia della Accademia Sovietica delle Scienze un testo dal titolo La costruzione del comunismo e la rimozione dei residui religiosi in cui il sionismo veniva condannato in quanto nemico dei popoli e dei lavoratori ebrei[49].
Il 1967 fu l’anno della Guerra dei Sei Giorni attraverso
la quale Israele riuscì ad occupare importanti territori arabi. Tutti i
Paesi del blocco orientale, ad eccezione della Romania, recisero le
loro relazioni con lo Stato ebraico. Di lì a pochi anni l’equazione
sionismo-razzismo fu sancita dalle Nazioni Unite con la risoluzione n°
3379 (1975) dell’Assemblea Generale – “[…] il sionismo è una forma di razzismo e di discriminazione razziale“[50]
– il testo sarà revocato sedici anni dopo come precondizione posta da
Israele per la partecipazione alla Conferenza di pace di Madrid[51].
Inutile dire che nel 1975 il voto di Bulgaria, Cecoslovacchia, Polonia,
Ungheria ed URSS fu favorevole, il rappresentante rumeno era assente.
In
particolare tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70 sulla
stampa sovietica prese forma una intensa critica rivolta tanto alla
politica sionista quanto alla storia ebraica[52]. Veniva pubblicato a puntate da un periodico il nuovo libro di Kichko Giudaismo e sionismo. Vi si poteva leggere:
Sotto il
coperchio del Talmud e della Torah, l’ideologia sionista dispiega la sua
propaganda per la creazione di uno stato ebraico-aristocratico,
destinato a dominare tutte le nazioni. Riferendosi alla Torah, Herzl e
gli altri sionisti fecero, per i bisogni della loro propaganda, un vasto
uso della religione ebraica e dei suoi istituti.. Il giudaismo
riformato si è rivelato un eccellente fattore di coesione fra
l’ideologia del giudaismo, il sionismo militante e le attività
aggressive attuali del gruppo dirigente di Israele. L’essenza di questo
giudaismo riformato, che ha trovato la sua espressione politica
nell’ideologia del sionismo, riposa sulla sua rinascita, in terra di
Sion, là dove si suppone che il popolo ebraico debba acquisire la sua
sovranità nazionale, dell’immortale aspirazione del giudaismo e del
popolo ebraico a sottomettere spiritualmente – quando i tempi saranno
maturi – l’universo intero[53].
Poco più avanti, ancora sul rapporto Talmud-sionismo
si scriveva del “concetto fanatico dell’elezione divina del popolo
ebraico, la propaganda messianica e l’idea della dominazione su tutti i
popoli della terra”[54]*.
Nell’agosto
di quello stesso anno, pochi giorni prima dell’intervento sovietico in
Cecoslovacchia, diversi organi d’informazione, compreso l’importante
giornale del ministero della difesa, parlarono di sabotatori che
minacciavano il socialismo. Il giudaismo divenne oggetto di condanna in
quanto diffusore di “esclusivismo razziale” ed in quanto giustificava
“crimini contro i gentili [non ebrei]”[55].
Già all’inizio degli anni ’50 nella Repubblica cecoslovacca ebbe luogo
una prima resa dei conti che ridimensionò il peso degli ebrei
nell’amministrazione del Paese: al processo Slansky furono messi
sul banco degli imputati e condannati (diversi alla pena capitale) un
numero considerevole di esponenti politici, principalmente di origine
israelitica, con l’accusa di essere cospiratori al servizio degli Stati
Uniti e “traditori trozkisto-titoisti, sionisti, borghesi nazionalisti”[56].
A distanza di quasi vent’anni la stampa israelitica (dicembre 1969)
attaccava: “Diverse personalità ebraiche sono state espulse dal partito
comunista cecoslovacco, dall’Assemblea nazionale, dai sindacati e dalle
organizzazioni professionali nella ampia purga volta a rimuovere tutti i
liberali che hanno sostenuto le riforme di Dubček (1968-69)”[57]. Prima dell’intervento sovietico del 1968 diversi condannati al processo Slansky
furono riabilitati dalle autorità: l’arrivo delle truppe da Mosca
rappresentò un nuovo colpo, causando “l’esodo dalla Cecoslovacchia di un
numero considerevole di sionisti”[58].
Fatte le
dovute proporzioni si può dire che in quel periodo pure nella Polonia di
Gomułka e del ministro dell’interno Moczar (fervente
nazional-comunista) il clima non fosse troppo diverso[59], l’AJR Information lamentava “purghe polacche”[60] e parlava di “esodo polacco”[61]. Anche in Romania, con l’arrivo al potere di Ceausescu alla fine del 1967, il ruolo delle “minoranze” fu sostanzialmente ridimensionato[62]*.
Nel 1969 un nuovo libro veniva diffuso in Unione Sovietica per un totale di 75.000 copie: Attenzione: Sionismo! L’autore era Y. Ivanov, del Comitato Centrale del Partito[63]. Nelle sue 173 pagine il sionismo era presentato come una gigante “impresa” internazionale dell’ebraismo mondiale. La Pravdascrisse che l’indubitabile importanza del volume stava nel far emergere “la vera immagine malvagia del sionismo”[64]. Un articolo dello stesso Ivanov era apparso a giugno su Molodoj Kommunist,
organo del Comitato Centrale della Lega Comunista Sovietica dei
Giovani. Si affermava: “il complesso religioso giudaico è caratterizzato
dall’odio all’umanità, dalla predicazione del genocidio, dall’amore del
potere e dall’elogio dei mezzi criminali per conquistarlo”[65]. Del resto nel 1971 il bollettino dell’Ambasciata sovietica a Roma parlava dello studio della Torah in Israele come mezzo “per alimentare l’odio verso i non ebrei o verso gli ebrei che non professano il giudaismo”[66]
e sui sionisti sosteneva: “condividono l’impostazione di base
dell’ideologia antisemita, giungendo però ad altre conclusioni. Al posto
del teutone c’è l’ebreo, che rappresenta la razza pura e superiore”[67].
Se dalla
fine degli anni ’70 iniziarono a fiorire ricerche e studi organici sui
rapporti intercorsi tra sionisti da un lato e Germania
nazionalsocialista dall’altro[68], si può dire che alcuni di questi articoli apparsi sulla stampa sovietica avessero in parte preceduto questa fase[69]*. Curioso notare che nel 1982 Mahmoud Abbas (Abu Mazen, co-fondatore di Fatah) ottenne il Ph.D. presso l’Università Patrice Lumumba di Mosca con una tesi intitolata La connessione tra nazismo e sionismo, 1933-1945[70].
[1] W. Churchill, Illustrated Sunday Herald, 8 Febbraio 1920, Londra. Traduzione dall’inglese di G.F. Spotti, cfr.: M. Weber, The Journal of Historical Review, Gennaio-Febbraio 1994 (Vol. 14, N° 1), pagg. 4-22.
[2] L. Rapoport, La Guerra di Stalin contro gli Ebrei
(New York: Free Press, 1990), pag. 30,31, 37. Vedi anche pag. 43, 44,
45, 49, 50. Traduzione dall’inglese di G.F. Spotti, cfr.: M. Weber, The Journal of Historical Review, Gennaio-Febbraio 1994 (Vol. 14, N° 1), pagg. 4-22.
[3] Y. Slezkine, The Jewish Century, Princeton University Press, 2008, pag. 177.
[4] Postfazione di M. Ovadia, in: L. Mlečin, Pechè Stalin creò Israele, Sandro Teti Editore, 2010, pag. 227.
[5] H. A. Strauss, Hostages of Modernization: Austria, Hungary, Poland, Russia, Walter de Gruyter, 1993, pag. 1145.
[6] AA.VV., Questione ebraica e socialismo reale, Parma, Edizioni all’insegna del Veltro, 2011, pag. 41.
[7] J. Gunther, Behind the Curtain, 1949, pag. 40.
[8] Prefazione di L. Canfora, in: L. Mlečin, Pechè Stalin creò Israele, Sandro Teti Editore, 2010, pag. 12.
[9]
Anche alla luce di quanto diremo in seguito sul sionismo va ribadito
che è bene evitare erronee equazioni politiche “sionismo-ebrasimo”:
avranno luogo talvolta casi eclatanti di frizioni interne al mondo
ebraico, in particolare sulla questione sionista: a differenza di oggi
le comunità israelitiche della diaspora non erano in larga maggioranza
schierate al fianco di Israele. Si pensi all’approccio tiepido di una
parte degli ebrei statunitensi nel dopoguerra o agli scontri interni
alla comunità israelitica della Polonia negli anni ’60. N. Finkelstein
ricorda: “Nella sua indagine del 1957, Nathan Glazer osservò che Israele
«aveva ben poche ripercussioni sulla vita interiore della comunità
ebraica americana». I membri della Zionist Organization of America,
da centinaia di migliaia che erano nel 1948, si ridussero a decine di
migliaia negli anni Sessanta. Prima del giugno 1967, solamente un ebreo
americano su venti si dichiarava interessato a visitare Israele. Nel
1956, la comunità ebraica diede un importante contributo alla rielezione
di Eisenhower, che aveva appena costretto Israele all’umiliante ritiro
dal Sinai”. [N. Finkelstein, L’industria dell’Olocausto, Rizzoli, Milano, 2002, pag. 31].
[10] AA.VV., Questione ebraica e socialismo reale, Parma, Edizioni all’insegna del Veltro, 2011, pag. 62.
[11] R. Yaffe, JEWS IN CZECHOSLOVAKIA, AJR INFORMATION, Vol. V. No. 2February, 1950, pag. 3.
[12] R. W. Orttung, D. N. Lussier, A. Paretskaya, The Republics and Regions of the Russian Federation: A Guide to Politics, Policies, and Leaders, M.E. Sharpe, 2000, pag. 153.
[13] L. Mlečin, Perchè Stalin creò Israele, Sandro Teti Editore, 2010, pag. 64.
[14] Prefazione di L. Canfora, in: L. Mlečin, Pechè Stalin creò Israele, Sandro Teti Editore, 2010, pag. 12.
[15] L. Mlečin, Perchè Stalin creò Israele, Sandro Teti Editore, 2010, pag. 61.
[16] Ivi, pag. 93.
[17] Ivi, pag. 87.
[18] Ivi, pag. 136.
[19] Prefazione di G. Vidal, in: I. Shahak, Storia ebraica e giudaismo: il peso di tre millenni,
Centro Librario Sodalitium, Verrua Savoia, 1997.* A questa memoria di
Vidal va affiancato il parere diffuso circa l’onestà morale di Truman e
il senso di giustizia che da molti gli veniva riconosciuto.
[20] L. Mlečin, Perchè Stalin creò Israele, Sandro Teti Editore, 2010, pag. 133.
[21] Che tra l’altro fu il primo rappresentante diplomatico israeliano a Mosca.
[22] M. C. Desch, Power and Military Effectiveness: The Fallacy of Democratic Triumphalism, JHU Press, 2008, pag. 122.
[23] Ibidem.
[24] L. Mlečin, Perchè Stalin creò Israele, Sandro Teti Editore, 2010, pag. 158.
[25] Nel 1951, quando i rapporti israelo-sovietici erano già sostanzialmente cambiati.
[26] L. Mlečin, Perchè Stalin creò Israele, Sandro Teti Editore, 2010, pag. 165.
[27]
A. Gromyko, Rappresentante Permanente dell’Unione sovietica all’ONU
argomentò in questa occasione in favore del diritto degli ebrei a
costruire il loro Stato in Palestina: “I rappresentanti dei paesi arabi
sostengono che la spartizione della Palestina costituirebbe
un’ingiustizia storica, ma questa opinione non è condivisibile, perché
in realtà il popolo ebraico ha mantenuto il suo legame con la Palestina
dai tempi più antichi. Inoltre, non possiamo non tener conto della
situazione in cui esso si è venuto a trovare dopo l’ultima guerra
scatenata dalla Germania nazista, che gli ha recato più sofferenze che a
qualsiasi altro popolo. Sapete bene che nessun stato capitalista
Europeo ha saputo difenderlo dall’arbitrio e dalla violenza hitleriana” [La Palestina della Convivenza, Storia dei palestinesi 1880-1848, pag. 18].
[28] Ivi, pag. 99.
[29] H. Freeden , Antisemitism in Russia, AJR INFORMATION, Vol. IV. No. 7, Luglio 1949, pag. 1.
[30] Ibidem.
[31] Ibidem.
[32] L. Mlečin, Perchè Stalin creò Israele, Sandro Teti Editore, 2010, pag. 181.
[33] Ivi, pag. 183.
[34] Ivi, pag. 173.
[35] L. Blit, POISON FROM MOSCOW, AJR INFORMATION, Vol. VIII No. 2, February, 1953, pag. 1.
[36] NEWS FROM ABROAD, AJR INFORMATION, Vol. XV No. 11- November, 1960, pag. 4.
[37] P. E. N. Congress Protests Suppression of Jewish Culture in Russia, Jewish Telegraphic Agency, 27 July 1960. *West and East Germany, Poland, Hungary, Belgium and Thailand abstained from voting.
[38] News from Abroad, AJR INFORMATION, Vol. XVIII No. 2 – February, 1963, pag. 4.
[39] L’ AJR INFORMATION,
in questi anni e nei successivi, seppur edito nel Regno Unito ed
inevitabilmente orientato in senso “occidentale”, alternava notizie
positive e negative “da oltre cortina” fornendo una panoramica mensile
sulle comunità ebraiche nel mondo.
[40] News from Abroad, AJR INFORMATION, Vol. XVIII, No. 10 – Ottobre 1963, pag. 4.
[41] Ibidem.
[42] Ibidem.
[43] AA.VV., Questione ebraica e socialismo reale, Parma, Edizioni all’insegna del Veltro, 2011
[44] Ivi, pag. 18.
[45] Ivi, pag. 19.
[46] Ivi, pag. 23.
[47] Ivi, pag. 39.
[48] NEWS FROM RUSSIA, ISRAEL AND AMERICA, AJR INFORMATION, VOL. XIX No. 10 October, 1964, pag. 3.* Nel testo: “Russian Orthodox Church”.
[49] Zionism is the Enemy, Canadian Jewish News, April 1, 1966, pag. 6.
[50] The Palestine Yearbook of International Law 1990-1991, Martinus Nijhoff Publishers, 1991, pag. 146.
[51] P. T. Chamberlin, The Global Offensive: The United States, the Palestine Liberation Organization, and the Making of the Post-Cold War Order, Oxford University Press, 2012, pag. 309
[52] J. Frankel, The anti-Zionist press campaigns in the USSR 1969-1971: political implications, Hebrew University of Jerusalem, Soviet and East European Research Centre, 1972.
[53] AA.VV., Questione ebraica e socialismo reale,
Parma, Edizioni all’insegna del Veltro, 2011, pag. 82. cfr.: Volume di
Kichko “Giudaismo e sionismo” (1968) pubblicato dopo il ritiro
dell’opera precedente e pubblicata a puntate sul periodico Liuddina y Svit.
[54]
Ibidem.* E’ tuttavia bene puntualizzare che in relazione alla questione
messianica, l’ortodossia ebraica ha opposto al sionismo secolare la
necessità dell’attesa del presunto Messia per la restaurazione del
“Regno d’Israele”.
[55] W. Korrey, Russian Antisemitism, Pamyat and the Demonology of Zionism, Routledge, 1995, pag. 20.
[56] AA.VV., Questione ebraica e socialismo reale, Parma, Edizioni all’insegna del Veltro, 2011, pag. 62.
[57] News from Abroad, AJR INFORMATION, Volume XXIV No. 12 December, 1969, pag. 4.
[58] Ivi, pag. 78.
[59] A. J. Wolak, Forced Out: The Fate of Polish Jewry in Communist Poland, 2004, pagg. 5-6-7.
[60] News from Abroad, AJR INFORMATION, Volume XXIII No. 8 August, 1968, pag. 4.
[61] Ivi, September 1968, pag. 4.
[62] M. Costa, CONDUCĂTOR, l’edificazione del socialismo romeno, Parma,
Edizioni all’insegna del Veltro, 2012. *Va tenuto presente che il
Presidente romeno conservò una certa autonomia in politica estera e, ad
esempio, mantenne le relazioni diplomatiche con Israele dopo la guerra
dei Sei Giorni. In questa occasione gli altri Paesi del blocco
orientale, come abbiamo visto, optarono per la rottura.
[63] W. Korrey, Russian Antisemitism, Pamyat and the Demonology of Zionism, Routledge, 1995, pag. 20.
[64] Ivi, pag. 21.
[65] AA.VV., Questione ebraica e socialismo reale, Parma, Edizioni all’insegna del Veltro, 2011, pag. 84. Y. Ivanov, Un problema dimenticato ma urgente, 6 giugno 1969, Molodoj Kommunist, organo del Comitato Centrale della Lega Comunista Sovietica dei Giovani
[66] Ivi, pag. 112. Complicità nel delitto, Bollettino dell’Ambasciata sovietica a Roma , 1971
[67] Ibidem.
[68] F. Glubb (Yahya), Zionist relations with Nazi Germany, Palestine research Center, Beirut, 1978; L. Brenner, Zionism in the age of the dictators, Croom Helm, 1983 et alii.
[69] AA.VV., Questione ebraica e socialismo reale,
Parma, Edizioni all’insegna del Veltro, 2011, pagg. 84-85-100-108. *In
questi riferimenti non manca a volte una certa retorica sovietica
condita con ampi riferimenti all'”imperialismo”.
Sulla Literaturnaja Gazeta si scrive che i sionisti “avevano prestato i loro servigi a tutti gli imperialismi, da quello tedesco a quello inglese a quello americano” [L’inganno sionista, Literaturnaja Gazeta, n. 25, 17 giugno 1970] dimenticando che l’URSS per prima favorì la nascita dello Stato d’Israele per tentare di avere un proprio “avamposto” in mezzo ai Paesi arabi.
Sulla Literaturnaja Gazeta si scrive che i sionisti “avevano prestato i loro servigi a tutti gli imperialismi, da quello tedesco a quello inglese a quello americano” [L’inganno sionista, Literaturnaja Gazeta, n. 25, 17 giugno 1970] dimenticando che l’URSS per prima favorì la nascita dello Stato d’Israele per tentare di avere un proprio “avamposto” in mezzo ai Paesi arabi.
[70] The Middle East: Abstracts and index, Vol. 28, Part 2, pag. 209, 2004.
Tratto da:
http://www.radiospada.org/2012/10/ebrei-comunismo-urss-e-sionismo-una-panoramica/?utm_campaign=shareaholic&utm_medium=facebook&utm_source=socialnetwork
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