giovedì 14 maggio 2015

Il caso Moro Disinformazione e misteri: complottisti debunkers e dietrologia

Maurizio Barozzi  (13 maggio 2015) 


Il caso Moro ha creato, per interessi di varia natura e mancato accertamento di importanti verità, una infinità di ipotesi, di sospetti, di dietrologia maniacale e di anti dietrologia interessata, che, assieme alle indagini mai eseguite, al tanto tempo oramai trascorso, non portano da nessuna parte.
In letterature e in facebook si trovano testi e si incontrano soggetti che si definiscono esaustivi o si dichiarano "esperti" del caso Moro, e sparano ipotesi inverosimili, mente altri si cimentano nel sostenere che non è vero niente, tutto è chiaro ed oramai quanto c'era da sapere è stato appurato su quella vicenda.
In genere alla prima categoria, i complottisti, appartengono inguaribili sempliciotti amanti della dietrologia o interessati a vendere libri e saggi che destano curiosità, mentre alla seconda categoria, i dietrologi, a parte altri sempliciotti di tendenza psicologica opposta ai precedenti, appartengono veri e propri furfanti che hanno interesse a non far comprendere alla gente come sono veramente andate le cose e chi ci poteva essere dietro determinate operazioni.
Complottismo da quattro soldi a parte, ci sono invece importati aspetti di quella vicenda rimasti imperscrutabili e che fanno seriamente pensare che tutto l'Affaire Moro è stato, quanto meno, sottilmente condizionato.
Per chi vuol vederci chiaro nel caso Moro, il metodo migliore per capirci qualcosa, è quello di seguire i fatti comprovati e le perizie attendibili, perchè i fatti -e solo i fatti- permettono di comprendere buona parte di quei misteri, anche se poi di svelarli con prove concrete è tutt'altra impresa forse al momento impraticabile
Tra i tanti libri monnezza, sui misteri del caso Moro, che poi spesso misteri non sono, possiamo salvare "Complici" di Stefania Limiti e Sandro Provvisionato, Ed. Chiarelettere 2015, perchè appunto cerca di esporre ipotesi attraverso fatti, perizie, rilievi. È un buon passo avanti per dirimere quella vicenda.
Tra i tanti libri monnezza dei cosiddetti debunkers, o "cacciatori di bufale" invece, salviamo la ricostruzione particolareggiata di Manlio Castronovo, nel suo "Vuoto a perdere", intanto perché non è un vero e proprio debunker, avendo egli anche individuato, e in buona parte sciolto, altri dubbi e misteri nel caso Moro, e poi per la sua meticolosità ricostruttiva. Per il resto buttiamo via quasi tutto perché più o meno tutti gli altri, svolgono la sciacallesca parte di quei contro periti della difesa di un imputato schiacciato da prove inoppugnabili e inchiodato da perizie esaustive, ma nonostante questo, tali contro periti, si mettono a controbattere e cavillare su ogni rilievo, forti del fatto che molti elementi potrebbero anche avere più di una interpretazione.
Sui più importanti aspetti insoluti o dubbi palesi vediamo di capirci qualcosa.

BRIGATE ROSSE ETERODIRETTE?
Questa supposizione non porta da nessuna parte, come per esempio i libri di Sergio Flamigni che pur dei meriti hanno per aver scavato a fondo su tanti aspetti, ma che purtroppo hanno anche impiantato teoremi o dato corpo ad elementi che invece sono anche spiegabili in altri modi non dietrologici.
Pensare che le BR fossero un movimento fasullo, provocatorio e non genuino, è da stupidi.
Lo stesso Mario Moretti sarebbe stato un mentecatto se si fosse sobbarcato anni e anni di latitanza e clandestinità, con rischi mortali, solo per servire innominati interessi. No, le BR erano un movimento genuino, infiltrati, purtroppo tanti, a parte, e non erano eterodirette, ma per la nota legge storica che quando ci sono avvenimenti e situazioni importanti, c'è sempre un potere o un contropotere interessato a condizionarli per trarne vantaggi, anche le BR hanno subito tentativi di condizionamento, che la strana e poco chiara conclusione della vicenda Moro, fanno intuire che alcuni devono essere andati a buon fine.
Nella fattispecie il condizionamento, a nostro avviso risultato poi decisivo, è quello del Superclan, poi Hyperion a Parigi, un gruppo d spregiudicati "compagni", protetti dalla Intelligence francese, al centro di un crocevia di Servizi segreti, compresi quelli del Vaticano, della CIA, dell'Est e del Mossad, tutti interessati ad operare negli interessi di Jalta, e deve dedursi anche del sionismo, e da come ci hanno dettagliato gli stessi brigatisti, propositori di attentati false flag o provocatori, in uno dei quali ad Atene ci rimise la vita la compagna Angeloni.
Orbene Moretti, di cui sono provati i suoi viaggi a Parigi e i suoi contatti con l'Hyperion, ha subito di sicuro gli influssi di questo Superclan, ma, attenzione, non perché Moretti fosse in malafede , ma semplicemente perché egli condivideva le strategie del Superclan, in cui aveva fatto parte a pieno titolo (assieme a Prospero Gallinari), tanto da lasciare provvisoriamente le BR, condivideva quell'elevare il livello militare di scontro, e quindi era normale, era ovvio, che ne usufruisse di importati servigi e possibilità di reperire armi e altro che il Superclan poteva assicurargli, probabilmente ignorando chi veramente c'era dietro questi "parigini".
Il fatto che l'Hyperion, pochi mesi prima il rapimento di Moro e durante i quasi due mesi di sequestro, installò, alcuni "centri scuola" in Italia e in particolare a Roma, scuole di lingue che da vari elementi si può facilmente dedurre che la loro attività era una copertura e che poi li chiuse pochi mesi dopo la morte di Moro, è veramente difficile pensare che era sta casuale.
Certo, è questa una ipotesi, ma suffragata da concreti sospetti e il fatto che il capo e creatore del Superclan Corrado Simioni, già come Superclan, era in stretti e operativi rapporti, tra la fine degli anni '60 e gli inizi dei '70, con quel Roberto Dotti, falso comunista smascherato quale operante per conto della CIA, parla chiaro.

PERCHÉ SI VOLLE LA MORTE DI MORO.
La presenza occulta del Superclan e le sue collusioni, forse consentono di capire perché si fece in modo che Moro alla fin fine venisse ammazzato , proprio come operò in questo senso l'uomo del dipartimento di Stato americano Steve Pieczenik , arrivato in Italia in veste di consulente.
Anche qui bisogna attenersi ai fatti, e i fatti ci dicono che Moro non venne "aiutato" a morire per il suo reiterato tentativo di costruire un compromesso storico con il PCI. Certo il compromesso storico, perdurando Jalta era sconveniente per gli americani e per i sovietici, ma intanto gli americani sapevano benissimo che l'euro-comunismo di Berlinguer, il latifondista sardo legato per vie di matrimoni anche endogamiche ad altri importanti notabili e latifondisti sardi (il genitore Mario era stato un grembiulino di Massoneria anglofila), quel Berlinguer di cui Togliatti, giustamente diffidava, quel "compromesso" non era una vera "terza via", ma un evidente tentativo di svicolarsi dal campo sovietico per accettare ufficiosamente, ma pienamente quello Atlantico ed oltretutto l' "occidentalizzazione" forzata che il segretario comunista stava imprimendo al PCI, con lo scontato addomesticamento di questo partito, come era avvenuto con i socialisti inglobati nell'area di governo, era gradita da Washington. Quindi i veri motivi nel volere la morte di Moro, vanno ricercati in altri ambiti.
Il contesto più evidente che consente di trovare i motivi nel volere la morte di Moro è la sua reiterata predisposizione, unita ad una certa abilità politica, per la quale Moro non aveva mai smesso di cercare, pur nei limiti dell'alleanza Atlantica, una via parzialmente autonoma per il nostro paese, rapporti di reciproco interesse con i paesi arabi, e di certo non era stato ininfluente, quando nel 1969 /'70 il nostro governo, sottobanco, in qualche modo aiutò Gheddafi nel suo colpo di mano che lo portò al potere in Libia e alla cacciata degli angloamericani, consentendo quindi al nostro paese di rientrare dalla finestra nella "quarta sponda" per ottenere petrolio a condizioni vantaggiose.
A Moro poi non era stato perdonato dagli israeliani il lodo segreto che aveva trattato con i palestinesi per evitare che l'Italia divenisse un campo di battaglia della guerriglia israelo-palestinese, la stessa liberazione dei due palestinesi, implicati nel tentativo di attentato a Fiumicino contro la El Al, accettata da Moro, aveva sollevato pesanti rimostranze israeliane, e addirittura si arrivò, per vendetta e futuro monito, al punto di far precipitare sopra Marghera l'aereo dei nostri servizi segreti, l'Argo 16 che aveva portato i due attentatori in Libia, ammazzando i 4 uomini dell'equipaggio. Ma ancor più Moro, segnò la sua condanna a morte, quando nel 1973 da ministro degli Esteri, fece approvare dal parlamento il diniego agli americani di usufruire delle nostre basi per lo scalo dai loro aerei che dovevano rifornire Israele durante la guerra del Kippur.
Moro, uomo legato ad importati settori della Chiesa, anche se era inviso ad altri settori, era un uomo pericoloso per il sistema Atlantico e per gli Israeliani. Quegli israeliani, che si sa per certo, avvicinarono le BR sotto la gestione Curcio-Franceschini, per proporgli aiuti e armi, ma vennero rifiutati. Cosa accadde invece sotto la gestione delle BR da parte di Moretti, non si sa, ma comunque resta l'interesse degli israeliani al mantenimento di una specie di guerriglia nel nostro paese. Questo, ovviamente, potrebbe significare tutto o niente, rispetto al caso Moro, ma l'interesse degli israeliani per le BR resta.
In ogni caso, quando si intuì che Moro, sottoposto sotto interrogatorio dalla BR, stava rivelando importanti segreti di Stato ed Atlantici, divenne necessario che non ritornasse vivo sulla scena politica, anche se oramai poteva considerarsi totalmente finito come uomo politico.
Attenzione: non si deve necessariamente pensare che le BR vennero indirizzate a scegliere come vittima del loro rapimento, proprio Moro tra tanti altri personaggi importanti della DC.
La scelta di prendere Moro potrebbe anche essere scaturita da varie situazioni e opportunità operative, ma di certo una volta che Moro era stato rapito, tutti quelli interessati alla sua eliminazione, si attivarono immediatamente.

L'AGGUATO DI VIA FANI
L'agguato di via Fani, nasconde sicuramente alcuni misteri, perchè è oltremodo difficile che i BR abbiano portato a pieno compimento quell'agguato con solo 4 brigatisti sparatori di certo non esperti.
Molti si sono soffermati sulla presenza di un superkiller che da solo spara 49 colpi su 91 accertati come sparati dai BR (ma dovrebbero essercene altri andati perduti), ma appare strano che questo super esperto sparatore abbia usato un arma quale residuato bellico, e in ogni caso il conto dei colpi andati a segno e di quelli fuori bersaglio non presenta una percentuale a conferma di una eccelsa abilità (secondo la balistica a fronte di 91 colpi BR esplosi, i soli repertati, 45 hanno attinto la scorta, cioè il 49%, 3 hanno mancato i bersagli, ovvero il 25%, e 23 sono risultati dispersi, ovvero il 25%. Con queste cifre, anche se parziali, una sia pure approssimata proporzione ci mostra una non eccelsa precisione di tiro dei brigatisti considerando che era un tiro molto ravvicinato).
È vero che le perizie confermano che forse un arma sparò da sola 49 colpi, ma qui bisogna anche considerare la possibilità che le perizie che inducono a sospettare questo superkiller, si siano sbagliate, ed in effetti non sono estremamente precise, e che magari i mitra che spararono quei 49 colpi erano due, come poi qualcuno ha anche ammesso.
Ma comunque la si metta, il conto delle armi e dei colpi sparati, non torna assolutamente, facendo intuire che ci deve essere qualcosa di "altro" da considerare.
Ora è pur vero che la sorpresa e la vicinanza di tiro verso le auto di Moro, possono consentire benissimo la riuscita di quell'agguato e la soppressione dei 5 uomini di scorta, anche con solo 4 tiratori improvvisati, ma nessuno può credere che gli ideatori dell'agguato abbiano pianificato questa impresa con un numero così ridotto di sparatori e senza tenere conto del possibile malfunzionamento delle armi, come poi in effetti è avvenuto.
Dobbiamo considerare, come è stato ricostruito e confermato dai brigatisti, che dei quattro BR finti "avieri" che spararono sulla scorta: Valerio Morucci, riuscì a sparare solo 7 colpi, poi il suo mitra si inceppò e dovette defilarsi sulla strada, cambiare il caricatore e tornare a sparare forse un altro intero caricatore di 30 colpi, perdendo gli attimi decisivi dell'annientamento rapido. Come egli stesso disse: «oramai le auto erano ferme», volendo forse dire che oramai la scorta era quasi stata annientata.
Raffaele Fiore a quanto pare sparò al massimo tre colpi, o meglio ancora, come lui stesso attestò, neppure uno perchè il suo mitra, l'M12 unico moderno, si inceppò subito e con la sua pistola in dotazione non sparò affatto. Fiore ha affermato: «Ricordo che premetti il grilletto e il mio mitra, un M12, che avrebbe dovuto essere il migliore, si inceppò subito. Io avevo il compito di sparare sull'autista (...) Tolsi il caricatore del mitra, ne misi un altro, ma non funzionò egualmente ...».
Quindi arriviamo a Franco Bonisoli, a cui anche si inceppò il mitra e non si sa quanti colpi sparò o 5 oppure 20 colpi così come Gallinari a cui si inceppò il mitra e che riuscì a sparare o 5 oppure 20 colpi, dovendosi in tal caso invertire la contabilità con quella di Bonisoli.
Bonisoli ha sempre dichiarato che il suo mitra si bloccò «quasi subito». Sempre che abbia detto il vero, o invece abbia voluto sminuire le sue responsabilità nel massacro.
Gallinari ha scritto: «Quello che temevo accade: a metà della raffica il mitra si inceppa, estraggo istintivamente la pistola che porto alla cintura, continuando a sparare come se non fosse cambiato nulla». Se il caricatore del suo TZ45 era di circa trentadue cartucce, probabile che l'arma sparò una ventina di colpi (poco più di metà della raffica).
Inoltre Bonisoli e Gallinari sembra che spararono con le loro pistole, calibro 7,65 parabellum il primo e calibro 9 parabellum il secondo, ma al massimo possano aver sparato 8 colpi di caricatore ciascuno.
Considerando che i bossoli repertati sono stati 91 (oltre ai due sparati dall'agente Iozzino), ma di sicuro ne andarono persi un certo altro numero, il conto dei colpi sparati dalle singole armi e la possibilità di riuscita dell'impresa, non solo non tornano, ma restano notevolmente problematici.

MODALITÀ E DINAMICA DEGLI SPARI INCONGRUENTI
Contrariamente a quanto dichiarato dai brigatisti, si intravedono nelle nebbie di quell'agguato almeno due tiratori in più che resero possibile il totale annientamento della scorta.
Non sono solo ipotesi queste, ma è quanto emerge dalle perizie balistiche e dalle testimonianze e dalla dinamica dell'agguato.
Due tiratori in eccesso, oltre gli attestati 4 "avieri": uno che ha sparato dalla parte destra delle auto ferme, quasi di fronte al muso della 130 di Moro e che ha colpito il maresciallo Leonardi, talmente preciso da ucciderlo immediatamente, tanto che il Leonardi forse non si è neppure ben accorto di quanto accadeva, come rivela la fisiognomica del cadavere. E i colpi che hanno attinto il Leonardi non potevano assolutamente arrivare dal lato sinistro delle auto da dove sparavano i quattro "avieri". Questo ulteriore tiratore potrebbe essere uscito dallo sportello destro della 127 bianca giardinetta, (alcune testimonianze lo confermerebbero) usata dai brigatisti per bloccare le auto di Moro, ed in cui si disse che c'era il solo Moretti che la guidava. O forse più probabilmente, era già appostato sul marciapiede destro, un po' defilato per non essere colpito dai brigatisti che gli erano di fronte.
Anche svariate testimonianze smentiscono i brigatisti che affermano che furono solo i 4 "aviari" a sparare subito con i mitra verso le auto di Moro, perché si sono invece chiaramente sentiti prima dei colpi singoli, probabilmente di pistola (uccisione di Leonardi il più pericoloso della scorta di Moro) e poi subito dopo lo sgranarsi delle raffiche.
Un altro tiratore in più, ha sicuramente contribuito ad ammazzare l'agente Iozzino che uscito dalla alfetta di scorta era riuscito a sparare due colpi contro i brigatisti con la sua Beretta. Iozzino venne attinto da ben 17 colpi calibro 9 parabellum, in massima parte sul fianco sinistro, che non uscirebbero fuori da nessun altra contabilità dei colpi e balistica di tiro assegnata tutta ai 4 "avieri". Questo brigatista si trovava in fondo alla strada, un poco più giù dei 4 "avieri", all'altezza del cancelletto superiore ovvero dove era l'auto messa di traverso dai brigatisti e dove vi erano Casimirri e Lojacono a vigilare, per bloccare il fondo della strada da dove erano arrivate le auto di Moro. Indossava un passamontagna o un sottocasco e ci sono precise testimonianze che lo hanno visto. Si presume che era uno dei due "sconosciuti" che poi andarono via con la grossa moto Honda, presente sul posto per intervenire in estrema emergenza.
A nostro avviso senza le due presenze di tiratori in più i brigatisti avrebbero trovato molte più difficoltà e imprevisti e forse tutto l'agguato avrebbe preso un altra piega.

LA MOTO HONDA
La presenza di questa moto, negata caparbiamente dai brigatisti, smentisce tutte le loro ricostruzioni dell'agguato, ed il fatto che la si è negata con tanta pervicacia lascia intendere che quegli "occupanti" della moto non potevano assolutamente essere resi noti.
Ma la sua presenza è certa, attestata da testimoni sicuri, immediatamente dopo l'agguato, tanto da diventare verità processuale. Come noto nell'andare via questi due "centauri", spararono contro l'ing. Marini, fermo con il suo motorino all'incrocio, rompendogli il parabrezza, e sfiorarono con la moto in fuga un altro teste, tra l'altro un poliziotto della stradale fuori servizio. Il fatto che spararono ad un inerme cittadino, solo per intimorirlo, rischiando di ammazzarlo e sporcare tutta l'operazione, fa sospettare che non erano brigatisti, ma o dei malavitosi pratici in armi o uomini di qualche servizio probabilmente straniero (molti hanno ipotizzato il Mossad), chiamati per sostenere un agguato così complicato e pericoloso.
Comunque sia qui bisogna partire da un presupposto: i due della moto Honda erano di certo noti ai brigatisti, altrimenti bisognerebbe pensare che questi due centauri, presentandosi sul posto, proprio in quel momento, volevano suicidarsi, visto che sarebbero stati accolti a fucilate.
Quindi si sapeva della loro presenza, tra l'altro forse attestata da chi ha notato, da poco prima la strage, la moto vicino al bar Olivetti (testimonianza L. Moschini) e due individui vestiti da "avieri" attorno.
In base a qualche particolare e mezza frase raccolta qua e là, sono state avanzate alcune ipotesi:  Che erano un paio di agenti dei Servizi, più che segreti, se non stranieri, incaricati di vigilare sul sequestro (vengono anche messi in relazione con la inquietante presenza nei pressi di via Fani del colonnello dei Servizi Camillo Guglielmi). Noi, pur convinti della non casualità della sua presenza in via Fani, crediamo però che il Guglielmi non fosse quel giorno e a quell'ora in via Fani perchè "operativo" (a coordinare l'agguato, più probabile che vi fosse stato mandato perché i Servizi qualcosa "sapevano" e vollero controllare sul posto).
Ma Guglielmi a parte, quel che è certo è il fatto che i brigatisti hanno tenacemente negato, come loro appartenenza la moto Honda.
Anche in altre occasioni i BR avevano negato pur evidenti presenze (arrivando a schernire o insultare che lo metteva in dubbio), ma poi, centellinando le rivelazioni e mettendole anche in relazione a possibili benefici che si potevano ottenere, avevano fatto ammissioni. Sulla moto Honda invece, che oltretutto aveva vilmente sparato all'ing. Marini, sono rimasti muti, avanzando solo qualche ipotesi inattendibile e assurda su "compagni" passati occasionalmente, o forse una moto di chi sa chi, capitata per sbaglio sul posto.
Queste due ultime supposizioni però non reggono, perché quella moto fu vista durante l'operazione e fino alla fuga assieme alle macchine dei brigatisti, tanto che poi venne anche segnalata per radio alle pattuglie di polizia subito allertate, quindi non poteva trattarsi di una presenza di passaggio, né occasionale. Vediamo allora le altre ipotesi:
1. Compagni del movimento arrivati, non invitati sul posto, ma ovviamente fattisi riconoscere. È una ipotesi probabile, ma alquanto problematica da accettare perché, intanto bisognerebbe dare per scontato che costoro conoscevano l'esatto posto e l'esatta ora dell'operazione (che la "dritta" sul sequestro fosse trapelata nel movimento, possiamo ammetterlo, ma per i precisi particolari operativi ci sembra un po' troppo) e ancor meno è credibile che questi due "avventurieri", arrivarono sul posto armati, pronti a gettarsi nella mischia non invitati, nè contemplati, rischiando di complicare precisi piani meticolosamente studiati. Anche il fatto che dei "compagni", autoinvitatisi, spararono ad un civile, rischiando di ammazzarlo, lascia perplessi.
2. Un paio di malavitosi, invitati all'operazione per "protezione". A parte i contatti tra brigatisti e malavitosi nelle carceri, ci sono alcuni viaggi di Moretti in Sicilia e Calabria, mai ben giustificati e inoltre, teoricamente, si può comprendere che i brigatisti, mal addestrati alle armi, avessero avuto bisogno di tiratori esperti per ogni eventualità, ma siamo sempre nel campo delle supposizioni. Della presenza di "calabresi" in via Fani, si sono fatti molti accenni, ma sono tutti indizi mai concretizzatesi pienamente e quindi più che tenere questa ipotesi teoricamente in piedi, non è dato fare.
3. Elementi dei Servizi. La presenza inquietante del Guglielmi sul posto, mal spiegata dallo stesso: disse che andava a pranzo da un collega, il colonnello D'ambrasio (alle 9,30?!), il quale poi confermò l'incontro, ma non l'invito a pranzo, non può essere ridimensionata con l'osservazione che le date e i ruolini di servizio attestano che il Guglielmi entrò nel SISMI solo dopo il marzo 1978, perché in certe operazioni delicate vengono impiegate persone di affidamento non necessariamente presenti nelle prese incarico ufficiali del servizio; spesso è probabile che non facciano neppure parte dei Servizi Istituzionalizzati i quali non vengano rischiati in certe operazioni. In genere si usano anche altre strutture super segrete, come ad esempio, il famoso "Anello" che non lasciano tracce compromissorie.
Comunque nel 1978 Guglielmi era in forza presso la Legione carabinieri di Parma, dalla quale venne collocato in congedo il 15 aprile 1978, in pieno sequestro Moro. Dal 1° luglio 1978 Guglielmi, dicesi che prestò servizio presso il SISMI in qualità di consulente "esperto", fino alla sua assunzione nel Servizio segreto militare, datata 22 gennaio 1979. Sembra che precedentemente era stato un addestratore della base sarda di Capo Marrangiu, utilizzata dalle Gladio. Un elemento quindi, esperto ed adatto per essere mandato a "spiare" certi avvenimenti. Possibile che passato da quelle parti di via Fani non sentì la sparatoria?
Alcuni dicono che potrebbe anche essere che non si sentirono gli spari, o comunque, magari passò pochi momenti dopo, ma come potrebbe non aver avvertito il caos circostante della gente, le sirene e come pensare che non ebbe la curiosità, di servizio oltretutto, di andare a vedere? E perchè non ha relazionato niente ai suoi superiori o detto qualcosa?
La presenza del Guglielmi deve essere ancora ben spiegata, e al Guglielmi devesi forse aggiungere, almeno in via dubitativa il perchè quel Bruno Barbaro, cognato del colonnello F. Pastore Stocchi (che a suo tempo aveva diretto la base Gladio di Capo Marrangiu) notato, a strage appena compiuta in via Fani, sia poi sparito, e venne individuato solo molti anni dopo. Saranno casualità, tutto e niente si può supporre, ma dei dubbi restano.
Di una cosa comunque possiamo essere certi: un attentato contro Moro era a conoscenza, fino a che punto non si sa, dei Servizi nostrani e internazionali. Lo stesso alto numero di infiltrati nelle BR, e molte "voci" e "stranezze" varie attestano questo particolare.
Di certo la mancata prevenzione e poi la inconcludente azione dei nostri Servizi fu causata dalla loro impreparazione a queste situazioni, ma sicuramente (P2 o altro) vi fu anche un "qualcosa" in proposito che rese inefficace l'opera dei nostri apparati di sicurezza.
Per concludere, la presenza della moto Honda ha vari testimoni, l'ing. Marini la attestò alla DIGOS già poco più di un ora dopo l'agguato, poi l'ha ripetuta in tutte le altre convocazioni come teste, almeno tre volte, ed infine la attestò nei vari processi su Moro.
La moto Honda, quindi, è divenuta verità processuale, tanto che i BR vennero condannati anche per tentato omicidio verso l'ing. Marini.
Il fatto che i brigatisti la neghino caparbiamente non può essere irrilevante, né casuale.
È anche interessante notare che i testi P. Pistolesi, quello che vide un uomo con il sotto casco sul viso (classico per un motociclista) ed ebbe anche l'impressione che gli sparò una raffica verso la sua direzione per intimidirlo e non farlo muovere e il Marini stesso, furono da subito oggetto di pesanti intimidazioni, e telefonate minatorie, tanto d richiedere la protezione della polizia. È facile rilevare che queste intimidazioni non potevano venire dai brigatisti, non usi a questa pratica, e che non potevano in così breve tempo conoscere indirizzi e telefoni e quanto deposto da questi testi.

IL MEMORIALE OCCULTATO.
Tanto per parlare delle "confessioni" di Moro e del Memoriale che le BR occultarono basti pensare che Moro aveva praticamente dettagliato alle BR delle ingerenze USA e israeliane in Italia, delle faide tra i servizi segreti nostrani, dei traffici tra Sindona e la DC, dello scandalo Lockheed, della strategia della tensione e delle bombe di Piazza Fontana, dei vari traffici di Andreotti, della fuga procurata di Kappler, del "lodo Moro" con i palestinesi e, cosa più importante, aveva confidato il delicato segreto di Stato circa la struttura di Gladio! Ma poco, anzi quasi niente, di tutto questo venne reso pubblico e i verbali originali e le bobine degli interrogatori vennero fatti sparire, tanto che una parte è rimasta sconosciuta e non si hanno testi in originale. Dove sono finiti? Eppure era materiale prezioso, anzi dei "salvacondotto" per chi lo deteneva!
Per la mancata divulgazione del memoriale, le BR si giustificarono sostenendo che non avevano ben compreso quanto Moro gli stava raccontando con il suo linguaggio politicamente quasi ermetico. Ma anche questa è una palese bugia, in quanto non solo, eventualmente, avrebbero potuto chiedere spiegazioni ulteriori al prigioniero, ma le BR avevano, in particolare a Firenze, dirigenti altamente preparati in grado di capirci qualcosa (senza contare la presenza di Giovanni Senzani).
I segreti, svelati da Moro, non erano poi così incomprensibili e comunque non pubblicarono neppure la storia della fuga procurata di Kappler che era chiara .anche ad un bambino.
Quindi, quando il 15 aprile, le BR, a sorpresa, con il comunicato N.° 6, smentirono le loro precedenti promesse di non nascondere nulla al popolo, e dissero che non avrebbero pubblicato segreti svelati da Moro, perché non c'erano segreti ignari al proletariato, mentirono palesemente e probabilmente era già intercorso una specie di "accordo" con chissà "chi".
Tre giorni dopo, infatti, il 18 aprile '78, ci fu la scoperta del covo in via Gradoli e il comunicato falso di Moro che era stato ucciso. Due eventi probabilmente "procurati" che ponevano le BR sulla via di non ritorno.
Per concludere, nessuno può negare che su tutta la vicenda Moro, ci sono molti dubbi e molti sospetti, che molte vicende sono andate troppo contro ogni logica, che il comportamento degli apparati di sicurezza, Servizi compresi, sono stati sospetti.
In mancanza però di prove o riscontri acclarati, non bisogna farsi prendere dalla dietrologia.

L'UCCISIONE DI MORO
L'uccisione di Moro, infine lascia veramente perplessi. Le BR uccisero a freddo un prigioniero che gli aveva rivelato di tutto e di più e che se liberato avrebbe destabilizzato il quadro politico, quando invece uccidendolo lo rafforzava. E lo uccisero contro il parere della maggioranza dell'area della sinistra antagonista e dell'autonomia.
Le BR si sono giustificate dicendo che non avevano via di uscita: sia se lo uccidevano oppure lo liberavano oramai, non avendo lo Stato accettato la trattativa o il loro riconoscimento, ne avrebbero avuto una ricaduta negativa, ma non uccidendolo sarebbe stato peggio perchè, non potevano giustificare il rapimento di Moro, compresa l'eliminazione della scorta, ai loro compagni e simpatizzanti, senza aver avuto niente in cambio, e quindi sarebbero collassate.
Ma questo è vero solo apparentemente, anzi è falso, se consideriamo che le BR avrebbero potuto liberare Moro e contemporaneamente divulgare il Memoriale con le confessioni di Moro (che invece occultarono). Sarebbe stato un successo clamoroso, ne avrebbero tratto benefici e giustificato tutto, mettendo lo Stato a terra, più di 10 azioni di fuoco.
Ma non lo fecero, quindi la morte di Moro è in relazione all'occultamento del memoriale e a trattative sotto banco, intercorse tra le BR, in parte lo Stato e Centri di potere sconosciuti.
Terminiamo qui la il nostro excursus su questo Affaire.
Ci sarebbe tanto ancora da chiarire, a cominciare dalla quasi certezza che Moro non poteva essere rimasto per tutti i 55 giorni nella prigione covo di via Montalcini, che probabilmente proprio negli ultimi giorni di vita fu portato in una prigione nel ghette ebraico di Roma , nei pressi di via Caetani dove poi venne fatto ritrovare il cadavere nella Renault rossa, e dove qui venne assassinato.
Non solo alcuni elementi (indizi?) trovati nel covo BR di via Gradoli, come quelli sul commerciante israelita Bruno Sermoneta che aveva un magazzino di tessuti nel ghetto, un biglietto su una immobiliare che gestiva immobili dalle parti del Ghetto, su quella Laura Di Nola, risultata poi essere interna alla lotta armata e in collegamento con il Mossad, su un covo di incontri in Via Sant'Elena nel ghetto, ecc., tutti elementi mai sufficientemente appurati, ma ci sono anche le precise indicazioni di Mino Pecorelli, che come sappiamo venivano dai Servizi. che arrivò a descrivere il palazzo nel ghetto dove era tenuto Moro.
Il fatto che le indagini per una presenza di una prigione nel ghetto, vennero boicottate, la storia di quel musicista russo, Igor Markevitch, uomo fin dal 1944 attiguo al PWB britannico, e quindi ai avari servizi occidentali e in particolare agli israeliani, non sono da sottovalutare e lasciano perplessi.
Noi possiamo dare l'avvertenza di non andare fuori pista, ipotizzando in questo russo il "grande vecchio" presente anche agli interrogatori di Moro. Niente di tutto questo, Markevitch per il suo passato, il suo carisma, il suo essere a cavallo di ambienti internazionali anche di sinistra, per le sue collusioni con i servizi, era più che altro l'uomo giusto per avvicinare i brigatisti e intavolare una trattativa da parte di chi voleva eliminare Moro e recuperare le sue rivelazioni.
Ma che Moro, negli ultimi giorni era finito nascosto nel ghetto non si può dire perchè tutti sanno che quella zona, piena di garages, magazzini e sotterranei, è sotto totale controllo della comunità israelitica: neppure una formica vi entra senza essere notata, e quindi questo significherebbe ammettere la presenza del Mossad nell'uccisione di Moro.

 Maurizio Barozzi  

   



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