ANONIMO
I tre impostori. Mosè, Gesù e Maometto.
Introduzione e note a cura di G. Ernst, trad. it. di L.
Alfinito, Calabritto (Avellino), Mattia&Fortunato, 2006, pp. 33-71.
I TRE IMPOSTORI
I.
Molti sostengono nelle discussioni che Dio esiste e che gli
si deve prestare un culto, prima ancora
di capire che cosa significhi «Dio», e che cosa significhi «esistere», nella misura in cui questo concetto si può estendere
alle sostanze materiali e spirituali in conformità
alla loro distinzione, che cosa infine significhi «venerare Dio».
Intanto immaginano la venerazione di Dio a somiglianza
dell’ossequio ai potenti superbi.
Essi danno la definizione di Dio ammettendo la loro
ignoranza: infatti, è inevitabile che esprimano la sua peculiarità rispetto a
tutte le altre cose, attraverso la negazione di concetti fondati.
Dicono, cioè, che è infinito l’Essere di cui ignorano e non
riescono a capire i confini.
Dicono che ha creato il cielo e la terra, ma non dicono chi
ha creato lui, perché non lo sanno e non lo comprendono.
Altri dicono che è lui stesso il principio di sé, sostenendo
che da nessun altro, se non da sé, ha
origine; e anch’essi dicono una cosa che non capiscono.
Dicono: non comprendiamo il suo inizio; dunque l’inizio non
esiste.
Perché non dicono: non comprendiamo Dio stesso; quindi Dio
non esiste?
E questo è il comportamento tipico dell’ignoranza.
«Non si dà un processo all’infinito». Perché no? «Perché
l’intelletto umano deve fermarsi a un certo punto».
E perché deve? «Perché così suole, perché non può
immaginarsi qualcosa oltre i suoi
confini»; come se realmente fosse consequenziale questo: io non comprendo il processo all’infinito, dunque non esiste il
processo all’infinito.
E tuttavia, come sappiamo per esperienza, fra i seguaci del Messia
alcuni ritengono infiniti i processi sia delle persone divine, sia dei loro attributi, sulla
definizione dei quali tuttora si disputa, e così ritengono che si danno senz’altro i processi all’infinito.
Infatti infinita è la generazione del Figlio e all’infinito
spira lo Spirito Santo.
All’infinito avviene la generazione del Figlio, all’infinito
lo Spirito procede dal Padre e dal Figlio.
Infatti, se ci fosse stato un inizio o ci fosse una fine di
quella generazione e di quel procedere, si negherebbe il concetto stesso di
eternità divina.
E se anche tu fossi d’accordo con costoro che la
procreazione degli uomini non può procedere
all’infinito, conclusione alla quale però arrivano per la finitezza del loro
intelletto, ancora non sarà dimostrato che le generazioni divine siano state,
anche a modo loro, simili a quelle degli
uomini sulla terra, e dello stesso numero; e chi in un numero così alto dovremmo immaginare come il Dio supremo?
Infatti ogni religione ammette l’esistenza di divinità
mediatrici, sebbene non tutte negli stessi termini.
Perciò l’assioma che l’Essere di natura superiore all’uomo debba essere Uno
sembra vacillare.
Così si potrà dire che dalla diversità degli dèi generatori
è nata poi la diversità delle religioni e la varietà dei culti: soprattutto su
questo principio si fonda la religione dei pagani.
Quanto alle obiezioni circa le uccisioni e le unioni carnali
degli dèi pagani, a parte il fatto che
gli intellettuali dei gentili già da tempo hanno dimostrato che esse devono
essere interpretate come simboli
mistici, si trovano cose simili anche nelle religioni monoteiste, come le stragi di tante popolazioni compiute
da Mosè e da Giosuè per ordine divino ed il sacrificio umano imposto ad Abramo dal Dio
d’Israele, non portato a compimento in via eccezionale.
Ma Dio non poteva comandare, né Abramo credere che Dio
comandasse seriamente ciò che in se stesso ripugna completamente alla natura
divina.
Maometto promette tutto il mondo come premio a chi crede
nella sua religione.
Anche i cristiani ogni tanto profetizzano la strage dei loro
avversari e l’assoggettamento dei nemici alla chiesa, che certo è stata non piccola, da quando i
cristiani hanno esercitato un potere politico.
Non è stata concessa la poligamia da Maometto, da Mosè, ed
anche nel Nuovo Testamento, come alcuni sostengono?
E lo Spirito Santo non generò il Figlio di Dio
congiungendosi in modo tutto peculiare
ad una vergine promessa in matrimonio?
Le altre obiezioni che vengono fatte ai pagani sulla ridicolaggine degli idoli e
sugli abusi del culto, non sono poi così gravi che non possano muoversi simili critiche ai
seguaci delle altre religioni; tuttavia si potrebbe facilmente dimostrare che
tali abusi sono provenuti dai sacerdoti più che dai fondatori delle religioni, dai discepoli più che dai maestri.
II.
Del resto, per tornare all’argomento iniziale, questo
Essere, che costituisce il limite dell’astrazione intellettuale, alcuni lo
chiamano Natura, altri Dio.
E tra questi ultimi, alcuni hanno idee simili, altri diverse.
C’è chi immagina mondi generarsi dall’eternità, e chiama Dio
la connessione delle cose; altri vogliono Dio un essere trascendente, perché
non può essere visto né compreso, benché
anch’essi incorrano in frequenti contraddizioni.
Riguardo al culto di Dio, alcuni fanno consistere la
religione nel timore di potenze invisibili, altri
nell’amore.
E se le potenze invisibili risultano inefficaci,
vicendevolmente una religione ritiene
idolatrica l’altra, ciascuna secondo i suoi principi.
Sostengono che l’amore nasce dalla benevolenza, e ne
riportano gratitudine, laddove piuttosto
l’amore nasce da simpatia istintiva, e i benefici dei nemici inducono un odio
ancora più grande, sebbene nessun
ipocrita osi ammetterlo.
Ma chi potrebbe sostenere che ci venga amore dalla benevolenza di chi ha messo
nell’uomo l’animalità del leone, dell’orso e delle altre belve, per dargli una natura opposta
all’indole del creatore?
Questo poi, non ignorando la debolezza della natura umana,
avrebbe sottoposto l’uomo alla tentazione dell’albero, da dove sapeva con
certezza che avrebbe commesso una trasgressione fatale a se stesso ed a tutti i
suoi discendenti, come vogliono alcuni. Ed essi però sarebbero obbligati al
culto e al ringraziamento come da un
prezioso beneficio; cioè «Questo vorrebbe l’Itacese ecc.».
Prendi un’arma micidiale, come una spada, se sai per certo
in anticipo (ma altri ritengono che in Dio
non si dia prescienza quanto alle cose contingenti) che per il fatto stesso di
averla a disposizione colui al quale la
metti sotto gli occhi l’afferrerà e massacrerà con strage miserabile la sua
famiglia: uno che abbia ancora una goccia di umanità avrà orrore di compiere
simili azioni. Prendi, dico, la spada, tu che per esempio sei padre o amico; e
se sei padre o vero amico, porgila all’amico, o ai figli, con la
raccomandazione di non aggredire, ma prevedendo senza ombra di dubbio che farà
un’aggressione o una miserevole strage dei suoi, per giunta ancora innocenti.
Pensaci, tu che sei padre: avresti agito così?
Questo è aggiungere
lo scherno al divieto. E tuttavia Dio avrebbe dovuto prevedere ciò.
Sostengono che gli si deve prestare un culto per il suo
beneficio perché, dicono, se Dio esiste, deve essere venerato. Proprio come gli
Indiani concludono: il Gran Mogol esiste, dunque deve essere venerato.
Lo venerano anche i suoi; ma perché? Certo perché sia soddisfatta la tracotante superbia sua e dei
suoi Magnati, non per altro. È venerato infatti soprattutto per il timore della
sua potenza visibile (perciò quando muore scompare nella dimenticanza) e poi
per la speranza di una ricompensa.
Lo stesso motivo vale per il culto dei genitori e delle
altre persone. E poiché le potenze invisibili sono ritenute più temibili e grandi delle visibili, perciò si sostiene che
esse debbano essere maggiormente venerate.
I cristiani dicono che Dio deve essere venerato per il suo
amore.
Ma quale amore incolperebbe all’infinito i discendenti
innocenti per la trasgressione di un solo uomo, certamente prevista e quindi premeditata
(dovendosi ammettere come minimo una premeditazione)?
Tu dirai: sì, ma per redimerli.
E come? Il Padre condannerà un figlio ad una sofferenza
estrema, per infliggere all’altro pene non minori per la redenzione del primo.
Nemmeno i Barbari credono in storie così menzognere.
Ma perché bisogna amare e venerare Dio? «Perché ci ha
creati».
E a che scopo? Affinché cadessimo in fallo; perché certo
sapeva che Adamo ed Eva sarebbero caduti in fallo, ed apparecchiò la trappola
del frutto proibito, senza la quale non avrebbero potuto peccare!
Ciononostante, andrebbe venerato perché da lui dipendono le
trasformazioni di tutte le cose, secondo
altri però anche la loro esistenza e conservazione.
III.
Ma a quale fine va tributato a Dio un culto? Perché ha
bisogno di un culto o dal culto viene placato?
Certo è così: fra noi uomini sono oggetto di venerazione i
genitori e i benefattori.
Ma che è questo culto? La società umana provvede al
soddisfacimento reciproco dei bisogni, e
noi pratichiamo il rispetto di parenti e benefattori perché crediamo che abbiano
una maggiore e più immediata possibilità di soccorrerci. Nessuno vorrebbe
soccorrere un altro senza un ricambiato soddisfacimento anche del proprio
bisogno. La consapevolezza del bene fatto si chiama anche credito, il quale
sollecita una maggiore riconoscenza per il beneficio, e richiede che poi esso
sia celebrato, e che l’altro gli stia a disposizione
come una serva, per costruire una fama ed un’immagine di grandezza
nell’opinione pubblica.
È evidente che l’opinione altrui del nostro potere di
soccorrere il bisogno individuale e
collettivo, ci alletta, ci fa sollevare le penne come quelle del pavone, ragion per cui anche la magnificenza è
annoverata fra le virtù.
Ma chi non vede come è imperfetta la nostra natura?
E chi oserebbe invece dire che Dio, l’essere più perfetto,
abbia qualche bisogno?
Chi dirà che egli voglia un tale riconoscimento di
grandezza, se è perfetto, se è in se
stesso abbastanza contento e onorato, indipendentemente da tutti gli onori che possano
tributargli gli altri?
Chi lo dirà, se non chi è convinto che egli sia manchevole?
Il bisogno di essere onorato è segno di imperfezione e di
impotenza.
A questo punto citano il consenso di tutti i popoli alcuni
che hanno parlato a mala pena con tutti
i loro concittadini soltanto, oppure hanno letto tre o quattro libri che
trattano della testimonianza universale;
ma non tengono conto fino a che punto agli autori siano note le usanze del mondo.
Ora, nemmeno i migliori scrittori le conoscono tutte.
Osserva tuttavia che la questione è sul culto che ha fondamento in Dio stesso e
nelle sue opere, non in un mero interesse politico-sociale.
Infatti ognuno comprende che è costume soprattutto dei
governanti e dei potenti in politica di conservare formalmente un’istituzione
religiosa per mitigare gli istinti violenti del popolo.
Del resto chi, ripensando all’argomento precedente,
crederebbe che nella sede principale della religione cristiana, l’Italia, si
nascondono tanti liberi pensatori e tanti atei, per dire qualche cosa di più
grave?
E, se lo credesse, direbbe che la fede nell’esistenza di Dio
e il dovere di venerarlo appartengono a tutti i popoli? «Sì, perché i più sani
sostengono ciò». E chi sono i più sani? «Il Papa, gli àuguri e gli indovini
degli antichi, Cicerone, Cesare, i prìncipi e i sacerdoti ad essi devoti,
ecc.».
Ma come facciamo a capire che dicano e credano così come
parlano, e che non sbandierino tali dottrine per un loro interesse? Questi
infatti esercitano un potere politico e, facendo temere l’enorme potenza di
esseri invisibili e la loro vendetta,
fingendo talvolta un loro collegamento ed un’intesa più intima con questi, si guadagnano dalla credulità popolare redditi
sufficienti o abbondanti per la loro agiatezza.
Che i sacerdoti insegnino tali cose non fa meraviglia,
perché questo è il loro mezzo di sostentamento. Questi sarebbero gli
insegnamenti dei «più sani».
IV.
Supponiamo che quest’universo dipenda dalla direzione del
primo motore; tale dipendenza però sarà
quella iniziale. Infatti nulla impedisce che il primo ordine di Dio sia stato
tale che tutte le creature, una volta preordinatone il percorso, procedano fino
al termine prefissato, se egli ha voluto
prefissarne uno. E non ci sarà più bisogno di un’ulteriore cura, governo o dipendenza del mondo, perché il
Creatore ha potuto infondere fin dall’inizio in ognuna delle creature stesse sufficiente
energia. E perché pensare che non l’abbia fatto? Non bisogna credere che egli
visiti tutti gli elementi e le parti dell’universo, come il medico fa con
l’ammalato.
«Che dire dunque della testimonianza della coscienza? Da
dove proverrebbe ad essa la paura per il
male commesso, se non sapessimo che esiste sopra di noi un osservatore e giudice,
al quale dispiacciano le cattive azioni in quanto del tutto contrarie al
rispetto per lui?». Non ho già intenzione di indagare più a fondo la natura del
bene e del male, né i pericoli dei
pregiudizi e i vani timori eccessivi, provenienti da opinioni preconcette: dico
solo che la paura dipende dal fatto che
tutte le cattive azioni consistono nel guastare e nell’alterare l’armonia del mutuo soccorso,
che sorregge la società umana; e dal fatto che l’immagine di chi voglia aggravare anziché
soddisfare i bisogni altrui, lo rende odioso.
Perciò avviene che egli stesso abbia paura di incorrere
nella sanzione dell’odio e del disprezzo
sociale, o nel pari rifiuto di soddisfare i suoi bisogni, od abbia paura di
perdere il suo potere, sia quello sugli
altri, sia quello di badare a sé, in quanto certo deve temere di essere privato
dagli altri del potere di nuocere.
Eppure, quelli che non hanno la luce della Sacra Scrittura,
si dice, agiscono secondo un lume
naturale, cioè secondo i dettami della propria coscienza, il che dimostrerebbe
per certo che Dio abbia infuso nell’intelletto
di tutti gli uomini alcune scintille della sua saggezza e volontà, agendo in conformità delle quali
bisognerebbe riconoscere che agiscono rettamente.
Il precetto di venerare Dio non avrebbe altro motivo che
questo. D’altra parte, se le bestie agiscano secondo razionalità, si dibatte
con molte argomentazioni, e non si è ancora arrivati ad una conclusione, che nemmeno io voglio
sollecitare. Ma chi t’ha detto che ciò non avvenga, o che un animale educato non sia
talvolta superiore, per intelligenza e facoltà di giudizio, ad un uomo incolto e selvaggio? Per
dire come sta veramente la cosa, i più degli uomini oziosi, incapaci di pensieri sottili e
più elevati delle concezioni comuni, solo per soddisfare il loro prestigio ed i loro
interessi, hanno escogitato molte regole sottili a cui né Tirsi né Alessi, impediti dalle loro
occupazioni pastorali ed agricole, potranno mai dedicarsi.
Perciò questi hanno prestato fede agli oziosi speculatori
come se fossero più saggi, aggiungi anche più adatti ad ingannare i più
semplici. «Via, buon Alessi, venera i Pan, i Silvani, i Satiri, le Diane, ecc.»; infatti codesti
grandi filosofi ti racconteranno il sogno di Numa Pompilio, e vorranno narrarti
di essere giaciuti con la ninfa Egeria e legarti all’osservanza delle loro
invenzioni con tale racconto, e per ricompensa della loro opera di mediazione e
per ottenerti il favore di quelle divinità invisibili, chiederanno in offerta
il prodotto del gregge e del tuo lavoro per il loro sostentamento.
Bisogna immaginare che così Tizio cominciò a venerare Pan, Alessi Fauno, Roma
Marte, Atene dèi ignoti; e che se questi uomini buoni conobbero qualcosa, fu per
intelligenza naturale, perché infondate erano le invenzioni e le attribuzioni
degli speculatori, per non parlare più severamente di altre religioni.
E perché la ragione naturale non li ammonì che sbagliavano
nel culto, e che era ridicolo venerare
statue e pietre come abitazioni dei loro dèi? «Eppure bisogna credere che,
poiché le pie donnicciole venerano con tanta devozione Francesco, Ignazio,
Domenico e simili, la ragione ammonisce che almeno qualcuno dei Santi deve
essere venerato, e che queste persone per naturale illuminazione intuiscono il
culto di un potere superiore invisibile».
E invece queste sono invenzioni dei nostri oziosi sacerdoti,
mirate ad accrescere più lautamente i loro mezzi di sostentamento.
Dunque non esiste Dio? sarà pure, supponiamo che esista;
deve essere venerato?
Ma non è consequenziale al suo esistere che egli desideri il
culto. «Eppure lo desidera, in quanto ha inculcato questo bisogno nel cuore umano.
E allora? Seguiremo dunque il nostro istinto naturale». E però di questo si riconosce
l’imperfezione: ma in quali cose?
Infatti esso è sufficiente per praticare abbastanza
sicuramente le relazioni umane. Quei religiosi che seguono la rivelazione non vivono meglio degli
altri. «C’è piuttosto che Dio esige da noi soprattutto una conoscenza più esatta di sé».
Senonché, tu che prometti questo, a qualsiasi religione tu appartenga, non sei in grado di
mantenere la promessa. Quale sia l’essenza divina, in qualsiasi religione
rivelata, rimane assai più oscuro di prima. E come si potrebbe definire chiaramente con i concetti ciò che
trascende ogni facoltà intellettiva?
Che ti sembra di questo? «Nessuno mai ha conosciuto Dio»,
così pure «nessun occhio l’ha visto», e ancora «Egli abita in una luce inaccessibile», e pure
«dopo la rivelazione è ancora nel mistero». Ma quanto sia chiaro il mistero ognuno lo sa,
credo. In verità, da che cosa ti risulta che Dio esiga di essere conosciuto? Forse dal desiderio da
cui è preso l’intelletto umano di trascendere i limiti delle sue capacità e di immaginare il
tutto in termini di maggiore perfezione rispetto al suo agire, o da che altro?
Da una rivelazione speciale? Chi sei tu, che dici questo?
Buon Dio! che miscuglio di rivelazioni!
Chiami in causa gli oracoli dei pagani? Già ne rise l’antichità. Le
testimonianze dei sacerdoti? Ti presento
altri sacerdoti che li contraddicono. Confrontatevi in un dibattito: ma chi farà da giudice? e quale sarà la
conclusione del dibattito? Citi gli scritti di Mosè, dei profeti e degli apostoli? Ti si contrappone il
Corano, che definisce manipolati quegli scritti sulla base dell’ultima rivelazione; e l’autore
di essa si vanta di avere, per miracoloso intervento divino, tagliato in tronco
con la spada la corruzione e le dispute dei cristiani, come Mosè quelle dei gentili.
Infatti con la forza soggiogò la Palestina Maometto, con la forza anche Mosè, sorretti l’uno e l’altro da
grandi miracoli. E i seguaci di costoro ti si oppongono, come anche le raccolte dei Veda e
dei Bramini, che risalgono a 1300 anni fa, per non parlare dei Cinesi.
Tu, che sei nascosto qui, in questo angolo dell’Europa,
trascuri queste altre religioni, ne
neghi la fondatezza. E fai bene, a tuo stesso giudizio. Infatti, con la stessa superficialità quegli altri negano la
fondatezza della tua religione. E quale miracolo non basterebbe a convincere gli umani, se
risultasse che il mondo è stato creato e generato da un uovo dello Scorpione,
che la Terra è collocata sulla testa del Toro, e che le fondamenta
dell’universo sarebbero formate dai primi tre libri Veda se qualche figlio invidioso degli dèi non avesse trafugato
questi primi tre volumi! Ne riderebbero i nostri, per i quali ciò sarebbe un’ulteriore argomento
della fondatezza della loro religione, il quale però non poggia se non sul
cervello dei loro sacerdoti.
D’altronde, da dove hanno avuto origine gli infiniti volumi
sugli dèi pagani e carretti pieni di menzogne?
Fu più saggio Mosè, che, formatosi dapprima alla scuola
degli Egizi, cioè all’astrologia e alla magia, poi alla crudeltà delle armi,
estromise i re dal territorio della Palestina e, fingendo un rapporto intimo
con la divinità, come quello di Numa
Pompilio, lanciò l’esercito fiducioso nelle sue forze alla conquista dei territori di uomini infingardi:
evidentemente, affinché fosse lui stesso condottiero supremo e suo fratello sommo
sacerdote, allo scopo di assumere prima o poi il governo assoluto del popolo.
Altri, per vie più blande, accarezzando il popolo col
mostrare santità, inorridisco a dire il resto e i loro imbrogli nelle opere pie
in cerchie più appartate, dapprima ebbero la meglio sulla plebe incolta dei
pagani, poi, anche grazie alla forza di diffusione della nuova religione,
perfino sui governanti impauriti e odiosi. Infine un terzo, desideroso di
guerra, legò a sé con finti miracoli popolazioni più feroci dell’Asia,
maltrattata da prìncipi cristiani; promettendo vittorie e ricompense, seguendo
l’esempio di Mosè, soggiogò i prìncipi
dell’Asia discordi ed oziosi, e consolidò con la scimitarra la sua religione.
Il giudaismo fu ritenuto correttore del paganesimo, il
cristianesimo del giudaismo, Maometto dell’uno e dell’altro; ora bisogna vedere
chi sarà il correttore di Maometto e dell’islamismo.
VI.
Evidentemente, fino a tal segno è esposta all’inganno la
credulità umana, l’abuso della
quale con la finzione di qualche utilità è chiamato
giustamente IMPOSTURA.
Spiegare ora più estesamente la natura di questa in generale
e le sue varie specie, sarebbe
impresa troppo lunga e noiosa.
D’altra parte noi dobbiamo osservare questa regola, che,
ammessa anche una religione
naturale e il dovuto culto nella misura in cui si dice
dettato dalla natura, ormai ogni
fondatore di nuova religione sia sospetto d’IMPOSTURA; tanto
più che è chiaro a tutti ed
ovvio, sia per ciò che ho detto, sia per quello che ancora
dirò, quanti inganni si sono
verificati nella diffusione di una religione.
Rimane allora incontrovertibile, in forza dell’obiezione
precedente, che la religione ed il
culto di Dio secondo i dettami della ragione naturale è
conforme a verità e giustizia. Chi
invece vuole proporre altro in materia religiosa, di nuovo e
di diverso, per ispirazione di un
potere trascendente, è tenuto a dimostrare la sua autorità
di riformatore, se non vuole essere
ritenuto da tutti un impostore avverso al modo di sentire
universale, e non già al di sopra
della ragione naturale e sotto l’autorità di una speciale
rivelazione. In più sia onesto, di tal
genere di vita e di costumi, che può essere creduto dalla
gente degno di essere accolto in
intima comunione da così alta e santa divinità, alla quale non
piace alcunché di impuro; e
questo non potranno provarlo solo l’attestazione personale o
la vita vissuta con sufficiente
purezza anche prima, o alcuni miracoli, cioè atti
straordinari; infatti ciò è comune pure agli
uomini più scaltri, ingannatori, mendaci e ipocriti, i quali
con questo comportamento si
procurano vantaggi e gloria; ma neanche bisogna pretendere
che alcuni arrivino a tale follia
da cercare di loro iniziativa la morte, affinché si creda
che essi disprezzino veramente tutti i
beni terreni, come fecero diversi filosofi antichi. E non
bisogna nemmeno credere che essi
siano stati sorretti da speciali energie divine in ciò che
compirono per pura immaginazione e
sciocca persuasione di orecchie e menti a causa di mancanza
d’intelligenza. Chi dette
credito, non vagliò abbastanza la cosa, e quelli non sono
veri maestri; ho già detto che per
distinguere questi correttamente, non basta solo la loro
personale testimonianza, ma è
necessario mettere a confronto questi testimoni fra loro, ed
altri con questi, e non solo noti e
familiari, ma anche di sconosciuti, amici e nemici: occorre
poi, raccolte tutte le
testimonianze di ciascun maestro e degli altri sul suo
conto, esaminare a fondo la verità della
cosa. E se i testimoni stessi ci sono sconosciuti, allora
dovremo interrogare testimonni sul
conto dei testimoni, e così di seguito. Ma bisogna
analizzare anche la personale capacità di
giudizio, cioè se uno è in grado di discernere dal vero il
falso in queste ed altre circostanze,
soprattutto se la menzogna è mescolata a cose verosimili, e
indagare donde abbia attinto i
criteri di distinzione del vero, e ancora confrontare le
opinioni altrui, cioè che cosa
inferiscano altri da tali dimostrazioni e testimonianze. Da
ciò si potrà concludere se sia
veritiero annunziatore della volontà di Dio colui che si
presenta come tale, e se il suo dettato
si debba seguire alla lettera. Ma bisogna assolutamente
guardarsi dal cadere in un circolo
vizioso.
E poiché la natura delle principali religioni è tale che
l’una presuppone l’altra, quella di
Mosè il paganesimo, quella del Messia il giudaismo, quella
di Maometto il cristianesimo, e
non sempre la successiva respinge la precedente in tutto, ma
solo in determinate parti, e nel
resto si fonda anche sulla precedente, come fanno il Messia
e Maometto, allora bisognerà
esaminare non solo l’ultima, o quella intermedia, o la
prima, ma tutte singolarmente con
cura, tanto più che ogni religione accusa l’altra di
impostura: il Messia gli antichi, che
avrebbero corrotto la legge, e Maometto i cristiani, che
avrebbero corrotto il Vangelo.
Quanto a questi, non v’è nulla di strano, giacché nell’ambito del cristianesimo una setta
Quanto a questi, non v’è nulla di strano, giacché nell’ambito del cristianesimo una setta
accusa l’altra di aver corrotto il testo del Nuovo
Testamento; troppo perché si possa appurare
se anche costui, che si propone come modello da imitare, sia
il fondatore della vera
religione, e fino a che punto si debba dare ascolto a quelli
che si dicono venuti prima. In
questa indagine nessuna religione deve essere tralasciata,
ma tutte devono essere
confrontate, senza pregiudizi di sorta. Infatti, se ne fosse
tralasciata una soltanto, forse
proprio quella potrebbe essere la vera religione. Così, chi
segue Mosè, seguirà la verità
anche secondo i cristiani, salvo che non doveva fermarsi a
quel solo profeta, ma prendere in
considerazione pure la verità della religione cristiana.
VII.
Certo, ogni religione asserisce che tutti i maestri sono
dalla propria parte, e che essa lo ha sperimentato
ed ancora lo sperimenta ogni giorno, e che non ne esistono altri migliori.
Sicché o bisogna credere a tutte le religioni, il che è
ridicolo, o a nessuna, che è la cosa più sicura, finché non si sia trovata la vera
religione; ma è importante che non se ne tralasci nessuna nel confronto.
Non è obiezione seria che per sapere che due più due fa
quattro occorrerebbe mettere a confronto tutti i matematici. Non è la stessa
cosa, perché non s’è visto mai nessuno che abbia messo in dubbio che due più due fa
quattro, mentre invece le religioni sono in disaccordo su tutto, dal principio alla fine.
Supponiamo che io ignori la retta via della salvezza; seguo
intanto i Bramini o il Corano; Mosè e gli altri mi diranno: che male ti abbiamo
fatto per essere così rifiutati da te pur essendo migliori e più veritieri?
Che risponderemo? Ho creduto in Maometto o nei ginnosofisti
perché sono nato in quella religione, vi
sono stato educato e da essa ho capito che la tua religione e quella cristiana,
che da te discende, sono ormai superate
e corruttrici?
Non replicheranno di non sapere nulla di quelli, e che gli altri non sanno nulla del
vero percorso della salvezza, e che ciò che sanno è che quelli sono corruttori
e impostori, che seducono il popolo con finti miracoli e menzogne?
Non con tanta leggerezza bisogna prestar fede ad un solo
uomo, o ad una setta, respingendo tutte
le altre senza ogni doverosa indagine. Con lo stesso diritto un Etiope, che non è mai uscito dalla sua terra, potrebbe
dire che sotto il sole non esistono uomini di colore diverso dal nero.
Inoltre bisogna badare anche a mantenere lo stesso rigore nello studio di tutte le fedi,
e non esaminarne scrupolosamente una
soltanto sfiorando appena le altre e subito scartandole per una o un’altra affermazione apparsa
ingiusta a prima vista, o per cattive dicerie sul conto del fondatore di quella
setta. Infatti non bisogna prendere affrettatamente per dogma o per testimonianza sicura quel che il primo
girovago qualsiasi abbia asserito sulle altre religioni.
Fu così che, alle origini, per comune diceria e per semplice
nomea, la religione cristiana era per
alcuni motivo di orrore, per altri oggetto di scherno: per questi, perché i
cristiani veneravano la testa di un
asino, per quelli, perché mangiavano e bevevano i loro dèi, ecc., sicché il cristiano alla fine era ritenuto
nemico capitale di Dio e degli uomini, quando invece narrazioni siffatte o erano concetti mal
compresi oppure solenni menzogne.
Queste venivano consolidate,
ed in parte erano nate, perché i nemici di quella fede o non parlavano affatto,
o non correttamente, con i cristiani stessi, anzi coi più indottrinati fra
questi, ma credevano al primo ignorante
o disertore o nemico di essa.
Dal momento che il criterio d’indagine che ho proposto è
impresa di tanta difficoltà, che dire dei bambini, delle donne, della maggior
parte del popolino? Già era preclusa la certezza della loro fede a tutti i
bambini ed alla maggior parte delle donne, per le quali sono oscure anche
quelle cose che derivano nel modo più chiaro possibile dai princìpi di una
religione.
E dal loro modo di vivere tu vedi con tutta probabilità che
esse non hanno, tranne pochissime, una così acuta capacità di comprendere misteri
siffatti.
Per non parlare dell’altissimo numero di gente semplice o di
contadini, per i quali il massimo sforzo razionale è la ricerca del cibo, gli
altri accettano o respingono la religione
in buona fede.
Così rimane evidentemente una piccolissima parte ad avere
capacità di esaminare tutte le religioni, confrontare con le altre
scrupolosamente la propria, discernere criticamente
il criterio della verità e della menzogna, cioè capire in quali punti si
potrebbe essere ingannati; ma la maggioranza
degli uomini segue la fede altrui, per lo più dei teologi, la cui cultura e capacità di giudizio sul
sacro è accreditata dalla fama.
E ciò avviene in qualsiasi religione: generalmente si
comportano così quelli che non sanno
leggere e scrivere, o che non hanno da leggere. Bisogna peraltro osservare che
qui non basta, a discernere il vero dal
falso, l’autorità dei maestri di una religione forniti di capacità di giudizio e di provata esperienza; pure agli
altri deve risultare chiara tale distinzione, con certezza massima e per
valutazione ugualmente scrupolosa; inoltre deve esser certo che quei maestri abbiano non solo la capacità di
distinguere il vero dal falso, ma anche la volontà di manifestarlo.
Giacché soprattutto dobbiamo esser certi che non voglia né
ingannare né ingannarsi colui che
professa una conoscenza ed una volontà di tal sorta.
E che scelta faremo a questo punto, fra tanti maestri
diversissimi anche di una sola religione eccellente? Infatti vediamo
correligionari che sono in disaccordo in più punti, amicissimi per il resto;
uno dei due, dissentendo dall’altro, fa questo per qualche difetto: o perché
non capisce bene l’argomento, e quindi difetta di capacità di giudizio, o
perché non vuol cedere, e quindi non ha
volontà di professare la verità. Ma, anche se ciò capita su argomenti secondari
della fede, tuttavia questi maestri diventano sospetti pure nel resto; in ogni
caso, certo la verità è una, e chi se ne allontana in un solo punto, o per
difetto d’intelligenza o per mala fede,
diventa sospetto anche nelle altre affermazioni, e bene a ragione.
Perciò, perché tu possa giudicare della competenza o
dell’onestà di un maestro in materia di
religione, per prima cosa devi essere abile come lui, altrimenti ti si potrà ingannare facilmente: egli poi, se non ti è
ben noto, avrà bisogno per essere credibile della testimonianza di altri e
questi a loro volta di altri, in un processo all’infinito non solo sulla sua
veridicità, cioè che ha insegnato cose vere, ma anche sulla sua onestà, cioè
che ha insegnato senza inganno.
Pure sui testimoni si dovrà osservare lo stesso criterio di
onestà intellettuale e di veridicità.
Ma, a questo punto, quando arriverai ad una conclusione?
E non è sufficiente che tali argomenti siano stati già
disputati da altri; bisogna vedere come è stato
fatto.
Infatti le dimostrazioni che vengono comunemente divulgate
non sono né certe né evidenti, ed arrivano a conclusioni dubbie attraverso
argomentazioni spesso ancora più dubbie; sicché ritorni sempre al punto di
partenza, come quelli che fanno un percorso circolare.
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