venerdì 15 agosto 2014

I tre impostori. Mosè Gesù e Maometto.


ANONIMO
I tre impostori. Mosè, Gesù e Maometto.

Introduzione e note a cura di G. Ernst, trad. it. di L. Alfinito, Calabritto (Avellino), Mattia&Fortunato, 2006, pp.  33-71.


I TRE IMPOSTORI

I.
Molti sostengono nelle discussioni che Dio esiste e che gli si deve prestare un culto,  prima ancora di capire che cosa significhi «Dio», e che cosa significhi «esistere», nella  misura in cui questo concetto si può estendere alle sostanze materiali e spirituali in  conformità alla loro distinzione, che cosa infine significhi «venerare Dio».
Intanto immaginano la venerazione di Dio a somiglianza dell’ossequio ai potenti superbi.
Essi danno la definizione di Dio ammettendo la loro ignoranza: infatti, è inevitabile che esprimano la sua peculiarità rispetto a tutte le altre cose, attraverso la negazione di concetti  fondati.
Dicono, cioè, che è infinito l’Essere di cui ignorano e non riescono a capire i confini.
Dicono che ha creato il cielo e la terra, ma non dicono chi ha creato lui, perché non lo sanno e non lo comprendono.
Altri dicono che è lui stesso il principio di sé, sostenendo che da nessun altro, se non da  sé, ha origine; e anch’essi dicono una cosa che non capiscono.
Dicono: non comprendiamo il suo inizio; dunque l’inizio non esiste.
Perché non dicono: non comprendiamo Dio stesso; quindi Dio non esiste?
E questo è il comportamento tipico dell’ignoranza.
«Non si dà un processo all’infinito». Perché no? «Perché l’intelletto umano deve fermarsi a un certo punto».
E perché deve? «Perché così suole, perché non può immaginarsi qualcosa  oltre i suoi confini»; come se realmente fosse consequenziale questo: io non comprendo il  processo all’infinito, dunque non esiste il processo all’infinito.
E tuttavia, come sappiamo  per esperienza, fra i seguaci del Messia alcuni ritengono infiniti i processi sia delle persone  divine, sia dei loro attributi, sulla definizione dei quali tuttora si disputa, e così ritengono che  si danno senz’altro i processi all’infinito.
Infatti infinita è la generazione del Figlio e all’infinito spira lo Spirito Santo.
All’infinito avviene la generazione del Figlio, all’infinito lo Spirito procede dal Padre e dal Figlio.
Infatti, se ci fosse stato un inizio o ci fosse una fine di quella generazione e di quel procedere, si negherebbe il concetto stesso di eternità divina.
E se anche tu fossi d’accordo con costoro che la procreazione degli uomini non può  procedere all’infinito, conclusione alla quale però arrivano per la finitezza del loro intelletto, ancora non sarà dimostrato che le generazioni divine siano state, anche a modo loro, simili a  quelle degli uomini sulla terra, e dello stesso numero; e chi in un numero così alto  dovremmo immaginare come il Dio supremo?
Infatti ogni religione ammette l’esistenza di divinità mediatrici, sebbene non tutte negli stessi termini.
Perciò l’assioma che l’Essere di  natura superiore all’uomo debba essere Uno sembra vacillare.
Così si potrà dire che dalla diversità degli dèi generatori è nata poi la diversità delle religioni e la varietà dei culti: soprattutto su questo principio si fonda la religione dei pagani.
Quanto alle obiezioni circa le uccisioni e le unioni carnali degli dèi pagani, a parte il fatto  che gli intellettuali dei gentili già da tempo hanno dimostrato che esse devono essere  interpretate come simboli mistici, si trovano cose simili anche nelle religioni monoteiste,  come le stragi di tante popolazioni compiute da Mosè e da Giosuè per ordine divino ed il  sacrificio umano imposto ad Abramo dal Dio d’Israele, non portato a compimento in via eccezionale.
Ma Dio non poteva comandare, né Abramo credere che Dio comandasse seriamente ciò che in se stesso ripugna completamente alla natura divina.
Maometto promette tutto il mondo come premio a chi crede nella sua religione.
Anche i cristiani ogni tanto profetizzano la strage dei loro avversari e l’assoggettamento dei nemici alla chiesa, che  certo è stata non piccola, da quando i cristiani hanno esercitato un potere politico.
Non è stata concessa la poligamia da Maometto, da Mosè, ed anche nel Nuovo Testamento, come alcuni sostengono?
E lo Spirito Santo non generò il Figlio di Dio congiungendosi in modo  tutto peculiare ad una vergine promessa in matrimonio?
Le altre obiezioni che vengono fatte  ai pagani sulla ridicolaggine degli idoli e sugli abusi del culto, non sono poi così gravi che  non possano muoversi simili critiche ai seguaci delle altre religioni; tuttavia si potrebbe facilmente dimostrare che tali abusi sono provenuti dai sacerdoti più che dai fondatori delle  religioni, dai discepoli più che dai maestri.

II.
Del resto, per tornare all’argomento iniziale, questo Essere, che costituisce il limite  dell’astrazione intellettuale, alcuni lo chiamano Natura, altri Dio.
E tra questi ultimi, alcuni  hanno idee simili, altri diverse.
C’è chi immagina mondi generarsi dall’eternità, e chiama Dio la connessione delle cose; altri vogliono Dio un essere trascendente, perché non può  essere visto né compreso, benché anch’essi incorrano in frequenti contraddizioni.
Riguardo al culto di Dio, alcuni fanno consistere la religione nel timore di potenze invisibili, altri
nell’amore.
E se le potenze invisibili risultano inefficaci, vicendevolmente una religione  ritiene idolatrica l’altra, ciascuna secondo i suoi principi.
Sostengono che l’amore nasce dalla benevolenza, e ne riportano gratitudine, laddove  piuttosto l’amore nasce da simpatia istintiva, e i benefici dei nemici inducono un odio ancora  più grande, sebbene nessun ipocrita osi ammetterlo.
Ma chi potrebbe sostenere che ci venga  amore dalla benevolenza di chi ha messo nell’uomo l’animalità del leone, dell’orso e delle  altre belve, per dargli una natura opposta all’indole del creatore?
Questo poi, non ignorando la debolezza della natura umana, avrebbe sottoposto l’uomo alla tentazione dell’albero, da dove sapeva con certezza che avrebbe commesso una trasgressione fatale a se stesso ed a tutti i suoi discendenti, come vogliono alcuni. Ed essi però sarebbero obbligati al culto e al  ringraziamento come da un prezioso beneficio; cioè «Questo vorrebbe l’Itacese ecc.».
Prendi un’arma micidiale, come una spada, se sai per certo in anticipo (ma altri ritengono che in  Dio non si dia prescienza quanto alle cose contingenti) che per il fatto stesso di averla a  disposizione colui al quale la metti sotto gli occhi l’afferrerà e massacrerà con strage miserabile la sua famiglia: uno che abbia ancora una goccia di umanità avrà orrore di compiere simili azioni. Prendi, dico, la spada, tu che per esempio sei padre o amico; e se sei padre o vero amico, porgila all’amico, o ai figli, con la raccomandazione di non aggredire, ma prevedendo senza ombra di dubbio che farà un’aggressione o una miserevole strage dei suoi, per giunta ancora innocenti.
Pensaci, tu che sei padre: avresti agito così?
Questo è  aggiungere lo scherno al divieto. E tuttavia Dio avrebbe dovuto prevedere ciò.
Sostengono che gli si deve prestare un culto per il suo beneficio perché, dicono, se Dio esiste, deve essere venerato. Proprio come gli Indiani concludono: il Gran Mogol esiste, dunque deve essere venerato.
Lo venerano anche i suoi; ma perché? Certo perché sia  soddisfatta la tracotante superbia sua e dei suoi Magnati, non per altro. È venerato infatti soprattutto per il timore della sua potenza visibile (perciò quando muore scompare nella dimenticanza) e poi per la speranza di una ricompensa.
Lo stesso motivo vale per il culto dei genitori e delle altre persone. E poiché le potenze invisibili sono ritenute più temibili e  grandi delle visibili, perciò si sostiene che esse debbano essere maggiormente venerate.
I cristiani dicono che Dio deve essere venerato per il suo amore.
Ma quale amore incolperebbe all’infinito i discendenti innocenti per la trasgressione di un solo uomo,  certamente prevista e quindi premeditata (dovendosi ammettere come minimo una premeditazione)?
Tu dirai: sì, ma per redimerli.
E come? Il Padre condannerà un figlio ad una sofferenza estrema, per infliggere all’altro pene non minori per la redenzione del primo.
Nemmeno i Barbari credono in storie così menzognere.
Ma perché bisogna amare e venerare Dio? «Perché ci ha creati».
E a che scopo? Affinché cadessimo in fallo; perché certo sapeva che Adamo ed Eva sarebbero caduti in fallo, ed apparecchiò la trappola del frutto proibito, senza la quale non avrebbero potuto peccare!
Ciononostante, andrebbe venerato perché da lui dipendono le trasformazioni di tutte le cose,  secondo altri però anche la loro esistenza e conservazione.

III.
Ma a quale fine va tributato a Dio un culto? Perché ha bisogno di un culto o dal culto viene placato?
Certo è così: fra noi uomini sono oggetto di venerazione i genitori e i benefattori.
Ma che è questo culto? La società umana provvede al soddisfacimento reciproco  dei bisogni, e noi pratichiamo il rispetto di parenti e benefattori perché crediamo che abbiano una maggiore e più immediata possibilità di soccorrerci. Nessuno vorrebbe soccorrere un altro senza un ricambiato soddisfacimento anche del proprio bisogno. La consapevolezza del bene fatto si chiama anche credito, il quale sollecita una maggiore riconoscenza per il beneficio, e richiede che poi esso sia celebrato, e che l’altro gli stia a  disposizione come una serva, per costruire una fama ed un’immagine di grandezza nell’opinione pubblica.
È evidente che l’opinione altrui del nostro potere di soccorrere il  bisogno individuale e collettivo, ci alletta, ci fa sollevare le penne come quelle del pavone,  ragion per cui anche la magnificenza è annoverata fra le virtù.
Ma chi non vede come è imperfetta la nostra natura?
E chi oserebbe invece dire che Dio, l’essere più perfetto, abbia qualche bisogno?
Chi dirà che egli voglia un tale riconoscimento di grandezza, se è perfetto,  se è in se stesso abbastanza contento e onorato, indipendentemente da tutti gli onori che possano tributargli gli altri?
Chi lo dirà, se non chi è convinto che egli sia manchevole?
Il bisogno di essere onorato è segno di imperfezione e di impotenza.
A questo punto citano il consenso di tutti i popoli alcuni che hanno parlato a mala pena  con tutti i loro concittadini soltanto, oppure hanno letto tre o quattro libri che trattano della  testimonianza universale; ma non tengono conto fino a che punto agli autori siano note le  usanze del mondo.
Ora, nemmeno i migliori scrittori le conoscono tutte. Osserva tuttavia che la questione è sul culto che ha fondamento in Dio stesso e nelle sue opere, non in un mero interesse politico-sociale.
Infatti ognuno comprende che è costume soprattutto dei governanti e dei potenti in politica di conservare formalmente un’istituzione religiosa per mitigare gli istinti violenti del popolo.
Del resto chi, ripensando all’argomento precedente, crederebbe che nella sede principale della religione cristiana, l’Italia, si nascondono tanti liberi pensatori e tanti atei, per dire qualche cosa di più grave?
E, se lo credesse, direbbe che la fede nell’esistenza di Dio e il dovere di venerarlo appartengono a tutti i popoli? «Sì, perché i più sani sostengono ciò». E chi sono i più sani? «Il Papa, gli àuguri e gli indovini degli antichi, Cicerone, Cesare, i prìncipi e i sacerdoti ad essi devoti, ecc.».
Ma come facciamo a capire che dicano e credano così come parlano, e che non sbandierino tali dottrine per un loro interesse? Questi infatti esercitano un potere politico e, facendo temere l’enorme potenza di esseri invisibili e la loro  vendetta, fingendo talvolta un loro collegamento ed un’intesa più intima con questi, si  guadagnano dalla credulità popolare redditi sufficienti o abbondanti per la loro agiatezza.
Che i sacerdoti insegnino tali cose non fa meraviglia, perché questo è il loro mezzo di sostentamento. Questi sarebbero gli insegnamenti dei «più sani».

IV.
Supponiamo che quest’universo dipenda dalla direzione del primo motore; tale  dipendenza però sarà quella iniziale. Infatti nulla impedisce che il primo ordine di Dio sia stato tale che tutte le creature, una volta preordinatone il percorso, procedano fino al termine  prefissato, se egli ha voluto prefissarne uno. E non ci sarà più bisogno di un’ulteriore cura,  governo o dipendenza del mondo, perché il Creatore ha potuto infondere fin dall’inizio in  ognuna delle creature stesse sufficiente energia. E perché pensare che non l’abbia fatto? Non bisogna credere che egli visiti tutti gli elementi e le parti dell’universo, come il medico fa con l’ammalato.
«Che dire dunque della testimonianza della coscienza? Da dove proverrebbe ad essa la  paura per il male commesso, se non sapessimo che esiste sopra di noi un osservatore e giudice, al quale dispiacciano le cattive azioni in quanto del tutto contrarie al rispetto per lui?». Non ho già intenzione di indagare più a fondo la natura del bene e del male, né i  pericoli dei pregiudizi e i vani timori eccessivi, provenienti da opinioni preconcette: dico  solo che la paura dipende dal fatto che tutte le cattive azioni consistono nel guastare e  nell’alterare l’armonia del mutuo soccorso, che sorregge la società umana; e dal fatto che  l’immagine di chi voglia aggravare anziché soddisfare i bisogni altrui, lo rende odioso.
Perciò avviene che egli stesso abbia paura di incorrere nella sanzione dell’odio e del  disprezzo sociale, o nel pari rifiuto di soddisfare i suoi bisogni, od abbia paura di perdere il  suo potere, sia quello sugli altri, sia quello di badare a sé, in quanto certo deve temere di essere privato dagli altri del potere di nuocere.
Eppure, quelli che non hanno la luce della Sacra Scrittura, si dice, agiscono secondo un  lume naturale, cioè secondo i dettami della propria coscienza, il che dimostrerebbe per certo  che Dio abbia infuso nell’intelletto di tutti gli uomini alcune scintille della sua saggezza e  volontà, agendo in conformità delle quali bisognerebbe riconoscere che agiscono rettamente.
Il precetto di venerare Dio non avrebbe altro motivo che questo. D’altra parte, se le bestie agiscano secondo razionalità, si dibatte con molte argomentazioni, e non si è ancora arrivati  ad una conclusione, che nemmeno io voglio sollecitare. Ma chi t’ha detto che ciò non  avvenga, o che un animale educato non sia talvolta superiore, per intelligenza e facoltà di  giudizio, ad un uomo incolto e selvaggio? Per dire come sta veramente la cosa, i più degli  uomini oziosi, incapaci di pensieri sottili e più elevati delle concezioni comuni, solo per  soddisfare il loro prestigio ed i loro interessi, hanno escogitato molte regole sottili a cui né  Tirsi né Alessi, impediti dalle loro occupazioni pastorali ed agricole, potranno mai dedicarsi.
Perciò questi hanno prestato fede agli oziosi speculatori come se fossero più saggi, aggiungi anche più adatti ad ingannare i più semplici. «Via, buon Alessi, venera i Pan, i Silvani, i  Satiri, le Diane, ecc.»; infatti codesti grandi filosofi ti racconteranno il sogno di Numa Pompilio, e vorranno narrarti di essere giaciuti con la ninfa Egeria e legarti all’osservanza delle loro invenzioni con tale racconto, e per ricompensa della loro opera di mediazione e per ottenerti il favore di quelle divinità invisibili, chiederanno in offerta il prodotto del gregge e del tuo lavoro per il loro sostentamento.
Bisogna immaginare che così Tizio  cominciò a venerare Pan, Alessi Fauno, Roma Marte, Atene dèi ignoti; e che se questi  uomini buoni conobbero qualcosa, fu per intelligenza naturale, perché infondate erano le invenzioni e le attribuzioni degli speculatori, per non parlare più severamente di altre religioni.
E perché la ragione naturale non li ammonì che sbagliavano nel culto, e che era ridicolo  venerare statue e pietre come abitazioni dei loro dèi? «Eppure bisogna credere che, poiché le pie donnicciole venerano con tanta devozione Francesco, Ignazio, Domenico e simili, la ragione ammonisce che almeno qualcuno dei Santi deve essere venerato, e che queste persone per naturale illuminazione intuiscono il culto di un potere superiore invisibile».
E invece queste sono invenzioni dei nostri oziosi sacerdoti, mirate ad accrescere più lautamente i loro mezzi di sostentamento.
Dunque non esiste Dio? sarà pure, supponiamo che esista; deve essere venerato?
Ma non è consequenziale al suo esistere che egli desideri il culto. «Eppure lo desidera, in quanto ha  inculcato questo bisogno nel cuore umano.
E allora? Seguiremo dunque il nostro istinto  naturale». E però di questo si riconosce l’imperfezione: ma in quali cose?
Infatti esso è sufficiente per praticare abbastanza sicuramente le relazioni umane. Quei religiosi che  seguono la rivelazione non vivono meglio degli altri. «C’è piuttosto che Dio esige da noi  soprattutto una conoscenza più esatta di sé». Senonché, tu che prometti questo, a qualsiasi  religione tu appartenga, non sei in grado di mantenere la promessa. Quale sia l’essenza divina, in qualsiasi religione rivelata, rimane assai più oscuro di prima. E come si potrebbe  definire chiaramente con i concetti ciò che trascende ogni facoltà intellettiva?
Che ti sembra di questo? «Nessuno mai ha conosciuto Dio», così pure «nessun occhio l’ha visto», e ancora  «Egli abita in una luce inaccessibile», e pure «dopo la rivelazione è ancora nel mistero». Ma  quanto sia chiaro il mistero ognuno lo sa, credo. In verità, da che cosa ti risulta che Dio esiga  di essere conosciuto? Forse dal desiderio da cui è preso l’intelletto umano di trascendere i  limiti delle sue capacità e di immaginare il tutto in termini di maggiore perfezione rispetto al  suo agire, o da che altro?
Da una rivelazione speciale? Chi sei tu, che dici questo? Buon Dio! che miscuglio di  rivelazioni! Chiami in causa gli oracoli dei pagani? Già ne rise l’antichità. Le testimonianze  dei sacerdoti? Ti presento altri sacerdoti che li contraddicono. Confrontatevi in un dibattito:  ma chi farà da giudice? e quale sarà la conclusione del dibattito? Citi gli scritti di Mosè, dei  profeti e degli apostoli? Ti si contrappone il Corano, che definisce manipolati quegli scritti  sulla base dell’ultima rivelazione; e l’autore di essa si vanta di avere, per miracoloso intervento divino, tagliato in tronco con la spada la corruzione e le dispute dei cristiani,  come Mosè quelle dei gentili.
Infatti con la forza soggiogò la Palestina Maometto, con la  forza anche Mosè, sorretti l’uno e l’altro da grandi miracoli. E i seguaci di costoro ti si  oppongono, come anche le raccolte dei Veda e dei Bramini, che risalgono a 1300 anni fa, per non parlare dei Cinesi.
Tu, che sei nascosto qui, in questo angolo dell’Europa, trascuri  queste altre religioni, ne neghi la fondatezza. E fai bene, a tuo stesso giudizio. Infatti, con la  stessa superficialità quegli altri negano la fondatezza della tua religione. E quale miracolo  non basterebbe a convincere gli umani, se risultasse che il mondo è stato creato e generato da un uovo dello Scorpione, che la Terra è collocata sulla testa del Toro, e che le fondamenta dell’universo sarebbero formate dai primi tre libri Veda se qualche figlio  invidioso degli dèi non avesse trafugato questi primi tre volumi! Ne riderebbero i nostri, per  i quali ciò sarebbe un’ulteriore argomento della fondatezza della loro religione, il quale però non poggia se non sul cervello dei loro sacerdoti.
D’altronde, da dove hanno avuto origine gli infiniti volumi sugli dèi pagani e carretti pieni di menzogne?
Fu più saggio Mosè, che, formatosi dapprima alla scuola degli Egizi, cioè all’astrologia e alla magia, poi alla crudeltà delle armi, estromise i re dal territorio della Palestina e, fingendo un rapporto intimo con la  divinità, come quello di Numa Pompilio, lanciò l’esercito fiducioso nelle sue forze alla  conquista dei territori di uomini infingardi: evidentemente, affinché fosse lui stesso  condottiero supremo e suo fratello sommo sacerdote, allo scopo di assumere prima o poi il governo assoluto del popolo.
Altri, per vie più blande, accarezzando il popolo col mostrare santità, inorridisco a dire il resto e i loro imbrogli nelle opere pie in cerchie più appartate, dapprima ebbero la meglio sulla plebe incolta dei pagani, poi, anche grazie alla forza di diffusione della nuova religione, perfino sui governanti impauriti e odiosi. Infine un terzo, desideroso di guerra, legò a sé con finti miracoli popolazioni più feroci dell’Asia, maltrattata da prìncipi cristiani; promettendo vittorie e ricompense, seguendo l’esempio di Mosè,  soggiogò i prìncipi dell’Asia discordi ed oziosi, e consolidò con la scimitarra la sua religione.
Il giudaismo fu ritenuto correttore del paganesimo, il cristianesimo del giudaismo, Maometto dell’uno e dell’altro; ora bisogna vedere chi sarà il correttore di Maometto e dell’islamismo.

VI.
Evidentemente, fino a tal segno è esposta all’inganno la credulità umana, l’abuso della
quale con la finzione di qualche utilità è chiamato giustamente IMPOSTURA.
Spiegare ora più estesamente la natura di questa in generale e le sue varie specie, sarebbe
impresa troppo lunga e noiosa.
D’altra parte noi dobbiamo osservare questa regola, che, ammessa anche una religione
naturale e il dovuto culto nella misura in cui si dice dettato dalla natura, ormai ogni
fondatore di nuova religione sia sospetto d’IMPOSTURA; tanto più che è chiaro a tutti ed
ovvio, sia per ciò che ho detto, sia per quello che ancora dirò, quanti inganni si sono
verificati nella diffusione di una religione.
Rimane allora incontrovertibile, in forza dell’obiezione precedente, che la religione ed il
culto di Dio secondo i dettami della ragione naturale è conforme a verità e giustizia. Chi
invece vuole proporre altro in materia religiosa, di nuovo e di diverso, per ispirazione di un
potere trascendente, è tenuto a dimostrare la sua autorità di riformatore, se non vuole essere
ritenuto da tutti un impostore avverso al modo di sentire universale, e non già al di sopra
della ragione naturale e sotto l’autorità di una speciale rivelazione. In più sia onesto, di tal
genere di vita e di costumi, che può essere creduto dalla gente degno di essere accolto in
intima comunione da così alta e santa divinità, alla quale non piace alcunché di impuro; e
questo non potranno provarlo solo l’attestazione personale o la vita vissuta con sufficiente
purezza anche prima, o alcuni miracoli, cioè atti straordinari; infatti ciò è comune pure agli
uomini più scaltri, ingannatori, mendaci e ipocriti, i quali con questo comportamento si
procurano vantaggi e gloria; ma neanche bisogna pretendere che alcuni arrivino a tale follia
da cercare di loro iniziativa la morte, affinché si creda che essi disprezzino veramente tutti i
beni terreni, come fecero diversi filosofi antichi. E non bisogna nemmeno credere che essi
siano stati sorretti da speciali energie divine in ciò che compirono per pura immaginazione e
sciocca persuasione di orecchie e menti a causa di mancanza d’intelligenza. Chi dette
credito, non vagliò abbastanza la cosa, e quelli non sono veri maestri; ho già detto che per
distinguere questi correttamente, non basta solo la loro personale testimonianza, ma è
necessario mettere a confronto questi testimoni fra loro, ed altri con questi, e non solo noti e
familiari, ma anche di sconosciuti, amici e nemici: occorre poi, raccolte tutte le
testimonianze di ciascun maestro e degli altri sul suo conto, esaminare a fondo la verità della
cosa. E se i testimoni stessi ci sono sconosciuti, allora dovremo interrogare testimonni sul
conto dei testimoni, e così di seguito. Ma bisogna analizzare anche la personale capacità di
giudizio, cioè se uno è in grado di discernere dal vero il falso in queste ed altre circostanze,
soprattutto se la menzogna è mescolata a cose verosimili, e indagare donde abbia attinto i
criteri di distinzione del vero, e ancora confrontare le opinioni altrui, cioè che cosa
inferiscano altri da tali dimostrazioni e testimonianze. Da ciò si potrà concludere se sia
veritiero annunziatore della volontà di Dio colui che si presenta come tale, e se il suo dettato
si debba seguire alla lettera. Ma bisogna assolutamente guardarsi dal cadere in un circolo
vizioso.
E poiché la natura delle principali religioni è tale che l’una presuppone l’altra, quella di
Mosè il paganesimo, quella del Messia il giudaismo, quella di Maometto il cristianesimo, e
non sempre la successiva respinge la precedente in tutto, ma solo in determinate parti, e nel
resto si fonda anche sulla precedente, come fanno il Messia e Maometto, allora bisognerà
esaminare non solo l’ultima, o quella intermedia, o la prima, ma tutte singolarmente con
cura, tanto più che ogni religione accusa l’altra di impostura: il Messia gli antichi, che
avrebbero corrotto la legge, e Maometto i cristiani, che avrebbero corrotto il Vangelo.
Quanto a questi, non v’è nulla di strano, giacché nell’ambito del cristianesimo una setta
accusa l’altra di aver corrotto il testo del Nuovo Testamento; troppo perché si possa appurare
se anche costui, che si propone come modello da imitare, sia il fondatore della vera
religione, e fino a che punto si debba dare ascolto a quelli che si dicono venuti prima. In
questa indagine nessuna religione deve essere tralasciata, ma tutte devono essere
confrontate, senza pregiudizi di sorta. Infatti, se ne fosse tralasciata una soltanto, forse
proprio quella potrebbe essere la vera religione. Così, chi segue Mosè, seguirà la verità
anche secondo i cristiani, salvo che non doveva fermarsi a quel solo profeta, ma prendere in
considerazione pure la verità della religione cristiana.

VII.
Certo, ogni religione asserisce che tutti i maestri sono dalla propria parte, e che essa lo ha  sperimentato ed ancora lo sperimenta ogni giorno, e che non ne esistono altri migliori.
Sicché o bisogna credere a tutte le religioni, il che è ridicolo, o a nessuna, che è la cosa più  sicura, finché non si sia trovata la vera religione; ma è importante che non se ne tralasci  nessuna nel confronto.
Non è obiezione seria che per sapere che due più due fa quattro occorrerebbe mettere a confronto tutti i matematici. Non è la stessa cosa, perché non s’è visto mai nessuno che  abbia messo in dubbio che due più due fa quattro, mentre invece le religioni sono in  disaccordo su tutto, dal principio alla fine.
Supponiamo che io ignori la retta via della salvezza; seguo intanto i Bramini o il Corano; Mosè e gli altri mi diranno: che male ti abbiamo fatto per essere così rifiutati da te pur essendo migliori e più veritieri?
Che risponderemo? Ho creduto in Maometto o nei ginnosofisti perché sono nato in quella  religione, vi sono stato educato e da essa ho capito che la tua religione e quella cristiana, che  da te discende, sono ormai superate e corruttrici?
Non replicheranno di non sapere nulla di  quelli, e che gli altri non sanno nulla del vero percorso della salvezza, e che ciò che sanno è che quelli sono corruttori e impostori, che seducono il popolo con finti miracoli e menzogne?
Non con tanta leggerezza bisogna prestar fede ad un solo uomo, o ad una setta,  respingendo tutte le altre senza ogni doverosa indagine. Con lo stesso diritto un Etiope, che  non è mai uscito dalla sua terra, potrebbe dire che sotto il sole non esistono uomini di colore  diverso dal nero.
Inoltre bisogna badare anche a mantenere lo  stesso rigore nello studio di tutte le fedi, e  non esaminarne scrupolosamente una soltanto sfiorando appena le altre e subito scartandole  per una o un’altra affermazione apparsa ingiusta a prima vista, o per cattive dicerie sul conto del fondatore di quella setta. Infatti non bisogna prendere affrettatamente per dogma o per  testimonianza sicura quel che il primo girovago qualsiasi abbia asserito sulle altre religioni.
Fu così che, alle origini, per comune diceria e per semplice nomea, la religione cristiana era  per alcuni motivo di orrore, per altri oggetto di scherno: per questi, perché i cristiani  veneravano la testa di un asino, per quelli, perché mangiavano e bevevano i loro dèi, ecc.,  sicché il cristiano alla fine era ritenuto nemico capitale di Dio e degli uomini, quando invece  narrazioni siffatte o erano concetti mal compresi oppure solenni menzogne.
Queste venivano  consolidate, ed in parte erano nate, perché i nemici di quella fede o non parlavano affatto, o non correttamente, con i cristiani stessi, anzi coi più indottrinati fra questi, ma credevano al  primo ignorante o disertore o nemico di essa.
Dal momento che il criterio d’indagine che ho proposto è impresa di tanta difficoltà, che dire dei bambini, delle donne, della maggior parte del popolino? Già era preclusa la certezza della loro fede a tutti i bambini ed alla maggior parte delle donne, per le quali sono oscure anche quelle cose che derivano nel modo più chiaro possibile dai princìpi di una religione.
E dal loro modo di vivere tu vedi con tutta probabilità che esse non hanno, tranne pochissime, una così acuta capacità di comprendere misteri siffatti.
Per non parlare dell’altissimo numero di gente semplice o di contadini, per i quali il massimo sforzo razionale è la ricerca del cibo, gli altri accettano o respingono la  religione in buona fede.
Così rimane evidentemente una piccolissima parte ad avere capacità di esaminare tutte le religioni, confrontare con le altre scrupolosamente la propria, discernere  criticamente il criterio della verità e della menzogna, cioè capire in quali punti si potrebbe  essere ingannati; ma la maggioranza degli uomini segue la fede altrui, per lo più dei teologi,  la cui cultura e capacità di giudizio sul sacro è accreditata dalla fama.
E ciò avviene in qualsiasi religione: generalmente si comportano così quelli che non  sanno leggere e scrivere, o che non hanno da leggere. Bisogna peraltro osservare che qui non  basta, a discernere il vero dal falso, l’autorità dei maestri di una religione forniti di capacità  di giudizio e di provata esperienza; pure agli altri deve risultare chiara tale distinzione, con certezza massima e per valutazione ugualmente scrupolosa; inoltre deve esser certo che quei  maestri abbiano non solo la capacità di distinguere il vero dal falso, ma anche la volontà di manifestarlo.
Giacché soprattutto dobbiamo esser certi che non voglia né ingannare né  ingannarsi colui che professa una conoscenza ed una volontà di tal sorta.
E che scelta faremo a questo punto, fra tanti maestri diversissimi anche di una sola religione eccellente? Infatti vediamo correligionari che sono in disaccordo in più punti, amicissimi per il resto; uno dei due, dissentendo dall’altro, fa questo per qualche difetto: o perché non capisce bene l’argomento, e quindi difetta di capacità di giudizio, o perché non  vuol cedere, e quindi non ha volontà di professare la verità. Ma, anche se ciò capita su argomenti secondari della fede, tuttavia questi maestri diventano sospetti pure nel resto; in ogni caso, certo la verità è una, e chi se ne allontana in un solo punto, o per difetto  d’intelligenza o per mala fede, diventa sospetto anche nelle altre affermazioni, e bene a  ragione.
Perciò, perché tu possa giudicare della competenza o dell’onestà di un maestro in  materia di religione, per prima cosa devi essere abile come lui, altrimenti ti si potrà  ingannare facilmente: egli poi, se non ti è ben noto, avrà bisogno per essere credibile della testimonianza di altri e questi a loro volta di altri, in un processo all’infinito non solo sulla sua veridicità, cioè che ha insegnato cose vere, ma anche sulla sua onestà, cioè che ha insegnato senza inganno.
Pure sui testimoni si dovrà osservare lo stesso criterio di onestà intellettuale e di veridicità.
Ma, a questo punto, quando arriverai ad una conclusione?
E non è sufficiente che tali argomenti siano stati già disputati da altri; bisogna vedere come è stato
fatto.

Infatti le dimostrazioni che vengono comunemente divulgate non sono né certe né evidenti, ed arrivano a conclusioni dubbie attraverso argomentazioni spesso ancora più dubbie; sicché ritorni sempre al punto di partenza, come quelli che fanno un percorso circolare.

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