IL
PIEMONTE È STATO IL
"PADRE" DEL
DEBITO PUBBLICO ITALIANO
AL
SUD, INVECE, I BORBONE AVEVANO
I
CONTI IN ORDINE
E
UNA STRUTTURA ECONOMICA NETTAMENTE PIÙ AVANZATA
di
Nicola D’Antuono
Il
“padre” dell’enorme debito pubblico italiano può essere considerato il regno dei
Savoia, che alla vigilia delle guerre di indipendenza aveva i conti pubblici in
dissesto e spesso comunicati in modo poco trasparente. Al Sud, invece, il Regno
delle Due Sicilie era un esempio di virtuosità e di rigore di bilancio, come
sottolineato anche dal famoso economista napoletano Giacomo Savarese, spettatore
delle vicende legate al debito pubblico dei due principali regni italiani
pre-unificazione. Di certo gli oltre 2.100 miliardi di euro di debiti (non le
vecchie lire o i ducati ottocenteschi) della Repubblica Italiana di oggi non
sono stati ereditati dai Savoia, ovvero dal Regno di Sardegna. Tuttavia, la
gestione dei conti pubblici ha per più di un secolo e mezzo mantenuto
quell’impronta, accollandosi così un’eredità decisamente
scomoda.
Al
Nord il Piemonte aveva le finanze fuori controllo, tanto che il debito pubblico
aumentò del 565% nel decennio precedente all’unità d’Italia. I Savoia hanno
quindi lanciato la politica della finanza allegra e la cultura del debito
facile, oggi appannaggio della maggior parte delle potenze economiche
occidentali. Per il Regno di Sardegna le guerre di indipendenza e
successivamente l’unità d’Italia sono state senza dubbio il modo più semplice
per sistemare i conti pubblici. D’altronde il Piemonte aveva una bilancia
commerciale costantemente in rosso e ingombranti oneri legati al finanziamento
delle proprie guerre (già dalla spedizione di Crimea, fortemente voluta da
Cavour per poi spostare il focus delle potenze europee sulla “questione
italiana”)
Nel
1848 il debito piemontese era di 168 milioni di lire, ma nel 1859 era balzato a
1,12 miliardi di lire per un incremento monstre del 565%. Questa montagna di
debiti era pari quasi al 74% del pil. I Savoia pagavano interessi annui sul
debito pari a 68 milioni di lire, circa tre volte in più di quello che pagava il
Regno delle Due Sicilie. Al Sud i Borbone potevano contare su un’economia decisamente più
grande e diversificata: il pil del regno napoletano era pari a 2,62 miliardi di
lire, mentre quello dei piemontesi 1,61 miliardi di lire. Dal 1847 al 1859 il
debito del regno napoletano era aumentato solo del 29,6% a 411,5 milioni di lire
da 317 milioni.
Il
rapporto debito/pil del Regno delle Due Sicilie era pari al 16,57%, un valore
che oggi farebbe impallidire anche la Germania di Angela Merkel.
Il
Regno di Sardegna le tentò tutte pur di oscurare i dati sui conti pubblici.
Arrivò addirittura a non redigere più il bilancio statale, oltre che applicare
ben 23 nuove tasse e vendere beni demaniali. Secondo uno studio dell’economista
lucano Francesco Nitti, i Savoia possedevano un patrimonio pari a 27 milioni di
lire di oro mentre il Regno delle Due Sicilie 443 milioni di lire di oro. Le
sorti finanziarie della casa regnante piemontese erano finite nelle mani dei
Rothschild, i banchieri più influenti dell’800 che furono anche determinanti per
la sconfitta di Napoleone a Waterloo.
Ai
Savoia, dunque, l’unica cosa da fare per evitare la bancarotta era quella di
unirsi con chi aveva i conti in ordine. D’altronde lo stesso Vittorio Sacchi,
economista piemontese, affermò che le finanze napoletane erano in perfetto
ordine quando fu chiamato a redigere il bilancio pubblico dopo l’unificazione del 1861. Dalla Restaurazione del 1815
il regno borbonico aveva solo 5 tasse e le rendite pubbliche salivano da 16
milioni a 30 milioni di ducati grazie alla ricchezza generata dall’economia. Dal
1847 al 1859 al Sud non viene introdotto nemmeno una nuova tassa. Senza contare
che il bilancio pubblico era decisamente trasparente e che non era stata
effettuata alcuna vendita di beni demaniali. Dopo l’Unità il debito del Regno di
Sardegna era diventato il debito del Regno d’Italia. In un libricino datato
1862, l’economista Savarese sottolineava che si trattava di "eredità
luttuosa".
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