lunedì 14 ottobre 2013

La linea di confine Vincenzo Vinciguerra


Vincenzo Vinciguerra
Inizia a sgretolarsi il mito di un neo-fascismo postbellico che si è collocato nell’ambito della destra nazionale e si è identificato con essa pur conservando le idee del fascismo.
L’operazione iniziata, ufficialmente, il 26 dicembre 1946 con la costituzione del Movimento sociale italiano che pretendeva – e per anni ha preteso – di raccogliere l’eredità del fascismo e, addirittura, quella della Repubblica sociale italiana e di rappresentarsi come un “ordine di credenti e combattenti”, si è conclusa nella maniera grottesca del ripudio pubblico ed ufficiale delle idee e del passato con la trasformazione del partito in “Alleanza nazionale” e l’adesione incondizionata ai valori dell’antifascismo.
Non si è, però, conclusa la mistificazione storico-ideologica dell’esistenza in questo Paese, come forza politica organizzata, di un neo-fascismo operante con le sue diverse articolazioni in sede parlamentare ed extra-parlamentare per quasi mezzo secolo.
Un contributo poderoso, determinante alla creazione di questa leggenda è, purtroppo, venuto da quella sinistra che ha qualificato come “fascista” tutto ciò che era politicamente e culturalmente avverso ad essa, assumendosi una responsabilità sulla quale ci sarà modo e tempo per riflettere.
È doveroso sottolineare come la necessità di ristabilire la verità sulla contrapposizione fra destra e fascismo non è stata avvertita negli ultimi anni perché, viceversa, è dalla metà degli anni Ottanta che chi scrive l’afferma in modo perentorio in tutte le sedi.
Non uso, per scelta e personalità, a combattere battaglie solo teoriche, lo scrivente ha un passato ed un presente di militanza politica che non accetta che venga ancora qualificata come neofascista.
Non lo dico oggi.
L’11 maggio 1987, in quello che è stato l’unico e solo processo politico del dopoguerra, svoltosi a Venezia dal 23 marzo al 25 luglio 1987, dinanzi alla Corte di assise presieduta da Renato Gavagnin, presentavo un documento di cui è giusto riportare alcuni passi, sempre ignorati da giornalisti, storici veri o presunti, commentatori ed esperti impegnati e negare la verità sulla persona, le sue idee, le sue scelte e le loro motivazioni.
Non sono mai stato di destra. – scrivevo – Il termine ‘destra’ è sempre riuscito ad evocare in me l’immagine di un mondo meschino, intessuto di ipocrisia, di perbenismo apparente e formale, di morale elastica, di retorica pomposa e fasulla, di un mondo di droghieri, professori, parlamentari, avvocati e barbieri.
Il Fascismo nel quale ho creduto è quello antistatalista del 23 marzo 1919, quello emarginato durante il Ventennio, quello risorto nella breve e sanguinosa stagione della Rsi, quello fisicamente annientato, politicamente cancellato e ideologicamente tradito nel 1945″.
Non posso, oggi, che registrare con piacere che altri, per altre e diverse vie, siano giunti ad affermare la contrapposizione fra la destra ed il fascismo negando alla radice che, in Italia, nel dopoguerra ci sia stata qualche forza politica organizzata che abbia raccolto l’eredità del fascismo.
Lo hanno fatto persone che si sono ritrovate nella Federazione nazionale dei combattenti della Rsi, di cui oggi uno degli esponenti, Maurizio Barozzi, pubblica un saggio storicosignificativamente intitolato, “MSI. Il grande inganno”.
E‘ un documento ponderoso, dettagliato, scritto con passione e lucidità che sottopone ad una critica severa e, spesso, spietata gli uomini e la politica del Movimento sociale italiano destinato a passare alla storia italiana come una delle più grandi truffe politiche, dei peggiori inganni, perpetrati ai danni di migliaia di persone, soprattutto giovani e giovanissimo abbagliati dalle foto di Benito Mussolini esposte nelle federazioni del partito, dai saluti romani, dai discorsi pubblici dei suoi esponenti di maggiore spicco.
Maurizio Barozzi illustra il suo documento con una breve presentazione:
“Genesi e nascita di un partito che ha disatteso gli ideali di coloro che avrebbe dovuto rappresentare, ha stravolto l’immagine del fascismo e in quasi 50 anni di vita ha tradito tutti gli interessi reali della Nazione”.
Sintesi mirabile di quello che è stato realmente il Movimento sociale e di quanto hanno fatto, in concreto, i suoi dirigenti nell’arco di quasi mezzo secolo.
L’elemento più rappresentativo di questo partito è stato, certamente, Giorgio Almirante che, oggi, in tanti si affannano a presentare come il “fondatore della destra moderna”.
Lo abbiamo scritto ormai tante volte. Lo ribadiamo ancora oggi qui: Giorgio Almirante non ha mai subito un processo nel dopoguerra, non è mai comparso cioè dinanzi ad una Corte di assise straordinaria per rispondere del “reato” di “collaborazionismo” con i tedeschi perché ha tradito i propri camerati quando era già al servizio del ministro della Cultura popolare, Fernando Mezzasoma.
Giorgio Almirante è rientrato nel novero di coloro ai quali il governo presieduto da Ferruccio Parri, con un decreto legge del 4 agosto 1945, ha concesso l’impunità per avere favorito, sia pure aderendo alla Repubblica sociale italiana, il movimento partigiano.
Abbiamo invitato alcuni anni or sono gli apologeti di Giorgio Almirante a fornire una documentata e dettagliata smentita di cui avremmo preso atto: nessuno ha smentito.
Non è un dettaglio fondamentale perché per condannare Giorgio Almirante ci basta l’esame della sua azione politica dal 1946 in avanti, ma è comunque importante perché aggiunge un tassello al mosaico della nascita di un partito che si pretendeva erede del fascismo, in un momento in cui le truppe alleate ancora occupavano il nostro territorio.
Coloro che, in quel mese di dicembre 1946, hanno creduto in buona fede che gli Alleati consentissero ai fascisti di rientrare nella vita politica del Paese, in pochi anni hanno tutti abbandonato il Movimento sociale italiano i cui dirigenti hanno avuto mano libera per trascinare i giovani che, via via vi aderivano, in una guerra civile di cui sono corresponsabili, senza attenuanti ne giustificazioni di sorta.
Adolescenti ai quali hanno insegnato che vi era stato un fascismo “buono” fino al 1938, anno dell’emanazione delle leggi razziali e del suo allineamento con la Germania, così come vi era stata una Repubblica sociale italiana che difendeva solo l’onore d’Italia, opponendosi sia agli anglo-americani che ai tedeschi e ai fascisti rappresentanti, questi ultimi, di una “Salò nera” dalla quale prendevano debitamente le distanze esaltando le figura dell’apolitico maresciallo Rodolfo Graziani e dell’aristocratico principe Junio Valerio Borghese, cancellando ogni traccia di Alessandro Pavolini e dei suoi camerati.
La “Salò tricolore” che, come la Repubblica di Vichy in Francia, si erge come scudo alla ferocia germanica che vorrebbe fare della Italia terra bruciata per punirla del tradimento perpetrato da Vittorio Emanuele III e dal maresciallo Pietro Badoglio, con Benito Mussolini equiparato al maresciallo Philippe Pétain.
Un’azione sottile, graduale, sostenuta da tutto lo schieramento politico del centro-destra cattolico e liberale che necessitava dei voti del Msi in Parlamento e di una massa di manovra nelle piazze da contrapporre a quella comunista.
Il documento di Maurizio Barozzi rende con efficacia anche la realtà di questo tradimento, che si accompagna alla politica antinazionale di quanti hanno avuto l’ardire di presentarsi infine come “Destra nazionale”.
Vogliamo ricordare la sordida opposizione del Movimento sociale alla politica energetica di Enrico Mattei, partigiano democristiano, anticomunista, fra i fondatori delle strutture clandestine, poi definite Stay-behind ma proteso a fare dell’Italia una protagonista in campo energetico sottraendola allo sfruttamento delle multinazionali del petrolio.
Se italiano c’è stato che, nel dopoguerra, ha cercato di rendere l’Italia più indipendente e più libera dalle potenze anglo-sassoni questo è stato Enrico Mattei che ha, infine, pagato con la vita, il 27 ottobre 1962 morendo sull’aereo esploso in volo nel cielo di Pavia, il suo sogno.
Chi ha avversato in tutti i modi lo sforzo di Enrico Mattei, con altri, sono stati i dirigenti del Movimento sociale italiano per i quali gli interessi dell‘ambasciata americana erano preminenti su quelli dell’Italia.
E questa è storia documentata e documentabile che, da sola, fa giustizia del preteso patriottismo dei vertici del Movimento sociale italiano.
Abbiamo proposto, poco tempo fa, di sostituire il termine “neofascisti” ancora in uso, con quelli di conservatori ed evoliani, perché nell’estrema destra italiana non c’è traccia di fascismo e di fascisti ma solo di conservatori, reazionari ed evoliani che, a ben vedere, sono sempre stati complementari gli uni con gli altri.
I conservatori “nostalgici” del “buon tempo andato”, quelli che vedevano nel fascismo divenuto regime solo il ristabilimento della legge e dell’ordine, che scrivevano libri ed articoli per dire che Benito Mussolini sarebbe rimasto nella storia d’Italia come una fulgida figura se solo avesse avuto il buon gusto di ritirarsi a vita privata nel 1938, che giudicavano il fascismo una “fazione” sacrificabile per il bene della Nazione giustificando la defenestrazione di Benito Mussolini del 25 luglio 1943.
Quanti di costoro hanno militato nel Movimento sociale italiano e nei gruppi collegati? Migliaia.
Gli evoliani sono il frutto di una sottile opera di distruzione del fascismo che ha raccolto i suoi frutti fra gli adolescenti degli anni Cinquanta, divenuti i giovani degli anni ’60, quelli da utilizzare, come predicato da Julius Evola, per difendere lo Stato, anche “uno Stato vuoto come questo”.
Perché Julius Evola è stato presentato ed imposto come l’anti-Gentile, il filosofo di un regime di massa che andava dimenticato e sconfessato.
I “neofascisti” del dopoguerra hanno avuto come “maestro” uno studioso che non è mai stato fascista, che nel mese di novembre del 1943 passava al colonnello Kappler informazioni negative sul conto del segretario del Partito fascista repubblicano, Alessandro Pavolini.
Per Julius Evola era condannabile tutto ciò che si era verificato nel mondo a partire dal 14 luglio del 1789, a Parigi, ma, suo malgrado, il fascismo come affermava Renzo De Felice era, per quanto “spurio”, figlio della rivoluzione francese.
Difatti, il fascismo non si è mai rappresentato come antitesi alla rivoluzione francese e a quella marxista, bensì come le loro naturale evoluzione, la “terza rivoluzione”, quella del Novecento che esprimeva in una sintesi mirabile i contenuti cella rivoluzione borghese del 1789 e di quella proletaria del 1848.
Per comprendere l’opera di intossicazione compiuta nel mondo giovanile riunito attorno al Movimento sociale italiano è sufficiente ricordare come Pino Rauti condannasse in blocco il Risorgimento che, viceversa, era alla base, in modo particolare le figura di Giuseppe Mazzini, del fascismo e di quello repubblicano in special modo.
Non siamo i soli a dirlo, non più.
Piacevole è stata la sorpresa di leggere due saggi di Marco Piraino e Stefano Fiorito che sono riuniti sotto il titolo, quanto mai esplicito, di “L’estrema destra contro il fascismo”, introdotti da una citazione di Benito Mussolini:
“Mi rifiuto di qualificare di destra la cultura cui la mia rivoluzione ha dato origine. Cultura di destra, del tutto rispettabile, è quella che fa capo all’Action Francaise. Cultura di destra è quella di cui la gente di Codreanu è fautrice. Cultura di destra è da considerarsi quella alla quale il mio amico inglese Mosley sta lavorando. Ma la cultura fascista che recupera valori dell’intero Novecento italiano non è di destra”.
I due autori avevano già scritto il libro “L‘identità Fascista – progetto politico e dottrine del fascismo”, Lulu, 2008, al quale nessuno ha avuto l’interesse di dare un’adeguata e meritata pubblicità per l’ovvia ragione che non si ritiene opportuno rinunciare alla menzogna del “neofascismo” postbellico, con l’inevitabile corollario del “terrorismo nero” e dei “terroristi fascisti” che hanno combattuto contro la democrazia.
Marco Piraino e Stefano Fiorito introducono il loro mirabile saggio scrivendo:
“Può sembrare paradossale ma in realtà, come ci accingiamo a esporre brevemente, parlare di un ‘fascismo dopo il fascismo‘ con riferimento alla recente storia italiana risulta inappropriato. Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale in Italia si andò, infatti, delineando una situazione politica particolare, frutto della sconfitta militare e dell’inserimento della nazione italiana nella sfera d’influenza politica statunitense, durante la quale, pur assistendo al proliferare di gruppi politici che nominalmente si autodefinivano come ‘neo-fascisti‘, si è visto quegli stessi soggetti finire col boicottare e abbandonare progressivamente l’ideologia fascista (che mai si era proclamata come forza politica di destra ma al contrario rivoluzionaria e totalitaria), per sostituirla con battaglie politiche reazionarie assai lontane nella sostanza dall’ideale dello Stato Etico corporativo presagito durante il regime mussoliniano, facendo anzi del più grande partito ‘neofascista’ d’Europa, il Movimento Sociale Italiano, una forza di destra nazionalista e conservatrice, caratterizzata essenzialmente da anticomunismo viscerale nonché saldamente legata alla “Alleanza Atlantica” nel periodico storico della ‘Guerra fredda‘…” (pag.5).
Nell’aprile del 2011, quando i due studiosi scrivono il loro saggio quanto espongono non è più “paradossale” da molti anni, lo è il fatto che non si riesca a suscitare un dibattito ampio e pubblico su questo tema che consentirebbe di rivalutare l’operato dell’estrema destra italiana rendendo finalmente comprensibile all’opinione pubblica la ragione per la quale i presunti “neofascisti” italiani hanno da sempre operato, in maniera occulta ed ufficiale, a favore dello Stato antifascista, sorto dalla Resistenza, ovvero dalla sconfitta militare del fascismo e dei fascisti.
Mai nella storia mondiale si è assistito allo spettacolo dei vinti che si precipitano ad offrire i loro servigi ai vincitori pur pretendendo di non rinnegare le loro idee ed il loro passato, nel breve volgere di qualche mese dalla fine del conflitto.
Eppure, nel Paese del 25 luglio 1943 e dell’8 settembre 1943 si è verificato anche questo senza che ancora oggi si riesca a far conoscere agli italiani questa verità.
Il Movimento sociale italiano, fin dal suo sorgere con nome, simbolo e struttura mutuati da un partito straniero (il Movimento sociale francese – Msf), insieme a tutti i gruppi collegati sorti via via nel tempo ha rappresentato una forza del regime politico antifascista, di matrice cattolica e liberale, conservando solo l’esteriorità di una simbologia fascista che, a partire dalla metà degli anni Settanta, è stata anch’essa gradualmente modificata e ripudiata.
Non riteniamo accettabile che si parli di “neofascismo” postbellico e, tantomeno, di una sua storia che va da Mussolini a Berlusconi.
Si deve, giustamente, porre l’accento su una storia che va dalla Confindustria, rappresentata da Jacques Guiglia nel fondazione del Msi, al capitalista e pregiudicato Silvio Berlusconi; da Alcide De Gasperi ad Enrico Letta; da Pio XII a Francesco I; dal Servizio informazioni militari all’Agenzia per i servizi di sicurezza interni ed esteri odierni.
Una storia che riconosca come la nascita del Movimento sociale italiano sia stata semplicemente un’operazione politico-spionistica varata dalla forze che abbiamo sopra citate: Confindustria, Democrazia cristiana, Vaticano, servizi segreti.
Perfino dopo la conversione del Msi-Dn in Alleanza nazionale, con la creazione di gruppi dissidenti, non uno solo di questi ultimi si è posto all’opposizione del regime, tutti restando intruppati in quell’area di centro-destra che oscilla fra Silvio Berlusconi e il Vaticano.
D’altronde, nessuno di questi gruppi osa più rifarsi alla storia del fascismo, scegliendo di rappresentarsi come erede del Movimento sociale italiano, mantenendo pertanto la coerenza dell’asservimento alle forze politiche che la sconfitta militare del fascismo e della Italia ha portato al potere.
Dalla parte dei vinti, in Italia, sono rimasti solo poche persone, come gruppo organizzato la Federazione nazionale dei combattenti della Repubblica sociale italiana con Giorgio Pini, tutti gli altri si sono entusiasticamente affiancati ai vincitori.
In conclusione, il compito degli storici oggi è di ristabilire la verità sulla estrema destra italiana, unico modo per ricostruire quella della lotta politica che si è svolta nel Paese dal dopoguerra in avanti.
Per questa ragione saggi come quello di Maurizio Barozzi, da un lato, e di Marco Piraino e Stefano Fiorito, dall’altro, vanno valorizzati e divulgati presso un pubblico sempre più ampio perché finalmente si possa discutere sui fatti e non sulle menzogne, sulla realtà e non sulla propaganda.
Vincenzo Vinciguerra
AGGIUNTA da SOCIALE

il 1° congresso del M.S.I.
http://pocobello.blogspot.it/2010/04/primo-congresso-del-msi.html


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