martedì 13 agosto 2013

L'ALTRA METÀ DI SALÒ BREVE STORIA DELLE AUSILIARIE DELLA R.S.I.


Furono più di 6.000 le donne che si arruolarono volontarie nella Rsi dopo l'8 settembre, inquadrate nel Servizio Ausiliario Femminile. Le loro testimonianze aprono non solo uno squarcio su quei terribili mesi ma sono uno strumento di analisi delle scelte politiche e della cultura femminili

Dopo l'8 settembre del 1943 si era formato nell'Italia del Nord un esercito femminile di sei mila volontarie, che, in quel momento lacerante, aveva scelto di battersi per Mussolini ed a fianco dei Tedeschi (primo esempio nella storia italiana di volontarie inquadrate nelle forze armate). Le donne che, per motivi di legami stretti con il regime e l'ideologia fascista, aderirono, con incarichi di ausiliarie dell'esercito, alla Repubblica Sociale Italiana, propongono di osservare da un'ottica diversa e difficile quegli anni: le loro testimonianze sono uno strumento di analisi delle scelte politiche e della cultura femminili. Erano animate da amor di patria, spirito di avventura, desiderio di sfuggire ad un ruolo femminile predeterminato, voglia di competere con l'uomo, maschio dominante, specie nell'universo fascista. Le ausiliare, lasciate le famiglie, indossarono la divisa ed appuntarono orgogliose il gladio sul bavero della giacca per andare incontro ad un destino che sembrava già segnato: molte morirono combattendo, moltissime altre subirono sevizie materiali e morali da parte di soldati alleati e partigiani. 


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Nel libro dedicato alle donne soldato degli ultimi seicento giorni di Mussolini, Ulderico Munzi ha riportato un colloquio avuto con Edda Ciano che definì lo spirito che animava le ausiliarie della Repubblica Sociale Italiana "Femminismo fascista" e spiegò quello che le donne fasciste provavano nell'intimo quando erano impegnate nella difesa della Rsi: ricerca di una maggiore identità."La Patria è donna": secondo la contessa, le ausiliarie fasciste superstiti consideravano il passato come un tesoro conquistato, appunto la patria, un momento di paradiso sociale e politico in cui si erano riconosciute ed in cui avevano scoperto al forza della loro femminilità. La Rsi aveva costituito la loro grande occasione. "L'innocenza, vista la giovane età, era una garanzia di credibilità. Erano portate dall'onda della storia, si erano abbandonate al mare in tempesta della guerra civile. Il loro vissuto era più intenso di quello dei soldati. Portavano la stessa divisa, lo stesso grigioverde, erano pronte a dare la vita e molte la dettero. Ma percepivano la straordinaria sensazione d'entrare nella storia come donne", concludeva Edda Ciano. Nel culmine della guerra e nel suo tragico epilogo le donne diventavano protagoniste, la storia del fascismo non apparteneva più soltanto ai maschi. Le componenti del Servizio Ausiliario Femminile (SAF) erano dunque "prodotti" del fascismo. "Gli uomini scappavano; la monarchia sabauda con gli stati maggiori tradivano, una nazione veniva pugnalata alle spalle insieme all'alleato in guerra. Arrossimmo di rabbia e vergogna nel vedere gli uomini spogliarsi delle divise e fuggire a casa. Un richiamo echeggiava in Italia: abbiamo famiglia. Noi eravamo pronte a imbracciare i loro moschetti. La nostra libertà era realizzata nell'Italia fascista": queste le principali motivazioni raccolte da Munzi nelle interviste alle ex repubblichine. 

Al contrario delle partigiane (35.000 in tutto), spinte ad andare a combattere dal rifiuto delle ingiustizie e dal desiderio di costruire una società nuova, le ausiliarie si arruolavano per fedeltà ad un regime che consideravano immutabile e per un amore viscerale nei confronti di Mussolini. Il Duce era una specie di idolo, un padre-amante insostituibile. Spesso appena adolescenti, le componenti del SAF si lasciarono in qualche modo rapire dalla tentazione di una nuova emancipazione ed abbracciarono la causa con una passione estrema. È in questa atmosfera di grandi decisioni che la donna italiana volle e riuscì ad inserire la propria collaborazione nella realtà della Repubblica Sociale. Con uno slancio di volontarismo femminile mai visto prima in Italia, le repubblichine, senza alcuna condizione, si donarono per riscattare il disonore e la viltà di chi aveva tradito il Fascismo e la Patria in guerra. Il mito di Mussolini e della sua personalità, crollato dopo il 25 luglio, aveva continuato a sopravvivere nell'animo di queste donne. Se da un lato esse furono rapite dal fascismo e dal suo Duce, dall'altra furono le prime in Italia ad essere inquadrate in un corpo militare che le scioglieva da quel ruolo tipicamente femminile che avevano sempre avuto. In altre parole, esse mettevano in pratica quella voglia di emancipazione che già prima di loro intere generazioni di molti paesi del mondo avevano richiesto e, in alcuni casi limitati, ottenuto. In un articolo pubblicato ne "La Stampa" del 13 gennaio 1944, firmato dal direttore Concetto Pettinato ed intitolato "Breve discorso alle donne d'Italia", così si dava impulso alla costituzione d'un corpo ausiliario femminile nelle fila dell'esercito repubblicano fascista: "Un battaglione di donne: e perché no? Il governo americano si è impegnato a gettare le nostre figlie e le nostre sorelle alla sconcia foia dei suoi soldati d'ogni pelle. Ebbene, perché non mandarle loro incontro davvero, queste donne, ma inquadrate, incolonnate, con dei buoni caricatori alla cintola e un buon fucile a tracolla?"

Il Servizio Ausiliario Femminile venne istituito con Decreto Ministeriale N. 447 del 18 aprile 1944. Mussolini ritenne importante la creazione di un corpo speciale come quello delle ausiliarie che, seppure non rispondeva alle necessità primarie e vitali della neonata repubblica, forse in qualche modo appagava quel senso del folklore e dell'esteriorità che aveva connotato il fascismo. L'iniziativa mussoliniana riscosse un grande successo: presentarono domanda di arruolamento nel SAF oltre seimila donne appartenenti ad ogni ceto sociale e provenienti da ogni parte dell'Italia, erano in tante ragazze quasi maggiorenni, molte spose, parecchie madri. Lo stipendio oscillava tra le 700 lire del personale di concetto e le 350 lire del personale di fatica. Al SAF ogni dipendente era soggetta alla giurisdizione penale militare. Si trattava in sostanza di tre gradi filoni: il Servizio Ausiliario Femminile, le Brigate Bere e la Decima Mas, nella quale ci si poteva 

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arruolare anche avendo solo quindici anni. La X Flottiglia Mas ebbe il SAF autonomo da quello per l'Esercito e per la Guardia Nazionale Repubblicana; fu inquadrato alle dipendenze del sottosegretario alla Marina da Guerra Repubblicana. Il comandante Valerio Borghese designò alla sua guida Fede Arnaud Pocek (veneziana, classe 1921) che, in precedenza al luglio 1943, si era distinta nel dirigere il settore sportivo del Gruppo Universitario Fascista e, dopo l'armistizio, divenne funzionario del Ministero dell'Economia Corporativa, ma poco rassegnata a vivere tra le scartoffie d'ufficio la sua esperienza nella Repubblica Sociale. Personaggio romantico, Fede Arnaud Pocek rimase al comando fino al 26 aprile del 1945 (dopo la guerra diresse una società di doppiatori cinematografici di attori americani come Clark Gable, William Holden, Gary Cooper). Nella Caserma S. Bartolomeo di La Spezia, il SAF della Decima (1° marzo 1944) anticipò di cinquanta giorni l'istituzione legislativa del Servizio Ausiliario e, durante il periodo della Rsi, arruolò 250 volontarie, che seguirono, a loro volta, i Corsi autonomi di addestramento denominati Nettuno, Anzio e Fiumicino che si svolsero a Sulzano (Bs), Orandola (Co) e Col di Luna (vicino al Cansiglio) con perfezionamenti nell'educazione fisica, in contegno e morale, nelle norme igieniche, di regolamento e disciplina, sino alla severità di un codice d'impegno che non consentiva deroghe. Alcuni reparti di ausiliarie (tra cui Fulmine, Nuotatori-Paracadutisti, Sagittario, Valanga e Nembo) della Decima erano armati, come nel caso del Barbarigo. Un nucleo di ausiliarie ha combattuto accanto ai marò (fanteria di marina) del battaglione Lupo per contrastare a Nettuno l'avanzata delle truppe anglo-americane che erano sbarcate ad Anzio. 

Luciana Cera, Tenente di vascello (capo nucleo) della Decima, mai iscritta al Partito Fascista, ha narrato di essersi arruolata nelle formazioni del principe Borghese per ragioni diverse da quelle di molte altre donne di Salò: "Non volevo essere un verme tra i vermi. Se Vittorio Emanuele III fosse andato al Nord e Mussolini al Sud, avrei seguito il re. Il fascismo era solo l'acqua in cui nuotavo serenamente". Questa forte rispondenza da parte di tante giovani donne va spiegata come la reazione di una gioventù che si era sentita infangata dal tradimento del re Vittorio Emanuele III e di Pietro Badoglio. Dello stesso avviso Fiamma Morini (Decima Mas): "L'Italia traboccava di viltà. La donna poteva essere un simbolo. Dai banchi al grigioverde fu un passo naturale. Capii che ormai si trattava di sacrificarsi per qualcosa che ci aveva sempre sostenuto. Perché dovevo rinnegare il fascismo? Avevo vissuto bene sotto le sue ali. Intendo dire che ho vissuto bene spiritualmente. Le mie amiche ed io volevamo prendere il posto degli uomini che scappavano spogliandosi delle divise. On è possibile che tutti se la squaglino. Noi ragazze eravamo felici di indossare una divisa che non era macchiata di vergogna". Ma ci fu altro. Dando alle donne la possibilità di arruolarsi, Mussolini offriva loro la sensazione di potere diventare protagoniste della storia che, da quel momento, non apparteneva più solamente agli uomini. Le armi diventavano quindi fattore di emancipazione capace di conferire quel potere che il fascismo riconosceva di diritto alle donne attraendole così a sé. Una di loro, Carla Saglietti di 17 anni, ha raccontato: "Avevo bisogno di agire, di buttarmi nell'azione. Mi dicevo: Ehi Carletta, gli Americani salgono sempre di più, ora sono sulla linea gotica, un giorno te li troverai davanti senza aver fatto niente per il tuo Benito Mussolini tradito da un re di merda. Ero proprio una ragazzina fascista. Cos'altro avrei potuto essere? Ero stata impastata di quella fede. Mio padre, mia madre, tutti fascisti. Gente in gamba i miei genitori". Questa citazione esprime bene sia la voglia di sentirsi protagonista di questa, ma anche delle altre ausiliarie, sia la venerazione che esse provavano nei confronti di Mussolini. Carla Saglietti faceva parte delle "Volpi Argentate". Era un servizio speciale di guastatori, sabotatori ed assaltatori. Il loro nome nacque dall'insegna che era posta all'ingresso del comando di reparto a Milano: Allevamento Volpi Argentate del Dottor De Santis (colonnello che comandava il servizio, vera identità Tommaso David). Uno dei loro compiti era quello d'individuare l'entità e le caratteristiche delle forze alleate, specie per quanto riguardava mezzi motorizzati e corazzati. 

Alle ausiliarie venivano, inoltre, affidate vere operazioni di sabotaggio. Molti uomini e donne di questo corpo vennero, alla fine della guerra, fucilati o condannati a morte. Ancora la Saglietti: "Nel corso di addestramento presso i Tedeschi mi mostravano filmati, m'istruivano sulle divise del nemico, sul tipo d'armamento, sui carri armati, mi allenavano agli interrogatori, a rispondere sulle false identità, mi spiegavano come si reagisce alla tortura ed alle altre sevizie e come si può tentare un'evasione". Le "Volpi Argentate" e gli altri reparti dove trovavano impiego le reclute obbedivano ad un regolamento ferreo. 

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Secondo il decreto firmato da Mussolini, i compiti delle ausiliarie (che dovevano essere italiane, ariane, di età fra i 18 ed i 45 anni) erano modesti: pulitrici e cuciniere, dattilografe, infermiere, telefoniste. Questo non toglieva che il loro addestramento e la loro disciplina fossero militarmente duri, quasi punitivi. C'era nei confronti di questo esercito femminile l'ossessione della moralità, ai limiti della bigotteria. Così la divisa, panno grezzo grigioverde per l'inverno, tela kaki per l'estate, doveva avere la gonna a quattro teli "quattro centimetri sotto il ginocchio". La giacca aveva il collo ad uomo e tue tasche alla sahariana. Il gladio era il simbolo a cui le ausiliarie erano più attaccate. In testa portavano un basco grigioverde con la fiamma ricavata in rosso. Le calze erano lunghe e grigioverdi, il cappotto di tipo militare. Era proibito fumare, mettersi il rossetto sia quando si era in divisa sia quando non la si portava, indossare i pantaloni; era inoltre d'obbligo il "voi" che Mussolini aveva istituito in luogo del "lei". Non era nemmeno previsto che le ausiliarie avessero le armi come le partigiane. Ed a render più tragica la loro avventura c'era la convinzione di essere poco considerate, perfino dalla propria parte. Il rispetto della disciplina era considerato fondamentale ed il generale di brigata Piera Gatteschi Fondelli, a cui era stato affidato il comando delle 6000 donne, aveva personalmente elaborato un regolamento comportamentale simile a quello che osservavano le suore di clausura. 
Al SAF vi erano anche il Maggiore Enrichetta Jori quale aiutante di campo; il vice comandante Colonnello Cesarla Pancheri; la guida dei Servizi Sanitari, Colonnello Wanda Crapis; di quelli Amministrativi, Colonnello Italia Corbelli - Gigli; dei Logistici, Colonnello Paola Viganò, mentre il servizio Propaganda e Stampa era diretto dal Maggiore Lucrezia Pollio. 

L'episodio delle ausiliarie della Repubblica Sociale ha sicuramente una sua dignità storica, ma è indubbiamente, oggi, di difficile comprensione. Una totale abnegazione alla causa caratterizzò il generale delle ausiliarie. Piera Gatteschi era una nobildonna severissima e elegantissima. Fu tra le fondatrici dei Fasci femminili nel 1921 e partecipò alla marcia su Roma. Dopo un periodo trascorso in Africa con il marito, la contessa tornò in Italia nel 1939 e ricevette dal Duce la nomina a fiduciaria delle 150.000 iscritte ai Fasci Femminili di Roma. Dopo la caduta del fascismo nel 1943 si diede alla latitanza e nel marzo del 1944 assunse il comando del SAF con il grado di generale di brigata (il capo partigiano Cino Moscatelli tentò variate volte di catturarla). Nel suo testamento politico scrive: "La mia vita non è stata facile, ma comunque dedicata tutta idealmente alla patria, al fascismo nel quale ho creduto fermamente per la sua alta concezione di vita, fatta di giustizia sociale e di onestà. Andare verso il popolo. [.] Ho vissuto il periodo più bello della nostra Patria. Il ventennio di Mussolini. Ebbi l'onore della Sua fiducia e credo di aver fatto fino in fondo il mio dovere nel ricoprire gli alti incarichi che mi furono affidati, servendo l'Italia con onestà e fervore". In questa nuova esperienza che le vedeva protagoniste della storia, non più solo appannaggio dell'uomo, le giovani ragazze non soffrivano la sottomissione ad un regolamento rigido cui la vita militare le obbligava. Tutte hanno testimoniato che l'onore dato dall'appartenenza al corpo era in grado di cancellare ogni difficoltà. Un'occhiata equivoca ad un camerata poteva costare la camera di punizione. Lo affermano le stesse ausiliarie, come un articolo di Maria Pavignano, pubblicato su "Sveglia" del 3 dicembre 1944: "Niente rossetti; niente donne fatali; niente amori conturbanti; ma sorelle buone del soldato, ma utili donne della terra d'Italia, che se deve essere riscattata dal sangue degli uomini, deve essere vivificata dalla virtù delle donne". Raffaella Duelli, ausiliaria della Decima Mas, che aveva portato con sé il "suo bambolotto di pezza azzurra, compagno delle notti infantili", ha raccontato che "quando i colpi delle mitragliatrici si facevano vicini i ragazzi ci coprivano con il loro corpo, poi si alzavano, scusandosi, rossi in volto". Donne ed uomini si stringevano gli uni agli altri, le mani nelle mani, ma in quegli abbracci ed in quelle carezze di guerra non c'era sesso. 

I Corsi di addestramento organizzati dal Comando generale SAF di Piera Gatteschi furono sei (Italia, Roma, Brigate Nere, Giovinezza, Fiamma e 18 Aprile) ed ognuno veniva frequentato da circa trecento reclute che, preordinate alla loro missione e prestato giuramento, venivano dislocate nei Centri militari e nei Reparti per esse scelti. II 1° Corso 

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Italia del 1 maggio 1944 ed il 2° Roma del 1 luglio durarono 48 giorni, il 3° Brigate Nere 65 giorni e si svolse a Lido di Venezia, ma venne concluso a Como, dove si tennero poi il 4° Giovinezza del 5 novembre (43 giorni), il 5° Fiamma del 1 gennaio 1945 (58 giorni) ed il 6° 18 Aprile del 1 marzo (48 giorni). Anche le Brigate Nere realizzarono il proprio SAF tanto che Piera Gatteschi organizzò per loro il 3° Corso Brigate Nere, iniziato a Lido di Venezia e concluso a Como, durato 65 giorni con oltre 200 volontarie. Nel 1944 a Trieste nacque la Brigata Nera "Norma Cossetto" dal nome della studentessa di Parenzo uccisa dai partigiani jugoslavi di Tito. Le brigatiste indossavano la camicia nera con un teschio sul petto. Una di loro, Donatella Gila, nel raccontare l'esperienza in carcere a S. Vittore, ha dichiarato:"Ero orgogliosa di sentirmi donna italiana. La mia vita era meravigliosa anche nei giorni bui, nella paura, nella promiscuità della cella, nella sporcizia dei nostri corpi sudati". Le volontarie fasciste prestavano la loro attività "militante" negli ospedali e negli uffici, nei presidi e nelle caserme, nei posti di ristoro e nella difesa antiarea, come aerofoniste e marconiste. Seguivano le truppe al fronte e combatterono contro gli invasori anglo americani a Nettuno o sulla Linea Gotica, così come contro i partigiani titini nella Venezia Giulia. Tra i loro compiti c'era anche quello casalingo di tener in ordine e rammendare le uniformi dei combattenti. Il fascismo non voleva che si dimenticasse completamente il ruolo della donna di casa. Molto suggestivi i ritornelli di alcune loro canzoni: "O giovane ragazza che parti volontaria per fare l'ausiliaria ricorda che la vita non sarà sempre bella"; "Cara mamma parto volontaria dammi un bacio senza lacrimar". Una testimonianza molto intensa è stata raccolta da Ulderico Munzi che ha intervistato Giovanna Deiana, diciottenne divenuta cieca in seguito ad un bombardamento, che fece di tutto per essere arruolata tra le ausiliarie. Proprio Mussolini le fece notare la rilevanza della sua menomazione, ma lei, fieramente, rispose: "Quando alla patria si è dato tutto, si è dato poco". La repubblichina Alda Paoletti dichiarò che, in caso di morte, dovevano vestirla con la divisa estiva e "sopra la bara dovranno mettere la bandiera della Repubblica Sociale Italiana, la bella bandiera con l'aquila nera ad ali spiegate e sopra di essa dovrà essere poggiato il mio basco. Dio deve accogliere l'Alda in divisa"

All'impeto rivoluzionario delle istanze sociali della Rsi le donne fasciste non si sottrassero mai e lo segnalarono gli ispettori regionali di Piemonte (Giuseppe Solari), Lombardia (Paolo Porta), Veneto (Giuseppe Pizzirani), Trieste e comprensorio (Bruno Sambo), Emilia (Franz Pagliani), Liguria (Luigi Sangermano), nonché i comandanti Leoni (Ar), Utimpergher (Lu), Catanzi (Pi), Brugi (Si), Biagioni (Apuania) e Polvani (Fi). L'intervento delle volontarie della Toscana fu così incisivo da ridare alla penna di Mussolini il vibrante stile romagnolo di quando dirigeva "Il Popolo d'Italia". Con la "Corrispondenza repubblicana" del 15 agosto 1944 esaltò infatti l'ardore combattivo di venticinque "franche tiratrici" fasciste di Firenze contro gli invasori, descrisse la sorpresa della "Reuter" e del giornale "Daily Mirror" per il coraggio dimostrato dalle ragazze in Camicia nera, concludendo così la sua nota: "È una sferzante lezione per quegli uomini che non vogliono sentirla o che di fronte all'azione mettono in campo tutti i sotterfugi che la viltà può insegnare. Come più d'una volta, se pure non mai in modo tanto clamoroso, agli sbandati, agli immemori ed ai vili l'esempio viene dalle donne. Questa volta dalle gloriose donne di Firenze". Non ci sono dati certi sulle ausiliarie morte in guerra. Le fonti fasciste parlano di circa 300 uccise. Restano i ricordi delle repubblichine rapate ed indicate al pubblico ludibrio dopo la Liberazione. E restano alcune vicende strazianti di condannate a morte. Come la storia di Margherita Audisio, giustiziata il 26 aprile 1945 a Nichelino, che scrive alla sorella di morire serena perché aveva ottenuto "di essere fucilata al petto, come un soldato". Nessuna ausiliaria ha la pensione di guerra. Ma per loro c'era soprattutto la necessità di essere donne.

http://rsicontinuitaideale.blogspot.it/2013/08/breve-storia-delle-ausiliarie-della-rsi.html

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