Angelo Forgione
La storiografia ufficiale descrive come un ignorante quel
Ferdinando I di Borbone che paga nella reputazione le teste tagliate dopo la
repressione della Repubblica partenopea del 1799, l’eccessiva propensione al
diletto e il prolungarsi di un trono perso e riconquistato più volte tra il
1759 e il 1825: tredici lustri a cavallo della Rivoluzione francese e degli
sconvolgimenti napoleonici in cui, tra mille insidie, governò riconoscendo i
suoi limiti e affidandosi alla moglie Maria Carolina e alle idee degli uomini
di pensiero accolti a corte. Ma era davvero un sovrano incapace? Non proprio, a
giudicare dal profilo che ne tracciò il Goethe nel suo viaggio in Italia del
1787, grazie al quale possiamo conoscerlo meglio.
“Il Re era un appassionato cacciatore fin da giovane, perché
così era stato educato. Si dice che in gioventù avesse una salute malferma e
che proprio per la caccia si sia irrobbustito e sia diventato forte e sano.
L’Hackert ebbe un giorno l’onore di essere invitato a caccia insieme con lui e
con sorpresa vide che su cento colpi, ne mancava solo uno. Non era solo la
caccia, ma anche la vita all’aria aperta che lo manteneva in buona salute. Ciò
che il Re ha imparato lo fa bene e con esattezza. Hackert è andato spesso con
lui a Capri e a Ischia. Il Comandante governava la corvetta solo di notte,
mentre di giorno lo faceva il Re, con la capacità di un provetto ufficiale di
marina. Conosceva bene anche la tecnica della pesca e lo dimostrava nel lago di
Fusaro, il quale dai tempi antichi è collegato col mare mediante un canale, il
che rende salate le sue acque. Il Re aveva fatto venire le ostriche da Taranto
e le aveva messe qui in vivaio. In pochi anni ebbe un successo strepitoso.
[...] Il Re sapeva remare come il più bravo dei marinai e si arrabbiava molto
se i suoi compagni di remo non andavano al giusto ritmo. Tutto quello che sa,
lo fa esattamente e se vuole apprendere qualcosa, non si dà pace fino a quando
non l’ha imparato. Scrive abbastanza bene, velocemente; si fa capire, con buone
espressioni. Hackert ha visto le leggi per S. Leucio, prima che fossero
stampate. Il Re le aveva date ad un amico per farle correggere se ci fossero
stati degli errori di ortografia. C’erano da cambiare pochissime cose e di scarsa
importanza. Se lo avessero fatto studiare seriamente, invece di fargli perdere
tempo con la caccia, sarebbe diventato uno dei migliori regnanti d’Europa.”
Da questa descrizione firmata da un osservatore autorevole
ne viene fuori un Re molto napoletano. Un Re amante sin da piccolo dell’aria
aperta, che, evidentemente, lo salvò da una salute non ottimale (morì alla
soglia dei 74 anni, nonostante una vita molto faticosa, un’eta molto tarda per
quel tempo). Un Re comunque molto intelligente, pratico e capace di comprendere
l’importanza della cultura, affidandosi a Maria Carolina che sapeva essere ben
più dotta. Del resto, fu proprio sua la memorabile e innovativa decisione di
cancellare nel 1777 la proprietà privata delle collezioni di famiglia per
renderle pubbliche e donarle alla città, dando vita all Real Museo di Napoli,
la prima esposizione classica al mondo ma anche il primo museo dell’Europa
continentale, un ventennio prima della realizzazione del museo del Louvre
voluto da Napoleone. E riuscì proprio lui, nonostante l’opposizione di papa Pio
VI, a togliere dai vincoli romani la preziosissima parte romana della
Collezione Farnesiana, ereditata dalla nonna Elisabetta Farnese (come quella
parmigiana) e custodita nell’omonimo palazzo romano di famiglia, ricca di
sculture della Roma antica rinvenute nel Cinquecento da papa Paolo III Farnese
nelle terme di Caracalla.
Certamente con quel centinaio di esecuzioni al patibolo, per
reprime il tradimento subito, strozzò traumaticamente l’intellighenzia locale
(accolta a corte) che aveva costituito la linfa del grande Settecento
napoletano cui attinse il mondo intero, ma bisogna conoscere a fondo le vicende
del ’99 e sapere delle migliaia di civili massacrati in battaglia dai francesi
e dagli stessi repubblicani locali, che riversarono sul popolo napoletano colpi
di cannone alle spalle da Castel Sant’Elmo. Stime ufficiali ne indicano circa
tremila, ma il generale francese Paul-Charles Thiébault, tra i protagonisti di
quelle vicende, trascrisse nelle sue memorie la stima di sessantamila vittime
napolitane, limitata ai primi mesi del ‘99.
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