sabato 1 giugno 2013

Le vittime italiane dei Lager di Tito


Comunismo

Per non dimenticare....
a cura di Fabio Galante

Criminali Comunisti Jugoslavi Ieri e Oggi
 Le vittime italiane dei Lager di Tito
(evviva il comunismo, evviva la libertà)

Giuseppe Spano aveva 24 anni e molta fame. In poco più di un mese aveva perso oltre 20 chili ed era diventato pelle e ossa. Quel 14 giugno 1945 non resistette e rubò un po' di burro. Fu fucilato al petto per furto.
Ferdinando Riechetti aveva 25 anni ed era pallido, emaciato. Il 15 giugno 1945 si avvicinò al reticolato per raccogliere qualche ciuffo d'erba da inghiottire. Fu fucilato al petto per tentata fuga.
Pietro Fazzeri aveva 22 anni e la sua fame era pari a quella di centinaia di altri compagni. Ma aveva paura di rubare e terrore di avvicinarsi al reticolato. II 1° luglio 1945 morì per deperimento organico.
In quale campo della morte sono state scritte queste storie?
A Dachau, a Buchenvald oppure a Treblinka?
No, siamo fuori strada:
Questo è uno dei lager di Tito!
Borovnica, Skofja Loka, Osseh. E ancora Stara Gradiska, Siska, e poi Goli Otok, I'Isola Calva.
Pochi conoscono il significato di questi nomi. Dachau c Buchenvald sono certamente più noti, eppure sono la stessa cosa. Solo che i primi erano in Jugoslavia e gli internati erano migliaia di italiani. deportati dalla Venezia Giulia alla fine del secondo conflitto mondiale e negli anni successivi, a guerra finita, durante I'occupazione titina.


 I DEPORTATI DIMENTICATI IN NOME DELLA POLITICA ATLANTICA
Una verità negata sempre, per ovvi motivi, dal regime di Belgrado, ma inspiegabilmente tenuta nascosta negli archivi del nostro ministero della Difesa. Oggi il Borghese è entrato in possesso dei documenti segreti che, oltre a fornire l'ennesima prova dell'Olocausto italiano sui confini orientali, sono un terribile atto di accusa non solo nei confronti di Tito, ma soprattutto verso tutti i governi che si sono succeduti dal 1945 in poi. Partendo da quello di Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti, per finire con gli ultimi di Silvio Berlusconi., Lamberto Dini e Romano Prodi. Perchè nessuno ha parlato? Perché nessuno ha tolto il segreto ai documenti che provano (con tanto di fotografie) il massacro e le torture di migliaia di italiani? Semplice: la verità è stata sacrificata alla ragion di Stato. Vediamo perché.
Belgrado, nell'immediato dopoguerra, si avvia sulla strada dello strappo con Mosca ed il nascente blocco occidentale vuole a ogni costo che quel divorzio si consumi. Ma il costo l'ha pagato solo il nostro Paese il cui governo, per codardia, accetta supinamente di sacrificare sull'altare della politica atlantica migliaia di giuliani, istriani, fiumani, dalmati. Colpevoli solo di essere italiani.
"Condizioni degli internati italiani in Jugoslavia con particolare riferimento al campo di Borovnica (40B-D2802) e all'ospedale di Skofjia Loka (11-D-2531) ambedue denominati della morte" titola il rapporto del 5 ottobre 1945, con sovrastampato "Segreto", dei Servizi speciali del ministero della Marina. Il documento, composto di una cinquantina di pagine, contiene le inedite testimonianze e le agghiaccianti fotografie dei sopravvissuti, accompagnate da referti medici e dichiarazioni dell'Ospedale della Croce Rossa di Udine, in cui questi ultimi erano stati ricoverati dopo la liberazione, e da un elenco di prigionieri deceduti a Borovnica. Il colonnello medico Manlio Cace, che in quel periodo ha collaborato con la Marina nel redigere la relazione che, se non è stata distrutta, è ancora gelosamente custodita negli archivi del ministero della Difesa, lasciò fotografie e copia del documento al figlio Guido, il quale lo ha consegnato alle redazioni del Borghese e di Storia Illustrata.

 MANCA IL CIBO MA ABBONDANO LE FRUSTATE
"Le condizioni fisiche degli ex internati", premette il rapporto, "costituiscono una prova evidente delle condizioni di vita nel campi Jugoslavi ove sono ancora rinchiusi numerosi italiani, molti dei quali possono rimproverarsi solamente di aver militato nelle fila dei partigiani di Tito in fraterna collaborazione con i loro odierni aguzzini..."
Ai primi di maggio del '45, dopo la capitolazione tedesca, i partigiani di Tito controllano l'intera Istria, giungendo a Trieste e Gorizia prima degli anglo-americani. Sono i giorni del terrore, del calvario delle foibe, ma anche dell'altra terribile faccia della "pulizia etnica": le deportazioni. Sono migliaia gli italiani internati nei lager jugoslavi e poche centinaia faranno ritorno a casa, dopo aver subito terribili sofferenze.
"Il vitto era pessimo e insufficiente", racconta nel rapporto il carabiniere Damiano Scocca, 24 anni, preso dai titini il 1° marzo 1945 nella caserma del Cln di Trieste, "e consisteva in due pasti giornalieri composti da due mestoli di acqua calda con poca verdura secca bollita... A Borovnica non si faceva economia di bastonate; durante il lavoro sul ponte ferroviario nelle vicinanze del campo chi non aveva la forza di continuare a lavorare vi veniva costretto con frustate ... ". " ... Durante tali lavori", afferma il finanziere Roberto Gribaldo, in servizio alla Legione di Trieste e "prelevato" il 2 maggio, "capitava sovente che qualche compagno in seguito alla grande debolezza cadesse a terra e allora si vedevano scene che ci facevano piangere. Il guardiano, invece di permettere al compagno caduto di riposarsi, gli somministrava ancora delle bastonate e tante volte di ritorno al campo gli faceva anche saltare quella specie di rancio".
Le mire di Tito sul finire del conflitto sono molto chiare: ripulire le zone conquistate dalla presenza italiana e costituire la settima repubblica jugoslava annettendosi la Venezia Giulia e il Friuli orientale fino al fiume Tagliamento.
Antonio Garbin, classe 1918, è soldato di sanità a Skilokastro, in Grecia. L'8 settembre 1943 viene internato dal tedeschi e attende la "liberazione" da parte delle truppe jugoslave a Velika Gorica. Ma si accorge presto d essere nuovamente prigioniero. "Eravamo circa in 250. Incolonnati e scortati da sentinelle armate che ci portarono a Lubiana dove, dicevano, una Commissione apposita avrebbe provveduto per il rimpatrio a mezzo ferrovia. Giunti a Lubiana ci avvertirono che la commissione si era spostata ... ". I prigionieri inseguirono la fantomatica commissione marciando di città in città fino a Belgrado.

 PRIGIONIERI UCCISI PERCHE' INCAPACI DI RIALZARSI 
"In 20 giorni circa avevamo coperto una distanza di circa 500 chilometri, sempre a piedi", racconta ancora Garbin ai Servizi speciali della Marina italiana. "La marcia fu dura, estenuante e per molti mortale. Durante tutto il periodo non ci fu mai distribuita alcuna razione di viveri. Ciascuno doveva provvedere per conto proprio, chiedendo un pezzo di pane al contadini che si incontravano... Durante la marcia vidi personalmente uccidere tre prigionieri italiani, svenuti e incapaci di rialzarsi. I morti, però, sono stati molti di più... Ci internarono nel campo di concentramento di Osseh (vicino Belgrado, ndr), avevamo già raggiunto la cifra di 5 mila fra italiani, circa un migliaio, tedeschi, polacchi, croati ... ".
Chi appoggia Tito nel perseguire il suo obiettivo di egemonia sulla Venezia Giulia?
Naturalmente il leader del Pci Palmiro Togliatti , che il 30 aprile 1945, quando i partigiani titini sono alle porte di Trieste, firma un manifesto fatto affiggere nel capoluogo giuliano:
"Lavoratori di Trieste, il nostro dovere è accogliere le truppe di Tito come liberatrici e di collaborare con loro nel modo più assoluto"
A confermare che la pulizia etnica è continuata anche a guerra finita sono le affermazioni di Milovan Gilas, segretario della Lega comunista jugoslava, che, in un intervista di sei anni fa a un settimanale italiano, ammette senza giri di parole: "nel 1946 io ed Edvard Kardelj andammo in Istria ad organizzare la propaganda anti-italiana... bisognava indurre gli italiani ad andare via con pressioni di ogni tipo. Massacri di civili, violenze, torture, affogamenti di massa, mutilazioni... Così fu fatto"

 SKOFJA LOKA, L'OSPEDALE CHIAMATO "CIMITERO"
E nei campi di concentramento finiscono anche i civili, come Giacomo Ungaro, prelevato dai titini a Trieste il 10 maggio 1945 "Un certo Raso che attualmente trovasi al campo di Borovnica", è la dichiarazione di Ungaro, "per aver mandato fuori un biglietto è stato torturato per un'intera nottata., è stato poi costretto a leccare il sangue che perdeva dalla bocca e dal naso; gli hanno bruciacchiato il viso e il petto così che aveva tutto il corpo bluastro. Sigari accesi ci venivano messi in bocca e ci costringevano ad ingoiarli".
I deperimenti organici, la dissenteria. le infezioni diventano presto compagni inseparabili dei prigionieri. "Fui trasferito all'ospedale di Skofja Loka. Ero in gravissime condizioni", è il lucido resoconto del soldato di sanità Alberto Guarnaschelli, "ma dovetti fare egualmente a piedi i tre chilometri che separano la stazione ferroviaria dalI'ospedale. ...Eravamo 150, ammassati uno accanto all'altro, senza pagliericcio, senza coperte. Nella stanza ve ne potevano stare, con una certa comodità, 60 o 70.Dalla stanza non si poteva uscire neppure per fare i bisogni corporali. A tale scopo vi era un recipiente di cui tutti si dovevano servire. Eravamo affetti da diarrea, con porte e finestre chiuse. Ogni notte ne morivano due, tre, quattro. Ricordo che nella mia stanza in tre giorni ne morirono 25. Morivano e nessuno se ne accorgeva ... "."Non dimenticherò mai i maltrattamenti subiti", è la testimonianza del soldato Giuseppe Fino, 31 anni, deportato a Borovnica ai primi di giugno 1945, "le scudisciate attraverso le costole perchè sfinito dalla debolezza non ce la facevo a lavorare. Ricorderò sempre con orrore le punizioni al palo e le grida di quei poveri disgraziati che dovevano stare un'ora anche due legati sospesi da terra; ricorderò sempre con raccapriccio le fucilazioni di molti prigionieri, per mancanze da nulla, fatte la mattina davanti a tutti..."."Le fucilazioni avvenivano anche per motivi futili ...", scrive il rapporto segreto riportando il racconto dei soldati Giancarlo Bozzarini ed Enrico Radrizzali, entrambi catturati a Trieste il 1° maggio 1945 e poi internati a Borovnica.

 PER ORE LEGATI A UN PALO CON IL FILO DI FERRO!
"La tortura al palo consisteva nell'essere legato con filo di ferro ad ambedue le braccia dietro la schiena e restare sospeso a un'altezza di 50 cm da terra, per delle ore. Un genovese per fame rubò del cibo a un compagno, fu legato al palo per più di tre ore. Levato da quella posizione non fu più in grado di muovere le braccia giacchè, oltre ad avere le braccia nere come il carbone, il filo di ferro di ferro era entrato nelle carni fino all'osso causandogli un'infezione. Senza cura per tre giorni le carni cominciarono a dar segni di evidente infezione e fuoriuscita di essudato sieroso purulento, quindi putrefazione. Fu portato a una specie di ospedale e precisamente a Skofja Loka. Ma ormai non c'era più niente da fare, nel braccio destro già pullulavano i vermi... AI campo questo ospedale veniva denominato il Cimitero…."Nel lager di Borovnica furono internati circa 3 mila italiani, meno di mille faranno ritorno a casa. A questi ultimi i soldati di Tito imposero di firmare una dichiarazione attestante il "buon trattamento" ricevuto. "I prigionieri (liberati, ndr) venivano diffidati a non parlare", racconta ancora Giacomo Ungaro, liberato nell'agosto 1945, "e a non denunziare le guardie agli Alleati perchè in tal caso quelli che rimanevano al campo avrebbero scontato per gli altri".

 TORTURE NEI LAGER DI TITO
Per conoscere gli orrori di un campo di concentramento titino è opportuno riassumere i vari tipi di punizione, come emergono dai racconti dei sopravvissuti.
La prima è la fucilazione decretata per la tentata fuga o per altri fatti ritenuti gravi da chi comanda il campo, il quale commina pena sommarie. Spesso il solo avvicinarsi al reticolato viene considerato un tentativo d’evasione. L’esecuzione avviene al mattino, di fronte a tutti gli internati.
C’è poi il "palo" che è un’asta verticale con una sbarra fissata in croce: ai prigionieri vengono legate le braccia con un fil di ferro alla sbarra in modo da non toccare terra con i piedi. Perdono così l’uso degli arti superiori per un lungo tempo se la punizione non dura troppo a lungo. Altrimenti per sempre.
Altra pena è il "triangolo" che consiste in tre legni legati assieme al suolo a formare la figura geometrica al centro della quale il prigioniero è obbligato a stare ritto sull’attenti pungolato dalle guardie finchè non sviene per lo sfinimento.
Infine, c’è la "fossa", una punizione forse meno violenta ma sempre terribile, che consiste in una stretta buca scavata nel terreno dell’esatta misura di un uomo. Il condannato, che vi deve rimanere per almeno mezza giornata, non ha la possibilità nè di piegarsi nè di fare alcun movimento.

QUESTO ERA IL TRATTAMENTO CHE I PACIFICI COMUNISTI RISERVAVANO AI PRIGIONIERI NEI LORO LAGER
Queste persone, questi martiri, non hanno avuto (stranamente) una Anna Frank o un Primo Levi che li ricordasse, che testimoniasse l'orrore dei campi di concentramento comunisti. Alle vittime dei Nazisti non manca un solo quartiere che non abbia una strada a loro dedicata.
Le vittime dei regimi Comunisti passano da sempre inosservate... E già, Anna Frank e Primo Levi erano ebrei, quindi le vittime delle guerre sono sempre e unicamente loro: gli ebrei.

Dalla costituzione dello stato di Israele ci hanno bombardato costantemente di messaggi politici subliminali, al punto di farci vedere Auschwitz anche in una ragazza che beve la Coca Cola!

TUTTI GLI ALTRI ORRORI NON CI DEVONO RIGUARDARE?
Nell'attesa vana di una Nemesi Universale... ricontiamoci, puntigliosamente, "ancora una volta", gli Ebrei uccisi dal Nazismo!







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