martedì 4 giugno 2013

Il fenomeno del fascismo clandestino 1943/45


Sulle tracce di una storia nascosta
La crisi italiana del ’43 ed il fenomeno del fascismo
clandestino
L’episodio di Trapani

di
Michelangelo Ingrassia

Un fenomeno poco noto della storia del fascismo nel biennio 43-45 è quello dell’attività clandestina dei gruppi fascisti sorti spontaneamente in quella che è stata chiamata "L’Italia di Badoglio" (1). Generalmente ignorato dalla storia ufficiale, il fenomeno del fascismo clandestino è ancora oggi confinato in quel dimenticatoio storico nazionale affollato di personaggi, date, simboli ed eventi considerati ingombranti per gli schemi storici convenzionali. Di conseguenza non ci si può meravigliare se i manuali di storia non menzionano, anche brevemente, l’esistenza di un ribellismo fascista contro i governi ciellenisti del sud sostenuti dagli alleati (2). Ora per scoprire questa storia nascosta e per individuarne gli inizi e le cause, è necessario ripercorrere le poche tracce ancora disponibili. Del resto, come ha scritto Marc Bloch, "la conoscenza di tutti i fatti umani (...) ha come sua primacaratteristica quella di essere una conoscenza per via di tracce" (3). Queste vanno ricercate essenzialmente in quel periodo compreso tra lo sbarco alleato in Sicilia e la nascita della Repubblica Sociale Italiana. Vi è, in questo periodo, un problema storiografico affrontato solitamente con fretta eccessiva: la situazione del fascismo durante i quarantacinque giorni di Badoglio. Certamente gli eventi dirompenti della caduta di Mussolini e del rovesciamento delle alleanze provocano effetti tragici nel fascismo che, però, non fu così abulico come certa oleografia lo raffigura; peraltro proprio il fenomeno del fascismo clandestino dimostra il contrario.
Il fatto è che mentre si compie la crisi italiana del ‘43, nel fascismo si verifica quella svolta interna da cui proviene il fascismo repubblicano del biennio 43-45: libero al nord e clandestino al sud. La storia ufficiale solo adesso comincia a mostrarsi più comprensiva con il primo mentre continua a
negare il secondo che muove i suoi primi passi a Trapani
nell’ottobre del ‘43 in seguito allo sbarco angloamericano in
Sicilia con il quale gli alleati si aprivano un varco verso la
separazione dell’Italia dalla Germania, ratificata poi con
l’armistizio dell’8 settembre.
È ormai noto che, in realtà, l’obiettivo strategico dello sbarco in
Sicilia era non militare ma politico: provocare la caduta di
Mussolini per estromettere l’Italia dall’asse. Era una vecchia
idea di Churchill che a Casablanca, nel gennaio 1943, "riuscì a
convincere Roosevelt dell’opportunità di una tale operazione
02/12/2004per provocare il crollo del regime fascista ed eliminare l’Italia
dalla guerra"(4). Churchill, infatti, era al corrente che in Italia si
era formato un partito della resa che si affannava nel tentativo
di entrare in contatto con gli alleati. In proposito vi è una lettera
del 18 dicembre 1942, inviata dal ministro degli esteri inglese
Eden al collega americano Cordell Hull, che elenca i numerosi
tentativi di aggancio compiuti dagli italiani fino a quel momento
(5). Bisognava, dunque, creare quelle condizioni che
consentissero al partito italiano della resa di "liberarsi" di
Mussolini. Così mentre gli alleati organizzavano lo sbarco in
Sicilia, a Roma andava in scena quella che Tranfaglia ha
definito "la commedia degli inganni" che vede protagonisti la
monarchia e le forze armate, compreso i carabinieri, mentre
"le altre istituzioni fondamentali della società italiana - dal
Vaticano alla Confindustria - non stanno a guardare. Sono
schierate con la dinastia nella valutazione negativa della
situazione militare e della permanenza di Mussolini al
potere"(6). Con lo sbarco inizia quella sequenza di fatti che
porta l’Italia all’armistizio. A due settimane dallo sbarco, infatti,
Mussolini è "dimissionato" dal re ed il governo fascista
sostituito da quello militare di Badoglio; a due mesi il nuovo
governo firma l’armistizio con gli alleati e, anzichè cessare i
combattimenti, dichiara guerra alla Germania ex alleata. L’alibi
perfetto della "Patria in pericolo" consentiva agli alleati ed al
partito italiano della resa di raggiungere il comune obiettivo del
rovesciamento italiano delle alleanze.
Dallo sbarco alla tragedia: il mito antifascista della resistenza
ed il mito fascista del tradimento
Occorre adesso vedere quali sono le conseguenze militari e
politiche del rovesciamento delle alleanze in Italia. Sul piano
militare: due anni di dura quanto inutile guerra nel territorio che
causarono "sofferenze terribili alla popolazione civile. La fame
e il bisogno spinse molta gente negli abissi della degradazione
umana, e molti vendettero l’anima e il corpo per un pò di cibo,
(...) grandi città (...) soffrirono le epidemie dell’Europa
medievale: colera, tifo, dissenteria e malattie veneree. La
corruzione e la criminalità organizzata seguirono le armate
alleate nell’avanzata attraverso la penisola"(7). Sul piano
etico-politico: la dissoluzione della Nazione, del suo esercito,
della sua identità. Un’idea storicamente precisa di questa
dissoluzione si ricava da Mussolini quando scrive che "Non c’è
più dopo l’armistizio (...) uno Stato italiano (...) ci sono
purtroppo, e a causa dell’armistizio, all’ombra dei due eserciti
occupanti, soltanto due amministrazioni che sarebbero del
tutto futili se non contenessero il molto serio dovere di salvare
il salvabile"(8).
Con la dissoluzione della Nazione è l’elemento tragico che
entra nelle storia. Non a caso nella letteratura l’8 settembre è
raccontato come una tragedia. È da questa tragedia che
prendono corpo il mito antifascista della resistenza ed il mito
fascista del tradimento. Ma mentre il primo è diventato
centrale nella storia e nella politica della repubblica, tanto da
costituirne l’atto fondante, il secondo è stato rimosso dalla
02/12/2004coscienza storica nazionale. Battuto militarmente, sconfitto
politicamente, il mito del tradimento sopravvive soltanto nella
memorialistica fascista. Ora, è proprio in questo mito del
tradimento che si rintraccia il motivo fondamentale del
fascismo, repubblicano e clandestino, nel biennio 43-45. Nella
memorialistica fascista l’armistizio è considerato come il
momento in cui "il più ignobile disastro della nostra storia si
delineava ormai in tutta la sua tragica vastità"(9); in cui ci si
chiede "chi mai poteva immaginare che si tramasse alle spalle
di coloro che combattevano e morivano?"(10). In cui ci si
ribella contro ciò che "è vergogna per la disfatta ufficialmente
ammessa. È ignominia per il tradimento palesemente
dichiarato" (11). La storia ufficiale ha tralasciato di interrogarsi
sullo stato d’animo dei fascisti tra il 25 luglio e l’8 settembre,
non ha voluto considerare l’aspetto psicologico della loro
storia; così ancora oggi ci si chiede retoricamente perchè tanti
ragazzi e ragazze combatterono per Mussolini fino alla fine.
Eppure l’elemento psicologico ha una sua valenza nella storia
che è anche storia degli stati d’animo dell’individuo, del
gruppo, della Nazione. Per comprendere questo stato d’animo
è necessario rifarsi alla testimonianza di due fascisti storici
come Giorgio Almirante e Pino Romualdi che all’epoca non
ricoprivano incarichi di vertice e rappresentavano la base
militante del fascismo. Scrive Almirante: "E vennero i mesi
della scelta (...) la caduta del regime fascista era un dato di
fatto (...) le sue conseguenze (...) oscure. Non mi resi subito
conto di quel che stava accadendo (...) che ne sapeva il
sottoscritto? E con me (...) milioni di italiani? Cosa aveva fatto
il fascismo per informarci? E cosa (...) l’antifascismo? (...) La
mia scelta si conformava alla lapidaria espressione che la
radio andava ripetendo (...) la guerra continua. (...) Quelle tre
parole (...) istituivano una continuità fra lo Stato di ieri e lo
stato di domani". Almirante viene richiamato alle armi come
ufficiale e continua. "L’8 settembre, la radio ci diede la risposta
che molti attendevano (...) non penso alla mia Patria che si
disfa, alla sconfitta che sin qua poteva essere di un regime e
adesso diventa di un popolo (...) penso soltanto alla mia
vicenda, che si è conclusa (...) con l’ingloriosa resa all’ex
alleato, e con il mortificante abbandono, da parte dei miei
soldati" (12).
Più ritmata la testimonianza di Romualdi che scrive: "Vennero
invece a comunicarmi che Mussolini aveva dato le dimissioni.
Che fare? (...) Nella sede della federazione dei fasci trovai una
trentina, o forse meno, di amici (...) sorpresi almeno quanto
me (...) completamente privi di notizie e di ordini. Di lì a poco,
arrivò un telegramma a firma Carlo Scorza, in cui era detto di
mantenere la calma e di restare in attesa di ordini (...). Gli
attesi ordini, naturalmente, non vennero. Vennero, invece, nei
tre giorni successivi durante i quali restammo asserragliati
prima nella sede stessa della Federazione, poi dentro la
caserma della MVSN, le disposizioni di Badoglio che
scioglievano il partito e le organizzazioni fasciste (...). Di noi
fascisti, i più giovani furono invitati a (...) raggiungere un
qualsiasi reparto operante; i più vecchi si dispersero". Con l’8
settembre "le autorità badogliane avevano praticamente
02/12/2004cessato di funzionare (...). I tedeschi dominavano
completamente la situazione (...) chi avrebbe fatto qualcosa
per salvare il paese? (...) Fuggito il re, fuggito Badoglio, fuggiti
i generali (...). E Mussolini dov’era? (...) In alcune città gruppi
di fascisti (...) tentavano di riprendere in mano la situazione,
per impedire ai tedeschi di assumere direttamente il controllo
dell’amministrazione civile. Ritornato a Forlì, rivestii la mia
divisa da ufficiale"(13). Un primo elemento che si ricava dalle
testimonianze è che una reazione spontanea della base
fascista al crollo del regime ci fu, mancarono i vertici che la
organizzassero. Ma su questo aspetto del problema si tornerà
più avanti. Per adesso occorre soffermarsi sul fatto che
durante i quarantacinque giorni di Badoglio matura, tra i
fascisti, uno stato d’animo d’incertezza e poi di riscatto.
È il senso della Patria che si dissolve a scuotere i fascisti. Da
quì scaturisce quello che De Felice ha definito "un impegno
etico da ottemperare: riscattare l’onore nazionale contribuendo
lealmente alla battaglia dell’alleato"(14). Non a caso lo storico
reatino individua in quella "idea di restituire all’Italia l’onore
nazionale perduto col "tradimento" dell’8 settembre"(15) la
ragione che porta per esempio Junio Valerio Borghese a
fianco di Mussolini. Da questa teoria di sentimenti ed idee -
riprendere in mano la situazione mentre crolla la Patria; la
sconfitta del regime come sconfitta del popolo; riscattare
l’onore nazionale perduto - nasce il mito del tradimento che si
sviluppa ed afferma contemporaneamente a quello della
resistenza. Ma se nel mito del tradimento coesistono il
sentimento impolitico di salvare l’onore della Patria
continuando la lotta a fianco dell’antico alleato, ed il
sentimento metapolitico di salvare la rivoluzione fascista
ritrovandone le smarrite origini; nel mito della resistenza vi è il
risentimento politico di rivalsa dell’antifascismo che, sconfitto
nel "biennio rosso" cerca adesso quella vittoria che manca
allora. Come ha osservato Francesco Coppellotti, è vent’anni
dopo il biennio 19-21 che "l’antifascismo italiano credette di
poter ripetere questo processo in un paese militarmente
occupato e nella completa dissoluzione dello Stato"(16). In
questo risentimento rieccheggia il noto "oggi in Spagna
domani in Italia" di Carlo Rosselli che già nel ‘34 aveva scritto
che "bisogna essere pronti a uccidere ancor più che a
morire"(17). Ora, se le origini della guerra partigiana si trovano
nel risentimento politico di rivincita, allora ne consegue che
l’antifascismo approfittò della crisi italiana del ‘43 per rivalersi
sul fascismo che era uscito vincitore dalla crisi del 19-21.
Infatti mentre al nord l’Italia partigiana alimentava quella forma
di terrorismo e controterrorismo antitedesco ed antitaliano, al
sud preparava la propria futura leadership politica. Del resto
non và dimenticato che il regime fascista crolla grazie agli
interessi convergenti di Churchill e della classe dirigente
italiana mentre, come ha fatto notare Romolo Gobbi, "gli unici
che avevano come obiettivo dichiarato la caduta del fascismo,
e cioè gli antifascisti, non riuscirono a fare nulla; ma da quel
momento cominciarono a elaborare un mito che giustificasse
la loro successione al potere"(18). Dietro la facciata della
liberazione, dunque, si nasconde la lotta antifascista per la
02/12/2004successione al potere. In questa prospettiva il mito fascista del
tradimento andava occultato con l’eliminazione culturale, oltre
che fisica, dei traditi perchè in un raffronto con il mito della
resistenza, nella sua essenza più profonda, non si sarebbe
potuto disconoscere la superiorità etica e patriottica del primo
rispetto al secondo. Anche con il limite dell’alleanza con i
tedeschi. Una conferma indiretta del risentimento antifascista
è dato da chi, come gli azionisti, parla di resistenza tradita,
fallita. Ma la resistenza fallì perchè la successione al potere
venne inficiata da quei compromessi e da quelle logiche
spartitorie che il nuovo ordine mondiale, imposto a Yalta e
ratificato a Potsdam, determinava in Europa. Paradossalmente
l’antifascismo, nel momento in cui soddisfaceva il proprio
risentimento, veniva tradito proprio dagli "alleati-liberatori", dai
loro "blocchi ", dalle loro "zone d’influenza", dai loro "muri"
politici ed economici, dalla loro "guerra fredda" combattuta
all’interno di ogni Stato europeo. L’antifascismo conquistò pure
il "suo" potere, ma poi dovette dividerlo al suo interno tra i
"sovietici" e gli "americani" di casa nostra. Ha scritto Paul
Abrahams che la resistenza riusci "a liberare il continente dal
senso di colpa dell’occupazione e della collaborazione.
Naturale che (...) fosse interesse di quanti erano stati coinvolti
esagerare l’importanza e la popolarità della resistenza (...)
accettato che furono importanti (...) ogni esperienza fascista
domestica potè essere bandita come un’aberrazione"(19).
Il prezzo pagato dall’Italia fu la crisi dell’identità nazionale,
ancora oggi debole anche a causa dei modi e dei tempi in cui
avvenne la successione al potere degli antifascisti. L’Italia dei
resistenti e l’Italia dei traditi, attori di quella tragedia che inizia
con lo sbarco in Sicilia, rimasero su fronti contrapposti. Il
risentimento impedì una "riconciliazione". Andò come andò,
con i primi che si legittimarono sulle ceneri dei secondi. Ma
questo contrasto di sentimenti e risentimenti attorno alla
Patria; questa Italia dei partigiani e dei traditi non possono
essere espulse dalla storia nazionale. La storia del fascismo
nel biennio 43-45 và inquadrata in questo scenario tragico e
mitico che, malgrado tutto, fa parte del codice genetico della
nostra Nazione.
Il Fascismo nella crisi italiana del ‘43
Il mito fascista del tradimento, con le sue implicazioni
psicologiche ed emotive, non va perso di vista se si vuole
capire come si muove il fascismo in quella che è stata definita
"la crisi italiana del 1943"(20) i cui momenti principali sono
legati a due date-simbolo: il crollo del fascismo, 25 luglio; il
crollo della Nazione, 8 settembre. Nel periodo compreso tra
queste due date resistono ancora oggi tutta una serie di luoghi
comuni, a cominciare da quelle manifestazioni che seguirono
alla caduta di Mussolini e che "furono immediatamente
interpretate come un segno di diffuso antifascismo"(21). Si
dimentica però che secondo la versione ufficiale il re aveva
accettato le dimissioni di Mussolini e che il popolo credette che
quelle dimissioni portavano alla fine della guerra. Semmai
quelle manifestazioni contro "la guerra di Mussolini" - e non
02/12/2004contro il fascismo in quanto tale - culturale del regime che
rendono evidente l’errata impostazione non riuscì ad imporre il
concetto di guerra necessaria ad esportare la rivoluzione
fascista per costruire un nuovo ordine mondiale in cui gli
egoismi dei paesi ricchi venissero definitivamente superati.
Non si tiene conto del fatto "che non tutti furono contenti della
caduta di Mussolini, che la maggior parte della gente fu colta
di sorpresa dal cambiamento repentino di una situazione
durata vent’anni, e che quindi fu incapace di schierarsi, perchè
le mancavano le informazioni e le alternative"(22). Questo
della disinformazione è un fattore ingiustamente trascurato
dalla storia ufficiale e invece gioca un ruolo essenziale perchè
scalfisce il luogo comune della mancata reazione fascista. La
disinformazione, infatti, getta lo scompiglio nel campo fascista:
i vertici politici e militari del partito, non compromessi nella
congiura e privi di notizie, si mettono lealmente a disposizione
del nuovo governo; la base militante, in ogni città, resta nelle
sedi in attesa di notizie ed ordini: si ricordino le testimonianze
di Almirante e Romualdi in proposito. Si tenga presente che lo
stesso Mussolini, lealmente, si mette a disposizione del nuovo
capo del governo(23) mentre Il Popolo d’Italia pubblica con
enfasi la nomina di Badoglio sottolineando, peraltro, che la
guerra continua. Questa disinformazione insinua tra i fascisti
l’equivoco in base al quale il fascismo non compromesso, non
sfiorato dall’idea di trovarsi di fronte ad un vero e proprio colpo
di stato, crede che "Badoglio, pur modificando il Governo, non
avrebbe cambiato la politica generale dominata dalla
guerra"(24). In buona sostanza il colpo di stato viene
scambiato per un semplice cambio di governo. Del resto la
stampa e la radio parlano di "dimissioni" di Mussolini, e non di
arresto(25). Così, partito e milizia si mettono a disposizione di
Badoglio il quale si affretta a sciogliere il primo e ad inserire
nell’esercito l’altra. Del resto Badoglio è certo che i grandi
gerarchi, complici della caduta di Mussolini, non possono
reagire, nè spiegare quanto in realtà sta avvenendo. E poi
sono già in fuga. Il maresciallo, comunque, giocando sul
fattore combinato sorpresa-disinformazione, non perde tempo:
il 26 luglio cambia i direttori di tutti i quotidiani; poi, dopo aver
sciolto il partito e la milizia, sopprime tutte le istituzioni fasciste
e vieta l’uso di vessilli o emblemi che non siano il tricolore. E
mentre si abbattono i simboli del regime, il maresciallo
disperde la base fascista richiamando alle armi i più giovani e
mettendo in condizione di non nuocere i più anziani con
l’operazione epurazione. L’unico pericolo è costituito dai
tedeschi, ma Badoglio tiene precauzionalmente in ostaggio
Mussolini. In questo modo Badoglio, nel giro di poche ore,
annienta ogni possibilità di reazione organizzata fascista e può
dedicarsi ai problemi di politica estera: prendere tempo coi
tedeschi e trattare la resa con gli alleati. Ma alle origini della
mancata reazione fascista vi è anche un problema di tipo
militare che riguarda direttamente "l’esercito in camicia nera".
Vero è, infatti, che la Milizia viene immediatamente inserita da
Badoglio nell’esercito. Ma di solito la storia ufficiale trascura
che, come ha invece osservato Teodoro Francesconi, "nel
momento cruciale 10 battaglioni sono in Sardegna, 6 in
Corsica, 2 in Francia"(26).
02/12/2004Generalmente la mancata reazione organizzata viene
accompagnata dal ritornello del fascismo che si dissolve come
neve al sole. È un vizio della storia ufficiale quello di far
corrispondere mancata reazione e dissolvimento del fascismo.
La memorialistica fascista ammette che "durante i
quarantacinque giorni, il fascismo ufficiale si era praticamente
disperso"(27). Ma si trattava, appunto, del fascismo ufficiale,
istituzionale: il governo, esautorato dal re; il partito, sciolto da
Badoglio; la milizia, inserita nell’esercito. Però la base militante
del fascismo formata da gregari, fiduciari, federali, dirigenti,
studenti, semplici iscritti, non si disperse. Abbandonata a se
stessa reagì disorganizzatamente. Così da alcuni documenti
segreti tedeschi si apprende che "alcuni gruppi di fascisti si
sono barricati in casa ed oppongono resistenza armata; che
"vecchi fascisti sono stati braccati ed uccisi"; o che in Croazia
"la milizia fascista vorrebbe essere incorporata nelle waffen
SS"(28). E poi quanti sono stati i Pino Romualdi asserragliati
nelle sedi del partito? Scrivere che "il 25 luglio non un solo
italiano osò dichiararsi fascista e battersi per il suo duce"(29)
significa far torto a tutti coloro che invece manifestarono la loro
appartenenza poichè va finalmente riconosciuto che, come ha
osservato Gobbi, "una parte della popolazione era stata
fascista e non riuscì a cambiare registro così rapidamente e
che alcuni non lo cambiarono affatto"(30). Eppure, in questo
fascismo colto di sorpresa, privo di notizie, clamorosamente
coinvolto in un equivoco, si registra un movimento
impercettibile che sfugge alla storia. Lentamente il fascismo di
base si sostituisce al fascismo ufficiale. È l’inizio di una svolta
che si conclude all’indomani dell’armistizio, quando tutto è
finalmente chiaro. L’8 settembre è, infatti, quell’elemento
chiarificatore della crisi del ‘43 che consente di stabilire che c’è
stato un intreccio di congiure; che consente di distinguere
traditi e traditori. Stavolta la reazione fascista non si fa
attendere. Due giorni dopo l’armistizio "a Trieste, i fascisti
guidati da Utimpergher, aprirono la prima federazione fascista
(...). Lo stesso Utimpergher si incaricò (...) di riaprire alcune
altre federazioni del Veneto (...) tra 1’11 ed il 12, si riaprirono
le sedi di Bologna e di quasi tutte le province emiliane e
romagnole (...) riaprirono i battenti i vecchi gruppi rionali"(31).
Quello della rinascita del fascismo in seguito alla liberazione di
Mussolini è un luogo comune. In realtà il partito fascista aveva
le sue sedi aperte ancor prima del rientro di Pavolini in Italia e
addirittura prima che venisse liberato il duce. Queste sedi, il
più delle volte, furono aperte nonostante i tedeschi a cui i
fascisti, come testimoniato da Romualdi, contendevano
l’amministrazione civile delle città italiane. È in questo
momento che quel lento movimento di ricambio interno al
fascismo si conclude. Per comprenderlo occorre richiamarsi
alla distinzione defeliciana tra fascismo regime e fascismo
movimento. Bisogna ammettere che il fascismo affronta la crisi
italiana del ‘43 con un ricambio della propria classe dirigente e
con nuove scelte programmatiche. È importante notare, come
invece non fa la storia ufficiale, che questo ricambio avviene
dal basso. Vede protagonisti non i leaders storici "diradatisi",
non il gerarchismo in fuga, non Mussolini prigioniero, ma la
base, il movimento. Ancora una volta, utile è la testimonianza
02/12/2004di Romualdi: "La violenza critica dei fascisti che avevano
riaperto le sedi, o che a queste erano accorsi nei primi giorni,
non risparmiò nessuno: le vecchie posizioni non furono
riconosciute; chi aderiva, qualunque fosse la carica ricoperta,
doveva considerarsi un gregario al pari degli altri"(32).
L’elemento centrale della impostazione politica e culturale di
questa nuova classe dirigente proprio il mito del tradimento
infatti, come ha notato De Felice, "i fascisti di Salò dicevano
che il fascismo regime aveva tradito le premesse del fascismo
movimento"(33). La vecchia classe dirigente era accusata di
avere ostacolato la rivoluzione, di aver perseguito il
compromesso, di essersi imborghesita e burocratizzata e
dunque di essersi resa complice della corona. Con la vittoria
del fascismo movimento, riprendeva vigore quella troppo poco
studiata polemica antiborghese tenuta a bada durante il
regime. Il nemico borghese veniva identificato "come orizzonte
storico-culturale" che corrispondeva, come ha giustamente
notato Adriano Romualdi, al "tipo del borghese benpensante e
patriottardo alla Acerbo a alla Federzoni, la cui preparazione
patriottico-risorgimentale, bastata per la prima guerra
mondiale, non era sufficiente a comprendere la nuova epoca
della guerre ideologico-continentali"(34). Si può a questo
punto affermare che le date del 25 luglio e dell’8 settembre
non segnano una morte ed una rinascita del fascismo che,
invece, continuò a vivere di vita propria. Rigenerato dalla crisi
del ‘43, il fascismo si apprestava a vivere l’ultimo capitolo della
sua biografia: quello repubblicano del biennio 43-45. A nord di
Roma svolgendo liberamente la propria azione in quella che è
stata definita "una repubblica necessaria"(35); a sud entrando
operativamente in clandestinità.
Il fenomeno del fascismo clandestino nel biennio 1943-1945
Non si deve cadere nell’errore di considerare il fascismo
clandestino qualcosa di diverso dal fascismo repubblicano. Se
diversi sono i luoghi ed i modi d’intervento, identico è il
progetto che li anima costituito dal mito del tradimento, dal
sentimento impolitico di salvare l’onore nazionale e da quello
metapolitico di salvare il fascismo. Ancora con molta fatica la
storia ufficiale ammette che, in seguito alla crisi di luglio, il
fascismo movimento sostituì il fascismo regime compiendo
così quella svolta da cui proviene il fascismo repubblicano.
Dovrebbe anche riconoscere che questo valica i confini
geografici in cui è abitualmente costretto e che accanto al
fascismo repubblicano libero del nord vi fu un fascismo
repubblicano clandestino del sud. L’attivismo del primo fu
libero, quello del secondo fu clandestino e sfociò nel
ribellismo. In attesa che questo schema rientri nella
metodologia della ricerca storica sul fascismo proviamo ad
osservare da vicino il fenomeno del fascismo repubblicano
clandestino nel 43-45. La prima cosa da segnalare è che il
fascismo clandestino ebbe rapporti limitati da oggettive
difficoltà col fascismo libero. Ai fascisti clandestini non
arrivarono mai nè armi, nè finanziamenti dalla Rsi che invece
paracadutò per missioni militari diversi agenti segreti. Del resto
quando Mussolini pensava di inviare squadre di fascisti al sud,
02/12/2004si riferiva a qualcosa che avesse a che fare con la conduzione
della guerra e non a forme di assistenza politica, in funzione di
guerriglia civile, ai gruppi organizzati del territorio(36). Nella
Rsi vi erano due tendenze: da un lato chi, come Pavolini,
pensava ad una organizzazione più militare che politica, che
agisse dietro il fronte nemico con franchi tiratori, informatori,
sabotatori; e dall’altro chi, come Romualdi, mirava alla
crazione "di un vero e proprio partito o movimento clandestino
(...) preparato per la lotta politica (...) che avrebbe potuto
permettere al fascismo di vivere (...) malgrado la sconfitta
militare"(37). L’invio di agenti segreti in Sicilia e nel meridione -
molti dei quali catturati e fucilati dagli alleati - dimostra che a
prevalere fu la linea di Pavolini che, dopo la caduta di Roma,
sfrutta lo spostamento del fronte per lasciare, nei centri da
evacuare, dei gruppi composti da elementi fidati e addestrati a
svolgere attività militare informativa; le vicende dei "franchi
tiratori toscani" costituiscono un esempio esplicativo del piano
organizzato da Pavolini(38). Quello attuato dal segretario del
Pfr, si badi, era però un tipo di fascismo clandestino
preventivamente organizzato, premeditato, diverso da quello
spontaneo che si sviluppa in Sicilia e nel meridione durante la
campagna alleata e che "aveva avuto per protagonisti
elementi "indigeni" i quali, ora in gruppi (...) ora (...)
individualmente, avevano agito in forma spontanea"(39). Certo
questi gruppi, dopo la nascita della Rsi, tentano di stabilire un
contatto col fascismo libero ma non sempre vi riescono:
intanto perchè agiscono in povertà di mezzi e finanziamenti e
poi perchè non riescono a collegarsi organicamente tra di loro.
Non si dimentichi, inoltre, che la Rsi guardava con una
mentalità militare all’Italia meridionale che andava
riconquistata e liberata cacciando gli alleati, per cui l’ipotesi di
sfruttare l’attivismo clandestino per scatenare una guerra civile
al sud non venne mai presa in considerazione dal governo
fascista repubblicano. Ciò risparmiò gli orrori della guerra
fratricida, però sciupò le condizioni per dare vita ad un grande
movimento organizzato che conducesse clandestinamente, ed
in grande stile, una attività ribellistica antialleata utilizzando il
malcontento popolare che cominciava a diffondersi. In
sostanza non si sfruttò la possibilità di attuare una forma di
cospirazione fascista sul modello mazziniano. Scopriamo così
due caratteristiche fondamentali del fenomeno del fascismo
clandestino: lo spontaneismo ed il ripudio della guerra civile. Il
fascismo clandestino, infatti, non fu contaminato da quella
teoria della guerra partigiana che "incarna l’ostilità assoluta,
perde la distinzione tra nemico e criminale (...) cessa non con
la pace negoziata, ma con lo sterminio (...) si svolge in base al
terrorismo ed al controterrorismo"(40). Ciò lo diversifica dal
fenomeno della resistenza che contiene gli ingredienti della
guerra civile, basti pensare all’escalation di attentati contro
fascisti isolati a cui non può darsi una spiegazione militare, ma
politica. Lo diversifica e lo pone su un piano etico-politico
superiore. È qui il primo indizio che spiega l’occultamento del
fascismo clandestino: un eventuale raffronto tra questa
esperienza e quella della resistenza avrebbe potuto rendere
immediatamente visibile il risentimento politico di rivalsa
antifascista che, in definitiva, approfitta della tragedia
02/12/2004nazionale per attuare la propria successione al potere
mascherandola come "liberazione". Infatti mentre Gentile
viene assassinato dai partigiani, Croce viene salvato da
Mussolini. Accadde quando un gruppo fascista clandestino
della Campania aveva preparato un piano per rapire il filosofo
che, condotto a Milano, avrebbe dovuto commemorare
Giovanni Gentile. Mussolini, temendo che si spargesse del
sangue e che Croce subisse danni fisici, si oppose con forza
alla realizzazione del progetto(41). Nel carattere dello
spontaneismo si ritrovano, invece, i motivi che sostengono il
fascismo dopo il 25 luglio. I gruppi che vanno sorgendo
nell’Italia amministrata dal governo militare alleato, infatti, sono
animati da quel mito del tradimento che costituisce la traccia
fondamentale di questa storia nascosta. Una traccia che
comprende tutti quegli interessi che preparano e ratificano il
rovesciamento italiano delle alleanze. Ecco perchè non è
possibile inquadrare il fenomeno del fascismo clandestino
senza esporre i passaggi storici che lo precedono. A
cominciare dalla crisi del fascismo i cui presupposti si trovano
nel perseguimento del rovesciamento delle alleanze: Mussolini
non è disarcionato da una rivoluzione popolare, ma da una
congiura. Ed i presupposti della crisi italiana si trovano nella
crisi del fascismo ovvero, in ultima analisi, in quella congiura.
Solo senza il fascismo era possibile l’8 settembre che,
ricordiamolo, non è la data epica di una battaglia, gloriosa ma
sfortunata, in cui si esalta il valore del soldato italiano
sconfitto. Bensì il giorno in cui un paio di generali in borghese
firmano una resa sotto lo sguardo saccente degli "arrivano i
nostri". Ora se non si vuole una semplice narrazione dei fatti
ma la spiegazione di un fenomeno storico, allora non si può
prescindere dal momento in cui esso avviene. E poichè ad
ogni momento corrisponde un modo, in un modo solo il tradito
affronta il momento del tradimento: reagendo. È ciò che è
avvenuto. Ora, ammettere che spontaneamente "in Sicilia
come in tutta l’Italia meridionale, era operante un
disorganizzato movimento fascista, fatto di giovani entusiasti
ed inesperti"(42) equivale a mettere in crisi quella operazione
politico-culturale, denunciata da Rosario Romeo e da Renzo
De Felice, in base alla quale l’antifascismo contrappone alla
storia realmente accaduta una storia alternativa, non
realizzata in passato(43). Ecco l’altro indizio che spiega
l’occultamento storico del fascismo clandestino. Riconoscere,
infatti, che, come scrive Bertoldi, "il fascismo non si scioglie al
sud dopo il 25 luglio come un gelato di fragole. Nemmeno
dopo l’8 settembre. Anzi, in presenza degli alleati, mostra
quanto sia duro a morire"(44) significa smascherare il ritornello
del fascismo che si dissolve come neve al sole. Significa
ammettere, come ha fatto Pansa, che vi erano "uomini e
donne che avevano deciso di combattere l’ultima battaglia del
fascismo per ragioni non ignobili (...). Ragioni politiche, ideali,
sociali, etiche, sentimentali"(45). Significa ammettere, come
ha fatto Sciascia, che questi uomini e donne combattevano in
nome di "una rivoluzione sociale per venti anni ritardata dalla
collusione di gerarchi fascisti "traditori" con le forze del
capitalismo, della monarchia e del Vaticano"(46). Ma queste
ammissioni hanno un valore, in un certo senso,
02/12/2004"paternalistico". Mentre il problema è storico e storiografico: la
reazione spontanea della base fascista, al nord e al sud prima
e dopo la Rsi, dimostra il carattere patriottico del fascismo nel
biennio 43-45; mentre, ancora oggi, un Galli della Loggia deve
affrontare il problema della compatibilità storiografica tra il
carattere patriottico della resistenza ed il considerare
l’armistizio una tragedia dello Stato e del popolo italiano(47).
In proposito è bene ricordare che non solo le lettere dei
condannati a morte antifascisti terminano con le parole "viva
l’Italia", ma anche le lettere dei condannati a morte fascisti. E
allora, diciamola tutta la verità: sino a quando la storia ufficiale
negherà caratteri, fenomeni e miti del fascismo nel biennio 43-
45, non si potrà sapere se ebbe carattere patriottico quella
minoranza che della tragedia approfittò o l’altra che ad essa
reagì; di conseguenza non sarà possibile alcuna conciliazione
storica, e ciò impedirà di ricostruire una vera identità
nazionale. Ma con il carattere dello spontaneismo entra in
scena il protagonista di questa storia nascosta: la base
fascista. Le sue tracce le abbiamo trovate ripercorrendo la
dinamica dei fatti attraverso la memorialistica fascista. Adesso
i documenti processuali sul fascismo clandestino, conservati
negli archivi, ce ne svelano l’aspetto sociologico e ci
confermano che è formata da giovani e giovanissimi, studenti,
impiegati, operai, militari e poi, particolare non secondario, da
fascisti dissidenti durante il ventennio. Espulsi e poi riammessi
e poi riespulsi dal partito che aveva l’esigenza di
"normalizzare" la rivoluzione riducendola ad una evoluzione.
Questo conferma che il fascismo repubblicano, libero e
clandestino, costituiva la vittoria del fascismo movimento. Un
particolare da non trascurare se si pensa che questo fascismo
sociale, "di sinistra", mistico, dopo aver sostituito il fascismo
regime, cerca la conciliazione con l’Italia dei resistenti. Cerca
di lasciare ai socialisti il proprio progetto economico e politico.
Ma questa è un’altra storia. Anche questa avrebbe molto da
dire.
Trapani 1943: L’autunno clandestino dei giovani fascisti
siciliani
L’attività clandestina dei fascisti copre tutto il territori dell’Italia
meridionale. Gruppi sorgono in Sardegna, Campania,
Calabria, Puglia, Sicilia. Certo, l’azione prevalente è di tipo
propagandistico. Ma va notato, come fanno Baldoni e Bertoldi,
che dietro una scritta murale o un volantino vi è "tutto un
fermento sotterraneo, una rete di contatti clandestini"(48) che
coinvolge più persone. Gli alleati, seriamente preoccupati dei
fascisti clandestini nonostante il tipo d’azione che compiono,
reagiscono reprimendo, arrestando, condannando, fucilando.
In questa sede non si vogliono raccontare le azioni più o meno
clamorose scaturite da questa fitta rete di contatti e fermenti
che coinvolge città e regioni. Sembra più interessante
soffermarsi su quello che è stato "il primo gruppo organizzato
scoperto"(49): quello di Trapani. Il caso di Trapani,
riassumendo tutte le tracce e gli indizi fin quì considerati, può
essere assunto a paradigma del fenomeno del fascismo
clandestino. Tutto cominciò in autunno. Nell’ottobre del ‘43,
02/12/2004qualche giorno dopo che Badoglio dichiarasse guerra alla
Germania, venne scoperto a Trapani un gruppo clandestino
formato da giovanissimi in prevalenza studenti universitari.
Furono coinvolte 35 persone di cui 15 condannate per
complotto e ricostituzione del partito fascista. La notizia, che
ebbe larga eco sulla stampa del nord e del sud, entusiasmò
persino Giuseppe Prezzolini che nel suo diario, alla data del
20 dicembre ‘43, scriveva: "Si è trovato un gruppo di Fascisti
in Sicilia! Meritano un monumento. Un fascista che ha tenuto a
dichiarare la sua fede è grande quasi quanto un democratico
che non cambiò bandiera sotto il fascismo"(50). I giovani
vennero dapprima rinchiusi al campo di concentramento
"Aula" di Trapani, e successivamente trasferiti all’Ucciardone
di Palermo dove ebbe luogo il processo. Dal quale emerse che
il gruppo si era andato formando già all’indomani della caduta
del regime, e che oltre a diffondere volantini ed un bollettino
ciclostilato, aveva effettuato operazioni di tipo militare. In
particolare lo studente Salvatore Bramante, di 23 anni, venne
condannato a morte per sabotaggio alle comunicazioni tra
Gela e Vittoria e per il possesso di una pistola. Tra i promotori,
anche lo studente Dino Grammatico, 19 anni, che rimase nella
cella della morte per quasi un anno(51). Le pene vennero poi
commutate rispettivamente in 20 e 10 anni. Promotori erano,
ancora: gli studenti Antonio De Santis, 22 anni; Francesco Lo
Forte, 20 anni; Sergio Marano, 20 anni; il geometra Francesco
Daidone, 25 anni; l’impiegato Salvatore Giacalone, 19 anni.
Tutti condannati con pene dai 5 ai 20 anni. Questa, in sintesi,
la ricostruzione storica evinta dalla bibbliografia e dai
documenti d’archivio(52). Quì si riscontra lo spontaneismo e la
povertà dei mezzi che stanno all’origine dei gruppi; il tipo
d’azione svolta: propagandistica e militare ma contro l’esercito
straniero; l’età e la professione dei componenti: vissuti, quindi,
ai margini del fascismo, come gregari; la durezza delle pene:
che indica come gli alleati miravano a scoraggiare, sul
nascere, quello che stava diventando un vero e proprio
fenomeno. Ma accanto alla storia degli eventi, vi è la storia
degli stati d’animo, degli aspetti psicologici, emotivi, ideali che
spingono l’uomo a compiere in un determinato momento
storico, precise scelte "storiche". Non è possibile ricostruire un
fenomeno storico senza tenere conto di questo particolare
aspetto interiore, spia del "clima" storico in cui il fenomeno
stesso si compie. Per questo occorre rifarsi alla testimonianza
scritta, all’elemento memorialistico che, nonostante possa
essere di parte, rifugge alle "falsificazioni volontarie degli
storici in omaggio a qualche superiore verità scientifica o
politica"(53). Uno dei protagonisti, Sergio Marano, ha
raccontato la storia dell’amicizia di questo gruppo di ragazzi
che si ritrovava a vivere la propria condizione giovanile nella
bufera del ‘43. Proprio perchè l’esperienza clandestina è
messa in secondo piano, è possibile trarre quello stato
d’animo di chi affronta da fascista, gli avvenimenti del ‘43.
Nella testimonianza dell’autore si ritrova quel mito del
tradimento così fondamentale per spiegare il fascismo del
biennio 43-45. "Il 23 luglio gli americani giungono alle porte
della nostra citta (...) nelle mani dei contadini pane, vino,
meloni, frutta (...) che a noi sfollati ci avevano spesso negato
02/12/2004pur pagandoli (...) non così si doveva perdere ma con dignità,
con onore, in silenzio (...) per rispetto alle diecine di migliaia di
nostri fratelli che erano morti combattendo (...) aspettiamo un
miracolo. Invece arriva il 25 luglio. Mussolini è arrestato (...) il
re chiama Badoglio al governo (...). Badoglio dichiara che la
guerra continua (...) c’è l’Italia che conta. Siamo con il re,
l’Italia al di sopra di tutto, anche di Mussolini (...) arriva l’8
settembre, firmato l’armistizio (...) così a tradimento (...) il re
con Badoglio e contorno di generali, fuggito a Brindisi (...). I
soldati, senza capi, nè direttive abbandonati a se stessi,
svestono le divise strappano mostrine gradi e stellette (...) si
danno alla campagna (...) non accettiamo di finire così.
Abbiamo vent’anni. Esasperati, qualcosa vogliamo fare, che ci
riscatti. E poichè ci sentivamo traditi (...) ci dicemmo ancora
fascisti ci buttammo a "cospirare". Poco più di un mese dopo
ci arrestarono"(54). Nessun documento, meglio di queste
parole, spiega la motivazione interiore, mitica, che sta alla
base del fascismo clandestino, episodio di quel fascismo che
sopravvive, e non scompare per poi magicamente ricomparire,
nella storia dell’Italia, nel biennio 43-45. Come ha scritto
Morris, "l’unica cosa che gli alleati non riuscirono ad ottenere -
sebbene fosse stato uno degli scopi della campagna d’Italia -
fu lo sradicamento del fascismo; si può sostenere che
trovarono terreno più fertile in Germania che in Italia"(55).
Certo, questo è ingombrante per chi "ha elevato la resistenza
a mito etico-politico facendo della guerra civile-per-procura 43-
45 il paradigma della verità della storia italiana"(56). Bisogna,
invece, lealmente ammettere che il mito del tradimento si è
tramandato di generazione in generazione all’ombra del mito
della resistenza; e che il fascismo, come altri momenti della
nostra storia, sopravvive nel bagaglio culturale e mnemonico
degli italiani. In questo senso esso va finalmente sottratto al
dibattito politico e consegnato alla storia riconoscendo che, nel
corso della sua esperienza, non visse in terra nemica. Da qui
potrebbe iniziare quella pacificazione tra italiani, necessaria a
costruire la nuova Italia alle soglie del terzo millennio.
Note
(1) R. Ciuni, L’Italia di Badoglio, Milano 1993. Ancora oggi il
"Regno del sud" ha una bibliografia minore rispetto a quella
della Rsi: una curiosa e strana differenza. Si segnala, inoltre,
uno dei pochi recenti libri in materia: L. Incisa di Camerana,
L’Italia della Luogotenenza, Milano 1996.
(2) La bibliografia sul fascismo clandestino è minima; si
segnalano: G. Conti, La Rsi e l’attività del fascismo
clandestino nell’Italia liberata, in Storia Contemporanea,
ottobre 1979, pp. 941-1018; A. Baldoni, Fascisti 1943-1945,
Roma 1993. Per quanto riguarda il fascismo clandestino nel
dopoguerra, la casa editrice Settimo Sigillo ha quest’anno
riproposto un libro tanto introvabile quanto fondamentale: M.
Tedeschi, Fascisti dopo Mussolini. Le organizzazioni
clandestine neofasciste 1945-1947. Si segnalano ancora: M.
02/12/2004Tarchi, Esuli in Patria. I fascisti nell’Italia repubblicana, Milano
1995; G. De Medici, Le origini del Msi dal clandestinismo al
primo congresso (1943-1948), Roma 1990; infine sulla
partecipazione fascista alla rivolta siciliana contro la chiamata
alle armi dei governi Badoglio e Bonomi vedi la testimonianza
di S. Cilia, Non si parte (1944-1945), Ragusa 1954.
(3) M. Bloch, Apologia della storia, Torino 1969, pag. 63.
(4) E. Aga Rossi, Una nazione allo sbando, Bologna 1993,
pag. 42.
(5) Lettera citata da F. Bandini in Storia illustrata, gennaio
1974.
(6) N. Tranfaglia, La monarchia e la commedia degli inganni -
Ragionamenti sui fatti e le immagini della storia, luglio/agosto
1993.
(7) E. Morris, La guerra inutile. La campagna d’Italia 1943-
1945, Milano 1993, pag. 10.
(8) Cito da una lettera alla sorella Edwige, in: E. Mussolini, Mio
fratello Benito, Firenze 1957, pag. 208.
(9) P. Romualdi, Fascismo repubblicano, Milano 1992 pag. 14.
(10) F.E. Accolla, Lotta su tre fonti, Milano 1991 pag. 12.
(11) M. Del Bene, Diario di un vinto, Roma 1991 pag. 29.
(12) G. Almirante, Autobiografia di un fucilatore, Milano 1974;
vedi il capitolo La scelta.
(13) P. Romualdi, op. cit., pag. 20.
(14) R. De Felice, Rosso e nero, Milano 1995, pag. 115.
(15) Idem, pag. 128.
(16) F. Coppellotti, prestazione a: E. Nolte, Il giovane
Mussolini, Milano 1993, pag. 155.
(17) Idem, pag. 157. L’autore parla in questo caso del "peggio
di Rosselli". Considerato che ricorre il 60mo anniversario della
morte dei fratelli Rosseli, può essere utile rileggere: F. Bandini,
Il cono d’ombra, Milano 1990, dove l’autore dimostra
suggestivamente la genesi sovietica e non fascista del delitto.
(18) R. Gobbi, Il mito della resistenza, Milano 1992, pag. 27.
(19) P. Abrahams, La resistenza? Un bluff, Il Giornale, 7
gennaio 1996.
(20) V. Aroldi, La crisi italiana del 1943, Milano 1964.
02/12/2004(21) R. Gobbi op. cit., pag. 27.
(22) Idem, pp. 28-29.
(23) "Desidero assicurare al M.llo Badoglio (...) che da parte
mia (...) sarà data ogni possibile collaborazione". Vedi: Il diario
di B. Mussolini, commento di M. Enguer, Milano s.d., pag. 94.
Questo diario è tratto dalla nota Storia di un anno; si segnala
per l’efficace commento di Enguer.
(24) Idem, pag. 94.
(25) Cfr. Il Corriere della Sera, Le dimissioni di Mussolini,
Badoglio Capo del Governo; La Stampa, Badoglio a Capo del
Governo, le dimissioni di Mussolini accettate dal Re. Non si
dimentichi, inoltre, che alle 22.45 del 25 luglio l’Eiar
interrompeva le trasmissioni per comunicare che: "Sua Maestà
il re e imperatore ha accettato le dimissioni dalla carica di
Capo del Governo (...) di sua eccellenza il cavaliere Benito
Mussolini e ha nominato Capo del Governo il cavaliere,
Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio.
(26) Cfr. T. Francesconi, L’esercito in camicia nera, in Storia
del XX secolo, gennaio 1997.
(27) P. Romualdi, op. cit., pag. 43.
(28) Cfr. N. Cospito - H. W. Neulen, Salò-Berlino: l’alleanza
difficile, Milano 1992, pp. 19-21.
(29) A. Roveri, Mussolini, Milano 1994, pag. 108.
(30) R. Gobbi, op. cit., pp. 28-29.
(31) P. Romualdi, op. cit., pag. 43.
(32) Idem, pag. 44.
(33) R. De Felice, Intervista sul fascismo, Milano 1992 pag.
37.
(34) A. Romualdi, La destra e la crisi del nazionalismo, Roma
1986, con una introduzione di G. Malgieri, pag. 38. L’autore,
giovane storico prematuramente scomparaso in un tragico
incidente stradale nell’agosto 1973, è figlio del già citato Pino
Romualdi.
(35) P. Pisenti, Una repubblica necessaria, Roma 1977.
(36) Vedi il telegramma del plenipotenziario del reich in Italia
Boch al ministro degli esteri tedesco Ribentrop del 30
dicembre 1943: "Il duce ha accettato (...) di collocare dietro il
fronte dell’Italia del nord vecchi fascisti mascherati da
partigiani, allo scopo di una comune conduzione della guerra".
In Cospito-Neulen, op. cit., pag. 220.
02/12/2004(37) P. Romualdi, op. cit., pag. 127.
(38) Per l’attività spionistica e per la vicenda dei "franchi
tiratori" vedi i due volumi di G. Pisanò, Storia della guerra
civile in Italia, Roma 1980; e Storia delle forze armate della
Rsi, Roma 1982. Per il piano di Pavolini vedi G. Conti, op. cit.,
l’intero paragrafo La caduta di Roma e il "nuovo corso" del
fascismo clandestino.
(39) G. Conti, op. cit., pag. 973.
(40) N. Matteucci, voce "resistenza" del dizionario di politica
diretto da Bobbio, Matteucci e Pasquino, Milano 1991.
(41) I servizi d’informazione alleati, venuti a conoscenza del
progetto, misero a guardia del filosofo uomini armati. Vedi G.
Conti, op. cit., e A. Baldoni op. cit., ed inoltre: La parola
d’ordine è rapite Croce in Italia Settimanale del 26 maggio
1993.
(42) S. Attanasio, Gli anni della rabbia. Sicilia 1943-1947,
Milano 1984, pag. 186.
(43) Cfr. l’introduzione di De Felice al suo Rosso e nero cit.,
pp. 9-10.
(44) Cito da A. Baldoni, cit., Italia Settimanale.
(45) G. Pansa, Il gladio e l’alloro, Milano 1993, pag. XII.
(46) L. Sciascia, La noia e l’offesa, Palermo 1976, pag. 163.
(47) Vedi E. Galli della Loggia, La morte della Patria, Roma -
Bari 1996.
(48) Cfr. A. Baldoni, cit., Italia settimanale.
(49) G. Conti, op. cit.
(50) G. Prezzolini, Diario 1942-1968, Milano 1980, pag. 52.
(51) vedi pure: S. Attanasio, op. cit., pag. 47.
(52) Ho riportato da G. Conti, op. cit., che cita fonti di archivi
giudiziari di tutta Italia. Si aggiunga la studentessa Maria D’Ali
definita dalla stampa e dalla radio della Rsi la "Giovanna
d’Arco della Sicilia"; il fascicolo personale di questa
protagonista non è stato trovato negli archivi.
(53) R. Gobbi, op. cit., pag. 8.
(54) S. Marano, Il bosco di Rinaldo, Trapani 1992, pp. 157-
158.
(55) E. Morris, op. cit., pag. 17.
02/12/2004(56) F. Coppellotti, op. cit., pag. 154.

http://www.fiammacanicatti.it/Fascismo%20clandestino%20-%20Ingrassia%20M..pdf

Nessun commento:

Posta un commento