lunedì 22 aprile 2013

Che cos’è la Bibbia?

di Alberto B. Mariantoni

Dopo le ricerche intraprese, nel tempo, da una serie di studiosi (come, Abraham Ibn Ezra, Joseph ben Isaac, Baruch Spinoza, Thomas Hobbes, Richard Simon, Jean Astruc, Julius Wellhausen, Martin Buber, Martin Noth, ecc.), sappiamo perfettamente che i primi “cinque libri” della Bibbia (il “Pentateuco”), non sono mai stati scritti, né dettati, né ispirati, da Mosè, né tanto meno pensati, organizzati e redatti da un medesimo autore.

Per riassumere, diciamo che l’intera critica biblica, dall’epoca delle suddette ricerche ad oggi, considera quei “cinque libri” (+ il “Libro di Giosuè”), come un’intricata, raffazzonata, rimescolata e super manomessa raccolta di saggi compositi ed eterogenei, organizzata e redatta su un arco di almeno 700 anni.

Il “colpo di inizio” di quell’incredibile e funesta “favola letteraria” che chiamiamo “La Bibbia”, sarebbe venuto da un certo Giosia o Josias (-640/-609): un insignificante ed ininfluente (ma aspirante imperialista…) re di Giuda che - per giustificare le future conquiste territoriali che avrebbe voluto concretamente realizzare in Palestina e nei territori limitrofi - si sarebbe inventato, di sana pianta (prendendo spunto da saghe e da leggende di altri popoli e di altre culture), un mitico ed eroico passato delle popolazioni del suo minuscolo regno (un “regno”… si fa per dire!). E, su ispirazione/istigazione del suo allora Gran sacerdote (Hilqiyya) e l’indispensabile ausilio di un certo numero dei suoi scribi, avrebbe ugualmente fatto “tradurre” quel suo irrefrenabile sogno di espansione, in un testo ideologico/teologico che, redatto al passato, avrebbe dovuto rappresentare, in realtà, la falsariga che le sue genti avrebbero dovuto seguire, in un prossimo avvenire, per facilitare la realizzazione di quelle sue ambiziose, future e mai attuate conquiste.
Sappiamo come andò a finire…

L’allora faraone d’Egitto, Neco o Nekao (-609/-594) – che considerava la Palestina un “protettorato” del suo Paese e non gradiva affatto che un qualsiasi reuccio della Giudea venisse a rimetterlo in discussione – armò un esercito, invase la Palestina, sbaragliò le truppe giudee a Megiddo e fece uccidere Giosia (-609).

La storia della “favola biblica” avrebbe potuto definitivamente concludersi in quella circostanza. Invece, a partire dalla “base ideologica” che aveva fatto imbastire, “pro domo sua”, Giosia, altri “furbacchioni giudei pensarono bene di prolungarla nel tempo, nella speranza che quell’iniziale sogno del loro re, potesse un giorno realizzarsi.

Come sappiamo, all’epoca del re Nabucodonosor IIº (-605/-562), i Babilonesi invasero militarmente la Giudea, distrussero la città di Gerusalemme (-597) e ne deportarono buona parte della popolazione, in Mesopotamia.

Nel corso di quello che è comunemente definito l’Esilio di Babilonia di una parte della popolazione della Giudea, alcuni di quegli esuli pensarono bene, come ho già detto, di prolungare nel tempo le precedenti ambizioni di Giosia.
Ed a partire dalla base ideologica che quest’ultimo aveva loro lasciato, si sarebbero ingegnati a concepirne il “nucleo centrale” di quello che oggi chiamiamo la Bibbia.
Altri ex-proscritti, al loro rientro da Babilonia, lo avrebbero messo per esteso a Gerusalemme.
Altri ancora, lo avrebbero riadattato e rimaneggiato fino all’epoca della Comunità di Qumran.
Questo, prendendo largamente ispirazione dal zoroastrismo mazdeista, all’epoca della dominazione persiana (-530/-330) sul Vicino-Oriente.

Tutto questo, naturalmente, non è una mia personale intuizione/deduzione, né tanto meno una mia personale o professionale opinione.
E’ semplicemente quanto afferma, attualmente ed ufficialmente, sia l’archeologia israeliana (Ze’ev Herzog, David Ussishkin, Israel Finkelstein, Neil Asher Silberman, ecc.);
sia la filologia/glottologia (Edward Ullendorf, Ernst Axel Knauf, Giovanni Garbini, ecc.);
sia la ricerca biblica (Thomas L. Thompson, Diana Edelman, John Van Seters, Niels Peter Lemche, Philip R. Davies, ecc.);
sia la storia delle religioni (Thomas Römer, Keith W. Whitelam, ecc.).

Ora, se a quelle irrefutabili realtà scientifiche, aggiungiamo il fatto che gli “Ebrei della leggenda” (ammesso e non concesso che siano mai realmente esistiti), nel VIIº secolo (cioè, al momento in cui viene situato il re Giosia), non solo non esistevano più, ma nessuno - tra i possibili ideatori, redattori e/o editori di quel primo embrione di ideologia/teologia (o semplice “saga” politico-religiosa?) – era più in condizione (eccetto per i suggestivi e nebulosi racconti che probabilmente li descrivevano e che erano approssimativamente, frammentariamente ed oralmente giunti fino a loro…) di poterne ostentare (e nemmeno millantare…) la benché minima conoscenza o informazione storica, una domanda sorge spontanea:
in nome di che cosa, le Chiese cristiane, la Umma musulmana e la suddetta maggioranza di persone che ho precedentemente citato, possono continuare a pretendere di chiamare o di definire “Ebrei”, gli affiliati ad una qualsiasi delle numerose e variegate Confraternite che, oggi, si rifanno al Giudaismo religioso e/o culturale e/o storico?

E se nessuno tra quegli affiliati può essere considerato “Ebreo”, a che titolo, gli attuali Israeliani, potrebbero pretendere di essere i discendenti diretti degli “Ebrei della leggenda”?

Intendiamoci: per quanto mi riguarda, ognuno, nel mondo – per tentare di realizzare i propri ideali o potere dare sfogo, appagamento o soddisfazione alle sue più intime aspirazioni o ambizioni, credenze o convinzioni, predilezioni o preferenze – ha il sacrosanto ed inalienabile diritto e la totale, assoluta ed incoercibile libertà di chiamarsi o di definirsi come meglio crede, preferisce o predilige; oppure, come più soddisfacentemente gli aggrada o gli fa comodo

Il vero problema – se così vogliamo chiamarlo – incomincia a porsi, invece, quando singoli individui e/o gruppi umani costituiti ed organizzati, attribuendosi soggettivamente ed arbitrariamente un particolare qualificativo o appellativo (“Ebreo”/“Ebrei”), tentano ugualmente di farsi riconoscere, dall’insieme degli abitanti del nostro Pianeta, una concreta e tangibile parentela biologica ed antropologica con mitici o ipotetici “lignaggi” che la Storia, fino a prova del contrario, conosce soltanto a livello di leggenda. E, come inevitabile conseguenza o corollario di quell’unilaterale ed indimostrabile pretesa, cercano perfino di farsi aggiuntivamente o sussidiariamente accreditare e/o confermare un preciso ed esigibile ‘diritto di eredità fondiaria’ su dei territori che – secondo una scompigliata e fumosa sequela di eterogenei, temporali e mai identificati ideatori/redattori/editori di una serie di testi ideologico/teologici che definiamo ‘la Bibbia’ sarebbero stati “promessi da “Dio” a quel loro presupposto o congetturato parentado.

E qui, sì, che nasce il problema di chiamarsi o di essere chiamati o definiti “Ebrei”!

Questo, tanto più che chi tende, oggi, a qualificarsi “Ebreo” o “Israelita” o “Giudeo” non professa assolutamente, né la religione degli “Ebrei della leggenda” (che nessuno sa nemmeno se siano mai realmente esistiti!), né quella del solo Israele che la Storia conosce (che è quello della dinastia degli omriti che professava una fede politeista!), né quella di una parte degli abitanti del regno di Giuda che, come sappiamo, furono sconfitti, scacciati dalla Palestina e dispersi negli allora diversi territori dell’Impero romano, sia dal generale Tito (70 della nostra era) che dall’Imperatore Adriano (135).

Da allora, se vogliamo, gli affiliati alle diverse e variegate Confraternite del Giudaismo che esistono in Israele e nel mondo – non solo sono religiosamente e culturalmente cambiati (ammesso e non concesso che, quelli di oggi, siano i discendenti diretti degli abitanti della Palestina di allora!), ma da un punto di vista della loro pratica quotidiana di quella tradizione - non hanno più nulla a che fare o a che vedere con la fede o le fedi che ebbero a professare, nel loro tempo, sia gli eventuali “Ebrei della leggenda”, sia gli effettivi “Israeliti” del regno di Omri, sia i “Giudei” della Storia.

Se facciamo volontariamente astrazione dal loro ‘monoteismo di base’ (il famoso Shema Yisrael…), da alcune loro credenze comuni (quelle in particolare, “nell’esistenza e nell’unicità di Dio”; “nella rivelazione divina” e “nelle pene e le ricompense nell’aldilà”) e dalla loro quasi unanime, ufficiosa o informale accettazione dell’integralità o di una parte dei famosi “13 principi di fede” di Maimonide detto Rambam (1135-1204), ci accorgiamo che, in Israele e nel mondo, tra gli affiliati alle diverse e variegate Confraternite di quello che continuiamo erroneamente o impropriamente a definire il Giudaismo (religioso e/o culturale e/o storico), possono benissimo essere contemporaneamente accertati, palesati o ravvisati (oppure, fatti emergere e risaltare) – sia singolarmente che in soggettive e variabili sequenze teoretiche e/o empiriche – una serie impressionante e sorprendente di molteplici, differenziati e contraddittori “Giudaismi”.

Una serie di “Giudaismi” che soltanto per poterli semplicemente e correttamente citare ed elencare, sarebbe necessario disporre del medesimo spazio tipografico che certi editori riservano usualmente ad un ordinario vocabolario.

Insomma, c’è di tutto:
dal Giudaismo di coloro che si sentono legati alla tradizione degli antichi Rabbini (Tannaim e/o Amoraim; Savoraim; Guenoim; Rishonim; Ahronim; ecc.),
a quello che è professato dagli apologeti della “Piattaforma di Pittsburg” del 1885;
dal Giudaismo vantato e proclamato dalle diverse e variegate scuole talmudiche (sia sefardite che askenazite…),
a quello che è manifestato dagli attuali propugnatori della Conferenza di Columbus del 1937;
dal Giudaismo dei “613 Comandamenti”,
a quello professato dai “Sionisti labouristi”;
dal Giudaismo della Cabala e/o dello Zohar,
a quello dei “Conservatori” o “Masorti”;
dal Giudaismo “dell’Etica e della Moralità” (movimento “Mussar”),
a quello dei Mitnagdim (o “Oppositori”);
dal Giudaismo della “Torah Umadda” (“Torà/Scienza/Conoscenza”),
a quello anti-arabo ed anti-askenazita di Nehama Leibowitz (1907-1997);
dal Giudaismo degli adepti della “Signoria di Dio” (“Malkut Shaddai”),
a quello messianico e razzista di Menachem Mendel Schneerson detto Rebbe (1902-1994); dal Giudaismo degli “Ultra-Ortodossi”,
a quello degli “Ortodossi moderni”;
dal Giudaimo dell’Haskala,
a quello dei “Riformisti” e/o dei “Progressisti”;
dal Giudaismo “Liberale”,
a quello dei “Ricostruzionisti”;
dal Giudaismo degli xenofobi anti-arabi e anti-palestinesi del Kach e/o del Kahane Shai,
a quello degli anti-sionisti del Neturei Qarta o Karta;
dal Giudaismo singolarmente propagandato dai diversi e policromi partiti politico-religiosi israeliani (ad esempio: Mafdal; oppure, Agoudat Israel; o ancora, Degel Hathora; ovvero, Poale Agoudat Israel; ossia, Shas; oppure ancora, Gush Emunin),
a quello professato dagli aderenti e militanti del “Black Laundry” (un gruppo “Gay radicale”).

Allora - quando ci riferiamo ai simpatizzanti o ai militanti di questa tradizione ed, in particolare, alla popolazione ed ai “cittadini D.O.C.” dello Stato israeliano - di quali “Ebrei” e di quale “Giudaismo” stiamo parlando?
Fonte
Foto,colore,sottolineatura,evidenziatura,grassetto,NON sono parte del testo originale.WaA359

Tratto da: http://olo-dogma.myblog.it/archive/2010/05/30/che-cos-e-la-bibbia.html#more

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