sabato 16 febbraio 2013

Plutocrazia farisaica




Francesco Fatica

Una corretta inquadratura della storia del Novecento non può prescindere dal mettere nel giusto rilievo l’accorta regia americana per raggiungere il predominio economico mondiale, purtroppo ormai conseguito.
Infatti, a ben vedere, le due guerre mondiali, come ha giustamente rilevato Luigi Saverio(1), si configurano come due episodi convergenti di un unico disegno che ha scatenato le due guerre - ormai riconosciute come vere e proprie guerre civili europee - per ottenere l’abbattimento della supremazia europea ed il conseguente sfaldamento degli imperi coloniali, che apportavano ricchezza al Vecchio Continente, lasciando così campo libero all’affermarsi dell’egemonia economica mondiale di Wall Street.
Questo disegno così articolato e sincronizzato poteva riuscire soltanto con il coordinamento spregiudicato e cinico della massoneria universale, che si è avvalsa di ignominiose collusioni e criminali favoreggiamenti di tanti europei infiltrati nei più alti gradi dell’establishment.(2)
La strategia callida adottata dal “Supremo Grande Oriente Universale” di Wall Street fu semplicemente quella di spingere gli europei a combattersi fino al vicendevole annichilimento, e di intervenire poi, a guerra ormai conclusa, per poter assidersi prepotentemente e pesantemente al tavolo della pace, determinando ogni volta, a Versailles ed a Parigi, le condizioni che avrebbero riacceso le rivalità fra europei.
Si rifletta bene.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti.
Volendo esaminare, in particolare gli eventi a noi più vicini e brucianti della seconda guerra mondiale, risalta con immediatezza e chiarezza l’uso strumentale dell’illusorio ideale democratico, liberaleggiante, “libertario”, nella propaganda per abbattere gli stati autoritari. Qui è più difficile riconoscere la linea di fondo della strategia, in quanto l’ideale democratico è stato ormai mitizzato dogmaticamente; il popolo è stato illuso di essere “l’unico depositario del potere” secondo le sue “libere” convinzioni. Ma basta riflettere invece in realtà, sul potere enorme che hanno oggi, in maniera sempre più crescente gli attori della propaganda, (i cosiddetti ”opinion makers”, cioè letteralmente “fabbricanti di opinioni”) per suggerire, diffondere, ribadire e confermare le opinioni del popolo, distratto oltretutto, con l’antica, ma sempre valida strategia del “panem et circenses”, dai pur gravi problemi che l’affliggono.
Oggi i mass-media hanno incapsulato i nostri più profondi convincimenti, i nostri più reconditi pensieri.
Il mito della libertà, della democrazia, dell’indipendenza, si conferma soltanto come un mito, ma l’illusione democratica resta tenacemente incastrata nelle nostre menti offuscate da un diluvio monocorde di informazioni suggestionanti.
Infatti la tanto strombazzata libertà di stampa resta limitata ed in pratica annullata dalla difficoltà di procurarsi i capitali per sopperire ai carichi finanziari necessari per la realizzazione e per la diffusione. Centuplicatamene poi la stampa che conta, e non solo la stampa, ma ancora peggio le radio, le televisioni cosiddette “libere”, il cinema, l’editoria, hanno bisogno di consistenti impegni finanziari geometricamente proporzionali all’importanza del mezzo di suggestione ideologica.
E qui sta il nocciolo della truffa: attraverso un’oculata e attenta inondazione di sovvenzioni occulte si è padroni della stampa e del resto dei mass-media più importanti, la minuta informazione si può lasciare alla libera iniziativa individuale, tanto quel che importa è fabbricare l’opinione di una maggioranza. E non sarebbe importante neanche arrivare a catturare le coscienze della maggioranza del popolo, è sufficiente arrivare a plagiare la maggioranza dei votanti!
Passando alle cifre: in quei paesi, come la stessa America, dove vota poco più del 50 per cento del popolo, basta arrivare a convincerne un 26 per cento per ottenere una maggioranza che autorizzi anche i più criminosi disegni di chi abbia avuto la possibilità finanziaria di asservire mass-media e partiti.
Questo sporco gioco finanziario a maggior ragione ha efficacia nel sostenere qualche partito politico, dove è evidente per chi voglia rifletterci, l’enormità crescente delle spese per necessità organizzative, di propaganda e quant’altro. E’ pur vero che ci sono stati leaders che hanno usufruito di finanziamenti per svolgere un loro disegno politico indipendente, ma la necessità di ottenere e conservare un sostegno finanziario finisce per ridurli al vassallaggio.
Ciò premesso, vogliamo esaminare i retroscena delle vicende che più ci toccano da vicino.
La particolare guerra civile che dilaniò l’Itala fu voluta fortemente dagli angloamericani che la finanziarono largamente e senza rimetterci una lira, anzi guadagnandoci sopra al cambio, e addebitandone gli importi alle finanze già esauste del regno del Sud.
Dunque gli “Alleati” assoldarono mercenari disposti ad assassinare quei compatrioti che, essendo fascisti, non erano disponibili ad accettare il vassallaggio agli americani. Le sanguinose tragedie della guerra civile ebbero anche l’effetto - producente ancora per gli americani - di dilaniare il contesto nazionale italiano, annientandone praticamente la potenzialità di indipendenza e contribuendo ad incrinare ulteriormente il lacerato contesto unitario europeo.
In breve anche quegli illusi partigiani che credevano di impegnarsi nelle lotte fratricide più criminali per ottenere il trionfo del comunismo, finirono invece ciecamente per favorire il trionfo del supercapitalismo internazionale di Wall Street.
Ed il vassallaggio assassino continuò e fu farisaicamente tollerato anche dopo la fine della guerra; e furono tollerate ed avallate le cosiddette corti di assise straordinarie (le minuscole sono d’obbligo). Si otteneva così la selezione e poi l’eliminazione cruenta dei fascisti più convinti ed ideologizzati. Ancora conformemente gli americani non hanno opposta alcuna remora nel consegnare ai partigiani, o alle CAS che li richiedevano, quei prigionieri di guerra che erano reclusi nei loro campi di concentramento. Si otteneva così il doppio effetto di far trucidare i più irriducibili oppositori al capitalismo e di rinfocolare il desiderio di vendetta dei fascisti verso quelli che apparivano idiotamente i responsabili della Mattanza. Ma si generarono inoltre nella massa non impegnata sentimenti di orrore, di repulsione e sbigottimento che hanno contribuito a scavare un solco profondo tra italiani.
Anche questo fece gioco per l’America occupante e padrona. Divide et impera.
Tuttavia, paradossalmente, gli oppositori al regime di occupazione nel Sud invaso, fascisti clandestini, non venivano sottoposti a trattamenti altrettanto feroci, nonostante le pene di morte esplicitamente minacciate dai bandi dell’AMGOT (Allied Military Governement of Occupied Territory).
Può sembrare strano, ma i Tribunali Militari Territoriali di Guerra del regno del Sud, strettamente monitorati dal regime di occupazione, in tutti i numerosi processi di cui ebbero ad occuparsi, furono costretti a sconfinare nell’assurdo giuridico pur di evitare le pene di morte previste dal Codice Militare di Guerra per i numerosi fascisti appartenenti a bande armate.
Gli stessi agenti del CIC, il controspionaggio americano, si occuparono spesso di relegare in campo di concentramento per la durata della guerra quei fascisti che potevano costituire una preda per tante corti di giustizia italiane, sottraendoli così al loro zelo antifascista. Esempio paradigmatico è il trattamento riservato a una ventina di fascisti clandestini del Gruppo “Onore” di Roma, inviati in campo di concentramento, suscitando le ire di qualche zelantissimo funzionario di polizia in foia di promozione, di cui sono state rintracciate le testimonianze nell’Archivio Centrale dello Stato. Un altro esempio sensazionale è la vicenda della leggendaria principessa Maria Pignatelli, che, inviata nel tempo in vari campi di concentramento, non fu mai sottoposta a processo.
La spiegazione di tanti paradossi sta nel voler preservare elementi sicuramente anticomunisti, che avevano dato prova di coraggio, forza d’animo e spiccato senso dell’onore e quindi fedeltà alla parola data. E pertanto, tra tanti tiepidi anticomunisti badogliani, ambigui e poco affidabili, gli unici a poter dare una seria garanzia di impegno anticomunista, erano proprio quei fascisti.
Analogamente gli americani dell’OSS si comportarono con gli appartenenti alla Decima, ritenuti giustamente anticomunisti, e in molti casi a torto anche scarsamente ideologizzati in senso fascista.
Quando, nell’immediato dopoguerra, polizia e magistratura neo-democratiche cominciarono ad arrestare un po’ dappertutto i reduci della X Mas che erano tornati alle loro case, il ten. MOVM Luigi Ferraro andò a protestare al Comando Alleato a Venezia, che inviò immediatamente dispacci urgenti a tutte le polizie per effetto dei quali tutti gli arrestati furono prontamente rilasciati. Tutti, tranne il guardiamarina, agente speciale Gino Kalby, rimasto in carcere per la pervicace e puntigliosa opposizione dell’inesorabile maggiore dei carabinieri reali, del C.S. di Napoli, Oreste Pecorella. Atto sovrumano di caparbia testardaggine poliziesca, perfino in contrasto con i suoi diretti padroni dell’OSS!(3)
L’astiosa eccezione, un dettaglio che conferma la regola, vale a dimostrare, ove ce ne fosse bisogno, che gli americani, se avessero voluto, avrebbero potuto salvare tantissime vittime dalla ferocia antifascista. Specialmente dalla ferocia di tanti, come Scalfaro, che avendo operato al servizio della RSI, desideravano allinearsi zelantemente alla moda spietata della nuova opportunità.
A morte! A morte!
Facendo un salto di sessant’anni, la cronaca attuale ci dà conferme chiarissime dei postulati suesposti e sostenuti.
Quando vennero a mancare i finanziamenti dall’Urss, abbiamo potuto assistere al pellegrinaggio di un D’Alema a Wall Street. Avrebbe potuto essere un semplice viaggio da turista, non c’è che dire, nulla autorizza il lettore a drizzare le antenne; c’è di fatto però che si allinearono alla politica americana.oltre Tony Blair laburista d’assalto, anche la smaniosa sinistra europea e l’inclita sinistra italiana.
Ed inconsapevoli soldati inglesi e italiani andarono a morire d’uranio impoverito per Bush.
Più tardi spudoratamente, ma forse sbaglio, un altro leader fece un analogo viaggio di piacere a Wall Street; è stato un errore parlare di sdoganamento, si trattava di un semplice, meritato viaggio di svago, di diporto, di sollazzo se volete, di evasione dopo tanto faticare a tenere unito un partito, che peraltro aveva cominciato a prendere l’aire diportista e vacanziero già a Fiuggi. E senza dubbio fu un viaggio di piacere pure quello in Israele, anche se per uno sfizio “esotico” il leader si fece fotografare con la Chippa.
Fatto sta che il partito adesso non soffre più delle periodiche crisi finanziarie di tanti anni fa. E se proprio capita che qualche crisi locale pur si manifesta, si tratta soltanto di crisi di oppositori, in quanto i cordoni della borsa li tiene ben stretti il leader: sono il suo scettro di comando.
E se pure si dovesse manifestare un dissenso in una qualche fastosa e solenne assemblea nazionale, tutto rientrerà poi a causa della necessaria, canonica contabilizzazione e ripartizione delle spese… democraticamente.

E intanto soldati italiani sono mandati a morire in terre lontane per sostenere la politica di Bush.
E anche a costo di aggravare la crisi economica dello Stato, il popolo italiano paga le spese perché venga imposta in Iraq e poi magari anche in Iran la democrazia, farisaico strumento di egemonizzazione plutocratica.
La democrazia…un mito. Ma ora sappiamo che cos’è.


Francesco Fatica


(1) - Luigi Saverio,Fascismo, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma, 2003.

http://www.isses.it/

Video appendice a cura di SOCIALE:
http://ildocumento.it/attivismo/la-guerra-alla-democrazia-di-john-pilger.html


Questo film documentario (The war on democracy) parla del potere dell’impero e di quello del popolo. E’ stato girato in Venezuela, Bolivia, Cile, Guatemala, Nicaragua e Stati Uniti. Racconta la storia, attraverso la voce dei protagonisti che la vivono, del “giardino nel retro” dell’America, il termine spregiativo dato a tutta l’America Latina. Descrive la lotta dei popoli indigeni prima contro la Spagna, poi contro gli immigranti europei che hanno rinforzato la vecchia elite. Le riprese si sono concentrare sui barrios, dove vive il “popolo invisibile” del continente, in baracche infernali che sfidano la legge di gravità.

Racconta, soprattutto, una storia molto positiva: quella del sollevarsi dei movimenti sociali che ha portato al potere governi che promettono di ergersi contro chi controlla la ricchezza nazionale e contro il padrone imperiale. Il Venezuela ha spianato la strada, e un punto focale del film è una rara intervista faccia-a-faccia con il presidente Hugo Chavez, la cui crescente consapevolezza politica, e il cui senso della storia (e dell’umorismo) sono evidenti. Il film indaga il colpo di stato del 2002 contro Chavez e lo inserisce in un contesto contemporaneo. Descrive anche le differenza tra il Venezuela e Cuba, e il cambiamento nel potere economico e politico da quando Chavez è stato eletto per la prima volta.

John Pilger è un giornalista vincitori di numerosi premi, autore di libri e regista di documentari, che ha iniziato la sua carriera nel 1958 in Australia, la sua patria, prima di trasferirsi a Londra negli anni ’60. Ha iniziato come corrispondente estero e reporter dalla prima linea, a partire dalla guerra in Vietnam del 1967. E’ un feroce critico delle avventure estere, economiche e militari, dei governi occidentali.

“Per i giornalisti occidentali”, dice Pilger, “è troppo facile vedere l’umanità in termini della sua utilità per i ‘nostri interessi’ e per come segue le agende dei governi che decretano chi siano i tiranni buoni e quelli cattivi, le vittime degne e quelle indegne, e presentare le ‘nostre’ politiche come sempre benigne, quando di solito è vero il contrario. E’ il lavoro del giornalista, anzitutto, guardare nello specchio della propria società”.

Pilger crede anche che un giornalista dovrebbe essere custode della memoria pubblica e cita spesso Milan Kundera; “La lotta del popolo contro il potere è la lotta della memoria contro l’oblio”.

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