mercoledì 20 febbraio 2013

La politica estera della Germania nazionalsocialista alla vigilia della seconda guerra mondiale



La politica estera della Germania nazionalsocialista alla vigilia della seconda guerra mondiale

Dal ritorno della Saar alla madre patria alla rimozione del Trattato di Versailles



Joaquin Bochaca
Tratto da “The Barnes Review”, n.6 nov/dic 2012. 
Traduzione in italiano di Alfio Faro


Adolf Hitler disse con moderatezza che se il Trattato di Versailles richiedeva applicazione, questa avrebbe dovuto essere onorata da tutte le parti coinvolte, inclusi gli ex alleati. 
La Gran Bretagna considerò ragionevole il suggerimento di Hitler, specialmente il problema delle Colonie, ma la Francia rifiutò di allinearsi.
Hitler sapeva che la natura rifiuta il vuoto, e che un territorio indifeso eccita la cupidigia dei suoi vicini armati. 
Uno Stato senza difese è al sicuro solo se i suoi vicini sono anch’essi disarmati. 
Ci dispiace citare questa verità, ma siamo costretti a farlo per il generale disinteresse nel sostenere questa ovvietà.
Il plebiscito sulla Saar annunciato da Hitler ebbe luogo il 12 dicembre 1933. Con 40.601.577 voti, o il 95,2% dei votanti, la Germania si allineò dietro al capo che si era scelto democraticamente. 
Si è detto che questo risultato lo aveva ottenuto sotto coercizione. Ci rifiutiamo di credere che i cittadini tedeschi siano stati portarti al voto con la forza: l’unica coercizione possibile era morale, cioè la propaganda martellante per mezzo della stampa e della radio. Ma questo avviene ogni giorno in Paesi ufficialmente democratici, e nessuno la chiama coercizione.
Il generale De Gaulle indisse plebisciti in diverse occasioni; e nelle elezioni generali il pubblico americano e inglese è invitato a scegliere, in pratica, fra due candidati di due partiti – in breve, fra due alternative. 
Il 12 dicembre 1933, anche i tedeschi avevano la scelta: votare “Sì” o “No”.
Esattamente il 95,2% dell’elettorato – e non soltanto coloro che votarono votanti, come è stato sostenuto – votò “Sì”. 
L’ebreo antinazionalsocialista William Shirer scrisse: “Nel campo di concentramento di Dachau 2.154 dei 2.242 internati politici votarono per il governo che li aveva imprigionati”. Questi internati, secondo Shirer, erano sindacalisti, socialdemocratici e comunisti. 
Essi erano “hardcore”, cioè l’”opposizione popolare”, i cui rappresentanti socialdemocratici il 17 maggio approvarono alla unanimità il discorso di Hitler senza alcuna pressione da parte del governo. 
Questo plebiscito fu la investitura al potere di Hitler, vera, popolare e simbolica.

Nella elezione che lo portò al potere, Hitler vinse il 52% dei voti, che era già decisamente moltissimo. Questa volta aveva alle spalle la quasi unanimità del popolo tedesco. 
Nessuno può dire che impose la sua volontà ad un intero popolo con metodi terroristici; al contrario, fu spinto da un’onda di entusiasmo da un’intera Nazione che non poteva accettare di essere trattata su un piano di disuguaglianza rispetto alle altre. 
Questo fu il risultato della politica degli “alleati” contro la Germania. 
Hitler fu rafforzato al potere dalle stesse misure che volevano metterlo in difficoltà.
Si presume che il leit motiv della politica estera di Hitler era l’applicazione da parte di tutti del Trattato di Versailles e non contro la Germania, come era successo fin dal 1919. 
Il Governo tedesco ne richiedeva l’imposizione su tutti gli argomenti: disarmo progressivo, immediato, parziale, totale o altrimenti applicabile, ma sulla base della sacrosanta democratica eguaglianza per tutti. 
Cercò inoltre di applicare l’Art. 192 del Trattato, che prevedeva la revisione pacifica di certe clausole economiche e territoriali.
La sola richiesta che la Germania avanzava ai suoi vincitori si riferiva alle Colonie. 

L’Agenda 3 del programma del partito nazionalsocialista prevedeva “il possesso delle Colonie per l’alimentazione del nostro popolo e l’insediamento della nostra crescente popolazione”. Notate che la Germania non chiedeva la restituzione delle colonie sottratte al Reich dai vincitori in base al Trattato di Versailles, ma soltanto “Colonie” senza specificarle.
Più tardi, in una nota inviata dalla Wilhehlmstrasse, si propose al British Foreign Office ed al ministero degli Esteri francese, che si permettesse agli indigeni delle ex Colonie tedesche di esprimere il loro gradimento se continuare ad essere amministrati da inglesi e francesi o ritornare sotto la sovranità tedesca.
La proposta tedesca fu presentata senza convinzione, e solo dopo che Londra e Parigi risposero col silenzio alle precedenti. 
Ma ciò che fu curioso, fu che Londra a quanto pare ritenne le proposte tedesche assai ragionevoli, dal momento che, secondo la testimonianza non meno che di Lloyd George, ex Primo Ministro britannico, sarebbe scoppiata prima o poi un’altra guerra se le proposte tedesche sulle Colonie non sarebbero state soddisfatte. Tuttavia, negli influenti circoli politici britannici si sosteneva che dovesse essere la Francia a cedere le colonie – cioè Camerun e Togo. Ciò provocò un prevedibile trambusto a Parigi, e finalmente in un incontro fra Georges Bonnet e Sir John Simon si convenne di informare i tedeschi, con una nota alla Wilhelmstrasse, che i due Paesi avrebbero esaminato la cessione alla Germania di alcuni territori coloniali belgi, olandesi e portoghesi. 
Questo era un modo per dire “no”alle richieste tedesche e allo stesso tempo metteva questi due Paesi in un’orbita antitedesca. 
In vista dello scarso successo – o insuccesso – della petizione, a Berlino si lasciò cadere la cosa.
L’Autore crede che Hitler abbia avanzato la proposta sulle Colonie contando sulla risposta negativa, il che lo avrebbe posto in una posizione migliore sulle ulteriori discussioni con le democrazie occidentali. 
Hitler, è vero, chiedeva “spazio vitale” (Lebensraum) per il suo popolo, ma non era entusiasta sulle Colonie, per lo meno nella forma in cui le strutture interne ed il funzionamento delle medesime erano concepite in quella epoca. Il colonialismo, come lo stesso riteneva in Mein Kampf, rende impossibile l’unione fra sangue e suolo – base della politica razziale del Terzo Reich. “Le Colonie servono soltanto per succhiare il sangue migliore della nazione”, diceva.

Se niente è chiaro nella politica internazionale degli anni 1930-1940, lo è invece il desiderio di Hitler di far crescere la Germania territorialmente a spese della Unione sovietica. La prorompente natalità della Germania doveva avere uno sfogo nei territori del Baltico e nella Russia occidentale, una volta che fossero ripuliti dai sovietici, che sarebbe sarebbero scomparsi come minaccia potenziale alla Germania in particolare e l’Occidente in generale.
Al fine di raggiungere questo scopo, aveva bisogno dell’amicizia – se possibile – o della benevolente neutralità d Inghilterra e Francia. 
Questi fattori spiegano la mancanza di insistenza della Wilelmstrasse sull’argomento delle Colonie. Ma questa si spiega anche col trattato navale anglo-tadesco concluso il 18 giugno 1935, col quale il Terzo Reich prometteva che il tonnellaggio della Marina militare tedesca non avrebbe ecceduto il 35%/ della flotta britannica. Era un accordo a senso unico. L’Inghilterra non promise o si obbligò in alcun modo. Semplicemente, la Germania impose a sé stessa l’obbligo, solennemente promettendo con un Trattato internazionale che la sua
Marina sarebbe stata, al massimo, circa un terzo di quella britannica. 
Questo accordo era una assicurazione offerta, libera da contropartite, agli inglesi, in modo che essi non si sentissero minacciati.
L’insularità britannica, protetta dalla Home Fleet, che al quel tempo era la massima potenza navale del mondo, era una garanzia contro qualsiasi invasione. Senza una superiorità navale, o almeno uguale a quella britannica, tale invasione era impossibile. Hitler, in numerosi discorsi, disse che non chiedeva niente alle democrazie occidentali. Ed ora rafforzava le sue dichiarazioni con un’azione altamente significativa. 
Il Patto navale dimostra che non aveva intenzioni aggressive contro l’Inghilterra.
Inoltre, andò perfino più avanti nelle concessioni. La sua Kriegsmarine rappresentava, infatti, non il 35% del tonnellaggio della Home Fleet, ma solo il 10% .
I servizi di intelligenza, sempre bene informati, non potevano ignorare il fatto che, a parte la “Bismarck”, la Germania si limitava a costruire quattro navi da battaglia leggere, chiamate “corazzate tascabili”.
Quando scoppiò la guerra nel 1939, la flotta francese era quasi cinque volte più numerosa in tonnellaggio di quella tedesca.
Hitler, inoltre, affermò sempre che l’Impero britannico era un baluardo contro il caos mondiale e che gli interessi dell’Inghilterra e della Germania non erano in contrasto reciproco, ma complementari. 
Per quanto riguardava la Francia, con la definitiva rinuncia all’Alsazia e alla Lorena ogni motivo di frizione fra le due nazioni era scomparso. 
Tutto ciò che restava era la Saar. In base ai termini delle clausole del Trattato di Versailles, si sarebbe dovuto tenere nel 1935 nella Saar un referendum per stabilire se la popolazione di quella regione desiderava diventare un dipartimento della Francia o preferiva ritornare sotto la sovranità del Reich. 
Si offriva inoltre la possibilità di ritenere lo status quo, cioè una posizione e intermedia, rimanendo uno stato indipendente, oppure dipendere contemporaneamente da Germania e Francia. 
Tuttavia, due mesi prima dell’annunciato referendum, la Francia dispiegò quattro divisioni di fanteria lungo il confine, con il pretesto di possibili disordini. 
Il Governo tedesco protestò vivacemente contro la prova di forza, che rappresentava certamente una costrizione per i votanti. Dopo uno scambio di note di protesta fra la Wilhelmstrasse ed il Quai d’Orsay, la Lega delle Nazioni inviò una forza di polizia internazionale per permettere ed assicurare lo svolgimento normale del Plebiscito. Questo ebbe luogo sotto supervisione internazionale il 13 gennaio 1935. Agli abitanti della Saar si chiese, dopo 15 anni di esperienza sotto la Francia, se volessero liberamente farne parte. Essi avevano inoltre l’opzione di riunirsi con il Reich, continuare con lo status quo od essere indipendenti. Nonostante 15 anni di propaganda francofila e l’offerta ai saarlandesi di un certo numero di vantaggi, tasse e dogane se avessero scelto di diventare francesi, solo lo 0,4% votarono in questo senso: l’8,85% scelsero l’indipendenza della Saarland ed il 90,75% l’unione con il Reich. Quindici anni di propaganda germanofobica e francofila, quindici anni di promesse ai saarlandesi che sarebbero diventati “cittadini francesi di prima classe speciale”, due anni di propaganda antihitleriana, rafforzati dalla presenza di militari e polizia, ottennero lo 0,4% dei voti. Disastroso fallimento della politica francese.
Il problema si sarebbe potuto risolvere meno favorevolmente per la Germania, peraltro più a favore della la generale comprensione fra i popoli d’Europa.

Nel novembre 1934, due mesi prima del plebiscito, Hitler aveva spedito una nota diplomatica all’ambasciatore francese degli Esteri, Francois Poncet (nella foto con Adolf Hitler), proponendo di risolvere il conflitto in modo amichevole e senza ricorrere alle elezioni. 
La Saar sarebbe ritornata nel seno della Germania, ma un trattato economico avrebbe consentito all’industria francese di continuare a beneficiare delle sue risorse come aveva fatto dal 1919 al 1934. Ma il governo francese declinò l’offerta, considerandola piuttosto una confessione di impotenza da parte di Hitler, che l’aveva avanzata perché sapeva dell’ostilità della gente della Saar verso la Germania ed il regime nazionalsocialista. Il plebiscito della Saar, che fu votato sotto la supervisione della Società della Nazioni, e quindi senza che la Germania potesse intervenire sia nelle votazioni, sia nell’annuncio dei risultati (e senza che a questa fosse consentito di fare propaganda in favore delle sue tesi fino agli ultimi due mesi, mentre i francesi avevano avuto quindici anni per farlo), ebbe il risultato del voto favorevole a Hitler nella stessa percentuale ottenuta in Germania sotto il suo controllo. Ora era più difficile sostenere che le elezioni ed il referendum che avevano condotto Hitler al potere erano state truccate.
Solo pochi mesi prima, l’88,9% degli elettori (cioè il 96% dei votanti) avevano approvato il decreto in forza del quale, alla morte di Hindeburg, le funzioni di Presidente de Reich si sarebbero fuse con quelle di Cancelliere, e pertanto “tutti i poteri e le prerogative del Presidente sarebbero state trasferite al Cancelliere, Hitler”.
Il plebiscito della Saar indicava chiaramente che se le democrazie occidentali, Inghilterra, Francia e gli Stati Uniti di Roosevelt avessero voluto evitare che altre minoranze tedesche, sarebbero state probabilmente dello stesso parere della Saar richiedendo l’annessione al Reich – come stava succedendo nei Sudeti, a Posen, nell’Alta Slesia, a Danzica, a Memel e nella stessa Austria – non avevano altri mezzi che la guerra. 
Il 1° gennaio 1935 le forze di Polizia della S.d.N. consegnarono ufficialmente l’amministrazione della Saar alla Germania e Hitler dichiarò di fronte al Reichstag “La Germania solennemente rinuncia alle richieste su Alsazia-Lorena; in seguito al ritorno della Saar, la frontiera franco-tedesca può considerarsi definitivamente stabilita”. Ma nello stesso giorno il Maresciallo Pétain (foto) pubblicò un articolo su un prestigioso giornale molto influente nei circoli militari francesi (“Encyclopedia Britannica”, vol. XIII, n.6, nov/dic 2012) ponendo l’accento sulla necessità di reintrodurre il servizio militare obbligatorio per un periodo di due anni. Cinque giorni più tardi Pierre Etienne Flandin, ministro per gli affari esteri presentò un disegno di legge a questo fine alla Camera dei Deputati francese, che fu approvato, dopo un acceso dibattito, il 16 marzo. Solo dopo quattro ore il Fuehrer presentò al suo gabinetto un decreto che reintroduceva il servizio militare obbligatorio in Germania, specificando che la Reichswehr aveva un organico, in tempo di pace, di 12 Corpi d’Armata e 36 divisioni. 
Con quest’ordine esecutivo, Hitler distrusse ciò che restava del Trattato di Versaglia (clausole militari, navali ed aeronautiche), riconquistando alla Germania la sua libertà d’azione. 
Si è ipotizzato, a posteriori, che se la Francia non avesse reintrodotto il servizio militare obbligatorio, Hitler lo avrebbe fatto comunque, prima o poi.
Questo è impossibile da provare. Nessuno sa che cosa Hitler avrebbe fatto se la Francia non avesse reintrodotto gli obblighi militari. Nessuno sa niente, tutto è speculazione. Quello che sappiamo con sicurezza, è che cronologicamente la Francia fu la prima dei Paesi europei a riesumare il servizio militare, a parte, naturalmente, l’unione Sovietica.
A questo punto desideriamo fare una precisazione estremamente importante.
Abbiamo detto che la Francia reimpostò il servizio militare obbligatorio, dopo l’Unione Sovietica. Tuttavia, se altri stati europei e non europei non lo fecero, fu perché non avevano mai cessato di mantenere le forze armate o in piena forza. 
La decisione di Hitler di reintrodurlo ebbe luogo quando tale politica era già in vigore negli Stati Uniti, Italia, Polonia, Inghilterra e le loro colonie e Dominions e – con un anticipo di quattro ore - della Francia.
Hitler, semplicemente osservando i fatti com’erano, ed in vista del fatto che gli altri stati non facevano nulla per disarmare e che la Francia aveva reintrodotto il servizio militare obbligatorio, fece lo stesso in Germania.
Incidenti precedenti come l’invasione della Ruhr da parte della Francia nel 1923 con una parziale occupazione che durò sette anni, o l’annessione dell’Alta Slesia da parte dell’incontrollabile Wojciech Korfanty a favore della Polonia, non potevano quindi restare impuniti..
 
Joaquin Bochaca
 
Joachin Bochaca è certamente il maggior storico revisionista di lingua spagnola. Brillante avvocato dalla prosa tagliente, è inoltre teorico letterario e traduttore di Ezra Pound e di Hermann Hesse.
Parla e scrive in francese. Margaret Huffstickler, traduttrice del testo in inglese, è una stimata linguista ed apprezzata cantante.

http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=19152

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