martedì 16 ottobre 2012

Siria baluardo di libertà - Uno sguardo globale


"La Siria di Bashar al-Assad, la Siria del popolo siriano, è un esempio unico di fierezza e dignità, un rimprovero perenne per i popoli vili, un baluardo di libertà."

INTERVENTO DI GIANANTONIO VALLI 
ALLA CONFERENZA DEL 14 OTTOBRE 2012
TENUTASI A GRANTOLA

Buongiorno a tutti. Come a Milano il 14 luglio, esprimerò pensieri lontani da quel misto di menzogne e banalità che ingannano la gran parte degli italiani. La conferenza sulla tragedia siriana si svilupperà in quattro tempi:
1. la mia relazione,
2. l'intervento del dottor Ramadan con testimonianze di prima mano,
3. la proiezione di filmati, in massima parte crudi per le atrocità presentate, per cui invito sin da ora le persone particolarmente emotive ad astenersi dalla visione,
4. la risposta alle vostre domande.

Come potete intuire dal termine «globale» del titolo, l'esposizione verterà su problematiche più ampie del solo problema Siria. Precisamente, la Siria di oggi è, ancor più della Libia dello scorso anno, la cartina di tornasole che ci istruisce sulla dinamica degli eventi dell'ultimo trentennio. Eventi apparentemente slegati, in realtà connessi da un'unica strategia di dominio.

 Ringrazio il sindaco di Grantola per la disponibilità, e direi pure il coraggio, che mi ha permesso di levare anche oggi la voce in difesa della verità e della giustizia. Due grandi parole, due parole che non esito a usare e delle quali fa strame la gran parte dei politici e dei giornalisti.

 Ringrazio le forze dell'ordine per la protezione data alla nostra conferenza. Perché, non stupitevi, un pugno fiancheggiatori dei terroristi si era proposto di disturbare la mia esposizione. Giudicate voi se italiani come me e come voi debbano sentirsi zittire, in casa nostra, da bande di violenti che hanno invaso il nostro paese. Giudicate se la Democrazia possa tollerare che venga messa a tacere da balordi stranieri una persona che vuole offrire al pubblico una documentazione alternativa alla disinformazione. Una disinformazione che occupa il 99, 9 % dei mezzi di comunicazione.

 Ringrazio, in assenza, il direttore del quotidiano Rinascita, esemplare per correttezza professionale, che ha propiziato il mio viaggio in Siria nel maggio scorso. E ancora, ringrazio il direttore della rivista l'Uomo libero, sulla quale è uscito il resoconto di quella esperienza.

 Ringrazio voi per l'anticonformismo, o perlomeno per la curiosità, che vi ha portati a sentire una voce fuori dal coro. Vi ringrazio e chiedo scusa fin d'ora per il linguaggio che userò, obiettivo certamente, ma per nulla asettico. Per nulla, come si dice, «sopra le parti». Anche perché essere «sopra le parti» vuol dire oggi, con le atrocità che stanno devastando la Siria, scegliere una parte precisa. La parte degli aggressori, degli assassini.

 Ringrazio infine il destino che mi ha concesso di vivere quest'ultimo, atroce ventennio di menzogne. Perché solo così ho potuto fare esperienza diretta, vedere coi miei occhi, toccare con le mie mani, come sia possibile manipolare le coscienze. Quella in atto è in primo luogo una guerra mediatica. Prima che sul campo, la guerra oggi si vince invadendo la mente degli individui.

 Sono quindi lieto – tristemente lieto – per avere assistito di persona alla creazione di realtà fittizie con immagini manipolate e le menzogne più sordide. In particolare, mi riferisco ai massacri compiuti da Stati Uniti, Inghilterra, Francia e Israele col massimo di buona coscienza e avallati dalla complicità del Libero Occidente. Prima dell'aggressione alla Siria, ricordo in breve sette altri casi.

 1. Per l'Iraq di Saddam Hussein ricordo la farsa delle culle svuotate negli ospedali del Quwait, coi neonati scagliati a terra. Ricordo la bufala delle «bombe intelligenti» e delle «fiale di antrace» – rammentate Powell, il Segretario di Stato, sventolante la mitica provetta di liquido giallo? Ricordo le fantomatiche «armi di distruzione di massa», pretesto per un nuovo massacro dopo il decennale stillicidio di bombe clintoniano. Prova generale per i massacri in Afghanistan, Libia e Siria.

 2. Svaniti da ogni memoria sono i 200.000 – sottolineo, duecentomila – morti del golpe algerino compiuto nel 1992 dai militari dopo la vittoria elettorale del Fronte Islamico di Salvezza. 200.000 persone, per la quasi totalità stragizzate in un decennio. Vittime non solo i protestatari cui sarebbe andata la legittima vittoria, ma anche migliaia di semplici cittadini tacciati di connivenza.

 3. E il massacro del popolo serbo operato dalla NATO seminando il paese di uranio. Uranio per il quale sono morti e muoiono tuttora di cancro centinaia di nostri soldati inviati in missione «di pace». Massacri compiuti non solo dai delinquenti albanesi addestrati, armati e guidati dagli americani, ma anche dai bombardieri partiti dall'Italia. Dalle basi concesse al Grande Fratello Capitalista dal comunista Massimo D'Alema, fatto capo del governo alla bisogna. E quindi scaricato.

 E qui apro una parentesi, e non parlo dei famigerati «danni collaterali», espressione entrata nell'immaginario collettivo. «Collaterali», anche se furono scientemente voluti per logorare e demoralizzare i serbi. Obiettivo primario degli Occidentali fu, allora come oggi, silenziare i mezzi di comunicazione non conformi. E tanto più quelli nemici, in particolare le televisioni. Allora quella serba, bombardata con qualche «distrazione» a monito contro la Cina. Nell'attacco, ricorderete, morirono, istruttivamente, cittadini cinesi. E l'anno scorso la televisione libica, colpita perché, dissero, «era di parte» e «mentiva». E oggi la televisione siriana per mano di ben istruiti terroristi, con l'uccisione di decine di giornalisti. E tutto senza alcuna protesta dei loro «colleghi» occidentali.

 Ultima prova dell'idea occidentale di libertà di informazione: un mese fa, all'inizio di settembre sono stati oscurati i canali televisivi al-Ikhbariya e al-Dunya. Dopo il successo di Damasco nell’affrontare il feroce attacco occidentale, armato e mediatico, i ministri arabi hanno concordato con gli amministratori del satellite NileSat di chiudere i canali siriani. In contrasto coi termini del contratto, tale sospensione ha brutalmente violato le regole deontologiche dell'informazione.

 4. Ricordo due eventi gemelli: la cacciata dei giornalisti da Falluja in Iraq nell'aprile 2004, per settimane stragizzata all'uranio e al fosforo bianco dagli USA, e da Gaza nel dicembre 2008, stragizzata all'uranio e al fosforo bianco da Tel Aviv con l'Operazione Piombo Fuso. Da quell'Israele, che avrebbe aggredito l'Iran già nel 2006 se non fosse stato fermato sui confini dagli Hizbollah. Schiumando rabbia, Israele distrusse dall'aria, strategia dei vigliacchi, le infrastrutture civili. Ponti, strade, scuole, ospedali, abitazioni, acquedotti, elettrodotti, e quant'altro. Tutto distrutto, contro ogni diritto bellico. Nessuna reazione dall'ONU, silenzio dal Tribunale dell'Aja, guaiti dal Vaticano.

 Al contrario, le falsità create da al-Jazeera e da al-Arabiyya – le reti qatariota e saudita messe in piedi dagli americani – come pure i filmati girati dai terroristi, vengono ripresi da ogni televisione e giornalone occidentale. E riproposti a distanza, anche se da tempo smascherati come falsi.

 5. Solleticando il buon cuore dei sudditi, dei minimalisti di buona famiglia, di quelli che vedono l'albero e non si accorgono che fa parte di una foresta, l'Afghanistan è stato devastato all'insegna di «liberare le donne dal burqa». Che, infatti, è rimasto lì come prima. In compenso, oltre ad avere impiantato enormi basi militari, fatto affari con la ricostruzione di quanto avevano distrutto e portato alle stelle la produzione di oppio, gli americani continuano a seminare stragi. In particolare, colpendo qualunque assembramento «sospetto», come quelli durante le feste di nozze.

 6. Quanto alla cosiddetta «primavera araba», spacciata per moti di libertà, ci si accorge solo ora che il vero obiettivo della messa in scena era propiziare un «inverno libico». Aggredita a occidente a partire da una Tunisia destabilizzata, ad oriente da un Egitto destabilizzato, bombardata dal mare e dall'aria sempre contro ogni norma di diritto bellico, la Libia ha finora visto il massacro di 120.000 suoi cittadini. Con bombe a sottrazione di ossigeno. Bruciato da ogni bomba su un'area di ventimila metri quadri, come tre campi di calcio. Con bombe a frammentazione. Con una pioggia di fosforo, proiettili all'uranio, missili a gas nervini. Con crani esplosi a colpi di mitra e persone sgozzate.

Massacro operato dai tagliagole armati dall'Occidente come dai bombardieri «umanitari» franco-anglo-americani. Ai quali si è accodato lo sciacallo italiano. Ma dov'erano quelli che nel 2003 appendevano gli stracci arcobaleno contro Bush? E così la Libia è stata riportata all'ovile occidentale dopo quarant'anni di indipendenza e un'eroica resistenza di sette mesi, fino all'assassinio del colonnello Gheddafi. Una resistenza tuttora in atto, nel silenzio della Disinformazione Corretta.

 E questo, aggiungo, senza contare la popolazione angariata e le decine di migliaia di lealisti tuttora incarcerati, torturati e massacrati per essere rimasti fedeli al loro legittimo governo.

 Chi semina vento raccoglie tempesta.
L'11 settembre – un altro 11 settembre – sono stati linciati tre marines e l'ambasciatore americano a Bengasi ad opera della furia fondamentalista. La causa: una «imperdonabile» offesa inferta al buon Maometto dal cinema hollywoodiano. Con tutta evidenza, contro gli Apprendisti Stregoni del «laico» Occidente si sta rivoltando il mostro islamico da loro scatenato contro il colonnello Gheddafi. Nessuna pietà, permettete, provo per l'ambasciatore, uno degli organizzatori dei massacri di Libia. Ne potrei provare un pizzico, solo un pizzico, se Obama si cospargesse di cenere per la morte inferta «per sbaglio» all'ultimo cammelliere dell'ultima oasi libica. O all'ultimo spazzino massacrato perché pubblico dipendente lealista.


 7. Nessuno ha poi parlato, se non per un giorno, del Bahrein, ove la repressione dei moti di libertà, quelli sì veri, ha visto il mitragliamento da parte degli elicotteri americani e l'invasione delle truppe saudite, chiamate dall'emiro. Inoltre, la polizia ha imprigionato e torturato una ventina – sottolineo, una ventina, il che rende l''ampiezza della repressione – di medici, accusandoli di complicità coi dimostranti per avere curato i feriti. All'inizio di questo settembre, dopo un anno e mezzo, decine di manifestanti – ovviamente, i sopravvissuti – sono stati condannati a pene che giungono all'ergastolo. E questo, nel più completo silenzio della stampa e di ogni organizzazione umanitaria.

Per la Siria, l'accento è stato posto all'inizio – prima che sulle «stragi» addebitate ad esercito e polizia – sulle cosiddette «violenze» degli shabiha, i cosiddetti «sgherri» del presidente Bashar al-Assad... in realtà, ammessane l'esistenza, disperati gruppi di autodifesa contro i tagliagole. Tutto senza documentazione. Mai visto uno. Parole. Vuote parole. In verità, come documentare gli shabiha, traduzione: i «fantasmi»? Se sono fantasmi, come fotografarli, certificarne la presenza? Si può solo parlarne. E sì che i cosiddetti «ribelli» sono stati ampiamente dotati di videocamere e foto-telefonini.

 Altro che società dell'informazione! Ricorderete la favola, su internet, della lesbica siriana perseguitata dal «regime», poi rivelatasi un fantasioso travestito irlandese. O la più recente diffamazione del presidente Bashar, indicato come «il vero» assassino di Gheddafi, del cui telefonino avrebbe segnalato il numero ai francesi in cambio di un ammorbidimento dell'aggressione.

 Altro che la guerra in diretta, come ci hanno fatto credere vent'anni fa con le scie verdi della contraerea irachena! Altro che la verità di chi spaccia su internet filmati girati su regia occidentale! Vedi i 40 bambini di Houla, il 25 maggio. Cadaveri veri, bambini e familiari colpiti da breve distanza o con le gole tagliate, fatti passare per vittime dell'esercito, quando tutti erano di famiglie filogovernative. Verità ammessa tre mesi dopo dalla Frankfurter Allgemeine, ma ignorata da ogni altro giornalone. Cento innocenti massacrati, foto truccate, immagini scattate anni prima in Iraq e a Gaza. Di bambini vittime del fuoco americano e israeliano. Egualmente massacrati dai terroristi nelle case e per le strade sono stati, il 25 agosto, i 245 civili di Daraya presso Damasco. E sempre la strage è stata attribuita, prima di svanire d'un botto dai giornali, all'esercito. Ne vedrete i filmati.

 Schifosi pennivendoli, assetati di sangue alla Bernard-Henri Lévy, il sessantottino cosiddetto francese, convertitosi alla professione di miliardario, l'apostolo dei Diritti dell'Uomo, l'anima nera del destro Sarkozy come del sinistro Hollande. Pontificante su le Monde, ripreso in prima pagina dal Corrierone. Ne ricordiamo la sete di morte vomitata già per la Libia. Ristornellando sulla «responsibility to protect, responsabilità di proteggere» da parte dell''Occidente, il 15 agosto questo delinquente mistificava le cause della tragedia siriana. Lo faceva vomitando contro – cito tra virgolette – «la demenza senza scampo che si è impossessata di Bashar al-Assad», di un «Assad [...] folle come Gheddafi», nonché «carnefice del proprio popolo». Lo faceva aizzando la NATO a riviolare le norme che reggono l'ONU, aggirando il veto di Russia e Cina con provocazioni «umanitarie» che porterebbero ad un'aperta aggressione. Accozzaglia di sapienti sofismi, travestiti da «esigenze» etiche.

 Il 3 agosto il giornalista Lorenzo Cremonesi, sempre sul Corriere della Sera, minimizza i «combattenti stranieri tra le fila della rivolta» in «tra mille e duemila». «Volontari» arrivati da Libia, Arabia e magari, ma forse no, da Pakistan ed Egitto. In realtà, cinque giorni dopo il Nostro ammette non solo pachistani ed egiziani, ma anche ceceni e algerini. «Eroi» che si batterebbero «in nome dell'Islam e della guerra santa». Personaggi che, ci commuove, pagherebbero di tasca propria le armi. Cito tra virgolette uno di loro: «Ogni proiettile di kalashnikov ci costa due dollari. Quello di un RPG anti-tank oltre 1000. Per noi sono troppo cari. Dobbiamo risparmiare a costo di perdere uomini». Implicito è il suggerimento: contribuite, cari lettori, con qualche euro, magari mediante sms.

 E il 5 agosto, riferendo dell'assassinio del presentatore televisivo Mohammed al-Saeed, rapito dai terroristi quindici giorni prima, il pio Cremonesi lo dice «giustiziato». Suggerendo che, magari... sotto sotto, si fosse macchiato di chissà quali colpe da meritare la morte. Insinuando poi, al contrario, che – pur essendo «uno sgherro del regime» – «siano stati sicari prezzolati dalla dittatura a ucciderlo al fine di rilanciare la logica del terrorismo per criminalizzare l'intero movimento rivoluzionario».



Sei giorni dopo, in un altro attacco, un gruppo terrorista massacra, nella sua casa di Jdaidet Artouz presso Damasco, il giornalista Ali Abbas, capo della sezione Notizie Interne della SANA, la Agenzia Siriana Araba di Notizie. Il giorno dopo vengono rapiti quattro giornalisti e assassinato Hatem Abu Yehya, cameraman della televisione al-Ikhbariya. Per mano di un cecchino, il 26 settembre cade a Damasco Nasser Maya, corrispondente dell'iraniana Press TV. Ovviamente, su queste «morti inutili», nessuna mobilitazione, nessuna protesta dalla Grande Disinformazione.

 Ogni aggressore della Siria ha i propri obiettivi. In prima fila – per quanto silenzioso, dato che per lui parla ed agisce l'intero Occidente – resta sempre Israele, per il quale Damasco è non solo il nemico tradizionale, ma l'ultimo ostacolo per l'aggressione all'Iran, pianificata da anni.

 A ruota segue il grande satellite di oltreoceano. La distruzione di un altro anello dell'Asse del Male risale non ai repubblicani Bush padre né a Reagan, ma al democratico Carter. Al Nobel per la pace che trentatré anni fa, avviò la destabilizzazione della Siria, tre anni prima che Hafez al-Assad, il padre dell'attuale presidente, reprimesse il terrorismo dei Fratelli Musulmani, mobilitati fin dal 1971 contro il «testo ateo» della Costituzione. Sulla stessa linea si metterà, con più concreti ordini, nel marzo 2005, Bush figlio. La scoperta, in questi ultimi anni, di enormi depositi di gas e petrolio al largo delle coste siriane è un'altra motivazione per l'intervento dei predatori occidentali.

 Quanto a Londra e Parigi, i due compari ricalcano un colonialismo nato nel maggio 1916 e proseguito coi Mandati assegnati dopo la prima guerra mondiale dalla Società delle Nazioni. Cioè, da loro stessi. Violando ogni norma, Parigi non solo staccò dalla Siria il territorio libanese, da sempre provincia di Damasco, ma nel giugno 1939, per aggiudicarsi la Turchia in vista della nuova guerra mondiale, le cedette l'intera provincia di Alessandretta. Ricordo infine che le bande terroristiche del cosiddetto «Libero Esercito Siriano» sventolano oggi, senz'alcuna vergogna, la bandiera con la striscia verde e le tre stelle rosse. Quella dei servi, della Siria coloniale francese.

 Secolare è poi l'ostilità tra Istanbul e Damasco, cui si aggiunge l'odio religioso tra la Turchia sunnita e l'Iran sciita. Nonché, con più concrete motivazioni, la volontà turca di diventare il principale crocevia, e quindi controllore, energetico dal Medio Oriente e dall'Asia Centrale all'Europa.

 I regimi feudali di Arabia e Qatar, stretti agli USA fin dal febbraio 1945 da un ferreo patto in cambio della più totale acquiescenza, aggiungono ai predominanti motivi economici l'odio per il laicismo siriano che difende la convivenza delle più varie fedi ed etnie. Intrisa di wahabismo – una ideologia messianica fondata da criptoebrei come criptoebrei furono i fondatori del clan dei Saud – l'Arabia è l'unico paese al mondo a trarre il nome non da un popolo né da un credo, ma da una famiglia. Quasi che lo Stato e il popolo siano proprietà personale di qualche migliaio di principotti.

 Non esiste «il mondo arabo», e neppure «il mondo islamico», inteso come entità omogenea spinta contro l'Europa da un interesse comune o da un'ideologia unificante. Esistono solo paesi arabi, o islamici, in lotta fra loro. Divisi da concreti interessi, da rivalità geopolitiche, da settarismi religiosi. Paesi vassalli degli Stati Uniti, a partire dal Marocco fino agli Emirati Uniti.

 Sono del tutto infondate due tesi.
La prima, che vede in Siria una rivolta di popolo contro il cosiddetto «clan» alauita del presidente Bashar.
La seconda, che vede in atto una guerra civile. Per quanto esistano frange di opposizione antigovernativa più o meno radicali, non è una rivolta, non è una guerra civile, cioè un conflitto fra due componenti di una stessa società. È una feroce aggressione dall'esterno, voluta dagli Occidentali, dalle petromonarchie e dalla Turchia. I loro strumenti sono bande di fanatici religiosi, di sperimentati mercenari, di sadici criminali.

 Certa è in ogni caso l''intercambiabilità degli aggressori. Il risultato è lo stesso che ad aggredire sia un Bush, bianco massone cattivo e repubblicano, o un Obama, negro massone buono e democratico. Un tizio nobelizzato per la Pace ancor prima di avere detto bah, e per questo legittimato a fare ciò che vuole. Nonché zombizzato dall'odiosa Hillary, quella dei quintali di Viagra – qualcuno lo ricorderà – distribuiti da Gheddafi per incitare i soldati a stuprare le donne dei nemici.

 Il risultato è lo stesso vi sia il socialista Blair o il conservatore Cameron, il destrorso Sarkozy o il sinistrorso Hollande, i militari massoni di Istanbul o l'islamico Erdogan. Complici e pagatori pronta cassa, gli sceicchi delle petromonarchie. E a tirare le fila, Israele.

Ho avuto la fortuna di passare in Siria la prima settimana di maggio. Sui giornalisti che si abbeverano, stando a casa loro, alle fonti più squalificate, oltre ad avere visto con i miei occhi ho un altro vantaggio: il mio cervello non è in vendita, non lo paga nessuno. Ovviamente, una settimana non permette di conoscere la realtà di un paese nella sua complessità. Ma almeno io ci sono stato.

 Abbiamo interrogato il generale medico, cristiano figlio di contadini, direttore del maggiore ospedale di Damasco. Quotidianamente vi morivano una decina di militari, oggi molti di più. La nostra delegazione ha intervistato decine di soldati feriti e mutilati. Abbiamo intervistato il presidente del parlamento. Il ministro dell'Informazione. Il governatore di Daraa, la prima città ad essere infiltrata dai terroristi. Per il tutto, si veda il mio resoconto sul numero 73 de l'Uomo libero.

 Il patriarca greco-cattolico melchita Gregorio III ci ha parlato a nome di tutte le confessioni cristiane, sostenendo il governo. Il massimo studioso vivente dell'Islam, il dottor Mohammad Albouti, lucidissimo nella moschea degli Omayyadi, nella funzione del venerdì ci ha detto: «I cittadini siriani hanno un livello di conoscenza che impedisce loro di cadere nella trappola. È proprio questa conoscenza la nostra difesa contro questa aggressione». Dopo avere citato il proverbio «È un tuo fratello anche se non è stato generato da tua madre», si rivolge a noi: «Credo nella vostra fratellanza più che in quella dei nostri cugini arabi che falsificano la verità».
 Riporto la testimonianza di Agnès-Mariam de la Croix, suora carmelitana libanese, attiva in Siria da vent'anni, resa il 25 luglio in un convegno a Roma: «Per quanto riguarda il massacro di Homs attribuito all’Esercito governativo, ho constatato con i miei occhi un centinaio di cadaveri all’obitorio. Erano civili sgozzati dai ribelli per distruggere la vita sociale della Siria. Ho contattato e incontrato i loro familiari, che in parte conoscevo, erano cristiani e musulmani baathisti. Ho capito che il fine dei rivoltosi è la distruzione della Siria così come è stata sino ad ora. Per far ciò bisogna prima distruggere la vita sociale, ad esempio si impedisce al medico di curare gli ammalati e se non obbedisce lo si sgozza, al panettiere di sfornare il pane e così via, e poi si giunge alla distruzione della Siria. Tutto è finalizzato a far collassare la Società civile siriana. I cento morti di Homs erano cittadini che hanno osato non obbedire ai ribelli e sono stati sgozzati. Oggi la medesima tattica, impiegata ieri ad Homs, è stata perfezionata in peggio. A Damasco seimila mercenari stranieri hanno invaso la zona residenziale della capitale per seminare il terrore tra i civili; ad Aleppo dodicimila mercenari stranieri e qualche centinaio di siriani stanno seminando il panico nella "capitale economica" della Siria. Ma a Damasco i cittadini in 48 ore hanno evacuato la città ed hanno permesso all’Esercito di reprimere i rivoltosi. Questa è legittima difesa, non "crimine di guerra" come dice la stampa occidentale. Ad Aleppo non vi sono mai state dimostrazioni pacifiche o violente, come invece vi erano state a Damasco per dare l’impressione e la parvenza di una "rivoluzione spontanea primaverile" che chiedesse la libertà. Come mai adesso dodicimila miliziani, che son sbucati fuori dal nulla, marciano verso Aleppo e sono entrati nella città? Chi sono? Chi li manda? [...] Sono turchi, libici, afghani, pachistani, sudanesi, e vogliono portare solo caos e distruzione, non vogliono la libertà dei siriani come dicono i 'media'. Da Homs a Damasco si contano 13.000 cristiani uccisi dai mercenari islamisti radicali [ricordo che a tutt'oggi, tre mesi dopo, le vittime sono quasi trentamila, delle quali civili per i quattro quinti]. Cosa avverrà ad Aleppo? I vescovi siriani si sono riuniti oggi per smascherare il complotto che si cela dietro le apparenze di democrazia e libertà e fare in modo che tutti sappiano chi si nasconde dietro la rivolta, ma la stampa occidentale non vuol ascoltare».

A differenza della Libia, paese di tribù in eterna discordia tra loro – e tuttavia semplicemente eroico nella resistenza solitaria contro nemici perfidi e ultrapotenti – la Siria è un vero Stato. Uno Stato laico nel quale convivono una quindicina di confessioni religiose e una ventina di etnie. La scuola è gratuita. La sanità è anch'essa a carico dello Stato. Se il presidente è di religione musulmana-alauita, i vicepresidenti sono di confessione sunnita. E non solo, uno dei tre vicepresidenti è una donna, l'unica donna a rivestire una carica di tale importanza nel Vicino Oriente. In Arabia alle donne è persino vietato guidare la macchina. Inoltre la Siria, per quanto secondo la Costituzione il Presidente non possa essere che musulmano, è l'unico paese arabo dove l'islamismo non è religione di Stato e il credo dei cittadini non è riportato sulle carte d'identità.

 Impressionanti, a confronto del deserto stepposo della Giordania, sono i cento chilometri che separano Damasco da Daraa visti dall'aereo, verdeggianti, bonificati, irrigati dalle riforme volute da Hafez al Assad, «il padre della Siria». Un personaggio di umili origini divenuto generale d'aviazione, un modernizzatore che, appoggiato dagli intellettuali e dai tecnici del partito nazionalista e socialista Baath, «Rinascita», ha spazzato via le tracce del peggiore feudalesimo.

 Che un paese assediato usi un pugno saldo, ed ora un pugno finalmente di ferro, per mantenere la convivenza civile e fronteggiare una spietata aggressione esterna, non fa meraviglia.

 In ogni caso la Siria di Bashar al-Assad era un paese che stava vivendo una fase di dinamismo politico caratterizzato dal progetto di una nuova Costituzione – stilata da un comitato di giuristi, parlamentari e membri della società civile – e da un multipartitismo sempre più vivace.

 E, soprattutto, caratterizzato da quelle libere elezioni del 7 maggio sulle quali è subito calato il silenzio da parte dei massmedia occidentali, neppure accusando il governo di brogli. In ogni caso le democrazie occidentali, le nostre truffaldine democrazie, sono proprio le ultime a poter impartire lezioni di correttezza. Le elezioni hanno dato una netta maggioranza ai partiti governativi. Alla tornata elettorale ha partecipato il 51,26 % degli aventi diritto.

 Una cifra miracolosa, se pensiamo che in molte zone l'accesso ai seggi è stato impedito dai terroristi, che hanno anche assassinato numerosi candidati. Una tornata che ha visto 7.195 candidati, di cui 710 donne, contendersi i 250 seggi dell'Assemblea Nazionale che approverà la nuova Costituzione. Prima delle elezioni il governo era retto da una maggioranza di nove partiti, tra cui il Baath. Oltre a candidati indipendenti, hanno concorso altri nove partiti, di un'opposizione più o meno determinata. Con lo storico e amico Paolo Sensini, della genuinità della contesa elettorale sono stato testimone io stesso a Damasco.

 Contro questa splendida realtà di umana convivenza, l'Occidente ha scagliato centomila tagliagole – ne vedrete esempi nei filmati. Attualmente i terroristi autoctoni sono 60.000, pressoché tutti delinquenti comuni e latitanti condannati con pene anche fino all'ergastolo. 30.000, e in posizione trainante, sono quelli giunti dall'estero. Mercenari sperimentati in Libia, Iraq ed Afghanistan. Pazzoidi religiosi arrivati da Marocco, Algeria, Tunisia, Libano, Giordania, Yemen e Pakistan.

 Islamici intossicati da un credo religioso ottuso, esaltati contro l'«eretico» Bashar che permette a cristiani, drusi e altri non musulmani di convivere a parità di diritti con la maggioranza sunnita. Cioè, senza la minorata condizione di dhimmi. Senza essere cittadini di seconda categoria, caricati di tutti gli impedimenti che il non essere musulmano comporta in paesi musulmani.

 Bande di terroristi salafiti, wahabiti, alqaedisti messe in piedi dalla CIA. Armati, addestrati, pagati e guidati dall'Occidente. Dall'Occidente «laico e progressista». Dei più famosi, finalmente «tirati giù dalle spese», cioè inviati all'altro mondo, ricordo il libico Abo-Albaraa, alla testa di una banda di quattromila libici trasferita in Siria dagli americani, e il ceceno Rustam Gelayev, figlio di un «signore della guerra» caucasico.

 Assassini che soprattutto all'inizio, quando la mano delle autorità è stata a lungo leggera, dapprima nelle zone più periferiche, poi in quartieri delle grandi città, hanno creato repubblichette partigiane ove regnava la violenza più cruda. Dove hanno compiuto attentati con mortai, autobombe e, ritiratisi sotto la pressione dell'esercito, con mine a scoppio ritardato. Dove hanno incendiato e distrutto monumenti millenari come il vecchio mercato di Aleppo, patrimonio dell'UNESCO. Dove hanno distrutto centinaia di scuole e ambulatori. Dove hanno sgozzato, decapitato, squartato, mutilato impiegati statali, poliziotti, amministratori, insegnanti, medici, religiosi non allineati.

 Dove hanno sequestrato e massacrato nei modi più efferati – nella ferrea logica di ogni partigianesimo, che deve intimorire i civili con un terrore esemplare – gente di ogni età. All'inizio, diffondendo video sulle proprie prodezze, quali i «processi» agli avversari malmenati, umiliati e messi al muro, lo sgozzamento di poliziotti, l’assassinio di civili a colpi di mitra o di machete, il lancio nel vuoto di lealisti dai tetti delle case. In seguito, eliminando in massa civili di ogni età e, resi più accorti delle reazioni negative del delicato Occidente, attribuendo, spudoratamente supportati dalla Grande Stampa e dalle televisioni occidentali, i massacri alle forze governative. Ne vedrete i filmati.

 In ogni caso cercando di sfiancare, logorare, demoralizzare, paralizzare il paese dall'interno, di far perdere ai cittadini la fiducia nella protezione del proprio governo. Il tutto, in attesa dell'attacco dall'esterno, con le bombe e i missili NATO. E di un più vasto bagno di sangue.

 Tali assassini, che andrebbero messi al bando da ogni consesso civile in quanto postisi da sé fuori da ogni legge, andrebbero, quando catturati, giustiziati a norma di legge marziale. Magari con quella decapitazione pubblica tanto apprezzata in Arabia saudita, come fu nel dicembre 2011 per una povera donna accusata di stregoneria. Ed è in favore di questi criminali che il segretario dell'ONU Ban Ki Moon, il 9 ottobre, ha senza vergogna preteso dal governo siriano un cessate il fuoco unilaterale. Ed è in favore di questi criminali che il segretario della NATO Anders Rasmussen ha minacciato, per l'ennesima volta, di scendere in campo qualora non cessino quelle che, capovolgendo le dinamiche, ha chiamato «provocazioni» contro la Turchia di Erdogan.

 Quanto ai loro mandanti – da Obama ai petrolieri di Riad e Doha, e passando per Tel Aviv, Londra, Parigi, Istanbul e gli altri paesi NATO – li vedremmo volentieri dondolare da una forca. Per le marionette italiane basterebbe il carcere a vita. Tra quattro pareti di nudo cemento.

 Sui renitenti e disertori siriani – 1500 su 1.200.000 soldati, tra militari in servizio e riservisti – mi limito a citare una notizia apparsa il 28 settembre sull'eccezionale sito syrian free press, la maggiore fonte di notizie alternative: «Diversi ufficiali dell’Esercito di Liberazione Siriano, braccio armato della opposizione, hanno annunciato di rischierarsi tra i sostenitori del presidente Bashar al-Assad. È stato reso noto durante un vertice delle forze di opposizione svoltosi a Damasco. Uno dei "disertori", il colonnello Khaled al-Zalem, ha condannato "lo spargimento di sangue tra connazionali" e ha invitato i suoi ex compagni di lotta "a riconoscere l’errore". Presso il comando militare delle forze di opposizione il colonnello ricopriva una delle posizioni più importanti. Oltre ad al-Zalem sono ritornati a sostenere le autorità 11 ex guerriglieri, 5 ufficiali e 6 civili».

Sanguigno, magari eccessivo, il commento del sito: «Traditori di questo tipo, che hanno contribuito coscientemente alla devastazione delle strutture della Patria e all’assassinio di civili e militari, loro camerati sino a poco prima, complici di bande di terroristi consimili, come al-Qaeda e bande jihadiste analoghe, meritano solo di impugnare, al posto del fucile, una pala e un piccone, per andare ai lavori forzati sinché non abbiano ricostruito tutto quello che hanno materialmente danneggiato. Successivamente, dopo non meno di 20-30 anni di lavori forzati duri, potrebbero godersi una bella villeggiatura nel braccio della morte, dove meritano di essere rinchiusi certi pluriomicidi complici di serial-killer. Non c’è pena adeguata che possa ridare alle famiglie gli eroi dell’Esercito Nazionale Arabo Siriano, padri, mariti, figli, assassinati nel peggiore dei modi, sgozzati e torturati, da questi "pentiti" e dai loro amici mercenari stranieri».

Tra gli aggressori della Siria si pone anche la Germania, recuperata ad ogni nefandezza democratica. Usando una tecnologia che permette di monitorare a 600 chilometri, dagli inizi di agosto agenti tedeschi sono di stanza a bordo di navi al largo della costa siriana per intercettare e trasmettere informazioni. Le informazioni da loro raccolte, anche nella base NATO di Adana in Turchia, vengono trasmesse ai comandi militari americani ed inglesi, che a loro volta le passano ai terroristi.

 Al contempo, tecnici francesi e qatarioti operano nel nord del Libano con stazioni mobili di trasmissioni satellitari per disturbare i segnali dell’esercito siriano e dei canali satellitari siriani e libanesi, fornendo informazioni di ogni tipo ai terroristi. Le dette stazioni mobili sono collegate con postazioni radar israeliane situate nei territori occupati della Palestina.

 Contro tale realtà assassina si è finalmente mobilitato con decisione quattro mesi fa, il 27 giugno, il presidente Bashar, affermando: «Siamo entrati in una vera situazione di guerra, tutte le forze devono essere dirette alla vittoria». Si è mobilitato a parer mio troppo tardi, quando la Siria era profondamente infiltrata da bande di assassini. Troppo tardi, e lo dico con estrema umiltà e tenendo conto delle enormi pressioni internazionali esercitate dai tanti nemici

Come ho detto a Milano, non sono mai stato politicamente corretto, non ho paura delle parole. Non è il tempo dei compromessi. È il tempo delle affermazioni assolute e delle negazioni radicali. Non è tempo di neutralità. Non è il tempo degli utili idioti che strillavano «né con Saddam né con Bush, né con Milosevic né con la NATO». Il privilegio dell'ignoranza e il vanto dell'idiozia li lascio a chi sventolò gli stracci arcobaleno con iscritto «pace». Ai deliranti del «volemose bene» planetario. A coloro che usano termini ammuffiti come colonialismo e imperialismo.

 Il nemico dell'uomo, il nemico dei popoli liberi non è oggi l'imperialismo. È il Nuovo Ordine Mondiale. È il mondialismo, l'universalismo. È il cosmopolitismo, la cittadinanza planetaria. Il termine imperialismo proietta le menti in un'atmosfera fuorviante, in un quadro emotivo e relazionale ottocentesco, epoca nella quale ancora vivevano e si mobilitavano le nazioni. Combattendosi l'un l'altra per i propri valori, i propri sogni, i propri deliri, i propri interessi. Legittimi o illegittimi, a noi graditi o meno che fossero.

 Il quadro è radicalmente mutato. Oggi stanno per scomparire tutte le nazioni, stanno per decomporsi tutti i popoli, per divenire sezioni di un osceno ammasso planetario dominato neanche più da una singola nazione, ma da una mostruosa entità finanziaria. Da una entità globale che ha inventato a suo uso e consumo, ed imposto a tutti i popoli, la farsa dei Diritti Umani. Una entità apolide che se ne serve a scopo del più bieco sfruttamento. Il re oggi è nudo, nudissimo.



L'umanitarismo, il ca­pi­talismo finanziario del quale gli Stati Uniti sono l'espressione più compiu­ta, è il male assoluto, un disastro come il mondo non ha mai cono­sciuto. Per­ché com­porta l'an­nien­ta­mento di ogni cosa. Se in passato qualche si­stema politico ha distrut­to gli indivi­dui, fin dalla sua infanzia il Sistema ha decom­po­sto tutte le culture, attaccato i valori che fanno la spe­ci­ficità delle civiltà, privato l'uomo delle sue appartenenze naturali, ridotto le nazioni a folklore. Quando pure, nella sua giovi­nezza e matu­ri­tà, non ha distrutto, fisicamente, interi popoli.

 Dei suoi complici sono parte gruppi come Amnesty International, gli altermondialisti, i neoglobal – altro che no global ! Dei suoi complici è parte il Tribunale Internazionale dell'Aja, responsabile dell'assassinio in carcere di Slobodan Milosevic e del massacro di Libia. Tribunale mobilitato oggi contro il popolo siriano, avallando con la sua «autorità» l'operato dei tagliagole e ponendo le premesse per un'ennesima guerra. Gli «aiuti umanitari» mascherano i più torbidi interessi, quando non dirette forniture di armi. Già disse Proudhon: «Chi dice umanità cerca di ingannarti».

Se non si capisce
● che l'universalismo è la tara di fondo,
 che non è mai esistito né mai esisterà un «cosmopolita», cioè un «cittadino del mondo»,
● che la «vera democrazia» esiste solo nella mente di Giove,
● che la democrazia è solo questa bieca democrazia reale, non si è capito nulla.
La differenza non è più tra destra e sinistra, tra rossi e neri, e così via. La differenza è fra mondialisti e difensori del diritto dei popoli ad essere se stessi.

 Nella linea dell'universalismo si situa il delirio giudaico di Bush. In un discorso pubblico del 7 ottobre 2005 questo mentecatto si è così vantato, due punti e virgolette: «Io sto portando avanti una missione divina. Dio mi ha detto: George, va' e combatti questi terroristi in Afghanistan, e io l'ho fatto. Poi mi ha detto: George, vai e metti fine alla tirannide dell'Iraq, e io l'ho fatto».

Due sono le caratteristiche di tali Prescelti da Dio, di tali Messia, eletti a compiere, a prezzo di qualsiasi strage, il comando divino con buona coscienza.

 (A) In primo luogo, non esistono più dichiarazioni di guerra, da parte loro; e come potrebbero? un poliziotto non dichiara guerra al malvivente, lo assalta, lo cattura, lo trascina in catene! Mancando una dichiarazione di guerra, mancherà sempre un trattato di pace; mai finirà la guerra. Ed infatti il motto bushiano recita «guerra infinita». Almeno, cent'anni fa il presidente Wilson, il puritano dal sorriso cavallino della Grande Guerra, la voleva «per porre fine a tutte le guerre».

 (B) In secondo luogo – riflettete – i Buoni non aprono mai le ostilità, sono costretti, santIddio!, sono costretti, a rispondere alle «provocazioni». «Provocazioni» da loro stessi inscenate.

 Nelle guerre gli americani devono essere tirati per i capelli.
● Così fu nel 1898 contro la Spagna, e nelle Filippine uccisero 600.000 resistenti, refrattari alla Missione Divina.
● Così fu nella prima guerra mondiale col Lusitania.
● Così nella seconda, innescando l'attacco giapponese a Pearl Harbor, dopo avere cercato invano, con ogni mezzo, una reazione tedesca.
● A pretesto per devastare il Vietnam – non solo con le 50.000 tonnellate di agenti chimici cancerogeni, ma con i sette milioni di tonnellate di bombe, tre volte e mezzo il quan­ti­tativo sgan­ciato nella seconda guerra mondiale e corrispon­denti alla forza detonante di cento bombe atomi­che tipo Hiroshima – il 2 agosto 1964 crearono di sana, sanissima pianta l'«incidente del Tonchino».

● E non parliamo dell'autoattentato dell'11 settembre. Dal quale i borghesi semiacculturati, quelli che nessuno gliela fa, rifuggono ancor oggi. Quelli che rifiutano anche solo di ascoltare versioni alternative. E questo, dopo che decine di volumi hanno fatto a pezzi la versione ufficiale, dopo centinaia di articoli, analisi, commenti e filmati. Riflesso incondizionato, il giorno dopo il crollo delle Torri, Le Monde e il Corrierone titolarono: «Siamo tutti americani». E così, al prezzo di tremila morti gli USA partirono, e durano tuttora, impuniti, all'attacco del mondo.

 La lezione della provocazione – ricordate la favola del lupo e dell'agnello? – è stata imparata dal turco Erdogan dopo l'abbattimento, nel giugno, dell'aereo spia inviato nel cielo siriano per testare la reazione del nemico: «Colpiremo la Siria se attaccati ancora». Grugno di topo, Erdogan. Faccia di Predator, guardatelo bene, quello del film con Schwarzenegger. In parallelo, l'evento gli ha permesso di attaccare la libertà di informazione, in particolare i giornali che hanno riportato l'intervista al presidente Bashar, accusati di tradimento perché avevano dubitato della versione ufficiale.

 Nel frattempo, oltre ad infinite minacce verbali, proseguono l'invio di militari NATO e le esercitazioni in Giordania e Turchia, mentre gli Occidentali si vantano apertamente dell'addestramento, dell'armamento e della guida forniti ai terroristi. Un'altra notizia ignorata dalla stampa: dopo l'arresto, nel luglio, di 40 – dico 40 – ufficiali turchi su suolo siriano, il 7 agosto è stato arrestato ad Aleppo un generale turco alla testa dei terroristi che cercavano di prendere il controllo della città.

 Ma Erdogan, il Lupo Grigio travestito da agnello, persiste nelle provocazioni, pur osteggiato dal 60% del popolo turco. Vedi i bombardamenti iniziati «a rappresaglia» il 3 ottobre, dopo che colpi di mortaio da 120 mm AE-HE-TNT, munizioni in esclusiva dotazione NATO – come riporta Mardan Yanar Dag del quotidiano Yurt – hanno colpito una città di confine. Gli autori? Con tutta certezza terroristi su suolo siriano, all'uopo incaricati. L'ennesima menzogna della Grande Stampa è poi che la Siria si è scusata per l'accaduto, ammettendo la propria responsabilità. In realtà, Damasco mai si è scusata, ma ha soltanto formulato le condoglianze per i cinque morti.

 Negli stessi giorni il Sunday Times ha rivelato che a quei terroristi che pur sono cittadini britannici è stato vietato il rientro in «patria», causa il rischio che comporterebbero. Insomma, i tagliagole vanno bene per il lavoro sporco all'estero, ma teniamoli lontani da casa nostra.

 E le provocazioni si intensificano. Quattro giorni fa, il 10 ottobre, è stato dirottato ad Ankara un airbus passeggeri della Syrian Air proveniente da Mosca. L'accusa – infondata – viene riecheggiata dai giornaloni: coi passeggeri, l'aereo trasportava illegalmente armi a Damasco o, se non proprio armi, almeno componenti elettronici ad uso militare o, se non proprio ad uso militare, ad uso civile. Brutalmente ammanettati, i membri dell'equipaggio sono stati segregati per ore, alcuni passeggeri sono stati malmenati. Pregevole la rivendicazione del ministro degli Esteri russo: ci fosse bisogno di inviare armi alla Siria, lo faremmo alla luce del sole, non mascherandole da carichi civili.

Mi avvio a chiudere. In un'intervista televisiva a Damasco mi è stato chiesto: perché la Siria? Ho risposto che non è solo questione di geopolitica o di economia, ma anche di ideologia. I piani degli aggressori datano da decenni, sono piani a lunga scadenza. L'obiettivo finale è la distruzione delle nazioni e l'instaurazione di un unico governo mondiale. A guida, ovviamente, americana. A guida, ovviamente, dell'Alta Finanza. A guida, ovviamente, giudaica.

 Sappiamo che non è un complotto, un tenebroso complotto. Un complotto, quando gli scopi sono stati dichiarati a tutte lettere – ripeto: a tutte lettere – dagli stessi autori in decine, sottolineo decine, di pubblicazioni? Cerchiamo di essere seri. Non prendiamoci in giro.
È una strategia pensata in ogni aspetto, non un complotto. Chi parla di complotto è un mistificatore. Uno che nuota nel torbido. O un ignorante. Di queste pubblicazioni, cito tre esempi.

 (A) Nel 1997 Zbigniew Brzezinski, consigliere di sei presidenti da Carter ad Obama, egualmente democratici come repubblicani, pubblicò The Great Chessboard, "La Grande Scacchiera - Il mondo e la politica nell'era della supremazia americana". Suggerendo di adoperarsi per fare scoppiare conflitti interetnici nei più diversi paesi, Brzezinski ammonisce, cito tra virgolette, che in futuro «la capacità degli Stati Uniti di [continuare ad] esercitare un'effettiva supremazia mondiale dipenderà dal modo in cui sapranno affrontare i complessi equilibri di forze nell'Eurasia, scongiurando soprattutto l'emergere di una potenza predominante e antagonista in questa regione».

 (B) Nello stesso 1997 una trentina di neoconservatori, ventotto almeno dei quali ebrei e anime nere bushiane, lanciò il Project for the New American Century, "Progetto per il Nuovo Secolo Americano", che rilanciava le tesi di Brzezinski, suggerendo i necessari comportamenti applicativi.

 (C) Similmente, un gruppo di intellettuali israeliani capeggiati dal politologo Oded Yinon aveva codificato, fin dal 1982, la preventiva distruzione di ogni Stato considerato nemico.

 Cinque sono state le fasi di tale strategia.
● La prima: scagliare in una guerra contro l'Iran khomeinista un Iraq stupidamente caduto nella trappola e quindi, dopo averlo indebolito, spiazzarlo economicamente.
● La seconda: occupare l'Iraq e impadronirsi delle sue risorse energetiche, eliminando al contempo uno dei più tenaci nemici di Israele e interrompendo la continuità territoriale tra Siria ed Iran.
● La terza: occupare l'Afghanistan e impiantare basi nell'ex Asia sovietica, condizionando a nord la Russia e accerchiando da oriente l'Iran, già avendo a sud il controllo del Golfo.
● La quarta: assicurarsi, in vista di una guerra con l'Iran, le ingenti risorse energetiche libiche, spegnendo al contempo le velleità panafricaniste di Gheddafi e testando le reazioni del duo Russia-Cina.
● La quinta: eliminare il baluardo geografico e militare siriano, premessa per l'aggressione all'Iran.
 Sull'onda delle secolari teorizzazioni massoniche dell'«Ordo ab chao, Ordine dal caos», sull'onda di quel «caos creativo» cantato nel 2006 dal Segretario di Stato Condoleezza Rice, possiamo definire tale strategia «geopolitica del caos«. I Signori del Caos vogliono frantumare gli Stati laici e modernizzatori – Iraq, Libia, Siria e, perché no?, l'Iran di Ahmadinejad – in miniregioni in lotta una contro l'altra per motivi etnici e religiosi. Un federalismo in salsa orientale. Uno Stato dopo l'altro, la politica del carciofo. Eliminare una foglia dopo l'altra, fino a giungere al cuore. L'ultima foglia è l'Iran. Il cuore, il nemico strategico dell'Alta Finanza, sono la Russia e la Cina. Ma i giochi non sempre riescono, e l'ultimo osso sarà troppo duro per questa banda di assassini. Anche la distruzione economica dell'Europa, in quanto potenza alternativa agli USA, rientra nei piani.
 Ma alziamo lo sguardo dalle motivazioni economiche e geopolitiche. Andiamo al fondo delle cose. Dal punto di vista ideologico le finalità – basate sull'eterno delirio dell'Unico Mondo guidato dagli Unici Eletti – sono quelle vantate, in otto sole parole, da un personaggio buffo ma pericoloso, l'amministratore delegato FIAT Sergio Marchionne. Quello dei maglioncini e della barba incolta. Della delocalizzazione e della miseria nazionale. Dei contributi statali a fondo perduto e degli Elkann. Cito tra virgolette: «Bisogna superare l'attaccamento emozionale al proprio paese».

La stessa concezione anima mister Monti, nel novembre 2011 unto senatore a vita e messo a capo di un governo presidenziale. Sei mesi prima, il 28 maggio, alla Bocconi, l'esimio Salvatore delle Banche si era augurato che si estinguesse «il senso di appartenenza dei cittadini ad una collettività nazionale». Si veda su Google il video di tre minuti titolato «Monti le parole di un pazzo».

Ma la disgrazia, per Marchionne, per Monti, per tutti i mondialisti del «volemose bene» intergalattico, è che ci sono popoli, come i siriani, che al loro paese – alla loro gente, alla loro nazione, ai loro padri, ai loro figli, a se stessi – non vogliono rinunciare.

 Lo si intenda una volta per tutte! Non siamo all'interno di una disputa scolastica, ma di una guerra di civiltà! È una guerra politica, una guerra intellettuale, una guerra morale, una guerra spiri­tuale, è una guerra totale quella che ci coinvolge. La posta in gioco, nel suo senso più profondo, non è il Potere, ma la Memoria e l'esistenza dei popoli, la sopravvivenza del­l'Anima stessa dell'uomo.

 Per distruggere le appartenenze al mondo reale – fatto di razze, stirpi, nazioni, popoli e Stati – tre sono le strategie messe in atto dai Nemici degli uomini liberi.

 (A) La prima è la distruzione armata degli Stati che non s'inchinano ai loro voleri: nel Vicino Oriente, in Africa, in America Latina. Ma anche in paesi europei come la Serbia.

 (B) La seconda sono le rivoluzioni colorate – arancioni, viola, gialle, rosa, verdi, dei tulipani e chi più ne ha più ne metta – contro l'Iran e i paesi ex comunisti: Serbia, Macedonia, Moldavia, Ucraina, Bielorussia, Russia, Georgia, Kirghizistan. «Rivoluzioni» studiate a tavolino da gruppi come la Fondazione Società Aperta del supermiliardario George Soros. L'affondatore della lira nel 1992, il compare di Prodi. Da Prodi fatto premiare a Bologna con una laurea honoris causa.

 (C) La terza è la strategia contro l'Europa. In quattro fasi: ● rieducazione dei suoi popoli mediante il lavaggio del cervello con le cosiddette «colpe» della guerra mondiale, ● invasione migratoria, ● distruzione dello Stato sociale, ● riduzione in miseria dei suoi popoli.

 In particolare, dell'ultima fase sono artefici, attraverso colpi di Stato chiamati governi tecnici, i portaborse dell'Alta Finanza. Quelli della «cittadinanza planetaria», del «volemose bene» universale, dei predicatori della pace perpetua. Della pace eterna. Di tali colpi di Stato, due soli esempi. In Italia mister Monti, in Grecia un altro maggiordomo Goldman Sachs. E su tutto, l'occhio insonne del ciambellano Mario Draghi. Colpi di Stato coordinati dalle massime cariche istituzionali e avallati dalla quasi totalità dei politici, camerieri dei banchieri, complici consapevoli o semplici idioti.

 Intervistato l'11 ottobre dalla TV siriana, l'ex generale libanese, cristiano, Michel Aoun, capo del Blocco per il Cambiamento e le Riforme, ha pronosticato che la Siria non cadrà. I paesi che cospirano non riusciranno a sottometterla: «La fermezza della Siria contro il complotto è molto forte, perché la crisi non ha potuto colpire il settore amministrativo, né quello giudiziario, né quello militare, nonostante tutte le enormi perdite umane ed economiche».

 Ringraziandovi per l'attenzione e auspicando vostri interventi nel dibattito dopo i filmati, riassumo la mia relazione in due frasi.
1° L'unica possibilità di salvezza per la Siria sta nel suo esercito, nei giovani militari in difesa del loro popolo; l'unica possibilità di non essere inghiottiti dalla cloaca dell'Occidente è Bashar al-Assad.
2° La Siria di Bashar al-Assad, la Siria del popolo siriano, è un esempio unico di fierezza e dignità, un rimprovero perenne per i popoli vili, un baluardo di libertà.

 Grantola, 14 ottobre 2012

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