domenica 14 ottobre 2012

L'Armata di Mare


Scritto da Comitati Due Sicilie

La naturale posizione geografica del Regno aveva da sempre favorito lo sviluppo della Marina, sia mercantile che militare. Quando Carlo di Borbone conquistò il Regno nel 1734, la situazione era grave a causa delle continue incursioni dei pirati barbareschi, che rendevano insicure le coste ed il commercio. Addirittura, nell’aprile del 1738, una squadriglia di sciabecchi algerini era entrata nel Golfo di Napoli con l’intento dichiarato di rapire il Re in persona e portarlo come ostaggio al Bey turco di Algeri. Il piano ovviamente fallì, ma per Carlo fu un chiaro segno della necessità di rinforzare seriamente tutta la forza navale, per renderla adatta e degna del ruolo di potenza mediterranea che spettava naturalmente al Regno. Inoltre egli non aveva trovato la flotta, essendo stata questa consegnata all’Imperatore Carlo VI dal marchese Pallavicini. Per tale motivo, Carlo acquistò subito da Papa Clemente XII tre galee che, insieme ad una quarta costruita a Napoli (la “Capitana”), formò la prima squadra. Si diede impulso all’Arsenale di Napoli, che venne appositamente ingrandito per costruire la futura grande flotta e così nel 1738 fu iniziata la costruzione del “S. Carlo” e della “Partenope”, e quella delle feluche “Purissima Concezione” e “S. Gennaro”. Nel 1748 fu ripresa la costruzione di altre navi, come la “Regina”, la “Concezione”, la “S. Amalia”, la “S. Antonio”… Le navi da guerra si distinguevano in due classi con due speciali categorie di ufficiali: la “Esquadra de los reales navios”, composta da un vascello e da una fregata, e la “Esquadra de galeras”, comprendente galere e galeotte. Gli sciabecchi facevano parte di questa seconda classe.
Carlo creò un sistema difensivo navale dislocando tre formazioni navali nei punti nevralgici del Regno. La prima controllava le coste del Tirreno, la seconda lo Jonio e la terza la Sicilia. Inoltre, per rendere sicura la vita dei suoi sudditi, Carlo non trascurò i trattati diplomatici con il Sultano di Costantinopoli, da cui dipendevano le reggenze di Tripoli, Tunisi ed Algeri, anche se poi di fatto le incursioni dei barbareschi continuarono come prima; al che Carlo iniziò a rispondere con la violenza, e da quel momento le incursioni cominciarono a diminuire, fin quasi a scomparire. Dopo la partenza di Carlo per Madrid, il Consiglio di Reggenza, guidato dal Tanucci, in effetti trascurò la politica navale, ma non così Ferdinando quando assunse i pieni poteri. Egli comprese subito la necessità di rafforzare l’Armata navale, sia a tutela dei sudditi che del commercio marittimo; fu aiutato nella sua politica dal Primo Ministro inglese John Acton, che divenne poi anche Ministro della Guerra e della Marina, per la sua straordinaria competenza di uomo di mare.
Insieme predisposero un piano ambizioso che puntava sullo sviluppo della cantieristica e delle costruzioni navali. Si costruirono in breve tempo 6 vascelli da 74 cannoni e 6 fregate da 32/40 cannoni. Inoltre, fu costruito, oltre a quello già esistente a Napoli, un nuovo e più efficiente arsenale a Castellammare di Stabia tra i boschi del monte Faito e le sorgenti di acqua minerale: fu uno dei primi del Mediterraneo anche per grandezza e fu dotato di tre imponenti scali, che consentivano di impostare contemporaneamente altrettanti grossi vascelli. Un imponente macchinario a dieci argani, a ciascuno dei quali erano adibiti trentasei uomini, considerato a quell’epoca un vero prodigio, consentiva di tirare agevolmente a secco navi di qualsiasi stazza.Si trattava di un vero “cantiere modello” per l’epoca: venivano impiegati i nuovi procedimenti tecnici della rivoluzione industriale agli albori e si formarono, così, maestranze locali altamente qualificate, che conquistarono fama di eccellenti costruttori navali. Sotto la dinastia borbonica furono varati, dal Cantiere di Castellammare, unità navali tra le più moderne e veloci dell’epoca, quali le fregate Partenope, Ercole, Archimede, Carlo III, Sannita ed Ettore Fieramosca, dotate di macchine da 300 cavalli. Nel solo ventennio che va dal 1840 al 1860, dal varo del brigantino Generoso al varo della fregata mista Borbone, fu varato un totale di oltre 43.000 tonnellate di naviglio, tra vascelli, fregate, cannoniere, brigantini e cavafondi. Il Cantiere di Castellammare continuò la sua gloriosa attività anche dopo l’unità d'Italia. È il caso di ricordare che dagli scali del glorioso Cantiere stabiese furono varate le due navi scuola della Marina Militare italiana: la Cristoforo Colombo nel 1928 e l'Amerigo Vespucci nel 1931. Quest'ultima, ancora oggi, desta stupore e meraviglia quando si presenta nei porti di tutto il mondo durante le crociere di addestramento degli allievi ufficiali dell’Accademia navale di Livorno
Come prova del valore che la flotta stava assumendo anche a livello internazionale, basti ricordare che nel 1784 partecipò assieme a quelle di Spagna, Malta e Portogallo ad un’azione combinata contro le fortificazioni barbaresche di Algeri; ma soprattutto si distinse nell’assedio di Tolone del 1793: Ferdinando mise a disposizione della Prima Coalizione antifrancese tre vascelli (il Guiscardo, il Sannita e il Tancredi, quest’ultimo comandato da Francesco Caracciolo), quattro fregate (l’Aretusa, il Minerva, il Sibilla e il Sirena), due brigantini, ed un contingente di 6.500 uomini armati con i nuovi fucili modello 1788, che si distinsero nei tre mesi d’assedio al punto da suscitare l’ammirazione dello stesso Napoleone.

La flotta in fiamme e la ricostruzione
Nel corso dei tragici e travolgenti eventi del 1799, fra le altre sciagure, accadde pure che Ferdinando fu convinto da Horatio Nelson (altro inglese a Corte oltre all’Acton), presente a Napoli in veste di “amico protettore”, ad incendiare l’intera flotta di stanza a Napoli e Castellammare, affinché non finisse nelle mani dei napoleonici che stavano per entrare nella capitale. Il tragico spettacolo cui assistettero tutti i napoletani il 9 gennaio 1799 non fu più dimenticato. Nel golfo, all’improvviso, l’intera gloriosa flotta era in fiamme dinanzi ai loro occhi sconvolti e affranti. Si può discutere finché si vuole (come è sempre avvenuto) sul fatto che è prassi d’uso in guerra distruggere i propri armamenti quando stanno per finire nelle mani del nemico: fatto sta che annientare la flotta del Regno di Napoli era sicuramente un evento che avvantaggiava enormemente il predominio inglese nel Mediterraneo, oltre a gettare ancor di più il Regno sotto il controllo britannico. In ogni caso, come è noto Ferdinando dovette riparare nuovamente in Sicilia dal 1806 al 1815 quando poté tornare a Napoli e riprendere nelle sue mani il governo effettivo del Regno, ora denominato "delle Due Sicilie". Subito cominciò a riorganizzare le sue forze armate (l’esperienza degli ultimi venti anni aveva lasciato il segno), e in particolare la Marina. Si varò il primo piroscafo a vapore del Mediterraneo il 24 giugno 1818; vennero poi pubblicate le “Ordinanze Generali della Real Marina”, relative e l’organizzazione dell’Armata di Mare, comprese le disposizioni di carattere generale sulle uniformi. In soli quattro anni la Marina era giunta ad allineare tre divisioni con una settantina di legni da guerra di tutte le stazze.
Chi riprese poi la politica militare marittima fu naturalmente Ferdinando II: la flotta napoletana si arricchì delle unità a vapore (“Nettuno”, “Ferdinando II”, “S. Wenwfrida”), prima a ruote e poi a elica, divenendo così una delle più potenti del Mediterraneo. Nel 1856 furono poi costruite navi con macchine a bilanciere: “Ferdinando”, “Nettuno”, “Peloro”, e, col sistema a connessione diretta e cilindri oscillanti, il “Fulminante”, il “Veloce”, la “Saetta”, il “Messaggero”. Anche in questo campo Re Ferdinando II si distinse per intraprendenza e genialità: nel 1834 fu istituito a Pietrarsa il “Real opificio meccanico Militare” e la prima “Scuola ingegneri meccanici” d’Italia, alla quale fu annessa una fabbrica d’attrezzi e macchine marine per armare le pirofregate Napoletane. Pietrarsa, con i suoi 800 operai, era il primo opificio italiano. Inoltre l’azione di Ferdinando favori anche l’iniziativa privata: nacquero fabbriche come la Guppy & Co., la Zino & Herry e i cantieri e le officine Pattison, tutte ubicate nel napoletano, che poi saranno utilizzate dalla Marina Italiana dopo il 1861. Inoltre il Sovrano fece costruire nel porto di Napoli anche il primo bacino di raddobbo in Italia.
L’armata di mare aveva intanto aumentato la sua consistenza con numerose fregate e pirofregate a ruote da 50 cannoni, vari brigantini e pirocorvette.
Essa era così composta:
1) Reale Corpo di cannonieri e marinai, articolato in 16 compagnie attive da imbarco e due compagnie sedentarie;
2) Reggimento "Real Marina" (con un organico di 2400 uomini) articolato su due battaglioni per sei compagnie;
3) Corpo di genio marittimo;
4) Corpo telegrafico;
5) Corpo sanitario;
6) Corpo amministrativo con tre Dipartimenti (Napoli, Palermo e Messina).
Organo supremo dell’Armata di Mare era l’Ammiragliato, retto da un principe di Borbone fratello del Re, Comandante Generale dell’Armata di Mare con il grado di Vice Ammiraglio, affiancato da un Consiglio di Ammiragliato. L’Armata ebbe anche occasione di operare oltreoceano, in Brasile.
Gli ufficiali venivano formati alla Reale Accademia di Marina, fondata nel 1735, che possedeva un osservatorio astronomico-nautico tra i più belli d’Europa; Ferdinando II nel 1841 la fuse con l’Accademia militare della Nunziatella, in modo che i futuri Ufficiali di Marina venissero selezionati tra gli alunni del Collegio militare. Nel 1848, durante la Prima Guerra di Indipendenza, Ferdinando II inviò 5 fregate a vapore, 2 a vela, 1 brigantino e vari trasporti con 4.000 soldati, agli ordini di Guglielmo Pepe, allo scopo di liberare Venezia dagli austriaci; ma poi la rivoluzione del 15 maggio mandò tutto a monte, e il Re, come già detto nella voce a lui dedicata, si ritirò dalla guerra.
Nel suo brevissimo regno, Francesco II riuscì a varare la fregata ad elica “Borbone”.
I vascelli dell’Armata di mare erano generalmente a due ponti di batteria e uno di coperta, e le loro dimensioni andavano da 50 a 60 metri di lunghezza e 15-17 di larghezza per una stazza tra le 3.000 e le 4.500 tonnellate. Le vele erano a tre alberi, l’armamento a di 60 o 74 cannoni, l’equipaggio di 700-800 unità, dagli ufficiali fino ai servitori, passando per i cappellani, chirurghi, ecc.
Le fregate erano generalmente a due ponti, uno a batteria coperta uno scoperta; lunghezza m. 35 circa, larghezza m. 13, stazza 1500-2000 tonnellate; a tre alberi, con 40-44 cannoni, circa 300 uomini di equipaggio.Le corvette un solo ponte di coperta, lunghezza come le fregate ma la larghezza era inferiore di un paio di metri, la stazza di un migliaio circa di tonnellate; due alberi, da 20 a 30 cannoni, equipaggio dalle 140 a lle 180 unità. L’Armata di mare era talmente grande e moderna «che per numero di imbarcazioni (oltre cento tra grandi, medie e piccole), stazza complessiva, percentuale di legni a vapore e potenza di fuoco, è non solo di gran lunga la maggiore fra le flotte militari degli Stati italiani preunitari ma figura al terzo posto a livello Mediterraneo preceduta soltanto da quelle di Inghilterra e Francia».È un dato di fatto indiscutibile che la Marina Italiana nasce dalla aggregazione progressiva, nel biennio 1860/61, delle Marine preunitarie (Sarda, Napoletana e Toscana) cui si aggiungono gli uomini della Marina Garibaldina e due unità pontificie di preda bellica, recuperate nel porto di Ancona. Alla data di proclamazione del Regno la flotta era composta di 97 navi di cui 79 operative; di queste ultime 22 erano ad elica, 35 a ruote e 22 a vela: provenivano 32 dalla Marina Sarda, 8 dalla Toscana, 2 dalla Pontificia e 37 dalla Marina delle Due Sicilie (24 dalla Napoletana e 13 dalla Siciliana).
 

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