venerdì 12 ottobre 2012

La bandiera tricolore è un vessillo della Massoneria




dott. Ubaldo Sterlicchio







Quando me lo dissero, stentavo a crederci.


La bandiera italiana, il famosissimo tricolore che tanti cuori ha fatto commuovere, al cui cospetto tante generazioni hanno giurato fedeltà alla Patria e sotto la quale milioni di italiani hanno combattuto fino all’estremo sacrificio, credendo in una Nazione, altro non è che un vessillo massonico!


Purtroppo, pochi sanno che i suoi tre colori sono gli stessi identici colori della Massoneria e che l’accostamento rosso-bianco-verde, tutt’altro che casuale, fu concepito con significati ben precisi nelle potenti ed influenti logge massoniche settecentesche.

Vediamo quando, come e perché.

Tantissime sono le cose che, negli ultimi duecento anni, sono state dette e scritte sul tricolore. Ci hanno raccontato tante belle storielle e fatto credere – qualcuno lo fa ancora, non so se in buona o mala fede – cose totalmente difformi dalla verità storica sulla bandiera italiana.

C’è chi ha sostenuto che la bandiera tricolore sia stata l’unione fra il verde della speranza, il bianco della purezza ed il rosso del sangue versato dai patrioti-martiri per la causa dell’unità. Ma questa tesi viene subito confutata dalla semplice constatazione che la nascita del tricolore precede di un buon mezzo secolo gli avvenimenti risorgimentali.

Gli italiani delle generazioni nate durante il XX secolo, sui banchi di scuola, hanno imparato che il tricolore era formato dal verde delle nostre valli, dal bianco delle nostre nevi e dal rosso delle fiamme dei nostri vulcani! Ma anche queste romantiche definizioni, intrise di retorico lirismo, non reggono alla verifica dei fatti, poiché sono state coniate da Giosuè Carducci allorquando la bandiera italiana aveva già compiuto cento anni.

In ultimo, sul quotidiano “L’Avvenire” di qualche anno fa, lo storico Franco Cardini scrisse che «i tre colori della nostra bandiera sono alla base della liturgia cattolica: fede, speranza e carità [rispettivamente identificate con il rosso, con il verde e con il bianco, n.d.r.]. Ammantata di questi tre colori è la Beatrice che compare a Dante alla fine della Cantica del Purgatorio». Ma il giornalista massone Aldo Chiarle (in un suo famoso articolo, dal titolo chiaro ed inequivocabile: «Il Tricolore, bandiera giacobina dell’Unità d’Italia, stendardo simbolo della Carboneria, della Giovane Italia e della Massoneria. Fu la bandiera della repubblica romana di Mazzini e Garibaldi»), con coerenza ed onestà intellettuale, si affrettò a smentire questa versione poetico-religiosa, affermando che quella di Cardini era «solo una garbata provocazione, perché chi conosce la storia del nostro Risorgimento sa che l’unità e la libertà d’Italia è stata fatta soprattutto contro il papato e i suoi alleati».

In realtà, la bandiera tricolore è “ufficialmente” nata in epoca napoleonica e le sue prime apparizioni si sono avute a Milano nel novembre del 1796. Fu, infatti, lo stesso Napoleone Bonaparte a consegnare uno stendardo rosso, bianco e verde ad un Corpo di volontari lombardi. Alla sommità dell’asta vi era il “livello” massonico.

Meno di due mesi dopo, esattamente il 7 gennaio 1797, convennero a Reggio Emilia i delegati di quattro città (Reggio, Modena, Ferrara e Bologna), intenzionati a costituire la Repubblica cispadana. La consacrazione del Vessillo avvenne nell’aula magna di palazzo Bognini alla presenza di 36 delegati di Bologna, 24 di Ferrara, 22 di Modena e 20 di Reggio.

Ma la Repubblica cispadana tutto poteva essere tranne che un’espressione di «italianità»: era una repubblica giacobina fantoccio a perfetta imitazione di quella francese, dalla quale dipendeva in tutto e per tutto.

Perché la scelta di Reggio Emilia? Perché a Reggio Emilia (oltre che a Genova) era stato piantato per la prima volta in Italia il c.d. «albero della libertà», un grande albero che rappresentava la natura, adorno di nastri tricolori e sormontato da emblemi rivoluzionari. Da quel momento, il tricolore sventolò ufficialmente, sino alla caduta di Napoleone (1814) quando, con la restaurazione sancita dal Congresso di Vienna, la bandiera dei tre colori divenne ipso facto il simbolo della sovversione e della cospirazione. Lo stesso tricolore, frattanto, era stato anche adottato, come proprio vessillo, dalla loggia massonica di Reggio Emilia.

Tuttavia, a prescindere da queste documentate notizie storiche, una versione “ufficiosa” vuole che il simbolo nazionale italiano esistesse già qualche anno prima della Rivoluzione francese e che facesse bella mostra nella loggia degli Illuminati di Baviera; ciò per volere di Giuseppe Balsamo, il famigerato sedicente conte di Cagliostro. «Il caso vuole che gli stessi tre colori fossero quelli utilizzati da Cagliostro nei suoi cerimoniali massonici di Rito Egizio...», afferma Aldo Alessandro Mola (storico ufficiale della massoneria) in un articolo dall’eloquente titolo «Il ciarlatano che inventò il Tricolore», pubblicato qualche anno fa sulla Rivista “Storia in Rete”.

Una ulteriore conferma che il tricolore sia stato un’invenzione dei massoni, ci è stata data poi da alcuni storici i quali, parlando in particolare del colore verde, lo hanno definito «sacro ed iniziatico colore della Massoneria»; il che è vero, e non solo perché la bandiera donata da Napoleone ai volontari lombardi aveva sull’asta il livello massonico, ma perché il tricolore fu la bandiera sacra delle vendite carbonare, poi della Giovine Italia e da sempre quella delle officine massoniche. Marziano Brignoli, direttore delle Raccolte Storiche del comune di Milano (Museo del Risorgimento e Museo di Storia Contemporanea), non sospetto di simpatie «reazionarie», ha affermato che «è chiaro che la nostra bandiera è nata ad imitazione di quella francese». Per Brignoli «i nostri tre colori provengono dall'insegna di una setta massonica». Sarà forse un caso, ma è certo che il rosso, il bianco e il verde erano anche i colori della setta di affiliazione massonica del romagnolo Giuseppe Compagnoni, segretario della Repubblica cispadana, che a Reggio Emilia propose di adottare il tricolore come bandiera del nuovo Stato.

In quell’epoca, le sue bande erano disposte talvolta verticalmente con quella verde vicino all'asta, talvolta orizzontalmente con quella rossa in alto. A partire dal 1° maggio 1798, esse furono disposte soltanto verticalmente, con l’asta tricolorata a spirale e terminante con la punta bianca. Nella metà del 1802 la forma divenne quadrata, con tre quadrati degli stessi colori racchiusi l'uno nell'altro.

Durante gli anni dell’occupazione francese, questa bandiera passò dalla Repubblica cispadana alla Repubblica cisalpina, poi alla Repubblica italiana (1802-1805) ed, infine, al Regno italico (1805-1814). Tuttavia, nel periodo napoleonico, la bandiera fu italiana solo di nome; la sua effimera gloria, conquistata di qua e di là delle Alpi, fu sempre al servizio di interessi stranieri, ovvero francesi. Infatti, alla caduta della dittatura bonapartista, nel 1814, il tricolore non solo scomparve ovunque, ma fu generalmente considerato con disprezzo come emblema dei collaborazionisti degli invasori francesi.




Alcune versioni del tricolore settecentesco giacobino-massonico



Si dovranno attendere i «moti risorgimentali» per veder risuscitare il vessillo tricolorato, grazie anche alla complicità delle stesse dinastie anti-bonapartiste (come quella dei Savoia), che cominciavano ad «adeguarsi ai tempi» – in particolare con il «Re Travicello» (Carlo Alberto), grande protettore di sette e di logge – rivestendosi con i colori cispadani. Ripreso, nella sua forma rettangolare, dai patrioti del 1821 e del 1831, Mazzini lo scelse come “vessillo di partito” per la Giovine Italia, mentre le truppe garibaldine lo adottarono come bandiera di guerra.

Giunse quindi l'ora dei «fratelli d'Italia». «Fratello» massone era l’aristocratico mazziniano genovese Goffredo Mameli (al quale fu addirittura intitolata una loggia), autore di una composizione in versi scritta nell’autunno del 1847, dal titolo “Fratelli d’Italia”, che dopo oltre un secolo, con l’avvento della Repubblica italiana, verrà adottata come inno nazionale italiano “provvisorio”. Il Mameli, nato il 5 settembre 1827, morì il 6 luglio 1849, all’età di ventidue anni, per un’infezione sopraggiunta a seguito di una grave ferita riportata mentre combatteva in difesa della cosiddetta “Repubblica romana”, formazione politica illegittima, costituita dalla fazione “liberale” dopo l’assassinio del primo ministro pontificio Pellegrino Rossi e la fuga del papa Pio IX da Roma. Come lui, massoni di rango furono tutti i vari «artefici» del «risorgimento» (voluto da un Piemonte in cui si parlava più il francese che l’italiano): da Garibaldi (nominato nel 1862 Gran Maestro e Primo Massone d'Italia) a Nino Bixio, da Camillo Benso conte di Cavour a Costantino Nigra, da Bettino Ricasoli a Ludovico Frapolli, e via dicendo. Fece eccezione il solo Massimo D’Azeglio.




Dedica massonica presso il monumento a Garibaldi sul Gianicolo a Roma


Nel 1848, il tricolore massonico (nel cui centro bianco fu collocato lo stemma araldico-dinastico di Casa Savoia: uno scudo con croce bianca su sfondo rosso, orlato d’azzurro) fu adottato come bandiera nazionale del Regno sardo-piemontese.

A seguito dell’unificazione della Penisola, nel 1861, la stessa bandiera tricolore recante le armi savoiarde fu estesa al neonato Regno d’Italia ed imposta, con la prepotenza e l’arroganza del conquistatore, a tutti gli italiani. Questa estensione fu, tra l’altro, la chiara ed inequivocabile dimostrazione che non si trattò di una unificazione del Paese condivisa e concordemente accettata da tutti, bensì di un mero ampliamento territoriale dello Stato sabaudo che, ideologicamente, era stato voluto solo dalla sparuta minoranza liberale, costituita da appena l’1% dell’intera popolazione italiana.

La bandiera tricolore mantenne tale foggia fino al referendum istituzionale del 2 giugno 1946, quando l'Italia divenne Repubblica. Con la caduta della dinastia sabauda, infatti, lo scudo crociato dei Savoia fu eliminato.




La bandiera nazionale del Regno sardo-piemontese


Premesso che, nella bandiera italiana, il Verde sostituì l’Azzurro della Massoneria Antica, colore quest’ultimo presente nelle bandiere (tricolori!) francese, inglese ed americana, l’autentico significato di ciascuno dei tre colori è esclusivamente massonico.

In particolare, il Rosso rappresenta il Gran Maestro (grado più elevato della gerarchia massonica), collocato «all’estremo flottante del vessillo, per posizionare la Suprema Ragione fuori dal confine del Nuovo Ordine Italiano»; il «Bianco centro» identifica il Massone, chiamato anche Libero Muratore o Compagno (grado intermedio); mentre il Verde immedesima l’Iniziato (grado più basso), cioè colui che è da poco tempo entrato a far parte della confraternita massonica, definito in maniera più puntuale «combattente e verde Operaio fermo alla picca della guerra».

Chi non credesse a quanto è stato appena detto, può visionare l’antico e prezioso documento, qui di seguito riprodotto, dal quale sono state attinte le informazioni appena enunciate.


Il tricolore è, pertanto, un simbolo sacro per i “fratelli” massoni. In ogni riunione massonica, all’apertura dei lavori, questo vessillo viene «portato all’Oriente» e collocato a fianco del Maestro Venerabile.




Interno di una loggia massonica, laddove si possono osservare:


sulla sinistra, la bandiera tricolore ed, al centro, la stella a cinque punte.


Nel mezzo della sala è anche leggibile il trinomio rivoluzionario:


«libertà-uguaglianza-fratellanza»


 


Se poi, oltre a quanto appena riferito, teniamo presente che la stella esoterica massonica (il pentalfa) è presente nell’emblema della Repubblica italiana, come lo era in quello del Regno d’Italia (le stellette a cinque punte compaiono, peraltro, sul bavero delle uniformi militari italiane) e che l’inno nazionale principia con la parola “fratelli” (appellativo questo con il quale i frammassoni si chiamano fra loro), il quadro è più che completo!


                                

  Stemma del Regno d’Italia                          Stemma della Repubblica italiana


Per l’insieme di tutti questi motivi, quantunque inizialmente io abbia stentato a crederci, alla fine ho dovuto – mio malgrado – farmene una ragione; e mi sono soprattutto reso conto che il simbolismo massonico non riguarda solo aspetti puramente formali e fine a se stessi. Esso sottende, al contrario, motivazioni storiche, culturali, ideologiche, politiche, economico-finanziarie, religiose, morali, – in una sola parola: esistenziali – ben più profonde, le quali conducono ad una concezione della stessa vita dell’uomo totalmente diversa da quella cattolica. Per queste ragioni, sussiste un’assoluta incompatibilità tra il cattolicesimo (bimillenaria fede religiosa del popolo italiano) e la libera muratoria; tanto è vero che, in base ad una specifica norma di Diritto Canonico (il canone 1374 del Codex Iuris Canonici del 1983), i cattolici affiliati alle associazioni massoniche versano in stato di peccato grave e non possono accedere alla Santa Comunione.

Ma purtroppo, ad opera della stessa massoneria, in circa tre secoli (dal 1717 ai giorni nostri), nel mondo moderno è stato anche realizzato un lento ma inesorabile processo di scristianizzazione, per cui le tradizionali e “naturali” radici cristiane dell’Italia (non disgiunte da quelle dell’Europa) sono state artatamente soppiantate dalle moderniste ed “artificiali” radici ateo-massoniche.

Che delusione!



Telese Terme, ottobre 2012.


dott. Ubaldo Sterlicchio
tratto da:  http://associazione-legittimista-italica.blogspot.it/2012/10/il-tricolore-simbolo-massonico.html

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