lunedì 17 settembre 2012

Italiani del sud nella guerra civile americana

Si trattava della Italian Guards e del battaglione Garibaldi Legion
di: Gaetano Marabello

Pochi sanno che la guerra civile americana che, tra il 1861 e il 1865, oppose gli Stati dell’Unione a quelli della Confederazione sudista vide su entrambi i fronti anche una partecipazione italiana.
Tutto ebbe inizio il 14 ottobre 1860, con l’arrivo a Napoli dell’avventuriero virginiano Chatam Roberdau Weath. Si era in un momento cruciale per le vicende italiane e molti stranieri, tra cui l’americano in questione, le seguivano addirittura di persona.
Però, allorché di lì a poco giunse la notizia che Abramo Lincoln aveva vinto le elezioni presidenziali, la possibilità di una secessione degli Stati agricoli del Sud si fece sempre più vicina. Circostanza, quest’ultima, che a sua volta avrebbe condotto inevitabilmente alla guerra civile anche al di là dell’Atlantico, essendo Lincoln ferocemente unionista. A quel punto, Weath si guardò attorno in previsione del peggio.
Pensò allora di rivolgersi a Garibaldi, per chiedergli di poter effettuare un reclutamento di volontari tra i prigionieri dell’esercito borbonico. Aveva infatti intuito che quell’elezione avrebbe provocato di lì a breve l’avvio d’ostilità tra unionisti e secessionisti. Doveva dunque far qualcosa per aiutare la Virginia. E così, tramite Liborio Romano, che era rimasto in sella anche con il cambio di regime avendo tradito il suo ex sovrano Francesco II, ottenne una prima lista di reclute. In realtà, si trattava di 189 veterani, perché erano soldati borbonici che avevano capitolato nella fortezza di Capua dopo la sfortunata battaglia del Volturno. Questo contingente iniziale fu spedito a New Orleans, che era una delle città più importanti del blocco secessionista. Inizialmente, non vi furono problemi con il governo dittatoriale, anche perché tali imbarchi sfoltivano il numero dei prigionieri borbonici da mantenere. Certo, costoro - come del resto tutta la gente dell’ex Regno delle Due Sicilie - erano legatissimi alla loro terra d’origine, al punto da temere più la lontananza da casa che il plotone d’esecuzione (come dovrà ammettere lo stesso Visconti Venosta). Tuttavia, a determinarne la scelta non fu soltanto la volontà di sottrarsi alle durissime carceri dell’epoca, situate in buona parte in Piemonte e quindi lontano da casa. Su di loro agì essenzialmente il rifiuto di arruolarsi nell’esercito piemontese subentrato a quello garibaldino: un giuramento di fedeltà a Vittorio Emanuele II avrebbe comportato l’insopportabile abiura di quello prestato in precedenza al re napoletano. Le partenze proseguirono. Si dovette attendere lo scoppio della guerra civile perché, a seguito delle pressioni dal console americano di Lincoln a Napoli, il flusso di ex borbonici verso la Confederazione nemica si arrestasse. A quel punto toccava all’Unione, la quale aveva posto nel frattempo il blocco navale ai porti sudisti privi di una flotta capace d’opporvisi, proseguire l’opera di reclutamento a suo favore. Stando ad un documento del Ministero dell’interno del Regno d’Italia del 23 giugno 1863, per la nostra penisola partivano in incognito schiere di emissari nordisti. Essi avevano il compito di “adescare” i giovani con false promesse e di “portarli a New York, dove sarebbero stati costretti a prendere le armi”. Come si vede, era un tipo di arruolamento forzato e fondato sull’inganno. Sul versante opposto, si stima che, su circa 1.800 volontari italiani reclutati tra le schiere secessioniste, i militari borbonici siano stati molti di più dei 189 sopra ricordati. Purtroppo, le drammatiche vicende finali della guerra americana portarono alla distruzione (spesso voluta dalle stesse autorità al momento della capitolazione) dei ruolini militari. Ciò ci impedisce di conoscere ancor oggi il numero esatto e molti dei nominativi di questi eroici soldati. Si sa comunque con sicurezza che esistettero tre Brigate europee, poi ridotte ad una, in cui figurarono l’Italian Guards e il battaglione “Garibaldi Legion”.
Quest’ultima denominazione può apparire alquanto strana per un raggruppamento in cui figuravano ex borbonici. Ma va detto che, prima della secessione, persino molti mazziniani (oltre allo stesso Mazzini) simpatizzavano per gli Stati americani del Sud. Solo successivamente, anch’essi si schierarono per il Nord sotto l’ondata emotiva della propaganda abolizionista. Comunque, stando ad una lettera del 16 aprile 1862, indirizzata dal maggiore Gaudenti Marzoni al generale Lovell, la sigla “Garibaldi Legion” figurò fino a tredici giorni prima del suo scioglimento. In questo breve lasso di tempo residuo potrebbe esser stata sostituita, probabilmente per le proteste degli ex militari borbonici a combattere sotto una denominazione che ricordava l’ex nemico. Comunque, ad onta del suo cognome, va detto che addirittura ci fu un Garibaldi (Gian Battista), il quale militò per tutta la guerra coi confederati nella compagnia C del 27° reggimento della Virginia. Egli, che era nativo della Liguria, non si pentì mai della scelta di campo e volle essere seppellito molti decenni dopo accanto all’amato generale Robert Lee. Il noto rifiuto del Nizzardo ad essere impelagato nella guerra americana impedì ai due di trovarsi uno dinanzi all’altro. Inizialmente, gli italiani furono utilizzati soltanto in attività di polizia locale. In tale veste, ebbero modo di distinguersi, in particolare, tra il 25 e il 30 aprile 1862, allorché New Orleans fu abbandonata dalle truppe sudiste.
La dolorosa ritirata era stata imposta dall’incalzare del “macellaio” Benjamin Franklin Butler, un rinnegato sudista che comandava una colonna nemica. Nella circostanza, i nostri compatrioti seppero mantenere l’ordine in una città, piombata in preda al terrore dell’imminente occupazione ed esposta alle violenze degli immancabili sciacalli. A maggio di quell’anno, tuttavia, le Brigate straniere vennero sciolte, anche se si erano comportate bene. Il fatto però che tra i nordisti esistesse un reggimento, composto in parte da esuli mazziniani e denominato “39 New York Volunteers”, spinse poi molti ex soldati borbonici a chieder alla spicciolata l’arruolamento in varie unità sudiste combattenti. Essi ebbero così modo di distinguersi in battaglia. Il primo a battersi fu il Decimo reggimento fanteria Louisiana, che contribuì alla seconda vittoria di Bull Run (Manassas) del 1862. Lì, rimasti a corto di pallottole, gli ex borbonici si ricordarono forse della battaglia di Calatafimi, dove s’erano trovati in analoga situazione di difficoltà, e lanciarono sassi contro il nemico. Quindi, aggregato al mitico generale Thomas Jonathan Jackson, detto Stonewall (“Muro di pietra”), il reggimento partecipò a tutta una serie di scontri vittoriosi. Ne uscì però sempre più falcidiato nei ranghi, tanto che, al momento della resa del 10 aprile 1865, restavano in piedi solo 18 uomini! Ottenne l’onore delle armi dal generale Grant, insieme con il resto della gloriosa Armata della Virginia di Lee.
Una menzione ulteriore meritano pure i volontari ex borbonici, che furono inquadrati nella compagnia H del 22° reggimento della Louisiana. L’unità venne assegnata alla brigata Thomas della divisione Mouton-Polignac. L’8 aprile 1864, essa partecipò al vittorioso scontro di Mansfield vicino Sabine Crossroad. In quella circostanza, il generale Richard Taylor, che la guidava alla testa di circa 9.000 uomini, giunse a disattendere le disposizioni del comando. Poiché le sorti del conflitto erano ormai compromesse, gli ordini imponevano ormai di tenersi inevitabilmente sulla difensiva a causa della disparità di forze col nemico. In quel frangente le colonne del generale nordista Nathaniel P. Banks erano forti di 25.000 soldati ottimamente armati e stavano seminando indisturbate il terrore nel cuore della Louisiana. Gli unionisti erano sicuri di non avere ostacoli, sicché l’attacco di sorpresa, portato da Taylor attraverso la fitta foresta di pini che copriva la zona, inferse loro un’inattesa e dura lezione. Purtroppo, l’effetto della vittoria fu vanificato dai contrasti con il generale Kirby Smith, il quale arrivò a negare a Taylor un distaccamento di Walter Texas con cui avrebbe potuto riconquistare New Orleans.
A questo punto qualcuno si starà chiedendo se le operazioni belliche abbiano mai costretto gli Italiani dei due schieramenti a battersi tra di loro. Va detto al riguardo che la guerra di secessione portò fortunatamente solo una volta gli Italiani incrociare le armi. Lo scontro avvenne nella battaglia di Harpers Ferry del 15 settembre 1862.
In quell’occasione fu fatta prigioniera un’intera guarnigione nordista di ben 12.000 uomini. Tra di loro vi era il 39° reggimento New York. Era conosciuto anch’esso come “Garibaldi Guards”, ma non va confuso con quello sudista di cui s’è detto. Sull’altro lato della barricata, si trovò l’accennato Decimo reggimento sudista, che inquadrava - come s’è detto - molti borbonici in giacca grigia.
Quando venne concordato a fine battaglia uno scambio di prigionieri, quelli italiani del 39° reggimento New York furono scortati da quelli del Decimo Reggimento che li avevano catturati. Il generale “Stonewall”, vedendoli sfilare, chiese allora al capitano Antonio Santini chi fossero quegli italiani che indossavano la divisa blu dei nordisti. “Sono solo degli yankees cresciuti in casa nostra”, fu l’ironica risposta.

http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=16721

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