martedì 18 settembre 2012

COME HA SAPUTO MORIRE GIUSEPPE SOLARO


"NOI SIAMO I VERI RIBELLLI, PER GLI ALTRI E FACILE FARSI CHIAMARE RIBELLI QUANDO SI CREDE DI AVERE GLI ESERCITI AMICI A POCHI GIORNI DI DISTANZA, QUANDO SI RITIENE LA VITTORIA GIA' SCONTATA, QUANDO SI PENSA DI ESSERE DALLA PARTE DEL PIU' FORTE, DELL'ORMAI INVINCIBILE..."GIUSEPPE SOLARO

COME HA SAPUTO MORIRE GIUSEPPE SOLARO Tutta l'esperienza di Giuseppe Solaro, fino all'estremo sacrificio, affrontato con una serenità e una fierezza che hanno del sovrannaturale, è un fulgido esempio di fede, di passione italiana. Di modesta famiglia (il padre era operaio delle ferrovie e aveva altri due figli), egli seppe, attraverso molti sacrifici e con ferrea volontà, giunger fino alla laurea . Nato nel 1914, fu entusiastico elemento del GUF di Torino, combatté volontario in Spagna e partecipò con onore all'ultima guerra mondiale, quale ufficiale di complemento di artiglieria. Dopo l'8 settembre fu tra i primissimi ricostruttori dei Fascismo torinese e fu Segretario Federale fino al sopraggiungere del crollo. Sapeva trasfondere la fede purissima che lo animava in quegli italiani che avevano voluto raccogliersi attorno al vessillo della rinascita e con mano ferma guidava il Fascismo torinese nel travagliatissimo periodo che straziava la Patria. Ma non meno vasto e profondo era il contributo di cultura e di opere che dedicava alla vita della Repubblica Sociale Italiana. Già collaboratore dell'organo del GUF, trattava ora, sia nell'organo Federale La Riscossa che su La Stampa i principali problemi di quei momenti difficilissimi, e, in primo luogo, quello della socializzazione, di cui era uno studioso competente e un convinto e fervente assertore. Istituì, dopo la emanazione delle leggi relative, dei corsi di preparazione operaia sull'economia socializzata e pubblicò opuscoli illustrati accessibili al lavoratori. Un suo studio fu anche presentato al Duce e fu particolarmente apprezzato. Viveva per la Causa e tutto se stesso aveva votato alla Causa; in un modesto ambiente, nell’ammezzato della Federazione, erano con lui la moglie e due tenere bambine. Il fervore, la fede degli Italiani che credevano nella rinascita a nulla valsero e venne il giorno del crollo, al quale Solaro non sapeva rassegnarsi. Egli voleva, ora, soprattutto realizzare lo scopo di tutelare le famiglie, gli averi e la vita dei fascisti e per questo si assunse la responsabilità di intavolare trattative col CLN, con la mediazione di Don Garneri, parroco dei Duomo, onde, evitare spargimento di sangue. Avvennero alcuni incontri in Prefettura per concordare il trapasso delle consegne. Egli, con grande altruismo, pose subito come condizione che si escludesse qualsiasi riferimento alla sua sorte personale. Un ultimo convegno avrebbe dovuto avvenire in Prefettura il giorno di venerdì 27 aprile per la ratifica degli accordi intervenuti: senonché nessuno dei CLN si fece più vivo. Telefonò soltanto Don Garneri dicendo che all'ultimo momento gli elementi dei CLN non vollero saperne di trattative coi fascisti e tutto fu annullato. E qui bisogna ricordare un episodio che fa onore tanto alla memoria di Solaro quanto all'ora Alto Commissario per il Piemonte, Grazioli. I tedeschi avevano, a loro volta, intavolato trattative col CLN, tendenti soltanto ad ottenere il ripiegamento indisturbato dei loro reparti dalla frontiera alpina, e, per ottenere lo scopo, avevano concentrato al Vallino, scalo commerciale della stazione di Porta Nuova, alcuni vagoni carichi di esplosivi con la minaccia di farli saltare qualora i patti non fossero stati conclusi ed osservati. Venuto ciò a conoscenza di Solaro e Grazioli, entrambi intervennero con energia ed ottennero che i vagoni venissero allontanati, e così fu sventata la minaccia di distruzioni gravissime nel centro della città. Si consegnò spontaneamente ad un colonnello dei carabinieri di cui si riteneva amico, ma questi non poté o non volle salvarlo. Solaro non fu più rivisto dai suoi tre compagni di sventura, i quali, nella stessa giornata del 28 aprile, vennero trasferiti alla Questura centrale. L'indomani, domenica 29, nelle prime ore del pomeriggio si aprì ad un certo momento lo sportellino della cella dov'erano rinchiusi i tre camerati e si affacciò una bieca figura di partigiano comunista, il quale disse con compiacimento: 'I1 vostro Solaro è stato impiccato poco fa e la stessa sorte subirete anche voi tra breve'. Il che, fortunatamente non si verificò. Risultò poi che Solaro, al quale era stato concesso di parlare con Don Garneri, dal quale sperava per lo meno un benevolo intervento, venne portato dinnanzi ad una specie di tribunale partigiano del quale facevano parte, tra altri, Osvaldo Negarville, fratello di Celeste (che fu, oltre che parlamentare, anche Sindaco di Torino), Barbato (Pompeo Colaianni) e un comandante Maian, non meglio identificato. A Solaro venne attribuita, fra le tante altre, anche la responsabilità dell'impiccagione di quattro partigiani in Corso Vinzaglio, come rappresaglia per l'uccisione di Camicie Nere della Divisione Leonessa. Responsabilità da cui Solaro era completamente immune, poiché la rappresaglia era stata unicamente opera dei tedeschi. Conseguenza fu che Solaro venne condannato a subire, a sua volta, l'impiccagione nello stesso sito di Corso Vinzaglio.La radio, alle ore 13, aveva dato notizia della condanna, aggiungendo che alle 14 avrebbe avuto luogo l'esecuzione insieme a quella di altri tre fascisti; ma all'ultimo momento il supplizio venne riservato al solo Solaro. Egli venne caricato su di un camion alla Caserma Bergia, e con lui fu fatto salire anche Don Garneri per l'assistenza spirituale; il tragitto fino al luogo dell’esecuzione avvenne fra sputi e contumelie. Naufragata ogni speranza di un pacifico trapasso di poteri, fu stabilito il ripiegamento delle forze fasciste, che vennero concentrate nella Caserma Bergia della GNR, in Piazza Carlina; la colonna partì nella notte verso la Lombardia. Ma i mezzi di trasporto erano scarsi, e vi erano dei familiari, donne e bambini, e dei feriti da porre in salvo, per cui non vi era posto per tutti. Coloro che partirono si salvarono, poiché furono concentrati poi a Coltano e, dopo i soliti processi e le non meno solite condanne, poterono, col tempo, fruire delle amnistie; e così sarebbe stato anche per Solaro. Ma egli preferì cedere il suo posto nella colonna ad altri e restò, con alcuni dei più fedeli, in città, passando la notte negli uffici dei Consorzio dei latte, di cui era Commissario uno dei Vice Federali, Astengo. Questi, il mattino successivo, fidando sulla bontà di elementi dello stesso Consorzio (il cui stabilimento era in corso Stupinigi ora Corso Unione Sovietica, e gli uffici in Via Ospedale, ora Via Giolitti, angolo Via Carlo Alberto, dov'erano Solaro e compagni), propose di consegnarsi ai membri dei CLN dello stesso Consorzio. Questi vennero, ma presero con sé il solo Astengo, dicendo che sarebbe tornato il camioncino a prendere gli altri. Dopo parecchio tempo venne un camion, ma era condotto da partigiani installatisi nella Caserma Bergia, dove Solaro e altri tre camerati vennero riportati. Rimasero colà tutta la notte del 28, assistendo a scene selvagge di percosse e maltrattamenti inflitti a fascisti ed ausiliarie, mentre vennero risparmiati i quattro, che risultavano ancora sconosciuti ai loro carcerieri. Erano già in servizio carabinieri ancora in borghese, i quali fecero quanto potevano per frenare gli istinti belluini dei partigiani col fazzoletto rosso, assetati di sangue. Solaro si presentò poi alla Caserma Cernaia, che era stata sede della Brigata Nera 'Ather Capelli', della quale Solaro, come Federale, era stato comandante, e che è situata, si può dire, a pochi metri da Corso Vinzaglio; qui vennero scattate fotografie, fra cui quella che pubblichiamo. In tutto questo frattempo il contegno di Solaro fu improntato a grande e serena fierezza, nessun segno di debolezza, ma la cosciente, intima forza derivante dalla certezza di immolarsi per una Causa in cui aveva fermamente creduto e che un giorno avrebbe finito col trionfare. In un primo tempo la macabra scena dell'impiccagione fallì, poiché il ramo cui era stato appeso il martire si ruppe ed egli rimase in vita. In altri tempi pare che gli scampati ad un'esecuzione capitale venissero graziati; ma questo non fu il caso di Solaro, i cui carnefici si affrettarono a ripetere l'operazione con un ramo più robusto, e questa volta, per loro, la cosa andò bene. La scena obbrobriosa che ricorda, per la sua bestiale efferatezza, Piazzale Loreto, avvenne in seguito. Le spoglie, sempre col cappio al collo, vennero legate ad uno dei traversini che sorreggono la copertura dei camion, e in bocca al 'giustiziato' fu introdotto un mozzicone di sigaretta. Il macabro veicolo percorse le vie principali, con fermate al crocicchi per fare ammirare alla folla il triste spettacolo. Si disse poi, ma non abbiamo elementi sicuri al riguardo, per quanto la cosa in quel momento e in quel clima rovente appaia tuttaltro che inverosimile, che, giunto il camion sulle rive del Po, il cadavere sia stato gettato fra le onde e fatto bersaglio ai tiri di coloro che erano sulla sponda del fiume. E infine venne ripescato e gettato sul parapetto, donde, in una rudimentale cassa, fu fatto proseguire per l’obitorio. Come un popolo, ricco di millenaria civiltà, abbia potuto esprimere dal suo seno certa gente, che di umano aveva solo le sembianze, ci appare ancora adesso, a distanza di tanti anni, inspiegabile. da “LA LEGIONE”Giuseppe Solaro restò a Torino, per coordinare i suoi 2000 franchi tiratori, appostati sui tetti e le soffitte di Torino, e votati alla morte .Essi spararono contro i partigiani sino al 7 maggio, ed infatti 321 partigiani la pagarono con la pelle. Giuseppe Solaro, catturato, fu impiccato ad un albero in Corso Vinzaglio il 2 maggio .Poi, fu portato, appeso ai tralicci di un camion, in giro per le strade di Torino. In Borgo S. Paolo,. il più "rosso" di Torino, furono molte le donne fasciste che resistettero ai partigiani. I quali, resi furibondi da questa inaspettato opposizione, fucilarono intere famiglie di fascisti o presunti tali. Dettero la caccia al Colonnello Cabras, il quale si era allontanato verso Ivrea con i suoi 25.000 uomini, e si era poi arreso agli americani. Quattro torinesi pagarono con la vita la loro rassomiglianza col Colonnello Cabras: un professore, che fu impiccato; poi un operaio della SPA; poi un ferroviere, uscito dallo scalo merci del Vallino, in divisa da frenatore e con la borsa degli attrezzi.....fu impiccato ad un balcone, poi un quarto uomo, condannato come "Cabras" dal CMRP (CLN).....Ma Cabras si era salvato, con i suoi uomini.

Alfredo Casalgrandi

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