Risposta a gladstone

I luoghi comuni

E’
grazie anche alla bugia del Gladstone, alla demonizzazione del reame e
dinastia dei Borbone se oggi possiamo ancora ironizzare sul ‘meridione’ e
sul ‘borbonismo’ con l’amministrazione borbonica, sistema borbonico,
metodi borbonici, polizia borbonica, esercito di Franceschiello ed altri
luoghi comuni ben radicati sia all’estero che in Italia. Per forza!
Dopo 140 anni di storia sempre scritta dai “vincitori”, solo di recente
sono stati pubblicati molti libri e documenti che mettono molti puntini
sulle “i”, altro che conquista militare del SUD, altro che eroi su
cavalli bianchi con sciabole sguainate o plebisciti dall’unanime
consenso di cui sono zeppi i libri scolastici e non solo quelli.
A
titolo di provocazione potremmo consultare qualche ottimo avvocato per
vedere se si possono chiedere i danni morali allo stato italiano per
avere, per un secolo e mezzo, ingannato i cittadini napoletani. Comunque, ritornando a noi,
le carceri borboniche non erano ne più ne meno come tutte le altre
carceri europee di quel periodo, con pene ordinarie e
straordinarie………..con frustate e legnate. Dal
Codice Penale delle Due Sicilie datato 1819, succeduto a un decreto del
1817, possiamo trarre qualche notizia sulle principali pene vigenti nel
Reame di Napoli: morte, ergastolo, ferri(con catena singola o doppia),
reclusione, relegazione, esilio, interdizione. Un’altra
pena istituita nel 1826 era quella delle legnate riservate ai
condannati ai lavori forzati per indisciplina, e somministrate
nell’atrio del carcere davanti a una Commissione che doveva ascoltare le
dichiarazioni degli imputati. Questo castigo era in uso anche negli
altri stati della penisola come il Lombardo-Veneto, mentre a Modena e a
Reggio si usava la verga per le donne e i minori di 18 anni e i colpi
dovevano essere superiori a 5 ed inferiori a 20. Nei vari stati le pene
di morte variavano, c’era il taglio della testa, l’impiccagione o la
fucilazione. Legnate, anzi frustate a iosa erano invece previste nelle
pene dei codici inglesi della stessa epoca, già, proprio nella patria di
Gladstone(lui però visitava solo quelle borboniche). Nelle
carceri delle Due Sicilie, anche i carcerieri erano soggetti a
disciplina e punizioni in caso di abusi. Un’altra curiosità delle
carceri “borboniche” era il servizio religioso molto curato in cui i
sacerdoti si impiegavano nelle messe e altri compiti assistenziali per i
carcerati. Dal Codice del 1819 si legge anche: “…Il pavimento del
carcere si laverà ogni 15 giorni……..il carcere si imbiancherà ogni sei
mesi, sarà mantenuto anche il barbiere dei poveri…..e non potrà
pretendere compenso alcuno dai detenuti…….il barbiere raderà i capelli a
tutti coloro che giungeranno al carcere e si dichiareranno poveri.
Raderà a costoro la barba una volta a settimana. Il fornitore
stipendierà anche il lavandaio dei poveri, le biancherie dei letti e le
camicie saranno cambiate ogni 8 giorni, se pure non occorresse farlo più
sovente.”
Adesso andiamo a curiosare presso le carceri inglesi e non avendo a disposizione i Codici Penali di Sua Maestà Britannica, abbiamo reperito qua e là qualche notizia sui ‘civilissimi sistemi inglesi’. Potremmo iniziare accennando
alle migliaia di detenuti irlandesi poi trasferiti nelle galere della
nuova Australia, oppure alla rivolta dei Sepoy in india, quando nel 1857
a Canawpore la repressione inglese fece salire il sangue fino alle
ginocchia, ma rischieremmo di diventare noiosi. Citiamo così la prigione
di Newgate(Londra) nel 1701, dove fu rinchiuso per un anno il famoso
pirata William Kidd prima di essere giustiziato e appeso in una gabbia
metallica sul tamigi fino alla totale decomposizione del corpo. Newgate
fu costruita nel 1200 ed era la prigione più importante di Londra.
Persino per i criteri dell’epoca era un luogo disgustoso, talmente
sovrappopolato che i detenuti dormivano in due o tre su ogni
pagliericcio, e tanto infestato da parassiti che le pulci venivano
schiacciate sotto i piedi ‘come ghiaia sul viale di un giardino’. Il
fetore e l’umidità erano tali che i prigionieri venivano lavati con
l’aceto prima di comparire davanti alla Corte e i visitatori avevano
l’abitudine di portare con sé mazzi di fiori in cui affondare il proprio
naso. …. I prigionieri dovevano pagare l’affitto per le loro celle e i
carcerieri pretendevano somme esorbitanti per qualsiasi cosa…., fogne aperte attraversavano le celle …. Un prigioniero la definì IL SIMBOLO DELL’INFERNO…

N.B. -il corsivo è aggiunto-
Il Codice Penale borbonico del 1819. Era firmato da Ferdinando I e dal Ministro di Grazia e Gustizia marchese Tommasi.
Secondo
gli usi dell’epoca i detenuti non potevano restare nell’ozio, ma
dovevano lavorare retribuiti, a vantaggio di se stessi e della società,
con lavori pesanti solitamente su strade pubbliche, bonifiche, calamità
naturali, ecc. Erano ovviamente incatenati ai piedi e sorvegliati da
guardie armate durante il lavoro.
Fig. 3:
Il
cadavere del pirata William Kidd penzola in una gabbia di ferro alle
foci del fiume Tamigi, come monito ai marinai che transitavano in quel
punto. Il cadavere del famoso pirata, (che tra l’altro pare fosse stato
condannato ingiustamente), dovette stare, spalmato di pece perché si
decomponesse il più tardi possibile.
La foto è tratta dal volume ‘Pirates’, edizioni Time Life Books 1978.
Fig. 4:
L’ingresso
dell’antica prigione inglese di Newgate (Londra), si possono notare le
tre statue simboleggianti la Giustizia, la Verità e la Misericordia.
Statue che evidentemente servivano a poco poiché per le orrende
condizioni di detenzione, la prigione fu definita “il simbolo
dell’inferno”. La stampa risale al ‘700, la foto è tratta dal volume
‘Pirates’, edizioni Time Life Books 1978.
http://napoilitania.myblog.it/archive/2008/06/28/risposta-a-lord-gladstone.html
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