L’Italia e la Germania volevano cambiare gli equilibri europei nel Vicino Oriente e nel bacino mediterraneo.
Questo articolo tratta dell’analisi sviluppata in un documento
dell’Archivio diplomatico circa un’ipotetica proposta di unificazione
della politica anglo-francese - nell’area mediterranea e nel Vicino
Oriente - in senso antifascista e antinazista due anni prima
dell’invasione della Polonia.
A fianco di questa riflessione si indicano i caratteri non solo
ideologici ma anche alcuni aspetti pragmatici – a tinte anti-italiane ed
antitedesche - riscontrabili nella politica di Londra e Parigi, il
ruolo dei movimenti di emancipazione interni alla regione, i loro
rapporti con quelle che saranno le Potenze dell’Asse Roma-Berlino,
infine si fa un cenno all’influenza del movimento sionista sul quadro
complessivo delle relazioni e ad alcuni rapporti specifici da esso
intrattenuti. Complessivamente l’articolo desidera sottolineare il
rilievo della regione presa in esame in relazione alle origini del
secondo conflitto mondiale e ad alcuni suoi sviluppi.Spesso, nell’ambito storico-divulgativo riconducibile alla Seconda Guerra Mondiale e al periodo che l’ha preceduta, si riscontra la tendenza a sottovalutare l’importanza degli equilibri del Vicino Oriente e del bacino mediterraneo in relazione alle cause, agli sviluppi ed alle conseguenze del conflitto. L’elevato numero di vittime, la rilevanza politica e la vicinanza geografica dei Paesi europei hanno sempre catalizzato un’attenzione prevalente, in parte giustificabile, nello studio del principale fenomeno bellico novecentesco.
Risulta d’altro canto chiarissimo il ruolo tutt’altro che trascurabile giocato dall’area nordafricana e dal Vicino Oriente dal punto di vista generalmente geopolitico e non semplicemente in relazione a quell’approvvigionamento petrolifero-energetico a cui spesso si riducono i termini della questione. Il carattere altamente simbolico della Terra Santa (“Santa” per diverse religioni), la posizione di snodo tra Europa, Asia e Africa, il fatto che le coste di questa area siano bagnate dal Mar Mediterraneo e dall’Oceano Indiano, la presenza di antiche e nuove vie commerciali fanno di questa porzione del globo un centro di primaria importanza in cui fin da epoche lontane sono fiorite e si sono combattute sintesi politiche tra le più varie.
In modo analogo, nello studio della Seconda Guerra Mondiale, si tende ad identificare negli interessi e nelle ambizioni delle cosiddette potenze “nazifasciste” la sola causa del conflitto, riducendo le responsabilità e le ambizioni di quelli che furono i “Paesi vincitori” ad un ruolo meno che secondario.
Interessante, per cogliere entrambi gli aspetti che abbiamo qui esposto, un documento presente nell’Archivio Storico del Ministero degli Affari Esteri marcato come “SEGRETO” dal titolo “Unificazione della politica anglo-francese per la lotta contro il Fascismo e il Nazismo nell’Oriente Arabo e nell’Africa Occidentale”.
Questo documento del dicembre 1937 ancora una volta sottolinea la volontà, da parte italiana, di favorire le spinte centrifughe1 interne all’Impero britannico con il chiaro scopo di indebolirne l’immagine e di bilanciarne l’influenza: il testo pare composto da persone aventi una certa dimestichezza con i resoconti di alcuni consessi internazionali (in particolare Peel Commission e Società delle Nazioni) e ben informate sulle dinamiche dell’area. Il dato però più rilevante è certamente quello riguardante l’asserita proposta di “unificazione” della politica anglo-francese con scopi anti-italiani e antitedeschi quasi due anni prima dell’invasione della Polonia. L’idea di questa cooperazione sarebbe stata principalmente francese, come del resto fu francese, in seguito allo scoppio delle Guerra Civile spagnola del luglio 1936, l’aiuto militare a quei repubblicani contro i quali si coalizzarono poco tempo dopo le forze italiane e tedesche.
Secondo il documento, la Francia, per quanto concerneva il Proche-Orient, non aveva sostanzialmente gradito il recente - luglio 1937 - progetto di spartizione della Palestina2 per tre ordini di motivi: il rischio che Palestina e Transgiordania facessero causa comune con la Siria (sotto controllo francese) rischiando di diventare un detonatore politico «per la realizzazione dell’unione panaraba»3, l’inevitabile insorgere di scontri che avrebbero potuto ripercuotersi anche sull’Africa Occidentale francese ed infine il rischio che i Luoghi Santi restassero per un tempo indefinito sotto controllo britannico.
Queste ragioni, unite al «vasto campo di azione e di propaganda» in Palestina e Africa da parte di italiani e tedeschi avrebbe spinto il governo di Parigi ad una più stretta collaborazione con Londra, ai danni di Roma e Berlino. Nel documento si prospetta uno scenario piuttosto delineato: «La Francia ritiene che la persistenza di tale propaganda possa creare un’atmosfera ostile tanto all’Inghilterra che alla Francia. Si rende necessaria, quindi, un’azione comune ed urgente per combatterla»4. Per questo il Governo francese consiglierebbe «la cooperazione delle due Potenze, Inghilterra e Francia, per lottare contro l’influenza fascista e nazista che negli ultimi anni assume grandi sviluppi nei Paesi arabi e nell’Africa Occidentale»5.
Con quali attuazioni pratiche? Oltre alla collaborazione appena accennata, per il governo di Parigi sarebbe stato necessario un riavvicinamento ai circoli arabi ufficiali attraverso: «a) la creazione di una suprema rappresentanza araba sotto l’egida delle due Potenze alleate; b) la conclusione di accordi in tale senso con i governi dell’Egitto, dell’Irak e del Regno Arabo Saudiano; c) la soluzione, anche temporanea, del problema palestinese che sia accetta agli Arabi; d) lo sviluppo dei paesi sotto l’influenza francese nell’Africa Occidentale, come l’Algeria, la Tunisia e il Marocco; e) l’applicazione dell’accordo franco-siriano6; f) l’appoggio a Re Ibn Saud nelle questioni relative alla ferrovia dell’Hegiaz ed Akaba7»8.
L’area dell’Hagiaz e l’adiacente Aqaba (in particolare quest’ultima) avevano certamente un peso geopolitico di primo livello e il porto della città attirava le attenzioni di Ibn Saud; del resto, come ricorda Clive Leatherdale nel suo “Britain and Saudi Arabia, 1925-1939: the Imperial Oasis”: «Whoever controlled Aqaba possessed considerable leverage over that part of Middle East»9. Già nella Prima Guerra Mondiale, come riportato in “The encyclopedia of World War I”: «the capture of Aqaba was the most important victory to that point in the Arab Revolt. It allowed the British to supply money and weapons directly to Arab forces operating in the desert flank of the fighting in Palestine»10.
Fin da questi primi elementi risulta evidente, ancora una volta, come il movimento d’emancipazione arabo fosse considerato un pericolo agli occhi di francesi e inglesi e nel medesimo tempo potesse rappresentare un’opportunità per quei governi italiano e tedesco verso i quali si erano rivolte le attenzioni del Vicino Oriente.
Per queste ragioni sarebbe più opportuno parlare di “avvicinamento” o “attenzioni reciproche” piuttosto che di “propaganda”, rischiando di identificare i popoli della regione ed i loro esponenti principali non come soggetti delle relazioni in esame ma come oggetti pressoché passivi. In particolare nella seconda metà degli anni ’30 il progressivo adattarsi dell’Italia alla linea antiebraica tedesca, l’attrazione per la “rinascita nazionale” dei due Paesi e l’antagonismo da essi incarnato rispetto alle Potenze mandatarie, furono senza dubbio – visto il fascino che potevano suscitare nella regione - elementi di preoccupazione per Londra e Parigi.
Nei Paesi in questione, gli inglesi tenderanno a perseguire una linea di divisione “monarchica”, favorendo prima e dopo la guerra l’instaurazione di dinastie ereditarie, per due ragioni che ci paiono piuttosto evidenti: il mantenimento e la diffusione del “modello monarchico”, la cui preservazione era naturalmente molto cara alla famiglia reale e, ancora più importante, la naturale gelosia e le inevitabili separazioni territoriali che le dinastie insediate o di prossimo insediamento volevano custodire con fermezza. Non sarà un caso se negli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale diverse monarchie filoaltantiche dell’area saranno abbattute in nome di un’indipendenza verace. La citata “conclusione di accordi” con «i governi dell’Egitto, dell’Irak e del Regno Arabo Saudiano» andava ad inserirsi probabilmente in questo solco. Allo stesso tempo risulta ancora una volta chiaro come la posizione dei sauditi - con un ruolo di elemento di divisione rispetto agli equilibri della regione - potesse rappresentare una testa di ponte nel Vicino Oriente per gli interessi di potenze straniere. Non a caso, nel resoconto circa la presunta “unificazione della politica anglo-francese”, ci sarà un chiaro riferimento al contatto con Ibn Saud.
Dopo un cenno alla “collaborazione con la Turchia”, parlando di una “seconda fase” si riferisce: «La Francia che è la promotrice di questa idea, si propone di inviare in missione Giamil Mardan Bey e il Conte di Martel presso Re Ibn Saud per intrattenerlo sull’argomento. È noto che Ibn Saud è ostile al progetto di spartizione della Palestina, perché esso consolida la posizione dell’Emiro Abdullah e anche perché l’unione della Palestina ad altri Paesi arabi lede gli interessi del Regno Arabo Saudiano. Il viaggio di Mardam Bey e del conte di Martel è in serio esame»11.
L’Inghilterra parve disponibile ad accogliere le istanze francesi ma «non con entusiasmo»12 e mantenendo «il proprio punto di vista al riguardo»13. Certamente da Londra si badava a mantenere buoni rapporti con gli arabi temendo la penetrazione italiana e tedesca, per questo il governo britannico riteneva «opportuno rafforzare i rapporti col Regno Arabo Saudiano» e allo stesso tempo era convinto che «la propaganda fascista e nazista [venisse] fatta attraverso la Palestina, l’Egitto e lo Yemen perché la posizione dell’Inghilterra in questi paesi [era] alquanto scossa»14.
In uno degli ultimi punti del documento si arrivava ad affermare: «La Francia stessa ha dichiarato apertamente al governo britannico che fino a che non cessi il pericolo fascista e nazista sarà necessaria un’azione comune per combatterlo»15.
Non sarebbero difficili da spiegare le parziali reticenze britanniche nell’accordarsi al pur condiviso (così almeno si riferisce) piano francese: l’area del Vicino e Medio Oriente restava principalmente sotto il giogo britannico, lo stesso Oceano Indiano si poteva considerare in buona parte un Oceano “inglese”. La competizione italiana certamente aveva allertato quegli esponenti britannici - nell’area mediterranea e orientale – rispetto ai quali il governo di Mussolini rappresentava un interlocutore alternativo sia in ambito sionista (principalmente in anni precedenti) sia nel contesto arabo e islamico ma questo probabilmente non bastava agli inglesi per accodarsi frettolosamente ed entusiasticamente ai progetti d’Oltralpe.
Va detto, per ulteriore chiarezza, che quanto fatto da italiani e tedeschi in termini di pacifico avvicinamento politico e culturale rispetto ai popoli della regione non rappresentava nulla di nuovo, anzi era qualcosa che già Francia e Inghilterra avevano praticato prima e durante l’assunzione del controllo di vaste aree del Vicino Oriente e dell’Africa settentrionale. Stando alle dichiarazioni del Rabbino David Prato16, sempre in ambito mediterraneo ed in anni di poco precedenti, l’Alliance Israélite Universelle aveva tentato di rivestire un ruolo di guida dell’ebraismo della regione con il fine di indirizzare in senso filofrancese le varie comunità. In una lettera a Mussolini il rabbino dichiarò: «Chi ha tentato di organizzare in un corpo solo il sefarditismo mediterraneo, fu la Francia, attraverso l’Alliance Israelite Universelle, che sotto aspetti universalistici mirava, e in parte mira tuttora, ad attirare verso la Francia elementi che si prestavano ad essere sfruttati dal punto di vista economico, commerciale, culturale e spirituale»17.
La stessa Inghilterra, come è noto, si profuse in ampie promesse ad arabi e sionisti per ottenerne il consenso e l’aiuto nel corso della Prima Guerra Mondiale. Da questi e da altri fatti che a breve riporteremo si può capire quanto fosse complessa – e a volte contraddittoria – la situazione politica dell’area e quanto, allo stesso tempo, i vari attori influenzassero questa o quella decisione strategica degli altri soggetti. Seppur intricati e caratterizzati da molteplici cambi di posizione, vale la pena scorrere alcuni fatti significativi.
Interessante notare innanzitutto come il timore per una deriva panaraba o panislamica (ed eventualmente di una evoluzione di questo fenomeno in senso filoitaliano o filotedesco) riguardasse oltre alle Potenze mandatarie anche un altro soggetto attivo nel campo delle relazioni internazionali, ovvero il movimento sionista.
Nella prospettiva della fondazione di uno stato ebraico un accerchiamento troppo compatto sarebbe certamente stato fonte di grandi rischi. Non fu un caso se in quegli anni l’intelligente professore Isacco Sciaky – ebreo salonicchiota, fascista e dirigente italiano del movimento sionista revisionista - mise in guardia il governo italiano circa le problematiche legate a queste eventualità. L’Italia a suo avviso «come potenza coloniale [non] p[oteva] aver interesse a galvanizzare le possibili velleità panislamiche»18. Scriveva a questo riguardo: «Positivo interesse dell’Italia, l’incivilimento di quei popoli e paesi, che renda possibile la formazione di una larga clientela commerciale, con la costituzione di nuovi mercati di assorbimento sulle rive del Mediterraneo, il mare sul cui risorgimento economico, iniziatosi col taglio dell’istmo di Suez, si fonda la speranza di una nuova potenza politica dell’Italia. […] L’opportunità quindi, come di un’Algeria francese, di una Libia, anche demograficamente, italiana, di una Palestina ebraica: come forse, un giorno di un Libano cristiano non del tutto dipendente dalla Siria»19. Sciaky non nascondeva nel suo articolo, comparso sul periodico “L’Idea Sionistica”, l’intenzione di voler favorire il «graduale spezzamento della continuità territoriale fra gli attuali e futuri Stati islamici».
Ragionando su questo sottile ed interessato consiglio, e su quanto esposto in precedenza, va sottolineato che, se è senza dubbio vero che una Libia italiana sarebbe stata incompatibile con velleità panislamiche e panarabe, è altrettanto vero che la paura verso questi progetti era molto più forte e concreta per Gran Bretagna e Francia, le quali, essendo detentrici di ampi imperi coloniali, dominavano direttamente o indirettamente quasi tutte le aree del globo abitate da musulmani e arabi. Il “rischio” per Mussolini era quindi presente ma proporzionalmente molto minore e per questa ragione poteva risultare più che un pericolo, una reale opportunità e, nel caso specifico, un’opportunità innanzitutto di avvicinamento politico che le Potenze mandatarie speravano di stroncare rapidamente riportando l’Italia ad un ruolo che non fosse di prim’ordine.
La Germania, per altri aspetti, era ulteriormente avvantaggiata in questo campo in quanto priva, dopo la prima guerra mondiale, di colonie (che comunque, anche prima della Grande Guerra, non si trovavano nell’area in questione) e, soprattutto, in quanto potenza guidata da un partito che si proclamava avversario del giudaismo. Non ci si deve stupire se in questo clima fiorì una relazione tra i movimenti di rivendicazione presenti nel mondo arabo e musulmano e i governi di Roma e Berlino (i quali – come noto – non disdegnavano di rapportarsi contemporaneamente anche con le organizzazioni sioniste).
Le autorità consolari italiane a Gerusalemme informeranno il Ministero degli Affari Esteri di un articolo del primo marzo 1934 pubblicato sul GIAMIA AL ISLAMIA definito come «l’organo del Comitato Esecutivo del Congresso Panislamico» in cui si rendeva evidente una certa gelosia per gli ammiccamenti che Mussolini e i sionisti20 si scambiavano in quel periodo. Il giornale non mancò di accusare questi esponenti di usare in senso strumentale ed ingannevole la notizia della visita di Weizmann al duce per «aizzare l’odio nell’animo dei Musulmani e degli Arabi contro l’Italia»21. In base a quanto riferito dallo stesso Weizmann, in occasione del suo incontro con Mussolini del 17 febbraio, quando al duce fu chiesto «se quando il momento fosse venuto, i sionisti avrebbero potuto contare sul di lui appoggio e su quello in genere dell’Italia. Il duce avrebbe risposto: In pieno»22.
Sull’articolo del GIAMIA AL ISLAMIA si può quindi leggere: «Noi possiamo affermare che il Signor Mussolini è troppo previdente e saggio per nuocere, con un simile imbroglio, alle relazioni del proprio Governo, e per attirarsi gratuitamente l’indignazione del mondo arabo e del mondo islamico. Ciò non è ammissibile, tanto più che abbiamo notato in questi ultimi tempi un avvicinamento nella politica italiana al mondo islamico. Tutti ricordano ancora il Congresso Orientale convocato a Roma ultimamente. Come si può mettere questo in rapporto colle dichiarazioni offensive benché non troppo chiare che Weizmann ha attribuite a Mussolini, specialmente ora che l’Italia va cercandosi amici nel Vicino Oriente? E quale amico migliore degli arabi?»23. Più avanti: «L’Italia ha visto come l’Inghilterra, per accontentare gli Ebrei, ha barattato l’amicizia del mondo Islamico; mentre poi gli Ebrei, sempre scontenti, si sono mostrati ingrati, sprezzanti, ed hanno chiesto il trasferimento del Mandato ad altre Potenze!»24.
Del resto, da parte inglese, i timori per questo tipo di contatti e per queste simpatie italo-arabe e italo-islamiche erano ben fondati, in quanto, come già accennato, non solo l’Italia ma la stessa Germania poteva muovere passi importanti in questa direzione. Di lì a pochi anni un territorio di grande importanza come quello iracheno vedrà sorgere un governo che, in questo senso, creerà alcuni problemi alle autorità inglesi. Nell’aprile 1941, in piena Guerra Mondiale, un colpo di stato che guardava con favore alla Germania nazionalsocialista determinò l’arrivo al potere del “nazionalista arabo” Rashid Aali al-Gaylani che già precedentemente era noto per i suoi contatti con i Paesi dell’Asse Roma-Berlino. Il suo governo arrivò rapidamente ad un conflitto con la stessa Gran Bretagna, la breve guerra anglo-irachena. Come ricorda Martin Sicker nel suo “The Middle East in the twentieth century”: «the British became determined to restore the previous government and landed a British-Indian military contingent at Basra at the end April. When a second British contingent arrived, the government decided to take action and fighting broke out on May 1. Iraqui forces surrounded the British air base at Habbaniya as well as the British embassy compound in Baghdad and Rashid Ali, sought to obtain Axis military assistance»25. La Germania tuttavia era fortemente impegnata in Europa e stava preparandosi per attaccare la Russia, per queste ragioni non inviò aiuti significativi. In ogni caso, il governo di Vichy che controllava la Siria, permise ai tedeschi di portare qualche assistenza agli insorti iracheni, «the new high commissioner in Syria, General Henri-Fernand Dentz, permietted German use of the Aleppo-Mosul railway and allowed German aircraft to land and refuel at Syrian airfields en route ti Iraq with supplies for Rashid Ali»26.
Senza addentrarci nella complessa e profonda articolazione delle relazioni intercorse, ben descritte in diversi saggi specialistici (rimandiamo tra gli altri ai preziosi testi di Stefano Fabei), appare chiara la tangenza tra queste prospettive politiche – seppur con fasi di diversa intensità – ed i regimi che fonderanno l’Asse Roma – Berlino.
Tuttavia, come normale nelle relazioni tra soggetti internazionali, risulta impossibile definire una separazione o un’unificazione totale degli interessi e delle strategie. La Gran Bretagna pur volendo allargare – a spese dell’Italia – la sua influenza nell’area mediterranea e vicino-orientale e pur avendo promosso l’applicazione delle sanzioni per punire il piccolo e maldestro tentativo di emulazione imperiale attuato da Mussolini, non mancherà di guardare, con pragmatica attenzione, ad una parziale riappacificazione. Il 2 gennaio del 1937 Londra aveva infatti «siglato con Mussolini un gentlemen’s agreement che sorvolando sugli interventi militari italiani in Etiopia e Spagna, intendeva garantire lo status quo nel Mediterraneo. Fedele alla sua tradizionale diplomazia del pendolo, la Gran Bretagna rifiutava insomma di spalleggiare la Francia nella ricerca di una “sicurezza collettiva” del continente europeo e perseguiva una politica di apertura nei confronti di Italia e Germania, per dirottarne l’aggressività verso i governi di sinistra di Francia e Spagna e la stessa Unione Sovietica»27. Con simmetrico pragmatismo il governo italiano, durante le conversazioni che hanno preceduto il gentlemen’s agreement e i successivi “accordi di Pasqua” lasciò che la maggioranza delle questioni relative al mondo arabo fossero eventualmente sollevate dagli inglesi, dimostrando chiaramente, come, almeno in queste circostanze, «negli intenti di Mussolini e di Ciano la carta araba continuasse ad essere considerata moneta di scambio nel caso che si fosse aperto un varco per un’effettiva trattativa per un accordo generale mediterraneo tra Roma e Londra»28, non a caso da Roma si bloccarono «gli aiuti ai movimenti antibritannici mediorientali»29 e si «moderò il tono delle trasmissioni di Radio Bari»30.
Tornando alla questione della “collaborazione” anglo-francese è bene notare, per una comprensione più chiara del contesto politico di cui parliamo, che l’Inghilterra si caratterizzerà, non raramente e come nel caso appena esposto, per un’attitudine pragmatica e per una più bassa ideologizzazione – quantomeno esteriore - dei conflitti rispetto alla Francia. Ad esempio, lo stesso utilizzo del termine “liberazione” da associare all’avanzata in territorio italiano negli ultimi anni della Seconda Guerra Mondiale sarà messo in secondo piano rispetto al più ordinario “campagna d’Italia” optando per una definizione più strettamente militare e meno politica. Se a Londra l’approccio era più legato al pragmatismo e i conflitti internazionali venivano spesso risolti in una prospettiva meno ideologica, la Francia tendeva nei secondi anni’30 ad avere un atteggiamento più nettamente antifascista, sia per ragioni politiche sia per il rischio di un accerchiamento che vedeva protagoniste la Germania di Hitler, l’Italia di Mussolini e la Spagna che stava diventando di Franco. Questo tipo di scelta fu chiaro dopo il 1935 nel momento in cui Laval (sostenuto dai conservatori) dovette abbandonare il governo a causa della scoperta e pubblicazione dell’accordo anglo-francese Hoare-Laval, con cui i due Paesi avrebbero riconosciuto in larga parte legittime le mire espansionistiche dell'Italia fascista in Etiopia. L'indignazione dell'opinione pubblica per questo patto ne causò l'annullamento e, di lì a poco, si aprì la strada ai governi del Fronte Popolare con cui si affievolì in modo netto l’opportunità di reinserire l’Italia in un fronte antitedesco come il “Fronte di Stresa”, apice delle relazioni franco-italiane, che portò addirittura la stampa fascista ad abbandonarsi ad “una sfrenata esaltazione della fratellanza franco-italiana, lanciando attacchi al vetriolo contro il Terzo Reich”31.
Risulta interessante notare anche a questo proposito come intorno alla metà degli anni ’30, rispetto ad un timore tedesco per un eccessivo avvicinamento di Italia, Francia e Gran Bretagna, avanzasse una marcata attenzione sionista per il consolidamento di un “fronte” che contenesse la Germania, perché l’Italia di Mussolini restasse un interlocutore non-antisemita con cui potersi relazionare apertamente ed infine per non arrivare ad uno scontro incontrollabile tra Italia ed Inghilterra in quel Mar Mediterraneo dove sarebbe dovuto sorgere lo “stato ebraico”.
Qualche tempo prima Weizmann aveva fatto pressione sul duce spronandolo a superare le divergenze che si presentavano tra le potenze europee, le quali, perdendo di unità rischiavano di lasciare campo libero ai tedeschi. Non a caso, dirà a Mussolini: «[…] so per certo che la salvezza del mondo e della civiltà è superiore a questi conflitti che sono passeggeri. Bisogna creare una barriera conto la barbarie, e questa barriera si chiama Londra, Parigi, Roma»32.
Avviandoci alla conclusione, in una disamina degli assetti politici del Vicino Oriente durante gli anni ’30 e anche alla luce di queste ultime dichiarazioni, risulta evidente come le principali forze in gioco fossero riferibili a tre nuclei che si sono interfacciati fra loro nella costruzione di rapporti internazionali: 1. i paesi europei (ciascuno con la propria strategia rispetto alla regione), 2. i movimenti di emancipazione araba o di marca panislamica, 3. il movimento sionista (nelle sue varie componenti).
Come frequente nell’ambito delle relazioni tra soggetti politici – lo abbiamo già affermato – non si può riscontrare una linearità visibile e tantomeno risulta possibile proporre semplificazioni che risulterebbero riduttive e svianti, tuttavia va notato, che nel corso degli anni ’30 gli atteggiamenti filosionisti di Mussolini andarono complessivamente scemando (in particolare nella seconda metà degli anni’30, pur con la rilevante eccezione del corso sionista revisionista presso la scuola marittima di Civitavecchia33). In modo analogo, allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale il movimento sionista si trovò naturalmente vincolato alla potenza mandataria britannica; anche la Nuova Organizzazione Sionista di stampo revisionista deciderà di non combattere la Gran Bretagna. Una posizione alternativa - dal punto di vista militante - fu rappresentata dal gruppo scissionista, di matrice ideologica revisionista-estrema, di A. Stern (“IZL in Israel”, poi “Lehi”) che sul finire del 1940 cercherà di mettersi in contatto con i nazionalsocialisti per combattere al loro fianco durante la il conflitto mondiale. Parallelamente, con la deflagrazione della guerra l’atteggiamento italiano rispetto alla politica araba «cambiò carattere, perse la strumentalità che sino allora l’aveva contraddistinta e assunse un posto centrale nella strategia politico-militare del “duce”»34 andando ad approfondire e stabilizzando quelle tangenze e quei contatti che si erano resi evidenti già in anni precedenti.
Non solo: l’Impero britannico nel corso della seconda metà degli anni’30, pur con atteggiamenti alterni, dimostrerà di voler mantenere l’Italia confinata in un ruolo internazionale decisamente più basso, comprimendo ed infine sanzionando la sua quasi insignificante (se paragonata alla vastità dall’area territoriale controllata da Londra e Parigi) “ambizione” coloniale. A questo proposito il timore delle autorità italiane per un “Mare Nostrum” che rischiava di diventare anglo-francese era riproposto anche nel documento di cui abbiamo citato alcuni stralci. Si può leggere: «Le suddette due Potenze alleate mirano ad assicurarsi il dominio completo sul Mediterraneo per mezzo: a) della cooperazione con la Turchia e con le sue alleate b) della cooperazione con tutti i paesi arabi c) del controllo di tutto il litorale della Turchia fino all’Egitto, e cioè Alessandretta, Libano, il progettato stato ebraico e la zona sotto mandato britannico vale a dire Caifa, Acri e la Palestina meridionale (vedi rapporto Commissione permanente mandati 32° sessione tenuta dal 30 Luglio al 18 Agosto 1937 – pag. 183)»35.
Rispetto ai progetti “anglo-francesi”, se i toni del testo appena riportato possono apparire in parte esagerati, le preoccupazioni italiane per gli scenari internazionali futuri non erano certamente infondate, così come, sul fronte mediterraneo e del Vicino Oriente, non parevano immotivati quei desideri di emancipazione provenienti dal mondo arabo. Sul fronte opposto rispetto alle popolazione autoctone, l’organizzazione sionista, per bocca dei suoi dirigenti, aveva ventilato nel 1934 l’ipotesi di raggiungere in Palestina il numero di mezzo milione di ebrei entro la fine degli anni ’30, con lo scopo evidente di stabilire uno stato nel cuore del Vicino Oriente («Tra cinque anni saremo un mezzo milione di ebrei stabiliti in Palestina. Allora gli arabi capiranno che non possono più “gettarci in mare”. Allora si troverà facilmente la base di un accordo con loro»36).
Da questi equilibri e dalle tensioni ad essi correlate prenderà forma il clima politico e diplomatico che premetterà e accompagnerà lo sviluppo della Seconda Guerra Mondiale, determinando le condizioni sulle quali si fonderanno gli assetti della regione dopo il conflitto. Come asserito in principio, una corretta valutazione di questi aspetti si rende più che mai necessaria nell’ambito della divulgazione storica e per una corretta interpretazione delle cause e degli avvenimenti bellici.
NOTE
1 Di grande interesse in relazione a questo tema il testo di Renzo De Felice, Il fascismo e l’oriente. Arabi, ebrei e
indiani nella politica di Mussolini, il Mulino, Bologna, 1988.
2 Il “Peel Partition Plan” fu il risultato della commissione Peel (britannica) che propose nel 1937 un piano di spartizione
del territorio della Palestina con la costituzione di due stati, uno ebraico e l'altro arabo. Il progetto fu avanzato durante la Grande Rivolta Araba (1936-1939) e avrebbe dato luogo alla creazione di uno stato sionista limitato alla sola parte settentrionale dell’attuale Stato d’Israele.
3 ASMAE/Affari Politici/ Palestina/ busta 24 (1938)/ Unificazione della politica anglo-francese per la lotta contro il Fascismo e il Nazismo nell’Oriente Arabo e nell’Africa Occidentale, dicembre 1937.
4 Ibidem.
5 Ibidem.
6 Il 22 marzo 1936 Hashim al-Atasi (già primo ministro del Regno di Siria) fu a capo di una delegazione siriana in Francia. Dopo mesi di colloqui, riuscì ad ottenere un trattato franco-siriano per l'indipendenza, che garantiva l'emancipazione della Siria nell’arco dei successivi venticinque anni in cambio di alcune concessioni ai francesi tra cui: il diritto al mantenimento delle basi militari in territorio siriano e l'appoggio alla Francia in caso di guerra.
7 Importante porto che si affaccia sul Mar Rosso, oggi sotto giurisdizione giordana.
8 ASMAE/Affari Politici/ Palestina/ busta 24 (1938)/ Unificazione della politica anglo-francese per la lotta contro il Fascismo e il Nazismo nell’Oriente Arabo e nell’Africa Occidentale, dicembre 1937.
9 Clive Leatherdale, Britain and Saudi Arabia, 1925-1939: the Imperial Oasi, Routledge, 1983, pag. 44
10 Spencer Tucker, Priscilla Mary Roberts, World War I: encyclopedia, Volume , ABC-CLIO, 2005, pag. 115
11 ASMAE/Affari Politici/ Palestina/ busta 24 (1938)/ Unificazione della politica anglo-francese per la lotta contro il Fascismo e il Nazismo nell’Oriente Arabo e nell’Africa Occidentale, dicembre 1937.
12 Ibidem. Alla pagina 3, punto 12, del documento si legge: «La Francia è stata la prima a suggerire l’unificazione della linea di condotta. Ha imposto al “Temps” di appoggiare il “Times” su questo argomento. […]»
13 Ibidem.
14 Ibidem..
15 Ibidem.
16 David Prato fu Rabbino Capo di Alessandria d’Egitto.
17 ASMAE/Affari Politici/Palestina (1919-1931)/busta 1462: Lettera di David Prato, Gran Rabbino di Alessandria d’Egitto, a Mussolini, 18-09-29/VII
18 L’Idea Sionistica, “Ordine italiano” in Oriente, maggio 1932, pag. 1
19 Ivi, pag. 2
20 Non v’è dubbio circa il fatto che – già lo abbiamo accennato - il movimento sionista già rappresentasse un elemento
importante per le dinamiche del Vicino Oriente e che al tempo stesso fosse per Mussolini un potenziale strumento di competizione con la Gran Bretagna oltreché un possibile canale di contatti utili all’Italia fascista per lo sviluppo dei suoi rapporti internazionali.
21 ASMAE/Affari Politici/Palestina)/busta 9 (1934): Rassegna stampa, 07-03-34/XII.
22 Sergio I. Minerbi, Gli ultimi due incontri Weizmann-Mussolini (1933-1934), in Storia contemporanea, settembre1974, pag. 469.
23 ASMAE/Affari Politici/Palestina)/busta 9 (1934): Rassegna stampa, 07-03-34/XII.
24 Ibidem.
25 Martin Sicker, The Middle East in the twentieth century, Greenwood Publishing Group, 2001, pag. 142.
26 Ibidem.
27 Tommaso Detti, Giovanni Gozzini, Storia contemporanea: Il Novecento, vol. 2, Pearson Italia., 2002, pag. 176
28 Renzo De Felice, Il fascismo e l’oriente. Arabi, ebrei e indiani nella politica di Mussolini, il Mulino, Bologna, 1988,
pag. 21.
29 Ibidem.
30 Ibidem.
31 Martin Sicker, The Middle East in the twentieth century, Greenwood Publishing Group, 2001, pag. 142
32 Furio Biagini, Mussolini e il sionismo 1919-1938, M&B Publishing, Milano, 1998, pag. 136
33 Corso che, in base alla parole del dirigente revisionista italiano Leone Carpi, formerà il nucleo della futura marina israeliana.
34 Renzo De Felice, Il fascismo e l’oriente. Arabi, ebrei e indiani nella politica di Mussolini, il Mulino, Bologna, 1988, pag. 40.
35 ASMAE/Affari Politici/ Palestina/ busta 24 (1938)/ Unificazione della politica anglo-francese per la lotta contro il Fascismo e il Nazismo nell’Oriente Arabo e nell’Africa Occidentale, dicembre 1937.
36 Promemoria di C. Weizmann, 26-01-34, in: Sergio I. Minerbi, Gli ultimi due incontri Weizmann-Mussolini (1933-1934), in Storia contemporanea, settembre 1974, pag. 462.
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