lunedì 19 marzo 2012

SUL FASCISMO


di Pietro Ferrari

“Il fascismo è un fenomeno politico moderno, nazionalista e rivoluzionario, antiliberale ed antimarxista, organizzato con una concezione totalitaria della politica e dello Stato, con un’ideologìa attivistica ed antiteoretica a fondamento mitico, virilistica ed antiedonistica, sacralizzata come religione laica che afferma il primato assoluto della nazione, intesa come comunità organica etnicamente omogenea, gerarchicamente organizzata in uno Stato corporativo, con una vocazione bellicosa alla politica di grandezza, di potenza e di conquista, mirante alla creazione di un nuovo ordine e di una nuova civiltà” .
Emilio Gentile (Fascismo – Storia e interpretazione, Laterza, Bari 2002)

Introduzione
Fascismo. Sulla storia e sui suoi personaggi sono stati versati fiumi d’inchiostro: le origini, il Regime, la guerra e la disfatta. Quella parola però non evoca solo un periodo storico circoscritto della storia, ma idee, passioni, suggestioni, aneddoti, contaminazioni, un’estetica e persino dei tabù.
Ferrari non ci dipinge un quadro sulla storia e sulla politica del Fascismo, opera già abbondantemente realizzata dagli storici, ma fotografa le pulsioni, le idee contrapposte, le contraddizioni, le sfumature del “mondo degli sconfitti” che tutte insieme formano un’Idea.
Il Fascismo non è stato solo retorica di Regime, parate, gagliardetti e mascella volitiva del Capo ma qualcosa di più: ha avuto un filone “irriducibile” nel quale ritroviamo la tenacia della divisione SS Charlemagne, le gesta del Barone Ungern Von Sternberg (personaggio conosciuto dal grande pubblico per essere raffigurato nel celebre fumetto “Corto Maltese”) o i ragazzi della Repubblica Sociale che fecero una scelta anticonformista, dopo che l’armistizio dell’8 settembre 1943 aveva decretato il “si salvi chi può”.
C’è stato un fascismo “avanguardista” votato alla velocità, all’impresa, all’arte e persino alle baruffe come quello di Balbo, D’Annunzio e Marinetti contrapposto a quello “bucolico” legato alle radici dell’Italia di provincia e dei piccoli borghi.
A dispetto della vulgata comune che vuole un fascismo rozzo, populista e ignorante, tutto olio di ricino e manganello, nel libro ci vengono presentati vari intellettuali che hanno costruito, da angolature diverse, un panorama culturale immenso. Non vi fu solo la Accademia Reale d’Italia istituita con Regio Decreto nel 1926 e della quale fecero parte tra gli altri: Fermi, Marconi, Papini, Soffici, Ungaretti, D’Annunzio e ovviamente Gentile. Vi fu soprattutto una grande fioritura di riviste “irregolari” come “Lacerba”, “Leonardo”, “L’Universale”, “Cantiere”, “Primato” ed altre che fungevano da pungolo allo stesso Regime, espressione ante-litteram degli odierni think-thank. Senza contare poi l’apporto di autori come Evola, Celine, Pound, Mishima i cui libri sono da sempre presenti sul comodino dei giovani di destra ed oggi sicuramente molto più conosciuti da tutti.
Interessante è anche l’analisi che l’autore opera sul rapporto che il fascismo ha con la democrazia analizzando problemi ancora attualissimi: Ferrari polemizza con l’Italia liberale pre-fascista colma di corruzione e spirito anti-sociale; non risparmia neppure l’odierna repubblica caratterizzata dal culto del reality-show e del frivolo, svuotata del potere che è in mano all’economia e ai poteri forti.
Ci viene svelato, ad esempio, come il problema della mafia che ha attraversato tutta la storia repubblicana fu inesistente con il Fascismo grazie alla fermezza del Prefetto Mori, predecessore dell’opera di eroi contemporanei come Falcone e Borsellino.
L’autore si sofferma anche sull’atteggiamento opportunistico di alcuni “sacerdoti” della Resistenza, facendo esempi di chi sotto il Regime aveva avuto un comportamento fanaticamente servile e terminata la guerra con grande faccia tosta è diventato convinto anti-fascista.
Il Fascismo fa parte della storia degli italiani: nella letteratura, in televisione, su internet ne troviamo le tracce, persino nella satira. Con “Fascisti su Marte” di Guzzanti viene rappresentata la spedizione del camerata Barbagli sul pianeta rosso…Ormai è un fenomeno “pop” ma che nonostante tutto riesce ancora a far parlare di sé.
Fabrizio Fornaciari

Se una parte della storiografia è concorde sul fatto che durante il Ventennio: “Gli italiani si fusero entusiasticamente con un regime cui somigliavano. In Mussolini adoravano se stessi”, come ha sostenuto Giordano Bruno Guerri (Fascisti, Mondadori -1995), il fascismo oggi, è invece percepito in modo apologetico da una minoranza, in modo “nostalgico” quanto vago da molti e in modo allergico da molti altri che emotivamente lo considerano il “male assoluto”. Concepire però l’esistenza di un “male assoluto” è problema filosofico o teologico-morale e trasporre tali riflessioni in ambito politico, risulta spesso essere una forzatura.
INTROVABILE, ONNIPRESENTE, MISTERIOSO
Qualche anno fa il sindaco di Milano Letizia Moratti, portò il papà ex partigiano di una brigata ebraica, con la carrozzella alla manifestazione del 25 aprile a Milano ma fu costretta a scappare perché non gradita. Cosa c’entrava lei col Fascismo?
L’epiteto “fascista” è da tempo usato come una parola magica, idonea a gettare discredito nei confronti del “nemico” di turno. Da complessa e sfuggente categoria politologica, a semplice ingiuria, utile strumento per trarsi d’impaccio in una discussione o per zittire un interlocutore. Non si riflette abbastanza sull’anomalìa di una tale degradazione linguistica: un concetto che potrebbe evocare assonanze con il compimento del Risorgimento italiano attraverso la Nazionalizzazione delle masse o con la Terza via tra capitalismo e comunismo, viene ridotto ad ingiuria. Il Fascismo fu una “Rivoluzione Conservatrice” o una semplice Reazione alla sovversione social-comunista?
Non vi è alcun dubbio che tutti i fascismi abbiano avvertito nel bolscevismo, il punto più basso della storia umana, la minaccia più radicale capace di sovvertire ogni grandezza feconda nell’anarchico disordine involutivo. Appare evidente allora, come da luoghi lontanissimi si sollevarono élites e masse in difesa della Civiltà (o meglio “delle” Civiltà) contro la minaccia del bolscevismo. Paradigmatici due esempi storici e nel contempo letterari contenuti nell’opera di Ferdinand Ossendowski “Bestie, uomini e Dei” ed in quella di M.I. Sicard, con lo pseudonimo di Saint Paulien, “I Leoni Morti” che pure dimostrano come, con tali “epifanìe” del fascismo, si vada al di là della mera Reazione. Ferdinad Ossendowski racconta la sua avventurosa fuga per la libertà tra la taiga ghiacciata della Siberia e la Mongolia, durante la presa del potere dei bolscevichi in Russia evidenziandone la vocazione al genocidio e all’odio verso le radici profonde e spirituali dei popoli asiatici. L’autore conoscerà la figura semi-mitologica del barone baltico, Ungern Von Sternberg, fascinoso discendente di crociati e corsari, buddhista sognatore di un grande Stato asiatico dal Pacifico al Volga. Ungern Von Sternberg tentò di coagulare la disperata insorgenza spirituale dei popoli asiatici, scatenando una tempesta di sangue purificatrice contro i “demoni maligni” per spezzare le catene della schiavitù. Kirghisi, calmucchi, cosacchi, mongoli, buriati e tibetani nelle yurta, cantavano l’epico ritorno di Gengis Khan, incarnato in quel guerriero bianco erede dei cavalieri teutonici che aveva risvegliato l’Asia.
Da Occidente invece, Saint Paulien ci descrive con straordinaria efficacia, l’epopea romanzata dei giovanissimi volontari francesi della Charlemagne, che andarono a difendere la Cancelleria del Reich a Berlino negli ultimissimi giorni di aprile del 1945, non tanto per il nazionalsocialismo o per Hitler, tanto meno per la Germania, ma per difendere l’Europa e la Civiltà dell’Occidente. I volontari della Charlemagne, in ossequio all’istinto di conservazione di una Razza legata alla sua millenaria storia, erano assetati di Futuro: “ogni pollice sottratto ai rossi sarebbe rimasto terra viva”, a nulla valendo l’evidenza della sconfitta militare imminente e l’anello di fuoco che stringeva Berlino davanti al dovere di una Missione. L’unica catastrofe sarebbe stata il non resistere ad oltranza ed ovunque nella Patria Europa: Leoni Morti, e quindi mai arresi, davanti al dovere di difendere un Nuovo Ordine Europeo. Si può affermare che il combustibile emotivo di ogni fascismo consista nella chiara visione di una Decadenza che incombe, di una Civiltà in pericolo, unita ad una Fede nell’azione diretta alla edificazione di un mondo nuovo, ma con radici antiche. In Spagna i veri fascisti non furono i franchisti duri e puri ma i falangisti di Josè Antonio Primo De Rivera e di Ramiro Ledesma Ramos, che volevano sì salvare la Patria da Stalin, ma per edificarla in uno Stato Organico e Sociale. I regimi golpisti in Cile, Argentina e Grecia, furono soltanto strumenti di viscerale anticomunismo pilotato dalla CIA, tesi all’ordine e alla supremazia dei militari, non affatto fascisti, in quanto privi di quei tratti tipici che caratterizzano l’essenza dei fascismi. Juan Domingo Peròn in Argentina fu nemico dei militari golpisti e dal suo esilio a Madrid, diffuse addirittura una “Lettera al movimento peronista sulla morte di Ernesto Che Guevara”, evidenziando la “perdita irreparabile per la causa dei popoli che lottano per la loro liberazione” e come “…il Che abbia servito una grande causa”. Lo stesso Guevara aveva inviato a Peròn un suo libretto con dedica, sulle tecniche di guerriglia e i due si incontrarono nella Spagna di Franco che pur alleata degli USA, conservò ottimi rapporti con Cuba, oltre ad essere meta di esilio per tanti fascisti e nazionalsocialisti come Leon Degrelle, capo dei rexisti belgi.
Appare così assurdo questo rapporto tra Che Guevara e Juan Domingo Peròn? Jean Cau, intellettuale di destra scrisse nel 1983 in Francia “Una passione per Che Guevara”, mentre il fondatore di Jeune Europe, Jean Thiriart e più tardi in Italia Gabriele Adinolfi fondatore di Terza Posizione, hanno ammirato non “da sinistra” la figura romantica ed esistenziale del guerrigliero argentino. A ben vedere, fu più un’esigenza tattica e contingente a spingere Cuba verso l’URSS, un po’ come avvenne per i Paesi arabi antisionisti prima vicini all’Asse, essendo il regime sovietico l’unico baluardo nel dopoguerra contro il dominio americano. In Italia, da parte fascista, Mario Castellacci scrisse per il Che,la canzone: “C’era un ragazzo con la barba nera” e Pier Francesco Pingitore: “Addio Che”, come lato b del “Mercenario di Lucera”, mentre “La Sfida”, organo della Giovane Italia scriveva: “Guevara-uomo, Guevara intellettuale, giudicato secondo il suo stile di vita, è ben lontano dal “proletario” di Marx e si avvicina più al superuomo di Nietzsche o all’individuo aristocratico di Alfredo Oriani” .
L’esperienza fascista si è realizzata in forma totalitaria o, specie in Italia con la compresenza di Monarchia e Vaticano, in forma prettamente autoritaria? Il fatto che dopo l'otto settembre 1943 l'esercito fosse fedele più alla Monarchia che al Fascismo, la dice tutta sulla non realizzazione totalitaria del fascismo stesso. In Italia il fascismo creò piuttosto una sorta di Stato parallelo con i tribunali speciali e una buona parte dei burocrati statali, passò da Giolitti a De Gasperi senza soluzione di continuità nel Ventennio. Ormai sinonimo di “prepotente”, “cattivo” o “arrogante”, l’epiteto “fascista” è stato usato anche nei confronti del comunista Milosevic (perché patriottico); secondo il vecchio PCI, anche le BR erano solo sedicenti ma in realtà…“fasciste” (perché terroriste). Se poi oggi, gruppi di anarchici o di autonomi dei centri sociali devastano un città, sono già pronti i titoli di giornale con la sentenza: “Squadristi!”. Tutti fascisti... i fascisti sarebbero ovunque: "fascista" Bin Laden (perché odia ebrei e libertà), “fascista” Israele e "fascista" pure l’Amerika (perché militaristi e imperialisti). “Islamo-fascisti” gli iraniani (perché populisti e contro Israele) e “clerico-fascista” il Vaticano (perché gerarchico e moralista). Se così fosse, il mondo intero sarebbe dominato dai "fascisti" e il destino di tutti dipenderebbe da un ipotetico Gran Consiglio del Fascismo Mondiale! Vedere il Fascismo ovunque, anche nelle svolte moderate dei partiti laburisti o socialisti, rimane una forma di delirio anarcoide, ma è del tutto fuori luogo ipotizzare, ad esempio, un'ideologìa "islamo-fascista"? Al di là delle semplificazioni giornalistiche rimane innegabile che un "islamofascismo" vi sia stato storicamente.
Islam e Fascismo, ed ancor più Islam e Nazionalsocialismo ebbero rapporti strategici e diplomatici in chiave antibritannica ed antisovietica per questioni geopolitiche, oltre alla comune avversione ideologica alle democrazie occidentali. Muhammad Amin Al-Husayni, Gran Mufti di Gerusalemme e Rashid Ali, nazionalista iracheno, coltivarono grandi speranze sulla vittoria dell'Asse nella Seconda Guerra Mondiale e non è un caso se Nasser e Sadat in Egitto o i fondatori del partito Baath in Siria si siano ispirati all'esperienza totalitaria del nazionalsocialismo tedesco, partecipando alle adunate "runiche" in Germania e vedendo in Hitler un autentico Messia per l'Islam, contro il giudaismo internazionale e il sionismo. Lo stesso Benito Mussolini, nonostante gli iniziali tatticismi col sionista revisionista Vladimir Jabotinsky che ammirava il fascismo italiano, ricevette in Libia la Spada dell'Islam.
Nel 2009, in occasione del referendum che avrebbe voluto favorire il più netto bipartitismo anglosassone in Italia, sia i promotori dello stesso che i suoi oppositori si accusavano reciprocamente di essere “fascisti”: i primi rinfacciando ai secondi di voler consegnare ai partiti minori l’arma del ricatto nelle alleanze, i secondi accusando i primi di voler far piazza pulita del pluralismo. Un “nuovo fascismo” è stato percepito da alcuni nel giustizialismo di Beppe Grillo e Antonio Di Pietro (perchè demagogico e forcaiolo) e da altri nel berlusconismo (perché in esso risalterebbero il carisma del Capo e una concezione plebiscitaria e carismatica della rappresentanza a scapito delle istituzioni). E’ evidente la banalizzazione terminologica che subisce il fascismo, ma è altrettanto evidente che questo oggetto misterioso suscita ancora curiosità, timore e un certo accanimento che sa tanto di ammirazione inconsapevole. Pensare infatti che da un solo fenomeno politico possano nascere praticamente infinite diramazioni, significa riconoscergli una straordinaria fecondità, seppure criptica. Vi è insomma, anche un “qualunquismo antifascista”, retorico quanto quello fascista.
Secondo Stalin bastava essere antifascisti per essere democratici, ma la contabilità dei morti assassinati dal comunismo (e dal capitalismo liberale) farebbe apparire il fascismo un’associazione filantropica. Il bagno di sangue voluto dal comunismo non ha creato nessun paradiso in terra, nessuna società giusta e opulenta ma fame, miserie morali e materiali. In Italia dopo quattro anni di guerra civile, i comunisti furono sconfitti e se Benito Mussolini non avesse vinto contro di loro, oggi gli Italiani si troverebbero come gli Albanesi e i Rumeni a lavare i vetri agli angoli delle strade d’Europa. Mentre i regimi comunisti hanno reso impossibile per i cittadini dissidenti la possibilità di andarsene (il Muro a Berlino ne fu triste esempio) ed hanno sterminato anche la frange comuniste giudicate paranoicamente “sospette” (Stalin ha massacrato più comunisti di Hitler e Mussolini), il Fascismo mandò “solo” in prigione il capo dei suoi nemici, Antonio Gramsci e al confino i suoi avversari esterni, che appunto per questo poterono riorganizzarsi quando lo stesso fu abbattuto dalla guerra. La tragica vicenda dell’omicidio Matteotti ad opera di squadristi, rimane ancora in parte oscura, in quanto avvenne proprio nel periodo in cui Mussolini stava ricucendo i rapporti col Partito Socialista e Giacomo Matteotti aveva scoperto un torbido affare di Casa Savoia su questioni petrolifere.
Dal regime mussoliniano si poteva fuggire: in URSS giunsero circa 650 rifugiati politici tra il 1924 e il 1936, mentre Paolo Robotti, cognato di Togliatti, dal 1932 direttore della sezione italiana del circolo degli emigrati, assieme a Domenico Ciufoli e ad Antonio Roasio, dirigenti e poi parlamentari del PCI, redigevano sotto ordine del Partito le schede personali di ogni emigrato italiano e vere e proprie “liste di controllo”. Tale “lavoro” servì per la caccia agli eventuali “dissidenti” accusati di attività controrivoluzionarie o sospettati di trotzskismo, di sabotaggio o spionaggio mentre moltissimi di questi italiani erano emigrati in URSS per raggiungere la loro “terra promessa”... Tra il 1945 e il 1950, il Campo di Buchenwald già lager venne riaperto come “isola speciale” dell’arcipelago GuLag, per essere utilizzato dalla polizia sovietica per il massacro di decine di migliaia di dissidenti: molti dei quali temporaneamente “liberati” dai lager per essere di nuovo internati nel GuLag.
Appare evidente come la maggior indulgenza di cui gode il Comunismo rispetto al Fascismo, per quanto riguarda la severità degli storici, derivi essenzialmente dall’esito negativo della Seconda Guerra Mondiale per il Fascismo e dalle esigenze propagandistiche di alcuni che si sposavano con quelle carrieristiche di altri nel dopoguerra. Del Comunismo, anche quando si arriva a dover ammettere la carneficina che ha causato nel mondo, spesso si tende a salvarne l’idea, l’anelito di liberazione del proletariato, come se gli esiti catastrofici potessero essere scissi dalla fonte.
Anzi, proprio questa vocazione utopica e universale del Comunismo ha reso possibile esportare ovunque il GuLag, aumentando crimini, involuzione e miseria, orrori e la menzogna sistematica come metodo di battaglia politica.
A questo punto bisogna porsi una domanda: perché liberal-capitalisti e social-comunisti si allearono militarmente per distruggere il fascismo? Come mai forze apparentemente opposte e nemiche tra loro, videro nel fascismo un nemico assoluto e superiore, escatologico, così “altro” da farle marciare compatte contro di esso? In cosa consiste questa “alterità” minacciosa del fascismo?
Scrive Enzo Erra nel suo “Le radici del Fascismo”: “Le difficoltà che incontrano marxisti e liberali nella comprensione del fascismo, risiedono per i primi nel rifiuto dell’idea che gli interessi del proletariato possano non coincidere con la lotta di classe e per i secondi, nell’idea che il consenso popolare possa fluire al di fuori dei canali del parlamentarismo”.
Il Fascismo ha una dimensione prettamente spirituale che lo rende incomprensibile ai liberal-marxisti, in quanto essi sottovalutano l’aspetto lirico-politico della giovinezza lanciata al perseguimento di un grande disegno collettivo. Gli Dei della Guerra tornavano ad imprimere un cupio dissolvi e un anelito marziale, ad un’intera generazione di giovani europei che consideravano la “pace” un ostacolo al dispiegarsi di tutte le virtù più intime e virili. La stessa essenza del corporativismo, apparrebbe sfuggente se analizzata da una visione puramente meccanicistica. Tale essenza scaturisce dal presupposto antropologico di una diversa e nuova concezione dell’Uomo, immerso in una lotta metafisica: quella del Sangue contro l’Oro. Ecco il Corporativismo. Il Corporativismo dell’epoca fascista fu la vera e propria forma del fascismo, che ebbe come ispiratori, anche Werner Sombart e la Dottrina Sociale dei Papi, con l’obbiettivo di ricomporre gli interessi contrapposti della società liberal-marxista, nell’armonia gerarchica diretta al bene complessivo della Nazione.
Ogni approccio sul fascismo che volesse basarsi soltanto su elementi razionalistici, risulterebbe quindi limitato e fuorviante.
IL FASCISMO FU DI DESTRA O DI SINISTRA?
Non è possibile prescindere dal contesto ideologico europeo e quindi da fattori culturali che non necessariamente furono italiani, per inquadrare compiutamente il fascismo pur rimanendo ogni fascismo, legato alla specificità nazionale dei vari Stati europei. Già Maurice Barres, il boulangismo e l’Action Francaise di Charles Maurras avevano innescato in Francia, la miscela esplosiva di organicismo sociale, spiritualismo, tradizionalismo religioso ed estetismo decadente come nuovi fondamenti di un diverso nazionalismo, come pure in Italia si apprestavano a fare Enrico Corradini e Alfredo Rocco. Tutto ciò mentre il sindacalismo rivoluzionario di George Sorel aveva già iniziato una revisione del marxismo, giungendo a sostituire la Classe con la Nazione, lo sciopero generale con la guerra rivoluzionaria, la “scientificità” pseudo-razionale delle teorie economiche marxiste con la forza mobilitante del Mito. In Italia furono Filippo Corridoni, Sergio Panunzio e Arturo Labriola a portare avanti nei primi anni del XX Secolo, le idee di Sorel. Zeev Sternhell nei suoi studi sul fenomeno fascista, ha evidenziato come il vitalismo bergsoniano si fuse con l’estetismo dannunziano e con il culto della velocità e dell’azione dei futuristi di Marinetti.
L’incontro tra futuristi, nazionalisti e sindacalisti rivoluzionari pose le basi della sintesi fascista: la libertà diventa ora energìa creatrice, non più solamente intesa come “liberazione”. Avanza la percezione che la democrazia sia una semplice illusione in quanto ogni “escluso”, in realtà, cerca l’uguaglianza solo come tappa per giungere alla supremazia e alla sopraffazione. Ogni gruppo sociale tende a darsi un’organizzazione e quindi una élite, che a sua volta tenderà necessariamente a durare nel tempo cercando di mantenere il potere. La non democraticità dei partiti politici, sarà non solo avvertita nella sua cruda realtà, ma sarà proprio la democrazia stessa ad essere vista come un inganno. La nuova sociologìa di Vilfredo Pareto, Roberto Michels e Gaetano Mosca con la teoria delle élites, il pessimismo tragico e militante di Nietzsche e l’influenza delle teorie psicologiche di Gustave Le Bon, furono ulteriori tasselli dello stile fascista: consapevolezza che ogni governo è sempre nelle mani di una minoranza ma che le folle chiedono il contagio, avendo bisogno di sentirsi in movimento. Il Fascismo nasce dal disprezzo per la parolaia inconcludenza del parlamentarismo, come per le illusioni democratiche, fondandosi sulle vocazioni straordinarie di uomini carismatici e dalla eccezionale capacità che tali uomini hanno di prendere in mano il destino della comunità nazionale.
Nel Fascismo si assiste ad una polarizzazione tra partecipazione e decisione, ambiti diversi e separati ma radicalizzati: mobilitazione delle masse superiore rispetto alle democrazie e accentramento decisionistico superiore ai regimi autoritari del passato.
Antonio Gramsci e Piero Gobetti, imputavano al Fascismo di aver tradito la missione di portare a compimento il Risorgimento in chiave anti-cattolica e laicista. Il fattore nazional-popolare nel Fascismo, non sarà mai scisso dalla realistica considerazione del popolo concreto: rivoluzione ed innovazione infatti, a differenza che nel social-comunismo, si inseriscono nella memoria collettiva della nazione e nella sua tradizione viva con lo strumento della retorica; ecco la natura di rivoluzione conservatrice del fascismo.
TRADIZIONE E MODERNITA’
Altro “seme”, questa volta specifico del Fascismo italiano, è stato quello dell’impresa fiumana di Gabriele D’Annunzio. Il Fiumanesimo esprime la sua carica rivoluzionaria ed estetica nella Carta del Carnaro di Alceste De Ambris, che dopo aver delineato lo Stato Libero di Fiume nella sua organizzazione corporativa, passa al visionario disegno della Xa Corporazione, autentico e precoce progetto di “immaginazione al potere.
L’Arte irrompe nel “secolo veloce” pretendendo di disegnare nuovi contorni di una estetica politica, mentre l’Italietta giolittiana appare ormai lo specchio di una Storia conclusa, incapace di assorbire ed interpretare la “velocità” del Novecento. Ecco il Fascismo: se l’artista crea con l’ispirazione, il politico crea con la decisione perché entrambi sono incontentabili nel lavorare materia e spirito. La bellezza verrà prima dell’utilità, la bella morte e lo stile prima della convenienza, il destino non sarà più l’economìa, ma la grandezza. In questo contesto, l’antidemocratismo politico può essere visto come il riflesso del disprezzo che l’artista nutre verso le convenzioni.
Mussolini intenderà Machiavelli nel non voler (e poter) mutare radicalmente la natura degli uomini, ma al tempo stesso imparerà da D’Annunzio che la politica si rigenera nella poesìa, non solo nella buona amministrazione o nel messaggio di riscatto sociale. L’Arte nel fascismo come “strumento di governo spirituale con una funzione sociale: dare grandezza di linee al vivere civile”, ebbe a sostenere il pittore Mario Sironi .
Ulteriore novità nel “secolo veloce”, fu l’espansione dello sport di massa, acutamente utilizzato dal Fascismo come fattore di nazionalizzazione.
L’anelito alla “velocità” fu incarnato anche da Italo Balbo che nel 1933 a Long Island, davanti a duecentomila persone potè dire agli Italiani d’America di onorare assieme al tricolore la bandiera americana. Pochi giorni prima, il ferrarese Balbo artefice della Marcia su Roma, aveva compiuto la trasvolata atlantica dimostrando la possibilità del superamento degli isolamenti culturali e commerciali. Ancora oggi a Chicago vi è la Balbo Avenue, nonostante le richieste di rimozione della targa rievocativa portate avanti dagli ambasciatori italiani negli USA dopo il 1945.
Guglielmo Marconi, seppe incarnare il dinamismo futurista non con l’ardimento, ma esaltando il genio italico con la rivoluzionaria invenzione della radio. Davanti a questo fascismo sperimentale e d'avanguardia, prettamente “cittadino”, che si riuniva anche intorno al gruppo detto Novecento di Massimo Bontempelli, vi era l’opposizione del gruppo “primitivo, vandeano e ruralista" Strapaese attorno alla rivista "Il Selvaggio" di Mino Maccari. Bontempelli rifiutava la tradizione e nella sua poetica la realtà stessa, vivendo in un senso “magico” accostandosi così al Pirandello che nel 1924 aderiva al fascismo. Strapaese voleva un fascismo populista e contadino, antieuropeo e antiamericano, paesano e tradizionale rilanciando le tradizioni e il folklore regionale, criticando gli abbattimenti nei vecchi borghi medievali delle città e satireggiando, attraverso vignette, il fascismo ufficiale e accademico: «Siamo nati in campagna! Abbiamo bazzicato per le osterie! Abbiamo amici fra i barrociai, fra i vetrai, fra i contadini, fra gli artigiani!… Si finisse a Piccadilly, ed alla Fifth Avenue, sempre ragioneremo e discorreremo alla maniera antica italiana. Se la civiltà dei nostri tempi è, come dicono, una civiltà meccanica, ovvero macchinista, non saremo così sciocchi da farci schiacciare o rimbecillire dalle macchine». Ribellione istintiva quella degli strapaesani, distante da altri “tradizionalismi” più robusti da un punto di vista filosofico come quello “carlista” in Spagna o da altri più spirituali come quello “legionario” in Romania. “Negli anni Venti vi fu una corrente favorevole al regionalismo localistico, come strumeno pedagogico e come componente del sentimento patriottico.”, ci ricorda Stefano Cavazza (Piccole Patrie, Il Mulino 1997). Culto della metropoli moderna e rivalutazione dell’anima antica della Provincia, urbanizzazione-ruralismo, appaiono tensioni e dicotomie costanti nel Fascismo.
Novecento e Strapaese: gli uomini che facevano parte di questi due gruppi letterari si dichiaravano tutti fascisti, facendo a gara a chi lo fosse di più, pur avendo sensibilità molto diverse tra loro: innamoramento travolgente per il proprio tempo e irriducibile fedeltà alle radici.
FERMENTI
Mario Merlino e Rodolfo Sideri hanno chiamato “Inquieto Novecento”, il loro libro sui fermenti culturali che in Europa generavano i fascismi, riassunto di un’epoca che si incarna in una serie di figure come quella di Louis ferdinand Céline, che col suo “Mea culpa” fece ammenda di essere stato comunista e nel 1944 si schierò coi tedeschi. In “Bagatelle pour un massacre”, Céline ci sbatte in faccia la malattìa che uccide l’Europa e cioè l’utilitarismo materialista: “I 350.000 bistrots di Francia hanno sostituito ogni altra cosa nella vita delle masse…la chiesa, i canti, le danze popolari, le leggende…il popolino è condotto al bancone di zinco come il vitello all’abbeveratoio, la prima stazione, prima del mattatoio”. Disagio e rabbia contro la decadenza europea e l’abbrutimento umano, con la chiara consapevolezza però, che anche l’uomo più infimo avrà un moto di ribellione sentendosi sollecitato solo attraverso il Ventre. Vivere senza lottare, senza sogni e poesìa, non era roba da uomini. Non era roba da uomini la società liberal-capitalista nascente, né quella meccanica e vuota del socialismo parolaio. Perché l’uomo non è di sola Materia. Enfasi analoga nel dopoguerra, vi fu col “samurai” Yukio Mishima che puntò su di sé la spada, uccidendosi davanti ad un Giappone occidentalizzato per onorare l’etica del Bushido. Yukio Mishima, amatissimo negli ambienti neo-fascisti e nel contempo amico personale di Moravia, aveva fondato l’Associazione degli Scudi, una “palestra” paramilitare e spirituale per giovani legati alle tradizioni del Giappone imperiale e in “Lezioni spirituali per giovani samurai”, a proposito di una riunione coi suoi allievi, ne ricorda uno che iniziò a suonare così un flauto traverso: “…era una melodìa antica che evocava l’immagine di un campo autunnale coperto di brina…ebbi l’impressione che il Giappone del dopoguerra non fosse mai esistito, che in quella musica si compisse (seppur per brevi istanti) la felice, perfetta armonìa tra l’eleganza e la tradizione guerresca. Era esattamente questo che il mio animo cercava da lunghi anni”. La Spada e l’Eleganza, la meditazione in vista dell’azione pura, la civiltà millenaria del Sol Levante, distrutte dai dollari e dal culto dell’effimero: la volgarità americana contro l’anima del Giappone.
L’inquietudine del secolo, durante il Ventennio, non venne soffocata dal regime fascista italiano che ebbe numerosi laboratori culturali. I GUF si fecero interpreti di una stagione nuova e stimolante nei confronti della retorica staraciana che invecchiava il fascismo, sclerotizzandone i tratti vitalistici nella meccanica dell’autocelebrazione. La gioventù contestava il magnifico razionalismo piacentiniano dell’architettura fascista, per favorire anche una diversa estetica in grado di esaltare la figura del lavoratore, in cui il lavoratore stesso si riconoscesse. Per l’elaborazione di un originale concetto di proprietà privata e per il superamento del salario, il progetto della sinistra fascista fu quello di portare alle estreme conseguenze la rivoluzione accennata dai sansepolcristi il 23 marzo 1919: alla cultura classica si affiancava la formazione tecnica e scientifica, all’otium borghese un sapere “attivo” finalizzato alle trasformazioni sociali. In tale fermento culturale ebbe un suo ruolo “Il Bargello”, organo ufficiale del fascio fiorentino con Vasco Pratolini ed Elio Vittorini. Nelle arti figurative Mario Sironi celebrava la nascente “civiltà del lavoro”. Ugo Spirito, chiamato da Bottai a collaborare per “Critica Fascista”, elaborò la teoria della corporazione proprietaria. Tullio Cianetti, ministro delle Corporazioni nel 1943 iniziò ad accelerare l’autogoverno delle categorie, con la pianificazione economica non più delegata allo Stato ma alle Corporazioni. Tutto ciò conferma la tesi per cui il Fascismo stava seguendo una strategìa gradualista per trasformare l’Italia, servendosi di tutte le strutture e le istituzioni che già funzionavano prima del suo avvento.
I Patti Lateranensi del 1929, pur avendo sancito che la religione Cattolica era la religione ufficiale dello Stato, l’insegnamento nelle scuole della stessa come “coronamento e fondamento dell’educazione nazionale”, non avevano però mutato l’atteggiamento “ghibellino” del fascismo, né avevano mutato ovviamente la Dottrina Cattolica sulla Regalità Sociale di Cristo che contraddiceva il monismo sociale del fascismo e quel cupio dissolvi inconscio che ne caratterizzò il combattentismo esasperato. A ben vedere, la scuola di Mistica Fascista già durante il Ventennio (in un’ottica diversa però rispetto ai sansepolcristi e ai “fascisti rossi”) cercò di strappare la gioventù dalle parrocchie e dalla Azione Cattolica. Julius Evola, artista, filosofo, studioso della Tradizione, ebbe con i mistici un momento di confronto: promotore di un pensiero antimoderno, pagano ed organicistico-gerarchico, sognava un fascismo più romano, ghibellino, confidando nella scuola per realizzare una élite tradizionale. Julius Evola ebbe più fortuna col neo-fascismo del dopoguerra che durante il Regime.
La scuola di Mistica Fascista, fondata a Milano nel 1930 e diretta dal triestino Niccolò Giani (1909-1941), volle essere il centro di formazione politica dei dirigenti del futuro. I principi chiave che sempre rimasero sullo sfondo furono l’attivismo volontaristico, la fede nell’Italia e quindi in Mussolini e nel Fascismo, un problematico connubio tra religione e politica, la polemica con altre dottrine politiche come la liberal-democrazia e il socialismo. Ripercorrendo la storia della Scuola e dello sviluppo del pensiero fascista, emerge la vicenda personale del fondatore e poi direttore di Mistica, Niccolò Giani, tenente degli Alpini e medaglia d’oro al valor militare, che in nome dei suoi ideali cadde sul fronte greco-albanese il 14 marzo 1941.
LIBERTA’ E FASCISMO
Già nel 1908 col suo “La rivolta ideale”, Alfredo Oriani fu un anticipatore del Fascismo denunciando la decadenza morale dell’Italia liberale. Scriveva Abel Bonnard (in Romanticisme fasciste di Paul Sérant, Ed. Fasquelle, Paris): “La più profonda esigenza di un popolo, in quanto non si sia degradato in individui, in quanto questo gigante non si sia sbriciolato in nani, consiste nel credere e nel seguire un capo degno di esso”. Tutto ciò, come si concilia con la libertà? Il fascismo conculcò ovviamente le libertà politiche, sindacali e civili che uscivano al di fuori di quella statolatrìa che lo contraddistinse. L’impalcatura giuridica del fascismo ebbe come maestro il giurista nazionalista Alfredo Rocco, che pose il prestigio e le esigenze dello Stato prima di quelle degli individui. Il fascismo conculcò la libertà dei social-comunisti e dei loro complici laici e popolari, non potendo un partito nazionalista tollerare una forza che era alle dirette dipendenze di una potenza straniera nemica, l’URSS.
Mussolini consolidò il potere vincendo le elezioni, ma ben presto i “ludi cartacei” divennero un peso per la realizzazione dello Stato Fascista.
A questo punto è necessaria una riflessione sulla libertà di voto che c’è attualmente. Oggi la libertà di voto si esprime sempre e obbligatoriamente con una croce su una scheda già elaborata dai partiti politici, che vendono un marchio al consumatore-elettore imponendogli di votare per Tizio (al limite di scegliere tra Tizio e Caio alle primarie o nelle liste elettorali) oppure, in alternativa di scegliere l’astensionismo. Nell’astensionismo, infatti, risiede la vera “alternativa” in un Sistema che dà un’apparente libertà al cittadino, comunque soggetto ad una o più propagande sempre coerenti col Sistema perché complementari ad intermittenza. In tal modo, avendo lo “sfogo” di mandare a casa (per modo di dire…) i partiti e i politici di turno scegliendone altri, il cittadino viene soddisfatto con l’apparenza di una libertà politica che mai sarà possibile dirigere contro il marcio intrinseco al Sistema, per organizzarlo in modo realmente alternativo. Ogni volontà di cambiamento radicale, si scontrerà con la resistenza di un Sistema che userà ogni mezzo, comprese le sue leggi, (o ne farà di nuove), per stringere le opzioni politiche all’interno del suo recinto; delegittimando, discriminando e criminalizzando tutto ciò che vuole uscirne. Si noti che anche nei regimi dove non vi è libertà di voto, è possibile esercitare la propria libertà politica se non si combatte il Sistema. Occorre anche evidenziare come, di fatto, tutti i partiti politici siano in realtà associazioni private, organizzate internamente in un perenne scontro tra “bande” facenti capo a determinati soggetti (che a loro volta rispondono ad interessi più “alti”), rafforzati da una pletora di portaborse e galoppini che raccolgono consensi attraverso la dispensa di favori o promesse, alla faccia dei diritti e dei meriti dei cittadini non coinvolti in tale “traffico”.
Anche l’informazione non partitica, facendo capo a gruppi industriali e finanziari perfettamente coerenti con un Sistema che dominano, sceglie di fatto di cosa parlare, quando farlo e soprattutto come farlo: una notizia o un’analisi “eretica” e minacciosa per il Sistema (come quella sul Signoraggio bancario), non avrà spazio o sarà stroncata da scomuniche, censure, magari diluita nelle milioni di informazioni che naufragano su internet annullandosi a vicenda. Se tale “idea”, riuscisse a superare la fase della censura soft, il Sistema porrà sempre maggiori ostacoli ad essa. Si può benissimo continuare a preferire “questa” libertà rispetto a “quella” dei regimi autoritari, o addirittura totalitari, ma ragionare in modo aprioristico e manicheo genera una pigrizia culturale che immobilizza qualsiasi anelito al miglioramento della Polis.
DEMOCRAZIA E FASCISMO
Le radici giacobine, seppur negate e combattute in parte, componevano lo statuto genetico del Fascismo (basti considerare la datazione di una Nuova Era dal 1922) e se non fu l’elemento razziale né quello classista a fungere da seme, è innegabile che l’individuo stesso non avrebbe avuto altri destini se non quello di tendere alla grandezza dello Stato e della Nazione. Carlo Costamagna nel suo “Dottrina del Fascismo”, (Terza Ed. La Tavola Rotonda, 1982) ribadiva come la prima esigenza della rivoluzione fascista, fosse proprio quella di “…assicurare la indispensabile concentrazione delle forze”, ovviamente inattuabile nel sistema parlamentarista, di una democrazia partitocratica.
L’insofferenza e il disagio che il fascismo ebbe verso la democrazia scaturita dagli “Immortali Principii”, può essere ben testimoniata liricamente, da questo pensiero del Vate abruzzese D’Annunzio tratto da “Le vergini delle rocce”: “- Voi vedete, mio caro padre,- io ripresi a dire, senza poter frenare i palpiti che mi sembravano ripercuotersi nella voce – voi vedete che da per tutto le antiche regalità legittime declinano e che la Folla sta per inghiottirle nei suoi gorghi melmosi. Veramente esse non meritano altra sorte! E non le regalità soltanto, ma tutte le cose grandi e nobili e belle, tutte le idealità sovrane che furono un tempo la gloria dell’Uomo pugnace dominatore, tutte sono sul punto di scomparire nell’immensa putredine che fluttua e si solleva. Io non vi dirò fin dove giunga l’ignominia, perché dovrei usar parole che offenderebbero il vostro orecchio; e, dopo, converrebbe purificar l’aria con qualche granello d’incenso. Io mi son partito dalla città, soffocato dal disgusto. Ma ora penso al dissolvimento quasi con giubilo. Quando tutto sarà profanato, quando tutti gli altari del Pensiero e della Bellezza saranno abbattuti, quando tutte le urne delle essenze ideali saranno infrante, quando la vita comune sarà discesa ad un tal limite di degradazione che sembri spenta pur l’ultima fiaccola fumosa, allora la Folla si arresterà presa da un panico ben più tremendo di quanti mai squassarono la sua anima miserabile, e, mancata a un tratto la frenesìa che l’accecava, ella si sentirà perduta nel suo deserto ingombro di rovine, non vedendo innanzi a sé alcuna via e alcuna luce.
Allora scenderà su lei la necessità degli Eroi; ed ella invocherà le verghe ferree che dovranno novamente disciplinarla. E bene, caro padre, io penso che questi Eroi, che questi nuovi Re della terra debbano sorgere dalla nostra razza e che fin da oggi tutte le nostre energìe debbano concorrere a prepararne l’avvento prossimo o lontano.” Il Fascismo distrusse pertanto la democrazia? Sì, ma quella “democrazia” fu lo strumento della vecchia, corrotta e massonica italietta ottocentesca che aveva depredato e massacrato il Sud, in cui si votava per censo, le donne non votavano e si sparava ai contadini che chiedevano il pane. Le “imprese” in tal senso di Cialdini prima e di Bava Beccaris poi sono state emblematiche. Quella stessa italietta in cui il Papa era ancora prigioniero politico dei liberali anticlericali. Il Fascismo pose fine a tutto ciò con i Patti Lateranensi. Oggi si assiste invece, ad una degenerazione della democrazia parlamentarista, paralizzata da un bicameralismo perfetto farraginoso ed ancora impaurito e diffidente verso un potere esecutivo capace di decidere con fermezza e rapidità. La degenerazione della democrazia italiana si nota oggi nella passione morbosa verso il reality show in cui tutti, anche senza meriti o attitudini particolari, hanno diritto a "diventare famosi" e ad "apparire" fomentando il proprio narcisismo e il voyerismo altrui. Le persone diventano cavie di esperimenti di osservazione psico-sociale, riprese dalle telecamere in ogni momento, mentre i cittadini si sentono "partecipi" o "decisivi" nel poter effettuare il loro "televoto".
Lo stesso fenomeno mediatico delle "Primarie" è coerente con la passione per il reality show perchè in tal modo, gli "uguali cittadini" sublimano in "civismo attivo" la loro passività nei confronti di un "evento" già deciso. Oggi sembra sempre più avvicinarsi quel “deserto ingombro di rovine” vagheggiato dal Vate, mentre il vero potere viene esercitato dalle anonime autocrazie degli organismi internazionali e dalla finanza apolide.

IL COMBATTENTISMO
Il culto dei camerati caduti si aggiunge come elemento liturgico e rituale alla scenografia comunitaria dei fascismi. Non c’è fascismo senza la percezione che “anni decisivi” si avvicinino, senza la percezione di una catastrofe da impedire, senza la volontà di combattere la decadenza che avvelena, invecchia ed intorpidisce nella “pace” la grandezza di una Civiltà. La Grande Guerra fu una vera e propria levatrice per quello spirito combattentistico, così intrinsecamente legato ai fascismi europei.
Nel 1917 vi fu l’irruzione nell’esercito italiano degli Arditi, volontari selezionati e scelti come reparti di assalto improvviso, per missioni ad alto rischio nelle file nemiche, impossibili ai soldati comuni. Gli Arditi furono consapevoli ed orgogliosi della propria identità di corpo e della loro passione sfrenata per la battaglia, a tal punto da costituire una nuova figura di combattenti che aderivano totalmente alla guerra e alle sue motivazioni come “soldati politici”, completamente assorbiti nell’azione eroica. Un tale “tipo umano” in tempo di pace, non avrebbe più concepito il suo ruolo nella società dimenticandosi chi fosse e quali virtù guerresche covasse nel cuore. I reduci della Grande Guerra furono sensibili alla propaganda della “vittoria mutilata” dagli accordi internazionali e mai sarebbero tornati ad essere “borghesi”, sempre che lo fossero mai stati veramente. Ernst Junger scrisse “Nelle tempeste d’acciaio” durante la sua esperienza nella Grande Guerra, autentica fucina di “uomini nuovi”per la stessa Germania: "Avevamo lasciato aule universitarie, banchi di scuola e officine...poche settimane d'istruzione militare avevano fatto di noi un sol corpo bruciante di entusiasmo...sentivamo il fascino dei grandi pericoli....Partiti sotto un diluvio di fiori, eravamo ebbri di rose e di sangue".
La vecchia “guerra di posizione” lasciava il passo al dominio della tecnica, alla nuova “guerra dei materiali” in cui l’eroe è disindividualizzato come un ingranaggio di un processo industriale. Lo scatenamento della potenza dei materiali e del fuoco, rendendo quasi invisibile la figura dell’eroe cavalleresco, tempra però il soldato nella sua dimensione interiore, eccitando la vita fino all’estremo. Le tempeste d’acciaio vissute dal volontario Ernst Junger, culmine nichilista dell’uomo dominato dalla tecnica, diventano però elemento capace di eliminare il bisogno di sicurezza.
Un “clima” nicciano invade quindi i reduci nel primo dopoguerra. Echi wagneriani preparano una nuova società in cui quelle forze elementari, svelatesi in modo estremo nella Grande Guerra avrebbero avuto un ruolo rigeneratore. Ernst Von Salomon, dopo la disfatta tedesca del 1918 aderì ai “corpi franchi” e ne raccontò l’epopea col suo “I Proscritti”, testo “iniziatico-ascetico” di una giovinezza dura e cupa, che insorge per contrapporre al “senso della storia” il proprio “destino”. Furono le violenze degli spartachisti berlinesi ad impressionare Von Salomon: “…da quel formicolìo doveva dunque scaturire la fiamma incandescente?...ma è possibile, mi domandai, arrendersi a quella gente?...costoro marciano per fame, per stanchezza, per invidia; e sotto questi segni nessuno ha mai vinto. Questo pericolo merita solo disprezzo. Ha un’apparenza informe: il viso della massa che avanza come un mare di fango…ma io non volevo essere preda del vortice.”
Davanti a tale cieco e confuso sgretolamento, Von Salomon vedrà sfilare i reduci della Grande Guerra, e quei volti e il loro incedere, saranno determinanti per la sua scelta finale: tentare una rivoluzione di segno diverso: “…erano uomini che obbedivano alla voce segreta del sangue, dello spirito; uomini indipendenti che avevano conosciuto una dura solidarietà e trovato nella guerra una patria…La patria si era trasferita in loro…trascinata, sommersa, era approdata al fronte…la guerra non li avrebbe lasciati mai; non sarebbero mai tornati a casa…quell’apparente ritorno nel mondo pacifico era una finzione; non sarebbe avvenuto mai”. La patria è sublimata nella dimensione immateriale di una “volontà” interiore, tesa a dare una “forma” vivente allo Stato. Un amore bruciante e assoluto, come destato da richiami disperati e lontani, trasformerà la patria in una forza.

SUGGESTIONI
Tarmo Kunnas (La tentazione fascista), individuò come uno dei tratti essenziali dei fascismi “l’ottimismo tragico”. Benchè il mondo non sia mai in pace e non sia perfetto, uomini aspri e forti, amanti della vita e capaci di soffrire e di combattere possono cogliere la gioia e la felicità nell’accettazione tragica del cieco destino. Solo chi sarà capace di soffrire potrà essere capace della più grande gioia: in questo risiede il segreto della dignità umana.
Va comunque evidenziato un altro aspetto oltre a quello volontaristico-tragico, e cioè quello anticonformistico, allegro e irriverente incarnatosi nel Fascismo e descritto da Robert Brasillach, il poeta fucilato dopo la caduta di Vichy. Robert Brasillach è lontanissimo dall’inquietitudine esistenziale del suo connazionale fascista Drieu La Rochelle, come dalla simbologìa funeraria della “bella morte”; l’essenza del suo fascismo è solare.
Armin Mohler (Lo stile fascista) evidenziava come quello “fascista” fosse uno stile, una visione del mondo, non tanto un’ideologìa. Una mistica dell’azione sostituisce le costruzioni ideologiche fatte a tavolino, il grido “A noi!”, la bandiera nera e il canto “Giovinezza” vanno a costituirsi come feconde basi emotive che saldano il cameratismo, autentico fattore coesivo di una comunità.Tale stile ebbe nei giovani, negli intellettuali e nei reduci, la forza d’urto interclassista che liquidò liberalismo, marxismo e democrazia. Onore, fedeltà e cameratismo, come ribellione aristocratica alla decadenza borghese e alla sovversione plebea visti come complementari “malattìe” psico-sociali. Il Fascismo fu pertanto la Terza Via, anti-liberale ed anti-comunista, sintesi e superamento del nazionalismo e del socialismo ottocenteschi, ponendosi all’interno del processo di modernizzazione, come alternativa culturale munita di una concezione eroica e spiritualista dell’esistenza. Volontarismo politico in rivolta quindi, contro il materialismo filosofico, l’individualismo, la società borghese, la democrazia liberale e il suo sottoprodotto marxista.
Giovanni Gentile intuì che la molteplicità degli individui avrebbe trovato unità nell’attuazione dell’Idea di Stato, e così scriveva in “Genesi e struttura della società” (Firenze, 1943):“Il problema dello Stato oggi non è più quello di assicurare il riconoscimento del valore politico del Terzo Stato, ma di garantire al lavoratore e ai suoi sindacati il valore politico che essi reclamano, ma che non possono ottenere finchè la molteplicità dei sindacati non si componga nell’unità della Stato… l’errore del vecchio liberalismo è lo stesso del sindacalismo: la concezione atomistica della società, intesa come l’accidentale coacervo ed incontro di individui, che sono astratti individui, o di sindacati come li può concepire soltanto chi alla società guarda materialisticamente contrapponendo gli egoismi dal basso e dall’alto… ma libertà non è per l’individuo astratto nè per il popolo se è diviso e ignora o è inetto ad attuare la coscienza della propria unità. Libero è l’individuo soltanto se è libera la sua Patria.” Nell’epoca attuale non c’è traccia del gentiliano “umanesimo del lavoro”, ma l’uomo viene irretito e sedotto dalle pulsioni edoniste che lo rivestono di piaceri, spogliandolo delle sue attitudini più nobili. Il bene effimero e a breve termine viene scelto sacrificando il complessivo organismo sociale e il bene comune.
Per Corneliu Zelea Codreanu occorreva considerare la comunità nazionale in tre aspetti: nel primo, la fedeltà e l’onore che si deve agli Avi, nel secondo, che ogni decisione dovrà avere presente gli interessi di tutto il corpo sociale inteso complessivamente e nel terzo, che tali decisioni dovranno essere prese anche nell’interesse di quella Nazione invisibile oggi ma che ci sarà domani. Gli istinti materiali sono oggi il nuovo e unico “universale” per l’individuo ridotto a tubo digerente, frastornato e tentato dalla materia e dal culto del dio denaro.

REALIZZAZIONI
La struttura giuridico-economica concepita dal fascismo in Italia è resistita sino agli anni ’90 del XX° Secolo ed ancora oggi, i Codici Civile e di Procedura Civile, il Codice Penale ed altre importanti Leggi dello Stato, durano da allora. Il Regime Fascista raggiunse grandi risultati sociali, culturali, artistici, tecnologici e architettonici e realizzò la prima grande Riforma scolastica che fece aumentare l’alfabetizzazione in Italia. Le otto ore lavorative e le assicurazioni obbligatorie per i lavoratori, le colonie estive, le bonifiche, la Carta del Lavoro del 1927, la creazione dell’INPS, dell’IRI e dell’IMI, furono strumenti di avanguardia che il mondo guardava con ammirazione. L’impalcatura creata dal Fascismo per lo Stato Sociale in Italia è monumentale, se confrontata a quanto fatto prima e dopo.
Nel 1923, col R.D. 2841 e nel 1943 col R.D.138 (che previde la “assistenza sanitaria gratuita ed istituzione dell’INAM”), venne per la prima volta garantito “il diritto alle cure gratuite”, autentica Rivoluzione se si pensa che gli USA iniziano questo percorso con quasi 90 anni di ritardo; col R.D. 543 vi è il commissariamento dello “Ente Autonomo Acquedotti Pugliesi” che in pochi anni terminerà i lavori fermi dal 1904 degli acquedotti, opere infrastrutturali fondamentali per un’economìa agricola che dopo 70 anni ancora non vengono restaurati. Se la gestione pubblica negli ultimi decenni fosse stata all’altezza, oggi non avremmo il problema di doverla privatizzare. Sempre nel 1923, il R.D. 1955 sancì la “riduzione dell’orario di lavoro ad otto ore”, che finalmente dava al lavoratore la dignità umana di soggetto, non più semplice ingranaggio produttivo come sta tornando ad essere oggi; col R.D. 653 si afferma la “tutela del lavoro di donne e fanciulli”, davanti al brutale sfruttamento che subivano; col R.D. 3184 la creazione della ”assicurazione invalidità e vecchiaia” che prospettava finalmente il futuro non come una minaccia o come un enigma da affidare alle associazioni filantropiche.
Nel 1926 il R.D.63 previde la “attribuzione della facoltà di indagine alla polizia tributaria” per far sì che lo Stato non fosse il cane da guardia degli interessi dei ceti dominanti, ma che organizzasse anche tramite la polizia tributaria un controllo sull’evasione fiscale per una migliore re-distribuzione della ricchezza nazionale; il R.D. 2277 istituiva la “Opera Nazionale Maternità ed Infanzia” che riconosceva la famiglia come cellula fondamentale e valore sociale meritevole di tutela; il R.D.1312 previde “Esenzioni Tributarie per famiglie numerose” alla faccia delle odierne ed inconcludenti diatribe sui “quozienti familiari” e nel 1937 il R.D. 1048 istituì gli “assegni familari”.
Nel 1933 col R.D.264 vi fu la “assicurazione obbligatoria malattie professionali ed istituzione dell’INAIL”, togliendo dall’angoscìa socio-economica una moltitudine enorme di Italiani; nel 1935 il R.D.112 previde la “istituzione del libretto di lavoro”,il R.D.1827 la legge istitutiva dell’INPS.
M. Biondi e A. Borsotti (Cultura e Fascismo, Ponte alle Grazie – 1996) ci ricordano come il Regime Fascista favorì l’ampliamento dei luoghi teatrali, capaci di raccogliere un vasto pubblico: Il Carro di Tespi, itinerante nelle provincie italiane, portò nel 1936 oltre un milione di spettatori mentre l’istituzione del “Sabato Teatrale” voluto dal MinCulPop, dal PNF e dalla OND avvicinò le masse lavoratrici al teatro come “mezzo di elevazione del popolo”. A prezzo ridotto per le categorie sociali più deboli, le compagnìe replicavano gli spettacoli il sabato pomeriggio. L'edificazione della "Cinecittà" rispose alla necessità autarchica di protezione della cinematografia italiana e pur essendo innegabile la finalità di propaganda, basta rivedere il film Vecchia Guardia (apologìa della Marcia su Roma) per rendersi conto che tale propaganda era poca cosa rispetto a quella sfacciata della democratica e plurimiliardaria Hollywood attuale.
Il 1938 vide col R.D.1165 l’istituzione dello “Istituto Autonomo Case Popolari” che iniziò l’opera magnifica di assicurare la casa di abitazione a chi non aveva mai potuto permetterselo.
Il Fascismo intuì la necessità di promulgare una Legge Urbanistica per la tutela dei territori e delle città; l’istituzione dell’IRI e dell’IMI per la ricostruzione e il rifinanziamento delle industrie in crisi, la creazione delle aree industriali e nel contempo la Istituzione dei Parchi Nazionali dello Stelvio, Circeo, Abruzzo e Gran Paradiso tra il 1922 e il 1935; il Fascismo favorì e finanziò lo sviluppo delle centrali idroelettriche, l’elettrificazione della rete ferroviaria, le bonifiche dell’Agro Pontino, in Emilia, Bassa Padana, Maremma e Sardegna. Nel 1939, il Cinegiornale LUCE trasmetteva il procedimento per riciclare i rifiuti a Milano a seguito della raccolta differenziata degli stessi, come evidenziato da una puntata di “Report” su RAI TRE.

RESISTENZE
La “Resistenza” fu un movimento di popolo che scacciò l’occupante “nazi-fascista”? Secondo Renzo De Felice, a fine guerra i partigiani censiti erano un po’ più di trentamila, mettendo nel conto anche gli opportunisti dell’ultim’ora, “arruolatisi” a risultato certo con la prospettiva di lavoro, pensioni ed onorificenze. Quando nell’aprile del 1945, i fascisti si concentrarono in Valtellina per l’ultima feroce resistenza agli Alleati, le strade delle città sguarnite iniziarono a riempirsi di partigiani che distruggevano le immagini del Regime. Gli aderenti alla Repubblica Sociale Italiana, con la certezza di andare incontro ad una sconfitta, erano stati oltre ottocentomila di cui una buona metà volontari. Se fosse dipeso solo dai partigiani senza il gigante militare angloamericano, oggi Il Corriere della Sera ospiterebbe ancora la pubblicità del quindicinale delle SS italiane Avanguardia. Ci furono forti divisioni all'interno della "Resistenza" ed ancora oggi vi sono divisioni sull'interpretazione della stessa.
A Cefalonia dopo l'otto settembre 1943, mentre il generale Gandin si adoperava per non far precipitare la situazione, cercando una via d'uscita per evitare la certezza dell'annientamento della divisione Acqui, i capitani Apollonio, Longoni e Pampaloni spinsero verso lo scontro facendo sparare contro i Tedeschi che da Patrasso cercavano di approdare ad Argostoli. Le trattative tra Gandin e i Tedeschi comunque continuarono fino a quando da Brindisi, arrivò il comando di opporsi al tentativo tedesco di disarmo e fu la fine della divisione Acqui . Pochi ricordano o ammettono la Resistenza dei giovani fascisti a Nettunia ed Anzio contro l’invasione americana o nel nord-est contro quella jugoslava. L’Italia ha perso una guerra con il disprezzo dell’alleato tradito e con quello dei nuovi alleati, come evidenziano le dichiarazioni di importanti ed autorevolissimi personaggi storici.
Nessun rappresentante del CNLAI fu convocato tra i vincitori al banchetto di Yalta e a Potsdam, segno inequivocabile della loro marginalità politico-militare. Sarebbe opportuno anche distinguere gli atti eroici come quello di Salvo D’Acquisto che offrì il petto ai Tedeschi da innocente, per scongiurare il diritto di rappresaglia, da quelli ottusamente criminali, compiuti da assassini che abbandonavano i cittadini inermi davanti ai plotoni di esecuzione. Roberto Beretta in “Storia dei preti uccisi dai partigiani” (Piemme, C. Monferrato, 2005), ricostruisce tante storie di brutalità dimenticate, come quelle subite dai due preti teramani: Don Vincenzo D'Ovidio (Poggio Umbricchio 19 maggio 1944) e Don Gregorio Ferretti (Collevecchio 24 maggio 1944). La “mitologìa resistenziale” ha avuto la necessità di negare la sua tragica divisione interna, l’eccidio di Porzus dei partigiani comunisti nei confronti di quelli “bianchi” (liberali, cattolici e monarchici), gli ordini presi direttamente dallo slavo Tito e le vendette private e sommarie (fino alla fine degli anni ’50!!) nel “triangolo della morte”, per dissimulare il fatto che l’Italia sarebbe stata spartita dalle due potenze extraeuropee vincitrici. Agli Italiani “sciuscià e senoritas”, oltre “pizza e mandolino”, sarebbero rimasti dei partiti succubi e al soldo di americani, inglesi e sovietici che seppero spartirsi in modo consociativo il potere politico, quello finanziario e quello culturale. Il mito della “resistenza tradita” è considerato uno dei moventi del terrorismo comunista degli anni ’70 e anche il clima da guerra civile strisciante, che per decenni ha inquinato ed inquina talvolta anche oggi la politica italiana, ha come origine il mito di un’occasione perduta dall’Italia nel 1948, quando le velleità filosovietiche del Fronte Popolare furono sconfitte, come già accaduto nel 1922. L’intellettuale progressista Asor Rosa, nel parlare delle “due italie”, divideva gli italiani onesti da quelli che non votavano per la sinistra e non leggono La Repubblica. Lo stesso Eugenio Scalfari infatti, ha considerato l’uomo di destra una curiosità antropologica e come ovvia conseguenza, l’antiberlusconismo si fonda sulle stesse radici irrigate dall’odio ideologico. Lo stesso moralismo laicista e “girotondino” è diretto erede in chiave giustizialista, di quella speranza sempre frustrata, di fare piazza pulita in Italia dei nemici come fu fatto sommariamente, nell’orgia di sangue della guerra civile fratricida.
MAFIA E FASCISMO
Se la Massoneria, specie quella del Grande Oriente d’Italia, si prese una rivincita col Fascismo grazie agli eredi del Partito d’Azione filo-inglese alla fine del conflitto mondiale, simile rivincita ebbe la Mafia filo-americana. Non marginale fu l’apporto della Mafia italoamericana di Lucky Luciano e Vito Genovese alla resistenza antifascista, anche se tale pagina di storia viene spesso censurata per ovvii motivi di decenza. Il Regime non si fermò neanche davanti a gerarchi collusi con la Mafia. Il Fascismo fu talmente duro con la Mafia, da renderla simpatica agli occhi di certi antifascisti. Enrico Nistri nel suo “Il Villaggio Tribale” (LoGisma Ed. - Firenze 2001) ci svela la fascinazione (oggi inconfessabile) del PCI nei confronti della Mafia: “Fino ai primi anni Settanta del secolo scorso, esponenti comunisti di primo piano continuarono a fornire una giustificazione ideologica alle collusioni tra Mafia e PCI, non solo come forma di collaborazione allo sbarco e all'insediamento degli anglo-americani, ma anche nei decenni precedenti.
La giustificazione venne elaborata da un vecchio dirigente del PCI, storico marxista dell'agricoltura e militante antifascista, arrestato nel 1930 e condannato a quindici anni di detenzione dal Tribunale Speciale. Quell'Emilio Sereni che proprio durante la detenzione nelle carceri fasciste maturò la sua interpretazione della Mafia come fenomeno ‘progressivo’ e della sua repressione, ad opera del Regime e del prefetto Mori, come forma di sostegno non alla certezza del diritto ma ai privilegi dell'aristocrazia più retriva. La tesi venne pubblicamente sostenuta da Sereni nel corso di un convegno dal titolo ‘La Toscana nel regime fascista’, i cui atti furono pubblicati da Olschki, a Firenze, nel 1971. Nel suo intervento il vecchio dirigente del PCI scriveva testualmente: ‘è particolarmente significativa... la politica condotta dal fascismo, in Sicilia, sotto la guida del prefetto Mori, nella repressione della mafia: che rappresentava allora una forma di organizzazione e di lotta caratteristica di ceti di media e grossa borghesia agraria, mediatori di affitti e subaffitti di grandi latifondi contro l'aristocrazia latifondista. L'abigeato, il taglio delle piantagioni ed altri reati di violenza, fino all'omicidio incluso, venivano largamente impiegati per spuntare, dall'aristocrazia assenteista, canoni e condizioni migliori per l'affitto dei latifondi, che poi venivano subaffittati ai diretti coltivatori: e tra questi, più sovente, i capi mafiosi trovavano la loro base di massa. Ho avuto occasione, nella mia vita carceraria, di passare anche lunghi periodi tra quelle vittime della repressione antimafiosa del fascismo: e mi sono sempre trovato in presenza di detenuti che offrivano, coi loro collettivi carcerari, un esempio di costume e di solidarietà identico a quello dei detenuti politici, piuttosto che a quello dei detenuti comuni.
Una feroce repressione, comunque, questa contro la Mafia da parte del Fascismo, che colpiva interessi non solo popolari, in Sicilia, bensì anche borghesi, in difesa della frazione più reazionaria e retriva delle classi dominanti regionali, quella dell'aristocrazia terriera assenteista’. Per Sereni dunque, e presumibilmente per il PCI, l'onorata società rimase onorata almeno fino al dopoguerra, perchè interpretò le aspirazioni dei ceti progressivi, borghesi o popolari, della società siciliana, contro la ‘feroce repressione’ fascista. Anche la violenza contro le persone, i vandalismi e gli omicidi erano giustificabili secondo questa logica, ed i ‘picciotti’ incarcerati dal prefetto Mori erano da considerarsi detenuti politici. Un po’ come negli anni Settanta lo sarebbero stati, per certe frange comuniste, i responsabili dei primi espropri proletari”.
REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA
Chi furono i “Ragazzi di Salò”? Non è noto a molti che autentici talenti come l’intellettuale cattolico e terziario francescano Attilio Mordini, gli artisti Walter Chiari, Ugo Tognazzi, Enrico Maria Salerno, Dario Fo, Raimondo Vianello e Giorgio Albertazzi, scelsero dopo l’otto di settembre del 1943 di combattere “dalla parte sbagliata”. Giorgio Albertazzi rivendicava nel suo Un perdente di successo, la nobiltà della sconfitta: “Scelsi non coloro che si erano già arresi, che disprezzavo, bensì la causa perduta, contro il conformismo piccolo-borghese che già si preparava ad acquattarsi nelle pieghe della resistenza…ritengo la mia esperienza nella R.S.I. un’avventura bellissima, unica…nelle medesime condizioni storiche, ambientali ed emotive non cambierei bandiera…di quel periodo ciò che più conta nei miei ricordi è il senso della poesia di chi perde”. Raimondo Vianello aderì alla R.S.I: “...per ribellione verso i Savoia dopo quello che era successo l’8 settembre, per ribellione verso il colonnello comandante che il 12 settembre, con un piede già sulla macchina carica di roba, mi chiamò per dirmi a bassa voce: ‘Vianello, si salvi chi può!’ ”. I “Ragazzi di Salò” potevano contare sul dinamitardo Filippo Tommaso Marinetti che col suo Quarto d’ora di poesia della Xa MAS, espresse tutta la carica avventurosa di quella scelta folle e cruciale: “Salite in autocarro aeropoeti e via che si va finalmente a farsi benedire dopo tanti striduli fischi di ruote rondini criticomani alambicchi di ventosi pessimismi”. La scelta diventa esistenziale, simbolica, romantica ancor prima che ideologica, del tutto scissa da convenienze contingenti e pertanto assolutamente “irresponsabile”, profondamente nobile nel suo impeto giovanile. Una scelta fascista. Tutto ciò ha suscitato anche ammirazione da parte di alcuni avversari riguardo la “colonna sonora” dei ragazzi di Salò. Le polemiche ricorrenti sulle proposte di equiparazione dei “repubblichini” ai partigiani, come combattenti, stimolano un dibattito utile per la pacificazione nazionale e per il rispetto di memorie reciprocamente accettate, anche se non condivise.
A molti reduci di Salò comunque, non importa molto di essere equiparati a coloro che fecero una scelta “antropologicamente” diversa. Il poeta americano Ezra Pound, eretico economista in lotta con la Grande Usura, fu internato a Coltano (PI), messo in una gabbia da animali e fatto passare per pazzo dagli americani. Il poeta aveva aderito alla R.S.I. definendo Vittorio Emanuele Terzo “quel mezzo feto” nel Canto n°72, mentre in Oro e lavoro, aveva sostenuto che: “Questa guerra non fu un capriccio di Mussolini, e nemmeno di Hitler. Questa guerra è un capitolo della lunga tragedia sanguinaria che s’iniziò colla fondazione della Banca d’Inghilterra nel lontano 1694”.
Scegliere di seguire Mussolini fino alla fine fu pertanto una scelta “ribelle”? Appare illuminante in proposito quanto riportato nel bellissimo “Fascisti Immaginari” di Filippo Rossi e Luciano Lanna sull’intellettuale Giano Accame: “Mentre da adolescente sceglievo di andare a Salò, i miei capi del sabato fascista cominciavano a cambiare opinione…non sono mai più riusciti a comandarmi…restare fascista in fondo al cuore ha significato liberarmi definitivamente di loro”. Il ribelle Ettore Muti che fu cacciato da tutte le scuole del Regno per aver picchiato un insegnante e da minorenne falsificò i documenti per partire volontario nella Grande Guerra, non esitò a scegliere la R.S.I. La figura eretica e controversa di Nicola Bombacci, esortava gli operai genovesi al riscatto dell’Onore nazionale dopo il tradimento dei Savoia: “Compagni! Guardatemi in faccia compagni! Voi vi chiederete se sono lo stesso fondatore del partito comunista, l’amico di Lenin. Sì, sono sempre lo stesso! Non ho mai rinnegato i miei ideali per i quali ho lottato…credevo che il bolscevismo fosse all’avanguardia del trionfo operaio ma mi sono accorto dell’inganno…il socialismo non lo realizzerà Stalin ma Mussolini.” Acutamente Marcello Veneziani ha sostenuto che: “Il fascismo nasce come eresìa nazionale del socialismo e si conclude come eresìa sociale del nazionalismo”.
Il Progetto di Costituzione della R.S.I. del ministro Carlo Alberto Biggini del 16 dicembre 1943, conteneva elementi assai interessanti e l’intuizione profetica di esigenze che si sarebbero palesate in seguito.
LA GUERRA
Il Fascismo ebbe la colpa di trascinare l’Italia verso Hitler? Ma chi non avrebbe scommesso nel 1940 sulla vittoria della Germania? Mussolini, pur detestando Hitler, pensò che l’entrata in guerra a fianco di un sicuro vincitore avrebbe portato vantaggi all’Italia, mentre il chiamarsi fuori sarebbe stato controproducente. Il Regime Fascista aveva iniziato a rafforzare le difese ai confini con l’Austria quando fu ucciso Dolfuss dai nazisti, amico di famiglia di Mussolini, perché si temeva l’avanzata tedesca fino in Italia. Benito Mussolini ebbe un ruolo importante prima della seconda guerra mondiale, per convincere Francesi e Inglesi a fare qualche concessione alla Germania nazionalsocialista (che qualche ragione su Danzica e i Sudeti ce l’aveva), umiliata dal Trattato di Versailles, per scongiurare la guerra. Forse una maggiore saggezza di inglesi e francesi, avrebbe spinto Hitler a frenare l’incandescente volontà di potenza sua e del Volk germanico che aveva ritrovato un orgoglio irriducibile, diretto ad un riscatto nazionale interno e ad una volontà di dominio esterno, teso alla ricerca del Lebensraum. Resta comunque innegabile la vocazione marziale e “tragica” del fascismo: nato da un Grande Guerra e conclusosi in un’altra Grande Guerra.
EPILOGO
Se il ciclo storico dei fascismi europei si è chiuso nel 1945, ciò è accaduto per la sconfitta militare che essi subirono. Se quella fascista, fu un’esperienza necessaria per la crescita della nazione italiana, un processo di trasformazione finito perché compiutosi o semplicemente una parentesi “irrazionale” (che ebbe però vastissimi consensi a tutti i livelli e per diversi anni), lasciamolo dire o non dire, agli storici. Non vi possono però essere dubbi sul fatto che col Fascismo bisogna fare i conti, perché non si può rimuovere una fase della storia d’Italia per esigenze propagandistiche da eterno dopoguerra. Una Nazione è un po’ come una persona: essa non può affrontare serenamente e pienamente il futuro se non ha prima metabolizzato la sua storia, la sua vita. A mio giudizio, il Fascismo ha rappresentato la Giovinezza della Patria.
Ogni avventura, necessita delle doti e delle virtù che solo la giovinezza poInserisci linkssiede come fase della vita, fase in cui la frenesìa, la volontà e l’azione, prevalgono su ogni altra virtù. Il Novecento inventò la gioventù e la gioventù inventò il fascismo, donando all’Italia la sua giovinezza, la sua “primavera di bellezza” con tutti gli eccessi, gli errori e le illusioni . Sempre col cuore alto.

http://www.ordinefuturo.info/storia/441-sul-fascismo

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