martedì 6 marzo 2012

Quel Nazionalsocialismo da sinistroidi (o sinistrati)



Marco Linguardo

Ho a lungo riflettuto sul titolo da dare a quest’introduzione e consiglio alla lettura, oscillando tra una forma più dotta “Il Nazionalsocialismo incompiuto” – scartata poiché sarebbe potuta essere interpretata come un possibile avallo a certe teorizzazioni – e una più generale, “L’ignoranza che partorisce retro-ideologie”. La scelta è infine caduta più su un titolo “alla Julius Streicher”: la miglior cosa è sempre essere chiari eliminando il più possibile ogni fraintendimento.

Cos’è mai questo “Nazionalsocialismo da sinistroidi”?

È presto detto, visto che ha come unico punto di riferimento Otto Straßer e il suo libro “Hitler segreto. Le rivelazioni del capo del Fronte Nero”, la cui prima edizione in lingua italiana è del luglio 1944 (si prega di porre attenzione alla data!) e ristampato di recente.

Nell’introduzione dell’editore in una delle ristampe si può leggere:

L’autore del presente volume si dichiara, chiaramente, nazionalsocialista ma il suo nazionalsocialismo era un “socialismo tedesco” che cercava di unire gli elementi positivi che provenivano da destra (nazionalismo) e da sinistra (socialismo) senza però i loro lati negativi: il capitalismo per la destra e l’internazionalismo per la sinistra.

O ancora:

Fedele all’idea nazionalsocialista, Strasser non mancò di presentare le proprie obiezioni in merito al crescere del culto totemico dell’imbianchino austriaco in quanto “le idee sono di natura divina, esse sono eterne. Gli uomini al contrario, non sono che corpi nei quali l’idea si incarna”. Al tempo stesso non mancò di fare le proprie rimostranze circa le posizioni razziste assunte dal partito dovute, secondo Strasser, alla nefasta influenza di Rosenberg e delle sue tesi raccolte nel libro “Il mito del XX secolo”.

In entrambe le citazioni, oltre al tono – che ricalca finemente la propaganda antinazista di un libro la cui prima stesura avvenne con il compiacimento dei nemici della Germania (la data di cui sopra!) – si evidenzia soprattutto l’ignoranza che se fino a qualche anno fa poteva essere perdonata visto la mancanza di fonti in lingua italiana, oggi non è più tollerabile. Non lo è poiché noi stessi come casa editrice abbiamo pubblicato per la prima volta dei testi in cui è evidente il socialismo tedesco di cui era pregno il Nazionalsocialismo. Quello vero, non quello fantasticato dagli accoliti ritardatari dei fratelli Straßer.

Tratto dal “Programma del NSDAP”:

“Nessun nazionalismo può veramente esistere, oggi, che non sia determinato in modo socialista Il Programma del Volk. E nessuno è un vero nazionalsocialista se non fa cadere l’enfasi sulla parola socialista. È qui, in questo concetto, che sta la forza propulsiva della nostra epoca”. (Adolf Hitler)

…Solo al servizio alla Comunità, solo come membro al servizio del popolo nel suo complesso si risveglia il singolo a una vita superiore, solo così – ciascuno al suo posto – egli diventa realmente integrato nell’elevata unità del suo popolo, solo allora sta realizzando, conquistando il socialismo reale = il senso della Comunità, la vita vera…

…Vogliamo anche qui dirigere particolarmente l’attenzione del lettore sul fatto che questo pseudosocialismo di stampo marxista è qualunque cosa tranne che socialismo, basandosi esclusivamente e rimanendo, di certo nella penombra del ragionamento politico, sullo stesso fondamento ideologico del più crasso “individualismo” sul quale si basa la caotica costruzione della società, come abbiamo avuto modo di vedere…

Ma ovviamente gli onniscienti non acquistano questo libro, ritenendo che il Programma del Partito consti di quei 20 punti che rimbalzano da un libro a un altro, passando per internet, da sessant’anni a questa parte. Povero Feder!

Continuiamo con una citazione di un libro per combattenti, quindi figuriamoci se al rude soldato della Wermacht – la terribile e rozza macchina da guerra “nazista” (!) – fosse fornito qualche rudimento del socialismo tedesco. Tuttavia, ecco che “sorprendentemente” in “Per che cosa combattiamo” abbiamo un intero paragrafo dedicato al socialismo, dal titolo: “Che cosa intendiamo per Socialismo?”

… La parola Socialismo deriva da “socius” = collega, compagno. Il socialismo sarebbe quindi l’idea dell’ordine di una coesistenza di persone che sono associate in una società o comunità. Secondo a quale tipo di società o comunità esse abbiano conferito maggior valore, al concetto “socialismo” possono essere collegate diverse idee. Poiché per noi tedeschi il valore supremo è il popolo e non — come per i marxisti — la “classe internazionale del proletariato”, il Socialismo per noi è una determinata forma di ordine “di un popolo”, che potremmo forse tradurre meglio con società di popolo, un ordine, allora, per il quale ai fini della posizione giuridica di questioni fondamentali, non importa se il singolo sia un contadino o un operaio, un funzionario o un dipendente, un artigiano o uno studioso, ma in primo luogo che si sia membri del popolo oppure no…

E per chiudere cosa dovremmo fare con la nostra pubblicazione “Il socialismo tedesco al lavoro”? Ricopiare l’intero libro?

Si può pertanto impudicamente affermare che Straßer avrebbe incarnato il vero Nazionalsocialismo? Sì, se a governare la mano di chi scrive certe sciocchezze è l’ignoranza abbinata ora alla malafede con il tentativo di creare una confusione ideologica.

E cosa dovremmo dire, poi, dell’affermazione sopra riportata sul “Mito del XX secolo”? Citato senza averlo letto! Abbiamo seri dubbi, infatti, che qualcuno si sia preso la briga di leggere il testo (completo!) in lingua tedesca, giacché solo pochi giorni fa sono usciti per la prima volta i libri II e III editi in italiano che costituiscono la parte centrale del Mito stesso.

…Una sottomissione dell’individuo ai comandamenti di una collettività non rappresenta necessariamente il socialismo, e lo stesso vale per una qualsivoglia statalizzazione o «nazionalizzazione». Altrimenti, si potrebbe considerare anche il monopolio come una forma di socialismo. Ed è ciò che praticamente fa il marxismo con la sua dottrina, opposta ai princìpi vitali, aiutando il capitalismo a svilupparsi fino al punto da essere concentrato in poche mani per instaurare in seguito la «dittatura del proletariato» al posto della dominazione dei grandi sfruttatori mondiali. Fondamentalmente, questo non porta assolutamente nessun cambiamento della situazione, ma soltanto un capitalismo mondiale con una differente etichetta. Per tale ragione il marxismo si allea ovunque alla plutocrazia democratica.

Non si saprebbe dunque giudicare se una misura, preventiva o modificante una situazione preesistente, sia socialista basandosi unicamente sul suo impatto. Decisivo per emettere un giudizio è l’insieme della collettività in nome della quale….

…Pertanto, nelle attuali condizioni politiche, il termine Stato è utilizzato in maniera ingannevole, perché lo «Stato» non dovrebbe essere né al servizio della borghesia né della lotta di classe marxista; dunque esso non esiste, nonostante se ne reclami con forza l’adorazione. Qualunque sia l’accanimento con cui il confessionalismo e la lotta di classe si oppongano a questo, una misura socialista non può essere promulgata o messa in pratica da nessuno dei due.

Questo può essere fatto soltanto da un rappresentante di un sistema che è in grado di considerare il popolo come un organismo, che guarda allo Stato – come abbiamo già detto – come uno strumento per la sicurezza esterna e per la pace interna; tiene dunque conto dell’insieme «nazione» nel limitare le azioni dell’individuo e delle piccole collettività…

Questi e molti altri passaggi evidenziano come anche nel libro “razzista” di Rosenberg si avesse cura del socialismo e di caratterizzarlo in maniera chiara e inequivocabile.

Quindi miei cari Lettori, siamo giunti al termine di questa mia, poi non tanto breve, introduzione lasciando per ultimo l’accenno ai “sinistroidi”. Certe posizioni, infatti, ricordano da presso i comunisti da salotto che amano discorrere di massimi sistemi, convinti della loro superiorità intellettuale e di essere investiti del compito di dare alla massa famelica e ignorante il verbo per comprendere quel mondo che fu e pensare – usando proprio delle esperienze fallimentari (!) – di guidare il presente in nome di un “socialismo nazionale” partorito dall’ignoranza.

Ora vi lasciamo a una lettura di un capitolo che per la lunghezza divideremo in due parti tratto da un libro che siamo soliti consigliare: “Hitler” di Rainer Zitelmann. Tanto l’autore quanto la casa editrice – Editori Laterza – non possono certamente essere tacciati di simpatie per il Nazionalsocialismo, tuttavia è uno dei rari esempi di onestà intellettuale e di narrazione storica che si attiene ai fatti e non alle fantasie.

Ricordiamo, infine, che il lavoro della casa editrice Thule ha l’unico senso di fornire del materiale autentico per ristabilire quella verità ideologica di cui sino a oggi siamo stati privati. Servitene e ne saprete qualcosa in più di un periodo di cui tutti parlano, ma pochi conoscono attraverso un immenso apparato documentale.

Marco Linguardo

Tratto dal capitolo: Il cammino verso la conquista del potere di Rainer Zitelmann.

Uscito di prigione, Hitler si trovò di fronte una situazione assai sfavorevole sia per sé che per la sua causa. Innanzitutto in quel periodo ebbe inizio la fase più positiva della Repubblica di Weimar, quella che gli storici chiamano oggi gli «anni felici» (1924-28). Fino al 1923 la propaganda estremistica dei comunisti e dei nazionalsocialisti aveva tratto grande alimento da una congiuntura caratterizzata da disordini politici interni, da problemi internazionali, e non da ultimo dal dramma economico dell’inflazione. La crisi politica interna raggiunse il suo punto più acuto nel 1923, quando la Francia e il Belgio occuparono il bacino della Ruhr per la mancata consegna di forniture di carbone da parte della Germania. La risposta del governo del cancelliere Cuno fu la proclamazione a gennaio della resistenza passiva, che si protrasse fino al 26 settembre dello stesso anno.

Nel 1924, però, il momento peggiore della crisi politica interna sembrò ormai superato, grazie soprattutto a Gustav Stresemann e alla sua politica di riavvicinamento alla Francia, presupposto di un graduale recupero delle possibilità di manovra della Germania nel campo della politica estera. L’incipiente stabilizzazione relativa rese naturalmente più angusti gli spazi d’azione e di propaganda dei nazionalsocialisti. Fu questa la prima difficoltà che Hitler avrebbe dovuto affrontare negli anni successivi.

Altri problemi però premevano più da vicino al capo del nazismo. Dopo il fallito putsch di Monaco erano stati dichiarati illegali sia la Nsdap che il suo organo, il «Völkischer Beo-bachter», e inoltre alcuni avversari di Hitler stavano facendo pressione per disporne l’espulsione dalla Germania e il rimpatrio in Austria. Il progetto non trovò tuttavia compimento, e in più il 16 febbraio fu abolito lo stato d’eccezione precedentemente decretato in Baviera, consentendo alla Nsdap e alla Kpd di uscire dall’illegalità. Hitler però venne privato della sua arma propagandistica più efficace in forza di un provvedimento che gli vietava di tenere discorsi in pubblico. Il divieto, emesso dal governo bavarese il 9 marzo 1925, fu presto esteso alla Prussia e a quasi tutti i Länder del Reich, sicché per due anni il capo del nazismo non poté pronunciare discorsi pubblici in buona parte della Germania. Il primo Land a revocare il provvedimento fu la Sassonia, il I febbraio 1927, seguita il 5 marzo dalla Baviera; negli altri Länder più grandi, Prussia in testa, esso fu invece mantenuto in vigore sino alla fine del settembre 1928.

Un problema forse ancora più grave che Hitler dovette affrontare dopo la scarcerazione fu la situazione interna di un partito arrivato pressoché allo sfascio. Durante la sua detenzione erano scoppiate rivalità accesissime fra i vari «duci» della Nsdap, sicché egli si impegnò al massimo, e alla fine con successo, a porre rimedio a quella situazione conflittuale. Il 27 febbraio 1925 fu convocata un’assemblea generale degli aderenti, a cui presero parte 3-4000 persone. Hitler riuscì a ricompattare le forze rivaleggianti nel partito e ribadì le sue prerogative di capo assoluto dello stesso. Ecco uno dei passaggi più significativi del suo intervento:

Voi sapete che sta infuriando una lotta aspra e crudele. Ora non chiedetemi di prendere posizione per l’una o l’altra fazione [...] L’unico dovere che sento è quello di impegnarmi per rimettere d’accordo le forze in lotta, cosa che non potrò fare se sarò un partito nel partito [...] Io non ambisco qui di conquistare la grande massa in sé per sé [...] Chi non vuole accamparsi nel terreno comune, dovrà restarne fuori; a chi invece vorrà farlo, io dico solo una cosa: la contesa adesso deve finire [...] Chi pensa però di legare il suo ingresso a delle «condizioni», mi conosce male. Per nove mesi ho evitato di proferire anche una sola parola, ma ora io sono il capo del movimento, e nessuno mi può porre delle condizioni. Il motivo è che se uno dei lorsignori viene e mi dice: «io pongo questa condizione», e poi ne viene un altro e mi dice: «io pongo quest’altra condizione», non mi resta che dare questa sola risposta: «amici, aspettate prima di sapere quali sono le condizioni che pongo io».

Inoltre Hitler era generalmente molto ben disposto a tollerare la presenza di posizioni politiche differenti all’interno del partito, perché era consapevole del fatto che esso teneva insieme uomini di tendenze politiche assai diverse e mossi da motivazioni altrettanto varie. Egli perciò era pronto senza esitazioni ad accettare questa situazione, fino a quando non mettesse in discussione l’unità d’azione del partito e la sua autorità personale. Il suo ruolo di mediatore interno del movimento dipendeva così dalla sua capacità di coniugare il riconoscimento incondizionato del Führerprinzip, cioè della sua autorità personale, con il massimo grado compatibile di sviluppo e articolazione delle posizioni politiche divergenti all’interno del partito. In occasione di un congresso dei delegati regionali della Nsdap tenuto il 12 giugno 1925, Hitler dichiarò quanto segue:

Non vi aspettate che io mi immischi in controversie spicciole e particolari [...] Mettetevi nei miei panni. Anch’io una volta posso sbagliare, fa parte della natura dell’uomo, che è fatta di carne e sangue [...] Il duce è colui che possiede l’arte di mettere assieme i singoli pezzi del mosaico, di prendere gli uomini come materiale di partenza, così come sono, e di portarli là dove devono essere portati. Se io cercassi soltanto uomini perfetti, senza spigoli duri, dovrei andare in giro con la lanterna come Diogene, e forse troverei a stento 10 sostenitori. Gli uomini invece sono differenziati per conoscenze e capacità. Il punto di vista del duce deve essere quello di rinunciare alla perfezione e di passare oltre anche ai difetti, per girare e rigirare nelle sue mani l’uomo, come fosse un mattone, fino a riuscire ad adattarlo al resto della costruzione.

Otto Wagener, futuro responsabile della sezione di politica economica della Nsdap e comandante delle Sa, ha descritto in modo assai appropriato il modo in cui Hitler usava dare gli ordini:

Egli evitava, o addirittura trascurava di dire: «io voglio avere questo così e così», ma esponeva il corso del suo pensiero, tenendolo il più delle volte su un registro filosofico e generale, ai collaboratori interessati o in circoli determinati, spiegando che era giusto pensare così e così, vedere le cose da questo o quel punto di vista, decidere sulla base di questo o quel principio, facendo attenzione a queste o quelle cose. Così il compito precipuo del singolo diventava quello di comprendere ed eseguire i suoi ordirti nel proprio campo d’azione, in modo da seguire la direzione generale indicata da Hitler e realizzare nel futuro il grande obiettivo che aveva preso coerentemente forma nel corso di tutte quelle discussioni.

Un siffatto stile di dare gli ordini costò spesso a Hitler il rimprovero di avere poca forza decisionale e di non adempiere ai suoi compiti direttivi. La critica veniva ovviamente avanzata ogni volta che una corrente del partito capiva di non avere la forza necessaria ad imporre la propria posizione e reclamava pertanto l’intervento del capo. In tali situazioni emerse molte volte che Hitler, pur tendendo, per sua mentalità e per la concezione che aveva della sua funzione, a rimandare le decisioni, nei momenti critici era però in grado di affermare la sua autorità in maniera molto efficace e pressante.

A questo proposito si può citare il comportamento tenuto da Hitler durante lo scontro con l’ala settentrionale, o sinistra, della Nsdap, riunita attorno ai fratelli Otto e Gregor Straßer e Joseph Goebbels. Nonostante le divergenze profonde che esistevano su problemi rilevanti, ad esempio sulla politica estera, Hitler riconobbe l’importanza di questi uomini e del loro lavoro politico, lasciò loro libertà d’azione e tollerò persino una certa critica alla linea della direzione centrale di Monaco. Egli però fu costretto a intervenire nel 1926, quando Straßer e i suoi sostenitori arrivarono a mettere in discussione il programma del partito e a reclamare una discussione interna su alcune questioni di principio, nonché a mettere in dubbio la strategia del Führer proponendo la collaborazione con i socialdemocratici e i comunisti su una importante questione politica (la legge di iniziativa popolare sull’espropriazione senza indennizzo dei beni della corona e dei prìncipi decaduti) ed esasperando i toni della critica a Monaco fino a coltivare piani per l’allontanamento di Hitler dalla direzione e la sua nomina a fondatore e presidente onorario del partito.

I capi dell’ala settentrionale, fra cui soprattutto l’ambizioso Otto Straßer, avevano male interpretato lo stile di Hitler nel dare gli ordini, prendendolo per debolezza. Tuttavia, nel corso di un congresso da lui convocato a Bamberg il 14 febbraio, il futuro dittatore riaffermò le sue prerogative di comando, riuscendo nel contempo a far fronte alla critica e alle azioni arbitrarie dei gerarchi settentrionali senza arrivare alla loro espulsione dal partito. La sua strategia iniziale fu invece quella di tirare dalla propria parte l’abile propagandista Joseph Goebbels, creando così motivi di sospetto fra questi e i fratelli Straßer. Goebbels, che nel novembre del 1926 assunse per ordine di Hitler la direzione della Nsdap berlinese, continuò anche in seguito a difendere posizioni dichiaratamente «di sinistra» e a porsi come il custode degli ideali rivoluzionari e socialisti della Nsdap, ma restò comunque fedele al suo Führer, nonostante le ripetute critiche alle posizioni «reazionarie» della direzione di Monaco e allo stile decisionale di Hitler. Gli anni successivi diedero ragione alla soluzione adottata da quest’ultimo, poiché Goebbels riuscì a fare della sezione regionale (Gau) berlinese della Nsdap, prima completamente in crisi, frazionato all’interno e privo di peso politico, un autentico bastione del nazionalsocialismo. Tuttavia la resa dei conti con gli altri leader dell’ala settentrionale, Otto e Gregor Straßer, era soltanto rimandata.

La propaganda hitleriana di quegli anni differì nettamente da quella degli inizi della sua carriera politica. Certamente Hitler continuava come sempre a polemizzare contro il Trattato di Versailles, ad attaccare con violenza la politica estera di Stresemann e a predicare l’odio verso gli Ebrei, ma ora i suoi discorsi assumevano spesso i toni più complessi della dissertazione filosofica, storica o politico-economica. Sebbene egli avesse sempre ribadito che la propaganda non si doveva rivolgere alla ragione, ma soprattutto al sentimento, alcuni discorsi di quegli anni andarono molto oltre l’instancabile ripetizione di slogan e parole d’ordine ad effetto da lui stesso predicata. Uno dei temi più presenti nella nuova propaganda hitleriana era la critica alla politica economica orientata alle esportazioni, incapace di risolvere la contraddizione fra aumento della popolazione e «spazio vitale». Spesso inoltre Hitler si confrontava con questioni di principio, come ad esempio il rapporto fra Stato e rivoluzione, le origini della questione sociale e del proletariato industriale, la colpa storica della borghesia, o anche con problemi di politica artistica e culturale. A fronte di questo rinnovato impegno teorico perdeva proporzionalmente terreno la discussione sui «meschini problemi quotidiani». Hitler rimproverava ai partiti di borghesi di non avere una Weltanschauung – a differenza dei marxisti – e perciò di non riuscire a comunicare alcuna prospettiva politica. L’opinione secondo cui il capo del nazismo riusciva a conquistare le masse «promettendo tutto a tutti» non coglie il nucleo centrale della sua propaganda. Senza dubbio Hitler nei suoi discorsi cercava di adattarsi ai desideri dei suoi ascoltatori ed è ovvio che, come facevano anche altri uomini politici, si rivolgesse agli operai con parole diverse da quelle usate per gli imprenditori; tuttavia tale capacità di adattamento ai diversi uditorii non può essere presa come lo specifico determinante della propaganda hitleriana. In essa le promesse economiche materiali giocavano un ruolo subordinato, poiché egli era del parere che una sottolineatura eccessiva di quell’argomento producesse nel popolo più divisioni che unità di vedute e comportamenti.

L’economia è più un peso negativo che un fattore costruttivo -ebbe a dire Hitler in un discorso pronunciato nel novembre del 1928 – Oggi si vedono molti Tedeschi, specialmente fra i ceti borghesi, che dicono in continuazione che l’economia fonderà assieme il nostro popolo. Io dico di no, perché l’economia è piuttosto un fattore che divide un popolo. Un popolo ha degli ideali politici. Se però un popolo si consacra tutto all’economia, allora essa lo spaccherà in due, perché nella nostra economia c’è uno scontro continuo fra manodopera e datori di lavoro [...] Se gli uomini hanno gli occhi soltanto per l’economia, la sua forza disgregante diventa manifesta.

Secondo il capo del nazismo le rivendicazioni spicciole in materia economica non potevano costituire la piattaforma comune di un movimento che aveva la pretesa di rivolgersi a tutti gli strati della popolazione. Inoltre essa non riempiva gli uomini di quell’idealismo cieco che a suo avviso rappresentava il presupposto indispensabile del successo di un movimento rivoluzionario.

Credetemi – affermò Hitler in un discorso del marzo 1927 – se questo movimento si occupasse dei cosiddetti problemi quotidiani, quegli stessi con cui si gingillano in pubblico i partiti politici e portano le masse alle urne elettorali, se esso dicesse: noi nazionalsocialisti siamo pronti e decisi a lottare per far avere agli insegnanti pensioni e aumenti di stipendi e ai funzionari statali un innalzamento delle retribuzioni, vogliamo migliorare questo e quello, e inoltre siamo anche pronti a diminuire le tasse a favore del Reich, se noi insomma facessimo tali cose, allora in breve tempo le persone si allontanerebbero anche da noi.

Certamente i successi messi a segno dai nazionalsocialisti fino al 1928 non furono sensazionali. In occasione delle elezioni parlamentari del 20 maggio 1928 essi ottennero soltanto il 2,6% dei voti e 12 seggi nel Reichstag, un risultato misero se confrontato a quello che il partito avrebbe conseguito appena due anni dopo. Anche confrontato con il 6,5% ottenuto alle elezioni del 4 maggio 1924 dalla lista unificata della Nsdap e della Deutsch-Völkische Freiheitspartei (Partito tedesco-sciovinista della libertà), il risultato del 1928 può sembrare deludente. Tuttavia dobbiamo considerare il contesto in cui si ebbero le due prove positive del 1924 e del 1930: la prima è da metter in collegamento con le suggestioni indotte dagli avvenimenti drammatici del 1923 e dal successo propagandistico ottenuto da Hitler nelle ultime battute del processo a suo carico, la seconda con l’impressione provocata dalla crisi economica e politica che avrebbe aperto la strada al tracollo della Repubblica di Weimar.

La tesi dello storico Peter Stachura, secondo cui il risultato elettorale del 1928 fu per i nazionalsocialisti «un’amara delusione», non trova conferma né nei diari di Goebbels, né nel discorso pronunciato da Hitler all’assemblea generale degli iscritti e dei capi del partito che ebbe luogo a fine agosto -inizi settembre, e in occasione della quale secondo Stachura il malumore per la sconfitta elettorale spinse il partito a un «riorientamento a destra» della sua linea politica. Nel diario di Goebbels c’è una nota del 21 maggio che commenta così il risultato elettorale: «Un bel successo, che abbiamo guadagnato anche con il nostro lavoro». Dello stesso tenore è la posizione espressa dal responsabile nazionale dell’organizzazione Gregor Straßer in un articolo di giornale del 27 maggio: «Proprio la gioiosa constatazione dell’interesse con cui il popolo tedesco guarda al messaggio di salvezza dei nazionalsocialisti, ci impegna a diffondere sempre più questo messaggio».

Il risultato del 20 maggio rappresentava un successo anche perché era la prima volta che la Nsdap si presentava da sola alle elezioni per il Parlamento e perché era riuscita a dimostrare chiaramente la sua egemonia nel campo della destra sciovinista. Il blocco nazional-sciovinista aveva infatti ottenuto soltanto lo 0,9% dei voti e nemmeno un mandato parlamentare: tale dato consentì a Hitler, nel suo discorso d’apertura della già citata assemblea generale degli iscritti, di presentare il risultato di maggio come un successo dei nazionalsocialisti. Fra la vivace approvazione degli iscritti e dei capi di partito presenti, egli affermò quanto segue:

Per la prima volta eravamo affidati alle nostre sole forze, gravati da un passato assai pregiudizievole, e possiamo dire con orgoglio di avere ottenuto un successo travolgente. Non solo abbiamo preso 12 mandati e per pochi voti, per una diabolica fatalità, non ne abbiamo avuti altri due, ma abbiamo sconfitto la concorrenza degli avversari. Ora esiste un solo movimento sciovinista, e per di più libero da qualsiasi ipoteca nei confronti delle Leghe di difesa. È stato per noi un piccolo trionfo, il fatto che i partiti che godevano dell’appoggio delle Leghe di difesa lo hanno perso, mentre noi, che non lo avevamo, l’abbiamo guadagnato.

Anche se il dato numerico assoluto dimostrava che la Nsdap restava un partito minore, a cui nel 1928 nessun osservatore avrebbe dato la chance di conquistare il potere politico in Germania, la fede di Hitler nella vittoria certa del suo movimento non venne scalfita — fatto questo tanto sorprendente quanto degno di nota. Ecco a tale proposito un passaggio del suo discorso di chiusura della summenzionata assemblea generale degli iscritti, pronunciato il 2 settembre:

Questo movimento, in forza della sua costituzione spirituale e della sua organizzazione, arriverà alla vittoria con certezza matematica, perché le sue basi spirituali sono in sé assolutamente giuste. Uno sguardo fugace alla storia mondiale dimostra che di tanto in tanto emergono singoli fenomeni che riescono a cambiare il mondo in un lasso di tempo relativamente breve e a portare al successo nuove idee, sebbene all’inizio i portatori di queste idee siano pochissimi per numero e i loro avversari appaiano imbattibili.

La certezza nella vittoria finale del movimento e dei suoi obiettivi rivoluzionari era fondata in Hitler soprattutto sulla teoria della «minoranza storica», secondo cui una minoranza radicale era sempre più forte della maggioranza debole e vigliacca. Tale minoranza doveva essere per il capo del nazismo reclutata specialmente tra le file delle classi lavoratrici.

Secondo una certa interpretazione, che riteniamo errata, sulla scorta della supposta sconfitta elettorale del 1928 la Nsdap rinunciò alla sua strategia di apertura verso la classe operaia e cominciò a badare unicamente alla ricerca del consenso dei ceti borghesi. Nella sua analisi della politica sindacale del nazionalsocialismo, lo storico Max Kele arriva invece alla conclusione che in quel torno di tempo la propaganda della Nsdap si fece sempre più «filosindacale» e che i suoi appelli agli operai divennero sempre più concreti ed efficaci. Nell’estate del 1928 sorse persino il primo sindacato nazionalsocialista, la Nsbo (Nationalsozialistische-Betriebszellen-Organisa-tion, Organizzazione nazionalsocialista delle cellule aziendali), modellata sull’esempio delle cellule aziendali comuniste.

Il 30 novembre 1928, durante un comizio, un cittadino chiese a Hitler perché avesse appena detto di avere una grandissima fede nei lavoratori tedeschi, ottenendo la risposta seguente,

[...] perché non mi dicono niente né la raffinatezza né i toni aristocratici. Quando oggi un proletario mi esprime brutalmente la sua opinione, ho la speranza che un giorno questa brutalità possa essere rivolta verso l’esterno. Quando invece un borghese mi cinguetta in modo ultraraffinato la sua opinione, mi accorgo che qui c’è puzza di debolezza e di viltà. Quando un borghese si culla nei suoi sogni meravigliosi e parla soltanto di cultura e civiltà e della realizzazione estetica del mondo, mi sento in dovere di rispondergli: «Tu sei perso per tutta la nazione tedesca, sei adatto per la parte occidentale di Berlino, va’ lì in quel lereiume e crepaci! Balla la tua danza da negro fino alla fine!»

Altrettanto accesa era la polemica hitleriana contro la borghesia come classe e i partiti borghesi: «Io comprendo la ripulsa interiore che prova ogni socialdemocratico e ogni comunista nei confronti dei partiti borghesi — così suona un discorso del 20 novembre 1929 – e se non fossi nazionalsocialista, poiché non potrei mai essere marxista, mi rifiuterei di aderire a qualsiasi partito!»

Nondimeno Hitler in quello stesso periodo si sforzò di ampliare le sue possibilità di azione e strinse contatti con altri gruppi nazionalisti, come lo Stahlhelm (Elmo d’acciaio). Questi collegamenti ebbero come sbocco finale la proposta comune di una legge di iniziativa popolare contro il cosiddetto Piano Young, varato da poco per la ridefinizione della questione delle riparazioni di guerra tedesche. Hitler fiutò in questa vicenda una buona opportunità propagandistica per il suo movimento, e in effetti la collaborazione con la Deutsch-nationale Volkspartei (Dnvp, Partito popolare tedesco-nazionale) di Hugenberg e lo Stahlhelm permise ai nazionalsocialisti di dare alle loro posizioni un’ampia risonanza pubblica. Nonostante l’esito negativo della consultazione referendaria promossa dal fronte nazionalista, la campagna contro il Piano Young fu per Hitler un grosso successo.

Tuttavia la collaborazione con le forze della destra reazionaria nascondeva alcuni rischi di non poco conto: una scelta simile non significava forse abbandonare l’identità rivoluzionaria del partito, e non implicava forse il pericolo che esso da quel momento venisse considerato come semplice frazione delle destre ultraconservatrici? Questi e altri dubbi simili angustiavano molti iscritti alla Nsdap e trovano un riflesso esplicito anche nei diari di Goebbels. Il 17 marzo 1929 il capo dei nazisti berlinesi scriveva infatti:

Da alcune allusioni fatte sul «Beobachter» ho arguito che il capo ha deciso di inaugurare una più stretta collaborazione con lo Stahlhelm. Un passo simile lo ritengo assai pericoloso, se nello stesso tempo lo Stahlhelm non la fa finita con la sua politichetta stupida. Se ci facciamo coinvolgere in quell’insensato referendum popolare, per noi sarà la rovina più completa. Nessuno ha il permesso di contestarci il primato dell’opposizione politica. Tuttavia confido nel buon istinto del capo, che finora non ha mai fallito.

Goebbels temeva che l’alleanza con la destra potesse annacquare la linea rivoluzionaria del partito: «Niente ci lega né con la destra né con la sinistra», come si legge in una nota del 24 marzo. Egli sospettava che a Monaco Hitler stesse subendo qualche cattiva influenza: «La linea di Monaco è a volte insostenibile. Io non sono disposto ad accettare un compromesso marcio [...] Certe volte dubito di Hitler. Perché se ne sta zitto? Gli opportunisti vogliono raccogliere i frutti prima ancora che siano maturi». L’intenzione di Hitler era senza dubbio quella, come scrive Goebbels, di «abbindolare la reazione», ma esisteva comunque il pericolo che «vi restasse egli stesso abbindolato». In un primo momento Hitler riuscì a fugare la «preoccupazione per la reazione» nutrita da Goebbels con un incontro svoltosi l’I 1 aprile e il cui esito fu commentato dal secondo con enorme sollievo, «come se mi fosse caduta un’intera montagna dal cuore». Tuttavia l’effetto delle rassicurazioni hitleriane non durò molto, poiché già pochi giorni dopo Goebbels annotò nel suo diario che «la reazione avanza risoluta a passo di marcia nel nostro movimento». Persino un uomo della sinistra interna del peso di Gregor Straßer aveva verso la collaborazione con lo Stahlhelm un atteggiamento più «magnanimo» di quello ostentato da Goebbels, che comunque sperava ancora di «piegarlo» alle sue posizioni. «Non dobbiamo assolutamente farci legare alla reazione. Mi opporrò a ciò con qualsiasi mezzo legale. Noi vogliamo essere rivoluzionari, e vogliamo anche restare tali», si legge in una nota del 30 aprile. Anche altri membri del partito e delle Sa condividevano le perplessità di Goebbels, che se da un lato interpretava questa circostanza come un buon segno («I rivoluzionari socialisti stanno in guardia [...] Io sono dalla parte dei radicali»), dall’altro cercò di placare la tensione e i malumori rivolti «contro Monaco».

Infatti, cosi come si era visto in altre situazioni successive alla rottura con i fratelli Straßer, il capo dei nazisti berlinesi era comunque pronto, nonostante le sue preoccupazioni, a ubbidire alle decisioni di Hitler. «Collaboreremo all’iniziativa referendaria dei tedesco-nazionali contro Versailles e Young -scrisse Goebbels il 5 luglio – ma ci metteremo alla testa del movimento e strapperemo alla Dnvp la sua maschera. Noi siamo abbastanza forti per avere la meglio in qualsiasi alleanza». Un’ombra di scetticismo però rimaneva, a dispetto di tutti i tentativi di comprendere le ragioni di Hitler:

A Berlino è stato dato il via alla nuova legge di iniziativa popolare contro le menzogne sui debiti di guerra e il Piano Young. Alla testa del movimento c’è Hugenberg, in mezzo c’è Adolf Hilter [...] Mi risulta impossibile non nutrire le preoccupazioni più serie. Nell’appello ci sono certi nomi! O mio Dio! A proposito di Hitler si può dire solo questo: «mi fa male il cuore a vederti in quella compagnia!»

Hitler invece giudicava i pericoli nascosti in questa cooperazione con le forze borghesi di gran lunga inferiori ai benefìci che essa gli avrebbe potuto recare. In ogni caso egli si concepiva come l’elemento predominante dell’alleanza, poiché aveva a che fare con forze borghesi e reazionarie per loro natura «deboli» e «vigliacche», i cui giorni erano ormai contati. Al momento però esse potevano tornargli utili, in quanto gli consentivano di dare alla sua propaganda un grado di diffusione fino a quel momento mai raggiunto. Gli sviluppi positivi dei mesi successivi avrebbero dato ragione a Hitler. Anche se già in alcune elezioni regionali del 1928 e 1929, precedenti tanto la campagna contro il Piano Young quanto la crisi economica mondiale, la Nsdap aveva visto raddoppiare o addirittura triplicare i propri voti rispetto alle consultazioni passate, è pur vero che dopo quella campagna, e soprattutto sotto l’impressione dell’incipiente crisi economica mondiale, la crescita del partito conobbe un’enorme accelerazione.

Nonostante i successi raccolti e le buone prospettive per il futuro, non si può dire che tutto nella Nsdap stesse andando per il meglio. Dal gennaio al luglio del 1930 essa dovette anzi far fronte ad una crisi gravissima, i cui retroscena e le cui cause profonde sono stati presentati fino ad oggi in modo spesso unilaterale. Iniziatore di essa fu ancora una volta Otto Straßer con il gruppo dei suoi fedeli, noto anche come «sinistra nazionalsocialista». Finora gli storici che hanno ricostruito le vicende che portarono alla rottura fra Hitler e Otto Straßer hanno fatto valere troppo i dati ricavabili dai resoconti dello stesso Straßer. Secondo tale interpretazione, al centro della vicenda ci fu lo scontro fra la tendenza «socialista-rivoluzionaria» del nazionalsocialismo impersonata da Straßer e i suoi fedeli, e la linea «reazionaria» di Hitler. Questo perché Straßer, dopo aver fallito nella Nsdap e volendo provocarne la scissione, presentò Hitler come traditore del socialismo, degli interessi dei lavoratori e della rivoluzione.

Deve però far riflettere la circostanza che il conflitto conclusosi con l’espulsione di Straßer all’inizio non si configurò tanto come uno scontro fra questi e Hitler, quanto piuttosto fra Goebbels e Straßer, che ideologicamente non erano poi così lontani l’uno dall’altro e si presentavano entrambi come fautori degli ideali socialisti-rivoluzionari del nazionalsocialismo. Ciò porta a credere che il contrasto Goebbels-Straßer non fosse motivato in primo luogo da fattori ideologici, ma fosse piuttosto un conflitto di potere interno al movimento, causato dal tentativo ambizioso di Straßer di consolidare la sua posizione dentro il partito. Alla base di tutto c’erano le ambizioni concorrenti del Gauleiter (capo distretto) di Berlino Goebbels e del Kampfverlag (Edizioni di combattimento) del gruppo di Straßer per la pubblicazione di un giornale quotidiano nella capitale del Reich. Goebbels vedeva la sua posizione di comando minacciata dall’attività pubblicistica del gruppo di Straßer e perciò pretese da Hitler una decisione netta. Contrariamente a quanto sostenuto da alcune interpretazioni correnti, secondo cui Hitler aveva incaricato a seguito di ciò Goebbels di «rendere innocui» i sostenitori di Straßer, Hitler in realtà non prese alcuna decisione favorevole all’una o all’altra parte. Nei mesi seguenti Goebbels si lamentò ripetutamente della scarsa forza decisionale dimostrata dal suo capo nell’azione contro Straßer: non fu perciò Hitler a ordinare a Goebbels di procedere contro Straßer, ma fu il secondo che convinse il primo ad agire, e soltanto sotto la ripetuta minaccia di dare le dimissioni.

Il 26 gennaio 1930 nella «Berliner Arbeiterzeitung» Straßer annunciò il passaggio a quotidiano di «Der Nationale Sozialist», un settimanale del suo Kampfverlag. Il passo fu interpretato da Goebbels, che già il 24 novembre aveva annunciato nel suo organo «Der Angriff» l’uscita di «un quotidiano rivoluzionario a Berlino», come un attacco diretto alla sua posizione di Gauleiter della regione berlinese. Egli pertanto si rivolse immediatamente a Hitler, che in un incontro tenuto il 30 gennaio gli assicurò la sua assoluta lealtà nella lotta contro Straßer. Agli inizi di febbraio, in una conversazione con Goebbels Rosenberg riferì che Hitler era stato molto duro con Straßer e che aveva insistito affinché il suo quotidiano non uscisse a Berlino. Tuttavia Hitler non era ancora disposto a spingere la sua azione contro Straßer al di là di questo punto. Il 16 febbraio Goebbels stigmatizzò «l’anarchia» che regnava nel partito, scrivendo inoltre: «Hitler soltanto ne ha la colpa, perché non decide e non fa valere la sua autorità». Dopo un colloquio fra Hitler e i fratelli Straßer, il Gauleiter berlinese temette addirittura che il suo capo avesse «cambiato idea». In un successivo incontro a due, egli tornò all’attacco per portare il Führer sulle sue posizioni: «Hitler trabocca di gentilezza -annota Goebbels —, segno questo che ha la coscienza sporca».

Dopo la pubblicazione del primo numero quotidiano di «Der Nationale Sozialist», avvenuta il I marzo 1930, Goebbels scrisse sul suo diario ciò che segue: «Dunque ieri è veramente uscito il quotidiano di Straßer, e proprio a Berlino. Con ciò sono stati capovolti tutti i nostri accordi. Hitler ha capitolato apertamente [...] davanti a questi pazzi meschini e astuti bavaresi della Bassa». Seguì quindi la reazione del Gauleiter berlinese, con una prima minaccia di dimissioni. Goebbels era deciso a tutto, persino a un passo così estremo, ma mai pensò di mettersi contro Hitler. Con le dimissioni, infatti, questi si sarebbe «cercato le sue marionette altrove».

[ fine prima parte ]

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Quel Nazionalsocialismo da sinistroidi (o sinistrati) – seconda parte

La seconda parte dell’estratto dal libro di Zitelmann, “Hitler”. Per chi volesse acquistarlo può farlo tramite la nostra casa editrice

Prima parte

Il Führer fu molto contrariato dalla minaccia di dimissioni agitata da Goebbels. Come riferisce quest’ultimo, Hitler era deciso a «bollarlo come capro espiatorio», aveva «fatto chiasso a destra e a sinistra» e lo aveva definito «un piccolo Gauleiter». Ogni speranza di una dichiarazione di Hitler sfavorevole a Straßer era ormai caduta. «Egli va smaniando per un cambiamento contro di me. Deve solo provarci!» Hitler aveva «perso tutto il credito» che godeva presso di lui, poiché in quella vicenda aveva smentito la sua parola già cinque volte. «Hitler si nasconde, non prende decisioni, non comanda più, ma lascia andare le cose. Io gli sono fedele fino alla morte, ma non si può pretendere da me che mi lasci portar via il Gau da Straßer». Hitler promise più volte a Goebbels di procedere a un chiarimento contro Straßer, ma il Gauleiter berlinese ormai non gli credeva più. «Egli non se la sente di fare qualcosa contro Straßer, Se ora è cosi, che cosa succederà quando dovrà fare la parte del dittatore in Germania?» — si chiedeva Goebbels il 28 marzo.

Pochi giorni dopo Goebbels fece un ennesimo tentativo di convincere Hitler a procedere contro Straßer, rimproverando al Führer «tutta la sua indolenza». Hitler sembrò molto colpito da tali accuse e assicurò a Goebbels che sarebbe finalmente passato all’azione. Anche questa volta però le esitazioni e i temporeggiamenti ebbero la meglio, e così a metà aprile Goebbels chiese un altro incontro con il suo capo. In quell’occasione Hitler definì Straßer «la sua più grande delusione» e diede nuovamente a intendere di essere pronto all’azione. «Ma fra il capire e il fare — cosi suona il commento di Goebbels – in lui c’era sempre di mezzo il mare». In un’annotazione del 25 aprile, il Gauleiter berlinese scrisse ancora una volta di essere deciso a dare le dimissioni se Hitler non avesse fatto nulla contro Straßer.

Spinto dalla pressione massiccia di Goebbels e dalla constatazione che il conflitto stava precipitando in maniera drammatica, in due colloqui del 21 e 22 maggio Hitler invitò in toni ultimativi Otto Straßer e i suoi sostenitori a rinunciare al Kampfverlag. L’esponente della sinistra si trovò perciò isolato con la sua piccola cerchia di simpatizzanti: anche suo fratello Gregor e altri uomini della sinistra erano passati dalla parte di Hitler. Dopo la rottura con quest’ultimo (tra l’altro ulteriormente procrastinata per motivi tattici, in considerazione delle imminenti elezioni regionali della Sassonia), Straßer pubblicò un sedicente protocollo dei due colloqui del 21 e 22 maggio.

Benché sia noto che Straßer fosse un testimone estremamente inattendibile e che nella maggior parte dei casi le sue affermazioni su Hitler e la storia del nazionalsocialismo fossero frutto, come è stato dimostrato, di libere invenzioni, fino a oggi gli storici hanno seguito acriticamente la ricostruzione strasseriana di quei colloqui con Hitler e hanno citato le parole attribuite da Straßer a Hitler senza interrogarsi sulla loro effettiva paternità.

Tale interpretazione ha dato vita alla leggenda della rottura inevitabile tra Hitler, traditore della rivoluzione e del socialismo, e Straßer, uomo fedele ai suoi princìpi e sincero fautore della linea rivoluzionaria del nazionalsocialismo. Il sedicente protocollo degli incontri del 21 e 22 maggio venne quindi pubblicato (con il titolo Ministersessel oder Revolution?, Poltrona ministeriale o rivoluzione?) da Straßer all’indomani della rottura con Hitler per smascherarne il tradimento reazionario a danno dei lavoratori e provocare una scissione nel partito. Il 4 luglio seguì un appello intitolato Die Sozialisten verlassen die Nsdap (I socialisti abbandonano la Nsdap), che avrebbe fatto da faro alla fondazione di una Kampfgemeinschaft Revolutionärer Nationalsozialisten (Comunità di combattimento dei nazionalsocialisti rivoluzionari). Gregor Straßer, fratello di Otto e considerato per molto tempo, accanto a Goebbels, il cervello dirigente della sinistra nazionalsocialista, accusò il fratello di aver pubblicato un resoconto assolutamente infedele e unilaterale del colloquio del 22 maggio, e pronosticò che egli avrebbe resistito soltanto finché avesse potuto pubblicare un giornale e «riunire attorno a sé forse 200-300 persone [...], in parte seguaci in buona fede e giovani fanatici, ma ancor più attaccabrighe di professione precedentemente esclusi dal partito». Con ciò Hitler, nonostante le sue esitazioni e i suoi temporeggiamenti, usciva vittorioso dalla spinosa vicenda.

Tuttavia la maggioranza dei Tedeschi fu consapevole solo marginalmente di questi e di altri conflitti interni alla Nsdap. Essa infatti era incalzata più da vicino da ben altri problemi. Fra le elezioni del maggio 1928 e quelle del settembre 1930 il tasso di disoccupazione in Germania era salito dal 6,0% al 13,5%. La crisi economica mondiale, iniziata il «venerdì nero» del 25 ottobre 1929 con il crollo della Borsa di New York, si trasmise anche alla Germania, aggravandosi di mese in mese e assumendo ben presto le proporzioni di una crisi istituzionale. La depressione economica causò una diminuzione delle entrate fiscali, mentre nel contempo aumentavano le uscite per l’assicurazione contro la disoccupazione. Il governo di «grande coalizione» diretto dal cancelliere socialdemocratico Hermann Müller cadde il 27 marzo 1930 proprio sulla questione del risanamento del deficit statale, sul dilemma cioè fra inasprimenti fiscali e riduzione delle spese assistenziali. Con ciò ebbe fine l’ultimo governo della Repubblica di Weimar sostenuto da una maggioranza parlamentare.

Dal 1930 al 1933 la Germania fu guidata dai cosiddetti governi presidenziali: i cancellieri non si appoggiavano più alle maggioranze parlamentari, ma soltanto alla fiducia e ai poteri speciali del presidente della Repubblica Hindenburg. Secondo l’articolo 48 della Costituzione di Weimar, in situazioni particolari di crisi questi aveva la facoltà di emettere decreti di emergenza che il Reichstag poteva anche non approvare, a rischio però che il presidente sciogliesse le camere e indicesse nuove elezioni. Inoltre il capo dello Stato aveva il potere di nominare o licenziare il cancelliere o il governo senza il voto del Parlamento.

Il cancelliere del primo governo presidenziale fu il deputato del Zentrum (il partito cattolico) Heinrich Brüning. Brüning era intenzionato a riportare in pareggio il bilancio dello Stato attraverso l’azione combinata degli inasprimenti fiscali e della riduzione delle uscite. Dopo che la relativa proposta di legge fu bocciata dal Reichstag, il cancelliere convinse il presidente a emettere due decreti di emergenza, il primo sul taglio agli stipendi dei funzionari statali, il secondo sull’aggravio del prelievo fiscale sui redditi alti. II Reichstag però fece decadere anche questi due decreti e così Hindenburg, su invito di Brüning, sciolse le camere e indisse nuove elezioni per il 14 settembre 1930. Dalla nuova consultazione il cancelliere si attendeva un rafforzamento dei partiti borghesi e la formazione di una maggioranza parlamentare a lui favorevole.

I risultati finali del voto ebbero invece l’effetto di un terremoto. La Nsdap vide moltiplicarsi la sua percentuale di consensi dal 2,6% del 1928 al 18,3%, ottenendo 107 seggi nel Reichstag (contro i 12 precedenti) e assurgendo a secondo partito della nazione dopo la Spd. L’altro grande vincitore fu la Kpd, che aveva condotto la campagna elettorale privilegiando le parole d’ordine nazionalistiche contrarie al Piano Young e al Trattato di Versailles. I principali sconfitti delle elezioni furono invece i partiti borghesi, che registrarono sensibilissime perdite di voti.

Qual era la provenienza degli elettori della Nsdap? Le ricerche di Jürgen Falter, studioso delle dinamiche elettorali, hanno dimostrato che questa prima ondata di nuovi elettori attinse soprattutto da tre fronti: dall’area dei partiti protestanti (conservatori o liberali) delle classi medie e dei partiti d’interesse, i cui elettori persi andarono a costituire circa la metà del potenziale di voto nazionalsocialista del 1930, dall’area del non-voto, che fornì alla Nsdap 1/5 circa dei consensi ottenuti, e infine, circostanza oltremodo degna di nota, dall’area socialdemocratica, i cui elettori in uscita rappresentarono circa 1/7 del nuovo elettorato nazista. Dal 1928 al 1930, quasi il 10% degli elettori tanto della Spd che del Zentrum cattolico erano passati alla Nsdap. Da notare è inoltre il fatto che le parole d’ordine nazionalsocialiste fecero molta più presa fra l’elettorato protestante che non fra quello cattolico: nelle zone a distribuzione confessionale fortemente protestante (più di 2/3) la percentuale di voto per i nazionalsocialisti si attestò sul 21% circa, mentre nelle zone a forte maggioranza cattolica il risultato si collocò attorno al 12%. Benché l’esito delle più recenti elezioni regionali avesse schiuso ai nazionalsocialisti la prospettiva di una buona affermazione nella consultazione nazionale, nessuno dei capi del movimento aveva messo in conto un successo così vistoso. Come annotò Goebbels nel suo diario, Hitler era «completamente uscito dai gangheri». Da un giorno all’alto la Nsdap era diventata di fatto uno dei principali attori della vita politica tedesca.

La domanda che sorgeva ora era se Hitler, che fino a quel momento si era posto in prevalenza come capo di un movimento rivoluzionario, tenesse fede alla tattica legalitaria inaugurata dopo il fallimento del suo putsch del 1923. Dubbi in proposito vennero avanzati ad ogni pie sospinto. Alcuni giorni dopo le elezioni del 14 settembre il Führer cercò di fugare queste preoccupazioni e pronunciò il cosiddetto «giuramento di legalità» davanti alla Corte suprema di Lipsia. Occasione fu un processo contro tre ufficiali della Reichswehr accusati di collusioni illegali con la Nsdap. Hitler fu citato come testimone e il presidente del tribunale gli chiese di spiegare cosa intendesse con l’espressione «rivoluzione nazionale tedesca». Hitler fece professione di fede per la legalità, ma limitò il riconoscimento di essa alle sole forme della lotta politica:

Se ci fossero oggi altre due-tre elezioni, il movimento nazionalsocialista otterrebbe la maggioranza nel Reichstag e allora comincerebbe a preparare la rivoluzione nazionalsocialista [...] La Costituzione stabilisce soltanto il terreno della lotta, ma non il suo scopo finale. Noi entriamo nelle istituzioni legali e in questo modo faremo del nostro partito il fattore determinante delle stesse. Ciò nondimeno, quando ne avremo acquisiti i diritti costituzionali, noi daremo allo Stato la forma che più riterremo giusta.

Ciò che Hitler aveva dichiarato con molta eleganza davanti alla corte di Lipsia, era stato già detto con grande chiarezza un anno e mezzo prima, in occasione di un’assemblea della Nsdap:

Ci forgeremo per le vie legali quelle armi che sono idonee ad assicurare la vittoria finale del movimento, vittoria che per noi può significare soltanto la eliminazione ed estirpazione dei distruttori del nostro popolo [...] Fonderemo una dittatura popolare tedesca non-parlamentare, una dittatura nazionalista della forza, della risolutezza e dell’intelligenza, che, ovviamente in modi del tutto legali, porrà fine alla democrazia [...] Se quest’altra forma di governo è fondata per le vie legali, e se con ciò è diventata essa stessa legale, possa il Signore salvaguardarla dall’attuale legalità.

Tuttavia la tattica legalitaria di Hitler non significava affatto che il partito scegliesse di limitare la sua azione alla sola lotta elettorale e parlamentare. Il Parlamento restava per i nazionalsocialisti comunque precluso a qualsiasi possibilità di collaborazione costruttiva, configurandosi soltanto come tribuna dell’agitazione rivoluzionaria. Almeno della stessa importanza erano le azioni extraparlamentari della Sa, che sfociavano in sanguinosi scontri di piazza con i comunisti della Lega di combattimento del Fronte rosso.

Tuttavia il rapporto fra gli attivisti delle Sa e il partito restò sempre difficile. Già nell’agosto del 1930, poco prima cioè delle elezioni generali, era esploso un conflitto fra la Nsdap e il comando delle Sa berlinesi, guidate da Stennes. Occasione della contesa fu la richiesta, espressa dalle Sa berlinesi in forma di ultimatum, di una più forte presenza di candidati squadristi nelle liste per l’elezione del Reichstag. Hitler rigettò questa ingiunzione, ma in un primo momento non prese la situazione troppo seriamente. Quando però le Sa assalirono e demolirono l’ufficio centrale del partito a Berlino, il Führer dovette immediatamente recarsi di persona nella capitale. Goebbels era disperato: «È così che deve andare in pezzi tutto il nostro lavoro di quattro anni?» Per il Gauleiter di Berlino alcune cause della ribellione dovevano essere attribuite anche alla responsabilità di Hitler: «Povero Hitler! Ecco il risultato di anni di negligenza».

Hider fece stroncare la ribellione dal suo corpo giurato di fedelissimi, le Ss, destituì Pfeffer, comandante supremo delle Sa (Osaf) e assunse egli stesso la guida dell’organizzazione squadristica. Con ciò il conflitto fu per il momento sedato e Goebbels fece anche alcuni passi per arrivare ad una riconciliazione con Stennes, pur non credendo «che Stennes [sarebbe stato] tranquillo per molto tempo».

Goebbels e Hitler individuarono le cause profonde del conflitto in un difetto strutturale dell’organizzazione, e conclusero che da quel momento non avrebbero più dovuto permettere alle Sa di maturare ambizioni politiche. Hitler, come annota Goebbels il 9 ottobre, «sta riorganizzando lentamente le Sa e le ha riprese nelle proprie mani. Dunque le vicende berlinesi gli hanno insegnato qualcosa». Tuttavia nelle Sa continuava a serpeggiare molta inquietudine. «I ras delle Sa – così pensava Goebbels – protestano a buon diritto contro lo scandaloso porcile di Monaco. Hitler è circondato da un ambiente cattivo. Bisogna liberarlo dai filistei».

Come conseguenza degli avvenimenti berlinesi Hitler richiamò al suo fianco Ernst Rohm, che già negli anni precedenti aveva reso importanti servigi al movimento, ma che nel 1928 si era trasferito in Bolivia per fare l’istruttore militare. Fin dal principio però l’operato di Rohm fu bersaglio di molte critiche, non da ultimo fondate sulle voci già allora imperanti (e del resto rispondenti al vero) sulle sue tendenze omosessuali. Nuovi contrasti furono inoltre scatenati dal tentativo intrapreso da Rohm per limitare il potere di Stennes e dal malumore nutrito da numerosi attivisti delle Sa nei confronti della tattica legalitaria di Hitler. Goebbels da un lato mostrò comprensione per le critiche provenienti dalle file squadriste, perché sospettava anch’egli della debolezza e della «smania di compromesso» di Hitler e voleva arrivare «in ogni caso al potere, e anche subito». D’altra parte però il Gauleiter berlinese capiva che le Sa sopravvalutavano eccessivamente la loro forza. Alla fine del marzo 1931 la crisi scoppiata attorno alle Sa conobbe un nuovo inasprimento. Il conflitto fra Rohm e Stennes era giunto al punto di massima tensione e solo a stento Hitler riuscì a far recedere Rohm dal suo progetto di destituire Stennes. Goebbels, che cercava di fare da mediatore non solo fra i due contendenti, ma anche fra le Sa e la direzione del partito, si schierò lealmente a fianco di Hitler, come aveva sempre fatto in tutte le crisi successive alla rottura con il gruppo di Straber: «Se si arriverà a una rottura, io resterò con Hitler, sebbene sia convinto che laggiù [a Monaco — R.Z.] ci siano molte cose da riformare». Comunque sia, i tentativi di Goebbels non ebbero successo.

Ai primi di aprile scoppiò una seconda ribellione delle Sa berlinesi, che ben presto si estese a tutta la Germania settentrionale e orientale. Si trattava, come sperava Goebbels, «della più grave, ma forse anche dell’ultima crisi del partito». Hitler fu molto impressionato dal nuovo sconvolgimento interno. «È pallido e smunto [...] Hitler ostenta coraggio, ma dentro di sé è distrutto». Ancora una volta fu necessario l’intervento delle fedeli Ss per stroncare la sollevazione.

La rivolta è stata soffocata – annota Goebbels il 15 aprile – ma continua a fermentare e ribollire sotto le ceneri. Essa ritornerà a galla alla prima occasione, se non riformeremo il partito dalla testa ai piedi [,..] Anche se Stennes è stato fatto completamente a pezzi, noi dobbiamo provvedere a eliminare le cause che hanno provocato questa ribellione. In questo partito si deve avere il diritto di denunciare i mali che lo affliggono [...] Il ruolo di mediatore sincero fra Berlino e Monaco è molto difficile.

Negli anni successivi, sotto la guida di Rohm, le Sa crebbero fino a diventare un minaccioso esercito civile, che alla fine del 1932 poteva contare su oltre mezzo milione di aderenti. Dopo le elezioni di settembre anche la Nsdap registrò un rapido incremento di iscrizioni, benché Hider scorgesse in ciò un qualche pericolo. Infatti adesso confluivano nel partito anche molte forze «vili» e opportuniste, ma il partito doveva sempre restare una élite di rivoluzionari «arditi» e «coraggiosi». Il dilemma sulla natura della Nsdap, se cioè dovesse essere partito di massa o di quadri, non fu mai risolto da Hitler in modo chiaro. Solo dopo la presa del potere, anch’essa seguita da un secondo e più sostenuto afflusso di nuovi iscritti, fu decretato provvisoriamente il blocco delle iscrizioni. Comunque le nuove adesioni erano molto importanti per la Nsdap, soprattutto perché, sebbene non si trattasse sempre di attivisti pronti a tutto, le sue fonti principali di finanziamento provenivano proprio dai contributi degli iscritti. Ciò non è secondario se si tiene presente che la Nsdap, a differenza dei partiti borghesi, non limitava la sua attività propagandistica ai soli periodi preelettorali, ma era impegnata in una campagna pressoché continua.

La questione del finanziamento del partito e della sua propaganda ha già da allora portato alla supposizione che dietro di esso ci fossero mandanti segreti e potenti finanziatori. Uno degli argomenti più efficaci della propaganda antifascista era che Hitler, in ultima analisi, non fosse altro che una marionetta del grande capitale e venisse da questo finanziato.

Un’affermazione ripetuta così spesso e insistentemente nelle versioni e nelle sfumature più diverse si trasforma a un certo punto nella leggenda secondo cui in effetti «qualcosa di vero ci deve pur essere». Il fascino di questa tesi risiede nel fatto che essa fornisce un modello di spiegazione semplice a un qualcosa, come il successo di Hitler, in un primo momento inesplicabile. Essa inoltre esercita un certo potere di seduzione perché, come tutte le «teorie delle cospirazione», pretende di conoscere il senso apparentemente «più alto» o «segreto» di cause Inserisci linknascoste o retroscena che all’inizio appaiono difficilmente comprensibili.

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