sabato 24 marzo 2012

Le etère nell'etere...semantica di un termine imbarazzante...


pubblicata da Ettore Alfieri

su facebook il giorno lunedì 19 marzo 2012 alle ore 20.59 ·

Nel medioevo la prostituzione, pur avversata dalla Chiesa, era tollerata, e addirittura contemplata dagli statuti di molte città-stato italiane - A Napoli, e nel Sud, la zoccola è la femmina del topo: dal latino “sorcula”, da sorex=topo.

Prima espressione locale, oggi la parola zoccola (e la zoccola tout-court) sono uniformemente diffuse su tutto il territorio nazionale -

Cavour, oltre a fare l’Unità d’Italia, introduce il meretricio di stato. Nei confronti delle prostitute la neonata Italia mostrò subito grande tolleranza, regolamentando le tariffe e agganciandole al costo della vita.


Virginia Oldoini, contessa di Castiglione

La troia è la femmina del maiale destinata alla riproduzione; la scrofa, sempre femmina del maiale NON destinata alla riproduzione.

MALAFEMMINA: Si tratta di un’espressione edulcorata: di un eufemismo, impiegato per evitare di dire “prostituta”. E’ singolare come questo termine derivi da una parola che oggi si utilizza per indicare un omosessuale: la parola “gay”. Tutto parte, come sempre, da lontano. Gay viene dal provenzale “gai”: “che dà gioia”. La Gaia Scienza era, per i trovatori, la scienza dell’Amore. Passò il tempo, e l’aggettivo passò dalla Francia in Inghilterra, dove da “gai” divenne “gay”, nel senso di “depravato, dissoluto” Nell’ottocento, dire “gay-woman” (nel doppio senso di allegra/depravata) era un modo meno cruento, e più ironico, di alludere a una puttana. Solo più tardi, intorno al 1920, gay passò a designare un omosessuale maschio.“Malafemmena” è una parola del dialetto napoletano; anche quando è italianizzata in “malafemmina”, la sua origine resta evidente. Altrettanto chiaro è il legame tra questo termine e un grande napoletano: Antonio De Curtis, in arte, e in eterno, Totò. Totò di femmine se ne intendeva; era notoriamente uno sciupafemmine . Una donna arrivò a suicidarsi per lui, che ne portò il rimorso per tutta la vita. Non si sa quanta esperienza Totò avesse di malafemmene: sappiamo peraltro con certezza, e con esattezza, che nel 1951 il principe compose la famosa canzone intitolata appunto “Malafemmena”. Molti continuano a credere che l’abbia composta per la maliarda Silvana Pampanini, incontrata sul set di “Quarantasette morto che parla”, e di cui si sarebbe innamorato senza fortuna. Invece no: la figlia Liliana ha più volte raccontato che la canzone era dedicata alla moglie Diana, per rimproverarla di non aver tenuto fede ad un impegno: ormai separati in casa, Diana aveva promesso al marito di non abbandonare la medesima fino a che la loro unica figlia (la Liliana di cui sopra) non avesse compiuto i diciott’anni. Poi però non aveva mantenuto la promessa, e se n’era andata, per sposare un altro uomo. Con la sua amarissima e bellissima canzone,il termine malafemmena diventata rapidamente celebre, il napoletanissimo Totò contribuì non solo alla sua diffusione ma, evento linguistico straordinario,allo “shift”: allo “scivolamento” di significato di questo termine.

Fino ad allora, la parola “malafemmena” era stata perfettamente sovrapponibile a “puttana”: era soltanto un po’meno cruda, meno dura, così da potersi pronunciare in pubblico. Nella canzone scritta da Totò (al di là della verità storica: semplicemente a rileggerne il testo), la malafemmena non è una donna che concede i suoi favori a destra e a manca: è semplicemente un’ingannatrice, una donna inaffidabile, che fa credere una cosa, e poi ne fa un’altra: una fedifraga, nel senso letterale di “infrangitrice di fiducia”. La malafemmena di Totò non è dunque una puttana: è una donna cinica, che gioca coi sentimenti del malcapitato caduto nelle sue reti. E perciò lo fa soffrire. Grazie alla canzone di Totò, la parola “malafemmena” esce dai confini regionali, e acquisisce una certa notorietà in tutta Italia. Modificando un po’ la sua grafia, malafemmena diventerà successivamente “malafemmina”. E come malafemmina verrà utilizzata e pronunciata da milioni di parlanti nativi. Lo psichiatra e linguista trasformazionalista Claudio Ciaravolo in un saggio sulla selezione culturale,ha evidenziato come straordinariamente anche di quest’altro evento linguistico particolare (l’italianizzazione in malafemmina del termine dialettale malafemmena),si conosce il momento preciso. A veicolare questo cambiamento di vocale è – singolarmente - lo stesso Totò. Fu lui ad insistere ed ottenere che nel titolo di un film che richiamava la sua già ormai nota canzone ci fosse la i al posto della e. E’ il 1956, e nelle sale cinematografiche si proietta “Totò, Peppino e la malafemmina” (con la i). Regia di Camillo Mastrocinque. Ne sono protagonisti (come recita il titolo) Totò e Peppino De Filippo, nei panni di due contadini campani in missione a Milano, allo scopo di strappare dalle grinfie della “malafemmina” in oggetto (una splendida Dorian Gray) il proprio nipote, “studente che studia” (un Teddy Reno alle prime armi). Questo film diventerà un cult e la diffusione del termine malafemmina con la i sarà grandissima. Da“Totò, Peppino e la malafemmina” sono tratti tre situazioni tra le più conosciute ed amate: l’arrivo dei due a Milano, in piena estate, con cappotto e colbacco, perché “a Milano fa freddo”; l’incontro con il vigile in piazza del Duomo, e la lettera che Totò detta a Peppino. A conferma del cambiamento di significato del termine malafemmina, nel film di Mastrocinque la ballerina alla quale viene affibbiata questa qualifica non ha nulla della prostituta: è una brava ragazza, sinceramente innamorata del nipote dei due provinciali, che alla fine sposerà, con soddisfazione di tutti.

Escort è un termine molto moderno: il più attuale che ci sia. Ha sostituito puttana in tutto e per tutto, meno che nel suo significato più basso, di “donna da marciapiede”. L’antenata della escort era soltanto una ragazza-immagine, ingaggiata dagli organizzatori di convention, e dai gestori di locali alla moda per rendere l’atmosfera più gradevole. Pagata per questo ruolo di valletta, o di modella un po’ speciale, la escort non aveva altro impegno che quello di essere là, di sorridere, e di conversare amabilmente. Poi ha cominciato a intervenire alle cene di affari, alle feste, ai convegni e alle manifestazioni ufficiali, arrivandoci con colui che la pagava per questo ruolo esclusivo: facendogli insomma da “scorta” invidiabile. E’ qui che, dall’inglese “escort”: scorta, nasce la escort propriamente detta. Che però non si ferma qui. Sulla carta, le prestazioni della escort non vanno al di là di questo ruolo di accompagnatrice. L’uomo che la porta con sé si sente gratificato, sempre che gli altri non sappiano che si tratta di una donna “a pagamento”, scritturata per l’occasione. Le transazioni che passano tra la escort e il suo cliente potrebbero comunque essere di vario genere, e di differente intensità. Sempre, s’intende, retribuite. La presenza sempre più diffusa delle escort sui media, e le notizie del loro impiego nella realtà, hanno ridotto la parola “escort” a un eufemismo al quale si ricorre per non dire “puttana”. I due termini sono ormai praticamente dei sinonimi: a favore dell’impiego di escort sui media c’è la sua attualità. A ben vedere, alcune differenze (non sostanziali, ma sostanziose) tra puttana ed escort ci sono. Per cominciare, le escort non le si trova mai sul marciapiede: devono essere ingaggiate passando per il suo protettore (che loro stesse chiamano, a seconda dei casi, “amico” o “agente”). Una escort, inoltre, non costa mai meno di qualche centinaio di euro: mediamente, di più di una puttana. E soprattutto una escort, assai diversamente dalle puttane, veste con abiti non appariscenti,ha solo un filo di trucco e pochi gioielli.Deve sembrare una donna di classe, bella e intelligente e allora sorride molto,parla poco, si muove con garbo.Ha l'andatura semplice e sicura.Non ancheggia,nè ha atteggiamenti eccessivamente seduttivi. Benché il termine escort non abbia a che fare con la nota auto della Ford, si è imposto di recente un neologismo che fa riferimento ad un modello della Fiat per indicare una ragazza disponibile per soldi alle ammucchiate: multipla.

Puttana non è una parola simpatica. Non è un vezzeggiativo, e non è un diminutivo: e nemmeno un termine per indorare la pillola (che spesso la puttana prende, per evitare gravidanze indesiderate).

Le cose che vanno male, vanno tutte da lei: finiscono a puttane. Ma lei, la puttana, da dove viene? Come professione, è la più antica del mondo: come parola, viene dall’antica Roma. “Puta” (potatura) era una dea minore dell’agricoltura. E piuttosto potabili erano le sue sacerdotesse, che durante le feste dedicate al suo culto pare si dessero molto da fare. Secondo un’altra teoria, meno accreditata, puttana deriverebbe dal verbo “putare”: credere, ritenere. Quest’etimo avrebbe a che fare con i Greci, notoriamente molto acculturati: quando i romani conquistarono la Grecia, gli uomini, ridotti in schiavitù, furono messi a fare i precettori dei figli dei vincitori. Le donne furono invece destinate ad altro: ma siccome, in quanto greche, erano molto più istruite delle donne romane, ignorantelle anziché no, venivano chiamate “putae”: pensatrici.

In latino, peraltro, “puta” significa ragazza. Un termine che è rimasto nel veneto “putea”: bambina, ragazzina. Da putta, passando per il francese “poutaine”, si arriva finalmente all’italiano “puttana”.

Aspasia di Atene...

Prostituta viene dal latino pro=davanti, e statuere=porre: nell’antica Roma le schiave venivano “poste davanti” alla bottega del loro padrone, che le metteva in vendita a fini immaginabili. Niccolò Tommaseo, il grande letterato autore del “Dizionario della Lingua Italiana” (1858-79), sosteneva che la prostituta fosse diversa dalla meretrice: mentre quest’ultima “si merita” (da cui il nome) dei soldi noleggiando il proprio corpo, la prostituta attizza il desiderio, spingendo gli uomini a compiere delle bassezze. Considerato il mestiere più antico del mondo, la prostituzione venne regolamentata per tempo: a istituire il primo postribolo della storia pare sia stato addirittura Solone, ad Atene, nel VI secolo avanti Cristo. I romani, padri del diritto, non furono da meno, specificando gli orari (di solito notturni), e le ubicazioni (lontano dalla città) dei lupanari. Nel medioevo la prostituzione, pur avversata dalla Chiesa, era tollerata, e addirittura contemplata dagli statuti di molte città-stato italiane. Nel Regno delle Due Sicilie, nel 1432, per aprire un lupanare ci voleva tutta una serie di autorizzazioni. Cavour, oltre a fare l’Unità d’Italia, per la quale continua ad avere tante critiche, ottenne unanimi consensi introducendo il meretricio di stato. Nei confronti delle prostitute la neonata Italia mostrò subito grande tolleranza, regolamentando le tariffe e agganciandole al costo della vita. I “casini” sopravvissero bellamente per quasi un secolo: alla mezzanotte del 20 settembre 1958, per impulso della senatrice Lina Merlin, grande sostenitrice e prima firmataria della legge omonima, le 570 case chiuse d’Italia chiusero, per non più riaprire. Per lo meno, non in quella forma.

La troia è la femmina del maiale. Un animale che ingiustamente viene considerato il re della sporcizia: in realtà, messo in un ambiente pulito, il maiale si mantiene tale. E’ invece vero che il maiale è di robustissimo appetito: di lui non si butta via niente, ma anche lui (e lei: la troia) non buttano via niente, in quanto mangiano di tutto. La troia è insomma sinonimo di bestia lurida e abbietta, dall’appetito (in senso lato: dunque, anche sessuale) insaziabile.

Il termine “zoccola” è indubbiamente sinonimo di “puttana”, con un differenza: la zoccola non è interessata unicamente ai soldi, come la puttana. Viene chiamata “zoccola” una femmina affamata di sesso, e di piacere sfrenato: ciò la rende, agli occhi dei benpensanti, ancora peggiore della puttana, che – magari spinta dal bisogno – si vende per denaro. A Napoli, e nel Sud, la zoccola è la femmina del topo: dal latino “sorcula”, da sorex=topo. Prima espressione locale, oggi la parola zoccola (e la zoccola tout-court) sono uniformemente diffuse su tutto il territorio nazionale. Ma perché la femmina del topo dovrebbe essere una sessuomane? Perché è notoriamente assai prolifica. Il che lascia immaginare che il topo e la topa (la zoccola) si dedichino ad una sfrenata attività sessuale: e che la zoccola se la faccia con tutti i topi che le capitano a tiro. La pesantezza e l’offensività di questo termine stanno anche nel fatto che la zoccola vive nelle fogne, e si nutre di rifiuti. E’ quindi un essere spregevole.

SQUILLO: E’ un termine oggi poco usato, che appartiene agli anni sessanta-settanta: chiusi ormai i casini, per ingaggiare una prostituta bisognava cercare sistemi differenti. E’ la traduzione dell’inglese “call-girl”: la ragazza-squillo si può convocare con discrezione. Con un semplice squillo del telefono. Il suo numero prima lo si trovava sui giornali, sotto mentite (ma trasparenti) spoglie, e ora lo si trova su internet.

Battona è un termine popolare romanesco, poi passato nell’italiano, anche grazie ai film di Pier Paolo Pasolini. Indica il livello più basso di un mestiere già considerato infimo di per sé: quello della prostituta che esercita la propria attività in strada, “battendo” (nel significato di “percorrere ripetutamente”) il marciapiede.

MERETRICE: E’ un termine spregiativo ormai in disuso. “Meretrice” deriva dal verbo latino “merere”: guadagnare, da cui “merces”, prezzo, mercede. Secondo Niccolò Tommaseo, il fine lessicografo ottocentesco autore del “Dizionario dei Sinonimi”, la meretrice si distingue dalla prostituta perché si limita a vendere il suo corpo, “meritandosi” per questo una mercede, un compenso: la prostituta induce invece l’uomo a comportamenti bassi, che non sempre coinvolgono esborsi di denaro.

MONDANA: Si dice: il mondo è bello perché è vario. A conferma di ciò, la stessa parola “mondo” possiede significati diversi, a seconda di chi la pronuncia. Per i cristiani, il mondo è il luogo in cui si rischia di peccare: anzi, si pecca di sicuro, per via della nostra natura umana, notoriamente imperfetta. Nel linguaggio della Chiesa, “rinuncia al mondo” chi si ritira in convento. Per pregare, ed evitare le insidie della vita secolare. Ma a chi vive al di fuori di una prospettiva religiosa, il mondo piace: frequentare il bel mondo vuol dire fare la bella vita, passare il tempo in bei posti, vedere bella gente. Ed è qui, in questi bei posti, che compare la “mondana”: un donna interessata soltanto allo sfarzo, ai lustrini, al denaro che il bel mondo esprime. E’ il mondo della “Traviata”, che significa appunto “donna che ha deragliato dalla retta via”. Odette de Crecy, nella Recherche, è una “demi-mondaine”: non proprio una prostituta, ma comunque una donna che approfitta della propria avvenenza per tenere legati gli uomini, e avere da loro dei vantaggi. FONTE: dimensionenotiziaTitolo modificato dal redattore

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