sabato 17 dicembre 2011

14 agosto 1861: il massacro di Pontelandolfo



di: di Gaetano Marabello

Questo 14 agosto, sul capo delle tante celebrazioni dei 150 anni della proclamazione del Regno d’Italia, s’è infranta la tegola di una ricorrenza decisamente scomoda: il massacro di Pontelandolfo.
Tragico avvenimento, sul quale da sempre è stata stesa un’imbarazzante coltre di silenzio. E, in effetti, ad un’analisi dei fatti, c’era poco di cui andar fieri. Infatti, si registrò allora l’inaudita “impresa” di uno Stato, capace di radere al suolo un proprio paese e di massacrarne gli abitanti! Si trattò di una strage efferata, che può stare alla pari delle rappresaglie tedesche che a partire dal 1945 ci vengono rimembrate a ogni piè sospinto. Nessuna meraviglia, perciò, se l’eccidio in esame sia passato di lì a poco nel dimenticatoio. Avrebbe altrimenti rischiato di guastare le roboanti ricostruzioni agiografiche degli avvenimenti legati all’unità d’Italia.
Strano a dirsi: all’epoca, l’episodio finì per essere stigmatizzato per la sua efferatezza dallo stesso “Times” di Londra. Ed è tutto dire, giacché gli inglesi non scherzavano in materia, come dimostrò la loro vergognosa repressione della rivolta dei “cypois” in India. In Italia, invece, l’eccidio fu denunziato solo dai deputati Marzio Francesco Proto di Maddaloni e Giuseppe Ferrari di Milano. Entrambi parlavano per cognizione di causa, avendo visitato le rovine fumanti del paese. Le loro parole caddero però nell’indifferenza e nel fastidio generali di un’aula parlamentare davvero “sorda e grigia”. Basti dire che l’interpellanza del primo dei due deputati non fu volutamente iscritta nell’ordine del giorno, inducendo l’interessato a dimettersi per protesta. Il presidente della Camera Rattazzi fu meno drastico con il filosofo Ferrari, ma solo per mettere in cattiva luce il governo di Bettino Ricasoli colpevole della rappresaglia. Ricordiamo che in quel momento, il neonato Regno d’Italia era quasi ovunque alle prese con l’insurrezione di molti paesi del Meridione. Preludio al fenomeno popolare di resistenza armata, spacciato poi per “Brigantaggio”.
Il 7 agosto 1861, nelle adiacenze di Benevento, si verificò il preludio alla tragedia. Una banda di ex soldati borbonici entrò nel paese di Pontelandolfo, abbattendovi le insegne sabaude e inneggiando alla dinastia borbonica. Informato degli incidenti da un “galantuomo” del posto, un reparto del 36esimo bersaglieri guidato dal livornese Augusto Bracci si mosse l’11 agosto per ristabilire l’ordine. Tuttavia, lungo il tracciato boscoso, nei pressi di un ruscello, fu intercettato da un’altra banda “brigantesca” condotta da Angelo Pica e spalleggiata dagli abitanti della vicina Casalduni. Nello scontro, una quarantina di soldati rimase uccisa. Per gli altezzosi ufficiali di Vittorio Emanuele II una sconfitta di così vaste proporzioni, peraltro ad opera dei “cafoni” del Sud, era assolutamente indigeribile.
Riporta Francesco Mario Agnoli in “Dossier Brigantaggio” (Controcorrente, Napoli) che “la rappresaglia smisurata, come in uso nei confronti dei popoli coloniali, era per i piemontesi un riflesso immediato, condizionato”. E così il generale Enrico Cialdini, che in quel frangente reggeva Napoli come luogotenente del re, non ebbe esitazioni. Dei due paesi non doveva restare “pietra sopra pietra”. Due forti colonne furono incaricate di convergere sulla zona, provenendo rispettivamente da Benevento e da Napoli. La prima, affidata al colonnello vicentino Pier Eleonoro Negri, giunse a Pontelandolfo all’alba del 14 agosto. Prima, però, sostenne una sanguinosa scaramuccia con la comitiva armata di Cosimo Giordano, ex soldato borbonico, che fu costretto però alla ritirata dinanzi al numero esorbitante degli avversari. I soldati avrebbero potuto inseguire il nemico sui monti, ma tale scelta li avrebbe condotti su un terreno a loro non favorevole. Preferirono l’obiettivo più facile e a portata di mano: infierire sulla popolazione inerme. Le loro successive “gesta” furono ricordate da uno di loro, il valtellinese Carlo Marcolfo, che riportò alcuni particolari dell’eccidio in un diario pubblicato postumo. “Entrammo nel paese – egli annotò in una prosa un po’ zoppicante – subito abbiamo incominciato a fucilare preti e uomini, quanti capitava, indi il soldato saccheggiava”. E’ più che probabile che i maggiori eccessi fossero compiuti dalla famigerata Legione ungherese, aggregata ai fanti piumati e non nuova alle nefandezze (il famoso massacro di Bronte in Sicilia era stato opera sua). Ma ciò non scagiona di certo gli altri militari. Del resto, fu l’ufficiale Angelo De Witt a ricordare in un saggio del 1884 le feroci modalità del rastrellamento. “I diversi manipoli di bersaglieri fecero a forza snidare dalle case gli impauriti reazionari e quando quei cafoni erano costretti dalle baionette di scendere per la via, ivi giunti vi trovavano delle mezze squadre di soldati che facevano una scarica a bruciapelo su di loro”. Come si vede, in queste memorie le donne non vengono menzionate. Si tratta forse di una forma di pudore, dal momento che il loro coinvolgimento nel massacro è sicuro. Inevitabili furono infatti gli stupri e gli oltraggi, come anche il furto degli oggetti preziosi. La giovanissima Concetta Biondi fu abbattuta a fucilate tra le botti della cantina, dove cercava riparo. Cinque donne rimaste sconosciute preferirono morire tra le fiamme dell’abitazione, piuttosto che esser “contaminate” dalla soldataglia. Non si ebbe pietà di nessuno, come dimostrò il caso di Giuseppe Sampietro che si vide strappare il figlioletto dal petto, per esser messo all’istante al muro sotto gli occhi del piccolo terrorizzato. Neanche la fede liberale servì da scudo alla furia omicida della soldataglia. Ne fecero le spese i due figli di Nicola Rinaldi e i fratelli Lo Russo, che invano sbandierarono le loro simpatie ideologiche. Il Marcolfo, colto da tardivo rimorso di fronte allo scempio dei corpi e agli incendi appiccati, confessò che “non si poteva stare d’intorno per il gran calore, e quale rumore facevano quei poveri diavoli che la sorte era di morire abbrustoliti e chi sotto le rovine delle case”. Ma, superato questo fuggevole attimo, aggiunse allegramente che “noi invece durante l’incendio avevamo di tutto: pollastri, pane, vino e capponi, niente mancava”. I superstiti furono poi trascinati in catene a Campobasso e a Benevento, per finire in galera. Alcuni strada facendo finirono sotto i colpi.
Intanto, l’altra colonna di bersaglieri aveva puntato direttamente su Casalduni. La trovò fortunatamente quasi deserta, avendo gli abitanti trovato scampo per tempo tra le montagne. La sua attività principale si limitò quindi a incendiare le case di quelli che un infame liberale locale indicò come nemici. Poche quindi furono le vittime. Per quanto concerne Pontelandolfo non si conosce tuttora il numero preciso dei morti. In un paese che fu letteralmente raso al suolo, le stime ufficiali riportarono solo 17 nominativi. Essi figurano oggi su una targa in ottone nell’attuale paese ricostruito presso la Chiesa Madre, che fu depredata di ogni orpello. Sulla targa si nota subito che non c’è alcuna indicazione dei responsabili (segno evidente d’imbarazzo). Di sicuro, la cifra di 17 caduti è notevolmente sottostimata, se si pensa che i due paesi dati alle fiamme contavano circa 12.000 abitanti. La rappresaglia inoltre si protrasse per l’intera giornata, secondo De Witt.
Comunque sia, dopo 150 anni di silenzio, le scuse ufficiali dello Stato italiano sono finalmente arrivate, E sono venute proprio questo anno con la presenza a Pontelandolfo di Giuliano Amato e della banda dei bersaglieri di Pinerolo. Si è parlato dunque di riconciliazione con chi, nel martoriato paese oggi risorto, ha addirittura sofferto il ricordo della strage come una macchia. Purtroppo, un capitano dei carabinieri ha inteso impedire che alcuni cittadini giunti da varie parti del Sud partecipassero a questo gesto apprezzabile. Infatti, li ha bloccati in piazza per l’identificazione, precludendo loro di fatto di partecipare alla santa messa in memoria delle vittime. Il loro torto? Avevano alcune bandiere del Regno delle Due Sicilie! Se questa è riconciliazione…

http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=10434

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