Prima della costruzione del muro (dal 1949, anno della divisione della Germania, al 1961), la città di Berlino costituiva una enclave all’interno del territorio della zona di occupazione assegnata all’Unione Sovietica al termine della Seconda Guerra Mondiale. La città era divisa in quattro settori controllati da Unione Sovietica (Berlino Est), Stati Uniti d’America, Francia e Gran Bretagna (Berlino Ovest), comunicanti attraverso varchi denominati secondo l’uso militare americano A (Alpha), B (Bravo), C (Charlie) e attraverso accessi ferroviari verso la Repubblica Federale Tedesca. Il varco C, conosciuto come Checkpoint Charlie, in Friedrich Strasse, era riservato al passaggio del personale diplomatico.
I cittadini potevano circolare liberamente tra tutti i settori: ogni giorno circa mezzo milione di persone si spostava in entrambe le direzioni per motivi di lavoro, avendo modo così di confrontare le diverse condizioni di vita. Tra il 1945 e il 1961 circa 3,6 milioni di tedeschi dell’Est si trasferirono stabilmente ad Ovest, con una media di 225.000 all’anno; nel solo anno 1960 i trasferimenti furono circa 360.000.
Per fermare quest’esodo in continua crescita, che rischiava di spopolare quello che l’Unione Sovietica considerava l’avamposto della futura avanzata in Occidente, nella notte tra il 12 e il 13 agosto 1961 fu avviata la costruzione di un muro intorno ai tre settori occidentali, sotto la sorveglianza dei soldati russi e della Volkspolizei, la polizia del popolo i cui membri erano conosciuti come VoPos. Walter Ulbricht, capo di Stato della DDR e Segretario del Partito Socialista Unitario della Germania, successivamente giustificò la costruzione come una misura necessaria per timore di invasioni occidentali, definendola un “muro di protezione antifascista”.
Il primo sbarramento fu predisposto con filo spinato, ma il 15 agosto furono posizionati elementi prefabbricati di cemento e pietra. Nella sua struttura definitiva, il muro sarà lungo oltre 155 km, dividendo 192 strade (97 all’interno della città, 95 tra Berlino Ovest e altri 14 comuni del Brandeburgo), 32 linee del tram, 8 linee della metropolitana di superficie, 3 linee della metropolitana sotterranea, 3 autostrade, fiumi e laghi.
Nel giugno 1962, ai primi blocchi si aggiunse un secondo muro più arretrato, lasciando scoperta tra i due la cosiddetta “striscia della morte”. Il muro subì negli anni continui lavori di ampliamento e fortificazione, fino ad essere costituito da 45.000 sezioni di cemento armato rinforzato, alte 3,6 metri e larghe 1,5 metri, unite da montanti di acciaio su cui era posizionato un tubo di cemento che girava impedendo la presa, un fossato anticarro con cavalli di Frisia lungo 105,5 km, 302 torri di guardia con cecchini armati, 20 bunker, una strada sterrata illuminata lunga 127,5 km pattugliata da soldati e cani, successioni di recinti in filo spinato.
Nei primi 2 mesi della costruzione, con il muro non ancora fortificato, fuggirono a piedi circa 600 persone e 85 Vopos di guardia al muro stesso. È passata alla storia la foto che ritrae proprio uno di essi, Hans Conrad Schumann, che salta il reticolato di filo spinato posto in Ruppiner Strasse, il 19 agosto 1961.
La fuga verso l’Ovest subì una gravissima riduzione, pur senza mai interrompersi del tutto. Tra il 1962 e 1989 riusciranno nell’impresa soltanto 5000 persone circa.
Tra il 1962 e il ‘63, 137 persone fuggirono attraverso dei tunnel, circa 2000 nascoste in doppifondi di automobili.
I dati circa le vittime del muro sono incerti e oscillano tra 132 e 230 persone uccise in tentativi di fuga. Dichiarazioni ufficiali del 2011, rilasciate dal direttore del Museo del Muro a Checkpoint Charlie, Alexandra Hildebrandt, calcolano che le vittime totali siano 465, comprendendo anche le morti accidentali durante la fuga e quelle dovute a malori durante i controlli ed i suicidi. Secondo altre fonti, la cifra sale a 650 considerando i tentativi di fuga lungo l’intero il confine tra Germania Est e Ovest.
La prima vittima fu Ida Siekmann, il 22 agosto del 1961, morta lanciandosi dal suo appartamento al terzo piano di un palazzo in Bernauer Strasse la cui facciata posteriore dava sulla parte occidentale. Nelle settimane successive, tutti i palazzi delle strade confinanti furono evacuati e murati. Nel tempo, quelli più vicini al muro saranno abbattuti, compresa la Chiesa della Conciliazione (1985).
Günter Litfin fu il primo fuggiasco ucciso dai colpi delle guardie di confine, il 24 agosto 1961, mentre tentava di attraversare a nuoto il fiume Sprea.
Chris Gueffroy fu l’ultima vittima delle armi dei Vopos: appena ventenne, il 5 febbraio 1989 tentò di scavalcare il muro in Nobel Strasse e fu fermato da una fucilata.
L’ultima vittima del muro fu Winfried Freudenberg, che l’8 marzo 1989, ad un passo dalla libertà, cadde sul settore occidentale con la mongolfiera che aveva costruito da solo.
Il muro è stato abbattuto dalla folla nella notte del 9 novembre 1989.
Il regime era già da tempo in grande affanno e non riusciva più a mantenere saldamente il potere, risentendo dei cedimenti dell’intero sistema totalitario dei Paesi dell’Est e del processo di riforme che il leader dell’URSS, Michail Gorbačëv, era stato costretto ad avviare per evitare il crollo definitivo. Manifestazioni contro il governo della DDR si erano svolte nell’autunno, innescate dalle concessioni che l’Ungheria e la Cecoslovacchia avevano fatto ai cittadini di origine tedesca che volevano rientrare in Germania Ovest dopo una prigionia che durava dalla fine della guerra. Erich Honecker, al potere nella DDR da oltre un ventennio, fu costretto a dimettersi il 18 ottobre. Il nuovo governo Krenz decise di allentare le maglie del controllo per evitare la radicalizzazione dello scontro.
Durante una conferenza stampa tenuta alle 18:00 del 9 novembre, Günter Schabowski, ministro della Propaganda e membro del Politburo del Partito Socialista Unitario della Germania, dichiarò che era stato deliberato che i berlinesi dell’Est avrebbero potuto ottenere permessi per attraversare il confine senza le limitazioni fino al allora in vigore. Alla domanda del giornalista italiano Riccardo Ehrman, corrispondente dell’ANSA, sulla data in cui le nuove misure sarebbero entrate in vigore, Schabowski, male informato, rispose che l’ordine era efficace immediatamente.
Nel giro di poche decine di minuti, una folla enorme di persone incredule si assiepò ai varchi, da entrambi i lati del muro. I Vopos, all’oscuro della decisione del Politburo e senza ordini sul da farsi, non osarono reagire. Alle 23:30 alzarono le sbarre di passaggio, senza neppure controllare i documenti delle migliaia di persone che si incamminavano verso Berlino Ovest, accolte a braccia aperte dai tedeschi occidentali, in un incredibile clima di festa.
Nel corso della notte e per tutto il giorno successivo, la gente armata di picconi, martelli, addirittura bracci meccanici, cominciò a smantellare il muro. Nelle settimane successive fu abbattuto interamente e il regime comunista, ormai imploso, crollò definitivamente.
Le due parti della Germania si sono riunificate ufficialmente il 3 ottobre 1990 e Berlino è tornata ad essere la capitale federale.
Il parlamento italiano ha decretato il 9 novembre “Giorno della libertà” (Legge n. 61 del 15 aprile 2005) per celebrare la liberazione dei Paesi oppressi dal totalitarismo e come segno di speranza per le popolazioni ancora soggette a simili regimi.
Silenzio su una pagina atroce del comunismo
50 ANNI FA IL MURO DI BERLINO
Il 13 agosto 1961 il regime comunista della Germania Est (DDR) cominciò la costruzione di un muro per dividere in due Berlino. L’accesso e l’uscita dalla parte orientale della città fu bloccato dai Vopos (abbreviazione per Volkspolizei, “Polizia popolare”) con le armi spianate. Nel giro di poche ore l’intera linea di confine tra le due Germanie era presidiata dalla polizia. L’obiettivo era quello arginare la fuga di massa verso l’Occidente di cittadini della “Repubblica democratica tedesca”, questo il nome ufficiale della Germania comunista, verso l’Occidente.
Prima del completamento del muro fu collocato un reticolato di filo spinato alto due metri, completato il 15 agosto. Pochi giorni dopo un secondo ed un terzo reticolato di filo spinato furono aggiunti ai blocchi di pietra del muro, che già raggiungeva i tre chilometri di lunghezza. Si apriva così una delle pagine più atroci del totalitarismo comunista, durata 28 anni, fino al crollo dei regimi dell’Est europeo, avvenuto nel 1989.
Cinque anni dopo la sua costruzione il Muro di Berlino era lungo 25 chilometri. Con il filo spinato utilizzato si sarebbe potuto cingere tutto il mondo, con il materiale usato per le fortificazioni si sarebbe potuta costruire una piccola città. A guardia del Muro c’erano 210 torrette di osservazione con agenti armati che avevano l’ordine di sparare a vista su chiunque cercasse di oltrepassarlo e 102 postazioni per cani feroci addestrati per la caccia all’uomo, legati da un guinzaglio lungo 100 metri
Le vittime del Muro di Berlino, dal 1961 al 1989, sono state 465, secondo dati resi noti qualche giorno fa dal direttore del Museo del Muro a Checkpoint Charlie, Alexandra Hildebrandt (Ansa, 9.8.2011). La cifra comprende non solo i fuggitivi uccisi dai Vopos, ma anche quanti morirono accidentalmente nel tentativo di valicare il Muro, le vittime di malori durante i controlli ed i suicidi.
Il 17 agosto 1962, Peter Fechter, un muratore di Berlino Est di 18 anni, tentò la fuga insieme ad un amico in Zimmerstrasse. I Vopos aprirono il fuoco e Fechter fu colpito al bacino mentre si arrampicava sul secondo sbarramento del Muro. Sotto gli occhi di centinaia di persone impotenti a Berlino Ovest, fu lasciato agonizzante a terra mentre urlava chiedendo aiuto. Dall’Ovest gli lanciarono rotoli di garza, ma lui era troppo debole per raccogliergli. Fechter morì dissanguato dopo quasi un’ora di agonia. Fu la 27esima vittima del Muro di Berlino.
Il giornale del partito comunista italiano l’Unità commentò così la costruzione del Muro di Berlino: «È un passo avanti verso la conclusione del trattato di pace tedesco» (16.8.1961)
50 anni dopo, l’anniversario del Muro di Berlino, ricordato in Germania con manifestazioni ufficiali, passa sotto silenzio in Italia. È scarsissima la letteratura sull’argomento, praticamente inesistente la filmografia. Sono motivi in più per ricordare e per fare conoscere alle nuove generazioni questo atroce capitolo dell’ideologia comunista.
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