venerdì 23 settembre 2011

LA SINDROME DI FIUGGI - IL FASCISMO ALLA RESA DEI CONTI



Enzo Erra

Edizioni Il Settimo Sigillo. 2003. Può essere acquistato presso la Libreria Europa, Via S. Veniero, 74/76 - 00192 Roma. e-mail: ordini@libreriaeuropa.it

E' uscito il nuovo libro di Enzo Erra: "La sindrome di Fiuggi - Il Fascismo alla resa dei conti".

L'autore ha voluto sviluppare un'attenta approfondita riflessione sui temi che hanno coinvolto tutti noi in questi ultimi anni: si è verificato infatti un cambiamento di prospettive politiche, culturali, morali e sociali tali da comportare un mutamento sostanziale dell'area di estrema destra che già si riconosceva nel MSI. E' scomparsa, o almeno ha subito profonde trasformazioni, quella parte politica che per 50 anni si è contrapposta, sola e spesso criminalizzata, al sistema istituzionale derivato dalla "repubblica democratica e antifascista nata dalla resistenza".

Il MSI si identificava cioè con quell'area che aveva la sua origine nel Fascismo e che non era assimilabile al sistema democratico - parlamentare antifascista.
Il MSI fu relegato ai margini della vita politica del Palazzo, in quanto non condivise i valori fondanti della repubblica nata dalla resistenza, dalla occupazione dell'Italia ad opera degli angloamericani e quindi dalla sconfitta della Patria e dalla conseguente perdita della propria sovranità nazionale.
Questo libro è frutto di una analisi attenta e densa di considerazioni storico - politiche che inducono il lettore a riflettere e a interrogarsi in merito alla vicenda missina durata mezzo secolo. Il MSI rappresentò la continuità e la successiva evoluzione con quella concezione spirituale della vita, con quella visione dello Stato etico fondato sulla partecipazione attiva del popolo propugnata dal Fascismo. Il MSI ebbe al sua ragion d'essere quale partito depositario di un patrimonio politico e culturale alternativo al sistema e come tale costituì, nel momento successivo alla caduta del Fascismo, nella prospettiva storica delineata da Erra, una ulteriore fase del Fascismo stesso, che risorse dalle ceneri della sconfitta e perpetuò, mediante il MSI, i suoi valori nel tempo.

Questo libro di Enzo Erra vuole sollecitare nei lettori un approfondimento delle tematiche che costituirono parte integrante dello sviluppo della storia del MSI dal '45 al '95 e l'autore ne illustra con acume politico e capacità di sintesi le vicende di un periodo storico in cui il MSI dovette confrontarsi e scontrarsi sempre con un sistema politico antifascista ad esso estraneo e ostile.

Tuttavia i veti imposti dai padri della chiesa antifascista, non impedirono che il MSI restasse radicato nel Paese reale e si riconoscessero in esso vari strati della società italiana di cui restò parte integrante, quale interprete di una volontà popolare, che perpetuò un patrimonio ideale essenziale ancor oggi alla rinascita della Patria italiana, rinnegata da un sistema politico ed ideologico ispirato al liberalismo, al marxismo, al clericalismo, concezioni cosmopolite ed ostili alle tradizioni nazionali, alla sovranità dei popoli, al senso dello Stato. Il linguaggio di Enzo Erra è discorsivo, meditato, polemico e vivace. Riflette appieno la personalità dell'autore che svolge un'analisi storica e politica obiettiva, scevra da pregiudizi ideologici, ma nello stesso tempo appassionata e ricca di contenuti ideali: assistiamo ad una perfetta simbiosi tra l'analisi politica e la fede ideale, consapevolezza della gravità della presente fase storica contrassegnata dalla rinuncia a ideali che, lungi dall'essere circoscritti alle vicende interne della ideologia di un partito minoritario, costituiscono il patrimonio morale e spirituale della nazione. Enzo Erra svolge un dialogo con il lettore, appassionandolo e coinvolgendolo in una problematica che non si limita ad un esame del passato recente, ma pone grandi interrogativi sulla identità dell'area che già si riconosceva nel MSI, ma si ritrova smarrita nel presente ed incerta sulle prospettive future. La disamina storica si svolge in un rapido ed intenso panorama sulla società italiana dell'ultimo cinquantennio, caratterizzata da una cultura istituzionale antifascista. Il sistema demoparlamentare scaturito dalla resistenza fu l'immagine speculare opposta alla concezione dello Stato fascista. Se quest'ultimo si incardinava sul senso dello Stato, sul coinvolgimento del popolo nelle strutture dello Stato, i partiti antifascisti costituirono l'anti-stato.
Le strutture dello Stato vennero infatti smembrate, i suoi organi istituzionali vennero resi inoperanti, perché lo Stato costituisse la sovrastruttura legale della volontà politica dei partiti, che esercitarono nei fatti il reale potere decisionale che si formava fuori dello Stato: quest'ultimo divenne lo strumento attraverso il quale venivano attuate le direttive politiche emanate dalle segreterie dei partiti che, prescindendo dalla volontà popolare, furono e sono le istanze di gruppi economici, politici, ideologici, i cui orientamenti non possono mai identificarsi con le esigenze della comunità nazionale.
L'autore nella vicenda storica italiana dell'ultimo cinquantennio enuclea tre diverse fasi: quella della ricostruzione, dal '46 al '60 in cui la sfera politica cedette spazio a quella economica, quella del predominio della politica dal '60 all''80 e quella del nuovo dominio economico sulle istituzioni politiche dall''80 al '94.
Dopo la guerra, la partitocrazia lasciò alla libera economia di svilupparsi: questa fase è denominata dall'autore "NEP all'italiana", sulla scia della memoria storica leninista; l'economia doveva produrre infatti ricchezza allo scopo di governarla e di assorbirla successivamente nella sfera politica.
Nella seconda fase, denominata "socialismo reale" si assistette ad un prepotente ritorno di natura ideologica dell'antifascismo nella politica e nella società italiana: il predominio del pubblico sul privato in economia costituì la base essenziale per l'affermazione dei partiti nelle istituzioni politiche derivate dal CLN sull'economia.
Partiti che, pur partendo da prospettive ideologiche diverse, convergevano nell'attuare una progressiva statalizzazione della società simile a quella dei paesi dell'est europeo.
Questo orientamento produsse l'elefantiasi burocratica e la voragine del debito pubblico, mali di cui la società italiana ancora sconta le conseguenze.
La terza fase, a seguito del fallimento ideologico delle sinistre, produsse una nuova affermazione dell'economia sulla politica, contribuendo alla progressiva trasformazione della società italiana in senso consumistico, con conseguente americanizzazione della cultura, della mentalità, dei costumi del popolo italiano.
Il crollo del muro di Berlino, la fine dell'URSS e il terremoto giudiziario di Tangentopoli, furono i fattori decisivi che condussero alla fine della partitocrazia e alla scomparsa della classe politica dominante, che era diretta emanazione del CLN.
Nel '94 fu nominato il primo governo della repubblica di centrodestra formato da tre partiti estranei all'antifascismo e alla resistenza: Forza Italia, la Lega e AN.
Si era intanto verificata nell'ambito antifascista una catarsi dei partiti della prima repubblica: scomparvero il vecchio pentapartito e il PCI, che si rigenerò su basi liberaldemocratiche in PDS (poi DS) e Rifondazione Comunista.
Mentre la deflagrazione della prima repubblica comportò per i partiti antifascisti la necessità di una radicale trasformazione onde adeguarsi (non senza rinnegamenti, opportunismi e millanterie varie) ad un quadro del tutto mutato, non si comprende perché una forza politica come il MSI, partito non compromesso e reietto nel precedente assetto istituzionale, affermatosi nelle elezioni del '94, procedette anch'esso, all'apice della sua affermazione, a mutare il proprio codice genetico con la sua trasformazione in AN.
Avvertì l'impellente esigenza di rinnegare il proprio patrimonio ideale derivatogli dal Fascismo, per rendersi ben accetto nell'ambito di un antifascismo morente, storicamente sconfitto, unitamente alle sue istituzioni, sconfessate apertamente dal popolo italiano.
A Fiuggi nel '94, la mutazione del MSI in AN, rappresentò la fine di ogni radice ideale e legame culturale con il Fascismo.
Secondo Erra, tale scelta fu dettata unicamente da opportunismi elettorali e da ingordigia di potere: se il MSI, criminalizzato ed isolato, con le sue radici fasciste aveva conseguito quei successi elettorali, figuriamoci quali plebisciti avrebbe ottenuto se avesse rinnegato il retaggio fascista, già marchio d'infamia nel campo antifascista.
I fatti non hanno dato ragione a Fini & C: la svolta di Fiuggi non fu una questione di ideali, ma si ridusse ad una omologazione, senza idee né progetti, alla liberaldemocrazia antifascista.
AN, nel dopo-Fiuggi, ha subito una erosione di voti e di consensi tuttora perdurante, al di là dei successi riportati per via del sistema elettorale maggioritario.
Mentre i partiti del defunto arco costituzionale, pur essendosi riciclati in forme diverse nel calderone liberaldemocratico, mantengono la loro ragion d'essere e una unità sostanziale, in quanto si riconoscono sempre nell'antifascismo, dinanzi ad un Fascismo fantomatico e tutto da inventare.
Ma soprattutto questi nuovi partiti, surrogati della prima repubblica e della resistenza convergono, anche se con riferimenti non più marxisti, ma liberal, nella loro concezione materialistica dell'uomo e della storia, rimasta sostanzialmente immutata.
I rappresentanti del vecchio MSI, ormai spogliatisi della propria identità, con la sua mutazione genetica in AN, non riescono a dare un contenuto ideale e politico alla compagine di centrodestra e soprattutto, sono incapaci di elaborare un programma definito di riforme istituzionali dinanzi alle esigenze della società italiana.
Anzi, AN oggi al governo, evidenzia, dinanzi agli avversari, una debolezza e un senso di colpa del tutto ingiustificato, quale corpo estraneo alla logica dell'antifascismo.
AN invero avverte una subalternità ideologica e non si sente mai abbastanza omologata alla "democrazia", ostenta continue scuse e pentimenti, conferendo all'antifascismo (assurto ad arbitro e giudice unico dei carati di democraticità conseguiti), una legittimità istituzionale che non ha.
Si avverte ogni giorno di più il vuoto lasciato dal patrimonio ideale ereditato dal Fascismo, in tema di spiritualità della vita, di senso dello Stato, di partecipazione popolare nell'ambito decisionale economico e politico.

Nel '900 la politica mondiale fu imperniata sullo scontro tra tre diversi ideologici e politici quali il liberalismo, il marxismo e il fascismo.
I primi due furono tra loro avversari solo apparenti, poiché, uniti nella loro comune matrice ideologica materialista, si ritrovarono alleati nel combattere e distruggere il Fascismo, quale loro irriducibile nemico.
La scomparsa del marxismo e la crisi cronica del modello capitalista, sono eventi di portata mondiale a cui non è succeduta al momento una alternativa credibile, proprio per l'assenza, nell'agone politico del loro nemico mortale, il Fascismo, che oggi, avrebbe tutte le ragioni per rivendicare il suo ruolo di antagonista nei processi di trasformazione della società.

A seguito di Fiuggi, infatti, non si è verificato solo un cambiamento di prospettiva ideologica di un partito, ma si è determinata la fine di qualsiasi alternativa globale ad un sistema liberaldemocratico in disfacimento, con il suo stesso modello economico - sociale, in quanto l'economia si è rivelata incapace a gestire la sfera politica.
Il Fascismo quindi avrebbe le carte in regola per affermarsi sulle ceneri delle ideologie morte e sepolte.
La scelta di AN si è dunque rivelata antistorica e incapacitante.

Il vuoto ideale lasciato dal Fascismo coinvolge direttamente tutta la società italiana ed i suoi valori civili: si comprende quindi oggi, nel momento in cui è venuta meno qualsiasi forza politica che si richiamasse al Fascismo, quali radici profonde aveva perpetuato quest'ultimo nel popolo italiano, quale religione civile, espressione della dignità dello Stato e della indipendenza nazionale.

Lo stesso scontro global - no global, non produce alcun esito nella lotta al capitalismo, proprio perché si avverte l'assenza di una forza che si ponga al di là di antinomie solo apparenti e proponga nuovi modelli di sviluppo basati sulla identità ed indipendenza dei popoli.

Secondo Erra, dopo la rivoluzione del '22, la fase del regime, la RSI e il dopoguerra con il MSI, il Fascismo non è riuscito a generare una sua quinta fase nel contesto storico.

Poiché le idee politiche camminano sulle gambe degli uomini, c'è da domandarsi seriamente se il destino del Fascismo non sia quello di rimanere nel mondo delle idee platoniche proprio nel momento in cui si avverte il bisogno necessario della sua presenza ed affermazione.

Sulle ceneri di un mondo liberaldemocratico in perenne e progressiva decadenza, occorrerà dunque inventare il nuovo Fascismo, se si vuole costruire un futuro per l'Italia e per l'Europa.
E' questo il messaggio più profondo e coinvolgente questo libro di Enzo Erra rivolge ad ognuno di noi.
Il Fascismo nella sua genesi storica fu ansia di rinnovamento e di futuro: non a caso ebbe tra le sue componenti originarie il Futurismo e il suo inno era Giovinezza…

ITALICUM
N.? 2003 Recensione di Luigi Tedeschi.

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Il libro di Enzo Erra "La sindrome di Fiuggi – Il Fascismo alla resa dei conti", Edizioni Il Settimo Sigillo, pp. 141, prezzo euro 12,50 può essere acquistato presso Edizioni Il Settimo Sigillo, Roma 2003, Via Santa Maura 15 00192 Roma. Tel 06/39722155 – Fax 06/39722166; rete www.libreriaeuropa.it; Posta: ordini@libreriaeuropa.it. Intervista a Enzo Erra, autore del libro, a cura di Luigi Tedeschi: Il nuovo libro di Enzo Erra, La sindrome di Fiuggi.

Il Fascismo alla resa dei conti,
promette già nel titolo una ricostruzione delle vicende che precedettero e seguirono la metamorfosi del MSI in Alleanza Nazionale, e un esame delle conseguenze a largo raggio che quella svolta provocò sugli sviluppi della recente storia italiana.
E’ il primo studio completo e sistematico di un evento tanto vicino nel tempo, e occupa quindi un posto molto particolare nel panorama editoriale, a metà fra il distacco storico e la passione polemica.
Sforzo peraltro non prematuro, perché l’esigenza di riesaminare gli eventi e riordinare le idee si avvertiva da tempo.

Erra lo conduce allargando il discorso al collasso della cosiddetta "prima Repubblica" e alla mancata nascita di una nuova realtà istituzionale e politica in grado di prenderne il posto.
Tra l’una e l’altra la sua analisi colloca proprio il congresso di Fiuggi, con la repentina scomparsa della forza che avrebbe avuto i titoli ideali e storici per reclamare la "successione al regime", e che invece scelse proprio quel momento per passare nel campo che aveva sempre avversato, e che era finalmente andato in crisi.
E’ una diagnosi - come si vede - molto spregiudicata, e per certi aspetti sorprendente.
Abbiamo cercato perciò di discuterne con ‘Autore alcuni passaggi salienti.

La svolta epocale che si verificò al congresso di Fiuggi e comportò la fine del MSI non fu accompagnata da tensioni e contrapposizioni ideali interne alla base militante
Si può definirla quindi come un parto indolore? E come mai un simile capovolgimento passò senza difficoltà?

In realtà tensioni e difficoltà ci furono, e in misura non indifferente, Nelle votazioni finali del congresso, la richiesta di sopprimere dalle Tesi la famigerata frase sulla libertà "conculcata" dal fascismo fu respinta solo perché Fini pose su di essa una vera e propria questione di fiducia, e anche così l’emendamento votato per alzata di mano e quindi con i contestatori obbligati a farsi vedere e riconoscere - raccolse quasi duecento voti.

Se si potesse analizzare bene quello che accadde, si vedrebbe che la svolta non sarebbe passata senza quell’atto di forza.

Tutto il gruppo dirigente missino tuttavia la sostenne, tanto è vero che gli interventi contrari, tra cui il tuo, si contarono letteralmente sulle dita di una mano.
Forse i germi di AN erano già presenti nel MSI, che dai primi anni ’70, ricordiamocelo, era anche Destra Nazionale?

Un così totale rivolgimento non può avvenire senza cause profonde, e dunque una incubazione certamente ci fu, anche se fino all’ultimo non fu percepibile.
Non credo però che si possa farla risalire all’esperimento della Destra Nazionale, che si concretò nel 1972 con l’ingresso di numerosi esponenti liberali e monarchici, ma andò in crisi dopo soli quattro anni nel 1976, con una scissione che allontanò dal Movimento non solo tutti i nuovi venuti, ma quasi metà dei vecchi quadri organizzativi e parlamentari.
Se comunque c’erano dei germi, proprio in quella occasione vennero asportati. Tanto è vero che, come reazione alla scissione, il MSI si rinchiuse nella formula della cosiddetta "alternativa globale al sistema" che andò all’eccesso opposto, e tagliò i già fragilissimi fili tra il MSI e il mondo esterno.

Con questo non mi hai detto quali furono secondo te le cause. La prima è la stanchezza provocata da cinquant’anni di "esilio in Patria", e l’esigenza di rilassarsi per godere un po’ di bella vita.
Ci fu poi, come ho detto nel libro, la suggestione degli orizzonti che si schiusero quando l’esilio - con i risultati elettorali del ‘93 e del ‘94, e con la prima andata al governo - accennò a finire.

Paradossalmente, la situazione che si aprì con la crescita dei consensi e con la partecipazione a una coalizione vittoriosa, non spinse a intensificare gli sforzi per sbaragliare il fronte avverso e impadronirsi del potere, ma ad abbandonarli per precipitarsi a raccattare i frutti che erano già caduti per terra.
Esplose insomma la cupidigia umana, tanto a lungo compressa in una forzata astinenza.
Può sembrare una spiegazione semplicistica, ma a me sembra invece preconcetta e infondata l’altra, che tende a vedere nel MSI una specie di anteprima, già predestinata fin dalla nascita a generare AN.
Dopo Fiuggi, tuttavia, abbiamo assistito solo alla liquidazione del patrimonio storico e ideale del MSI, mentre AN non ha mai acquisita una nuova e ben definita identità.
Ecco, è appunto questo che mi fa vedere in Fiuggi un fatto traumatico (di qui la "sindrome") e non un naturale e quasi fisiologico passaggio da una fase all’altra, come sostengono i protagonisti della svolta, e come finiscono per credere - dal punto di vista opposto e certo involontariamente - anche quei loro contestatori che parlano di una "tara originaria".
Che lo strappo sia stato brusco si vede proprio dall’aspetto incerto e vago di AN, che ancora non fa capire che cosa sia o voglia essere.
L’"identità" non si inventa, né si estrae come un coniglio dal cappello a cilindro del prestigiatore. Si può anche abbandonarla come un vestito scomodo, ma trovarne una nuova è un altro discorso. Tu sostieni, a questo riguardo, che le conseguenze di Fiuggi non provocarono solo un mutamento interno al MSI, ma investirono, paralizzandola, l’evoluzione che si stava affacciando in Italia. In effetti, la fine della continuità ideale e storica con il fascismo ha fatto venir meno in seno alla società italiana il senso dello Stato, dell’unità e della sovranità nazionale. Ma la recente contrapposizione agli Stati Uniti, in occasione della guerra all’Iraq, da parte di Francia, Germania e Russia, non restituisce attualità ai valori degli Stati nazionali, quale necessaria alternativa alla globalizzazione capitalista?
Certo, il compito di ripristinare in Italia quei valori nazionali che erano stati cancellati con la caduta del Fascismo sarebbe spettato proprio al MSI, se anche il MSI stesso non fosse stato cancellato con la svolta di Fiuggi.
Come ho sostenuto altre volte anche sulle pagine di Italicum, dalla falsa e materialistica alternativa "global-no global" si esce solo in nome della Patria e dello Spirito, e questo mi sembra l’orizzonte a cui guardare nell’immediato futuro.
Non credo però che vi abbia qualcosa e che fare l’atteggiamento dei tre paesi che mi citi che sono notoriamente i migliori clienti dell’Iraq attuale, e per questo non vogliono vederlo passare sotto il controllo americano.
Il modo in cui si sono defilati mi sembra dettato da interessi e non da valori. Senza dubbio, avere interessi e difenderli è sempre meglio che non avere nemmeno quelli e non sospettare di poterne avere, come appunto è il caso dell’Italia.
Ma non bisogna scambiare un conflitto interno - o meglio una rivalità di mercato - nell’ambito del sistema capitalistico, per un indizio di rivolta contro il sistema stesso.
Altri sono i segni da rialzare, se davvero si vuoi puntare a un’alternativa. Dal tuo libro vedo che indichi ancora e sempre nel fascismo il riferimento da cui partire per una riscossa nazionale. Ma davvero vedi che sia possibile riprendere quella strada anche dopo Fiuggi? Proprio Fiuggi dimostra che non ve ne sono altre. Quando si abbandona il fascismo si ricade nella liberaldemocrazia o nel marxismo. Tutto il XX secolo è stato dominato dal contrasto fra queste tre idee-forza, e una quarta non si è mai affacciata.
Per questo AN non ha trovato - come dicevi - una nuova identità, e si è ridotta fin dalla nascita a un tardo tentativo di riproporre il liberalismo, sotto forme neanche tanto aggiornate.
Tutto questo può apparire teorico o addirittura velleitario, di fronte alla "globale" potenza del sistema imperiale americano, ma proprio gli ultimi eventi (successivi anche alla stesura del mio libro) hanno rivelato l’inconsistenza dei pilastri - l’ONU, la NATO, l’UE - su cui il sistema si reggeva, e che ora penosamente vacillano.
Se dunque sembra che non vi siano speranze, non è perché la realtà non le offra, ma perché nessuno ha la forza o la voglia di nutrirle.
Sarebbe meglio però definire esattamente che cosa intendi per fascismo. In uno dei passaggi cruciali del libro, tu definisci "socialismo irreale" il tentativo di statizzazione dell’economia condotto negli anni ‘60 e ‘70 dal centro-sinistra. Ti ricordo però che anche Gentile affermò "‘pubblico o privato purché di stato"’ propugnando quindi il primato statale. Quale è, a tuo parere, la differenza tra la prospettiva fascista e quella perseguita nel dopoguerra dalla sinistra italiana?

La sinistra italiana perseguiva gradualmente gli obiettivi che negli stessi anni venivano realizzati - con gli esiti catastrofici che poi si videro - dal regimi comunisti dell’Est, e cioè l’esproprio della proprietà privata e la pianificazione del processo economico. Tentativo che fallì, come credo di aver dimostrato - in Italia e altrove nello stesso periodo e per le stesse cause. Il fascismo invece estese e protesse la proprietà privata, e non pretese mai di dettare a tavolino le leggi dell’economia. Nel sistema fascista, la guida dello sviluppo veniva affidata alle forze stesse della produzione - capitale e lavoro - riunite categoria per categoria negli organi corporativi.
La Camera dei Fasci e delle Corporazioni, che dal 1939 assunse il potere legislativo, nasceva dalla confluenza dei due Consigli Nazionali, quello del PNF e quello delle Corporazioni. Economia e politica convivevano e si confrontavano nell’ambito degli stessi organismi.
Non si può immaginare antitesi più netta con quello che avvenne nell’Italia del dopoguerra.
La tua ricostruzione storica suddivide la vicenda del fascismo in quattro fasi, la rivoluzione del ‘22, il regime, la RSI, e nel dopoguerra il Movimento Sociale. Osservi, però, che finora, benché il marxismo sia defunto e il liberalismo condannato a una crisi irreversibile, il fascismo non è riuscito e generare una sua quinta fase. Credi che sia possibile nel prossimo futuro una rinascita dell’idea fascista, quale superamento di questi due termini falsamente antitetici?
Il fascismo non nacque come istanza di rinnovamento, sulle ceneri delle due ideologie ottocentesche?

Credo senz’altro che sia possibile, ma non credo che avverrà automaticamente, come per forza propria. La crisi del liberalismo e del marxismo, ma anche l’insofferenza largamente diffusa contro la globalizzazione, e per quanto riguarda l’Italia la consunzione della cosiddetta Prima Repubblica, convergono nel riportare al centro dell’attenzione la soluzione fascista.

Le condizioni che richiamano il fascismo alla ribalta ci sono tutte, ma sono scarsi e per di più discordi gli uomini che dovrebbero incarnano e sostenerlo.
Contro le teorie deterministiche dell’800, il fascismo ha sempre sostenuto che non è la storia che fa l’uomo ma è l’uomo che fa la storia.
Spetta ora ai fascisti stessi di dimostrarlo, prendendo o non prendendo nelle mani le file del loro e non soltanto loro destino.
Da ITALICUM n. 3-4 -2003

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