lunedì 13 giugno 2011
DALLE RIVOLTE DEI “NON SI PARTE” NACQUE LA REPUBBLICA FASCISTA A COMISO
STORIA VERITA' N. 1. Maggio-Giugno 1996
Ma dopo una serie di sanguinosi scontri a fuoco con i reparti dell’esercito badogliano, che provocarono numerosi morti e feriti i fedelissimi di Mussolini furono costretti a capitolare l'11 gennaio del 1945 sotto la minaccia dei bombardamenti terroristici degli aerei britannici. Emilio Cavaterra
Cinquantadue anni fa, una cittadina siciliana si autoproclamò "Repubblicafascista" indipendente dalla Corona d'Italia e di conseguenza svincolata dal governo Badoglio allora insediato in quel di Brindisi. Era Comiso, in provincia di Ragusa, un abitato assai antico che si rifà alla remota Casmene, fondata dai greci nel 643 a.C. sulla direttrice Agrigento Siracusa, in quel quadrilatero dell'Isola, cioè, che diede del filo da torcere sia alle scarse truppe badogliane, sia a quelle ben più consistenti dei così detti “alleati”, per le sue turbolenze politiche di stampo fascista. Fu, comunque, una “Repubblica” ben più rilevante ai fini storici di quella, mitizzata oltre ogni limite malgrado la sua modesta rilevanza anche militare, messa in piedi per poco tempo dai partigiani nella Val d'Ossola durante i diciotto mesi della Repubblica Sociale Italiana.
L'insorgenza dei fascisti Ma vediamo, anzitutto, la cornice di questa per molti aspetti incredibile vicenda bellica. Ben pochi sanno, e le rievocazioni storiche solitamente di parte non hanno certo aiutato a diffonderne le cronache e nemmanco il ricordo, che l'”insorgenza” fascista nel Mezzogiorno d'Italia si manifestò all'indomani del 25 luglio 1943 che defenestrò Benito Mussolini dalla carica di Capo del Governo. Furono dapprima moti spontanei, spesso improvvisati, sempre volontaristici; in seguito, vennero incanalati e organizzati da personaggi che avevano ricoperto cariche di rilievo provinciale nelle strutture del Regime, ma anche da emissari del Partito fascista repubblicano di Alessandro Pavolini, giunti direttamente al Sud della Penisola dalla Repubblica Sociale Italiana. La Sicilia in particolare, dove più serpeggiavano velleità separatiste mentre la “mafia di campagna” sgominata dal “Prefetto diferro” Mori, rialzava la testa, in ciò aiutata dai “picciotti” italo-americani sbarcati al seguito delle truppe statunitensi, aveva cominciato a reagire al “nuovo corso” badogliano. Sulle prime si trattò di una resistenza al limite del velleitarismo con vistose punte di goliardia; e di fatti, coloro che si ribellarono in quei giorni all'arresto del Duce del Fascismo e la conseguente inevitabile implosione della complessa architettura del Regime, risultarono essere, almeno nelle fasi iniziali, studenti di liceo o tutt'al più di università, tutti dunque assai giovani. Cominciarono a diffondere volantini vergati a mano, poi a tracciare scritte sui muri, gli uni e le altre inneggianti al Duce e al Fascismo; infine ci fu una sorta di “salto di qualità”, ma sempre senza neanche un simulacro di organizzazione magari soltanto paramilitare, con alcuni episodi di sabotaggio alle linee elettriche, ai collegamenti telefonici, ai binari ferroviari e perfino agli autocarri militari “alleati”. Soltanto all'indomani dell'8 di settembre, quando automaticamente fu sciolto il vincolo fra il potere regio e il popolo, l'insorgenza» fascista acquistò sostanza e organicità, radicandosi anzitutto sul territorio e dunque sfruttando il malanimo, il risentimento e la collera della gente, contro i Savoia e gli alti Comandi militari. Furono organizzate manifestazioni di piazza per protestare contro la mancanza di viveri e la carenza di trasporti, ma la “svolta” si ebbe con le dimostrazioni contro la chiamata alle armi.
“No” alle armi badogliane Qualcuno le definì le rivolte dei “non siparte” che né le Prefetture con le loro striminzite forze di polizia, né i ben più organizzati e funzionali Carabinieri, riuscirono a contenere; si limitarono, tutti, a inviare “segnalazioni” al governo di Badoglio per scaricarsi la coscienza e non soltanto quella. Per l'intero arco dell'anno 1944, in varie città della Sicilia centinaia di giovani scesero in piazza in segno di protesta e sui muri apparvero scritte inquietanti per i poteri malamente costituiti e sempre sorretti dagli invasori angloamericani. Esortavano i loro coetanei a non presentarsi alla chiamata di leva, invitavano a darsi alla macchia per non combattere "contro i fratelli del Nord" sollecitavano a non “servire i Savoia”. Ma quelle scintille accesero ben altrimenti incontrollabili incendi, come a Catania, il cui municipio venne dato alle fiamme da una folla inferocita; anche nella zona ragusana furono registrati duri moti di piazza con relativi assalti a uffici pubblici e perfino alle Stazioni dei reali Carabinieri. come accadde in quel di Giarratana, sempre nella provincia di Ragusa. In breve, i disordini di piazza dilagarono anche nell'Agrigentino, con scontri a fuoco tra le truppe dell'Esercito regio e i dimostranti che non erano peraltro soltanto fascisti, anche se questi ultimi prendevano spesso l'iniziativa e il comando delle manifestazioni di protesta; si contarono numerosi i morti ed i feriti, tutti fra i civili. Ormai era emergenza e da Siracusa come da Gela mossero reparti di fanteria in assetto di guerra che impegnarono gli insorti nelle varie località della provincia, riuscendo dopo aspri combattimenti a riprendere il controllo della situazione. Dovunque, fuorché a Comiso. Rinserrata nelle sue mura medievali, la cittadina respinse i militari e le profferte di tregua dai loro ufficiali avanzate; poi, essendo in prevalenza fra i rivoltosi quei giovani ch'erano stati ribattezzati “i non si parte”, fondarono una minirepubblica autonoma dal potere centrale, in ciò aiutati da un agente segreto giunto dall'Italia settentrionale, l'ingegnere Lorenzo Carrara, il cui pseudonimo era Renzo Renzi. Costui prese in mano la situazione e organizzò la resistenza che ebbe momenti di intensa drammaticità e costò decine di vittime, dal momento che i reparti dell'Esercito badogliano erano stati dotati di armi di tutto rispetto, come mitragliere, cannoni e addirittura carri armati, tutto materiale bellico fornito dal Comando britannico. Gli scontri si moltiplicarono durante l'assedio che si protrasse per qualche giorno di fuoco; e mentre gli altri paesi dell'interno cadevano uno dopo l'altro nelle mani dei reparti militari fatti affluire anche dalla Calabria, (fra questi anche Partanna, autoproclamatasi Repubblica autonoma), i “non siparte” continuavano a resistere. Poi, sotto il martellamento degli obici regi e in previsione dell'attuazione della minaccia di essere rasa al suolo dai bombardamenti a tappeto degli aerei inglesi, anche Comiso cedette e capitolò. Si contarono i morti e i feriti: ventisette i primi, ottantasette i secondi. Arrivò anche, puntuale, la vendetta badogliana: quasi trecento insorti, la maggioranza dei quali fascisti riconosciuti e schedati, furono incatenati e trasferiti nell'isola di Ustica, dov'era stato approntato un altro campo di concentramento. Erano coloro i quali avevano dotato la "Repubblica autonoma fascista di Comiso" di ordinamenti, norme, decreti e regolamenti ispirati alla legislazione della Repubblica Sociale Italiana. Era l'l1 gennaio del 1945. Dietro i reticolati del «gulag” savoiardo, i trecento insorti rimasero fino all'anno successivo quando, sul finire del conflitto mondiale, venne decretata l'amnistia. Ma prima dei provvedimenti di clemenza che chiusero la pagina dell'”insorgenza” fascista nel Mezzogiorno d'Italia, ci fu un ulteriore “giro di vite” contro i fedeli mussoliniani che, spesso a rischio della vita e sempre sfidando pericoli e persecuzioni, mantennero alta la bandiera della fedeltà. http://www.italia-rsi.org/resistenzasud/resistenzasud.htm#sconosciutisud
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