di Giuseppe Coppedè
Sollecitato da amici, assai più giovani, che non hanno avuto la fortuna di conoscerlo, incuriositi dalle cerimonie rievocative e da alcune novità letterarie che di questi tempi si interessano di Lui, mi è stato chiesto di parlare di Beppe Niccolai. La qual cosa, se da una parte mi mette al centro dell’attenzione, senza nessun titolo di merito personale se non quello anagrafico e geografico, dall’altro riporta alla mente una stagione politica che sembra perdersi in un tempo assai lontano; un tempo forse scandito da scontri duri ma certamente ricco di tensioni ideali che l’omologante ed interscambiabile teatrino destra-sinistra di oggi neanche lascia supporre. Per chi ha avuto la ventura di conoscerlo, la propria vita politica non può non esserne stata segnata. Dai suoi insegnamenti, dalle sue parole, dal dubbio che alimentava in noi tutti per spingerci alla riflessione attraverso anche un’inquietudine che poteva far soffrire in quell’ansia di verità che andava cercando. Era un esempio, ma non solo. Rappresentava tutto quello che avremmo voluto essere ma che non siamo riusciti a raggiungere. E’ l’Uomo che ci parlava di Corridoni e Berto Ricci, ed auspicava la sintesi e la ricomposizione tra i concetti cardine di Nazione e Socialismo. Senza mai sfociare nel più becero nazionalismo. Dove Nazione stava a significare anche i luoghi dell’anima e della memoria di ognuno di noi. Un sentiero, un ruscello, un borgo. Insomma dove la Comunità aveva il sopravvento sullo Stato, sulle gerarchie e sulle burocrazie. Ci parlava del rispetto per l’altro, la voglia di capirne le ragioni e comprendere che ovunque si soffriva e si lottava contro il potere opprimente quella non poteva non essere anche la nostra lotta. Si faceva carico del senso di smarrimento che la comunità stava subendo, mentre sprofondava sempre più nel niente che l’Occidente stava portando nei nostri cuori. Questo era il Beppe che ho conosciuto. E che oggi molti tirano per la giacchetta, quasi a volerlo cooptare nelle loro schiere; forse per cercare di riempire il vuoto che contraddistingue la loro azione politica. Molti si fanno la domanda retorica se oggi fosse tra noi Beppe dove sarebbe posizionato? Uno dei primi, che non solo si pose la domanda ma con tracotanza si dette pure la risposta è stato l’attuale ministro delle infrastrutture On. Altero Matteoli, che su un pezzo pubblicato su “Millennio luglio-settembre 2007” posizionava Beppe Niccolai all’interno di AN. Su "L’eco della Versilia" n° 7 del 15 settembre 1998, riferendosi agli anziani del MSI-DN in un pezzo intitolato “Avete piantato la vigna. Consentite ai giovani di vendemmiare!” Niccolai così scriveva “…. il gesto più difficile, più amaro, più doloroso, ma che lascia il segno benefico: quello di non pensare più ad incarichi elettivi, dentro e fuori dal partito, dai più alti ai più marginali. Per continuare a servire ci sono gli incarichi di servizio”. Beppe quelle parole le aveva testimoniate anni prima rinunciando dopo 2 legislature ad una nuova candidatura per un seggio a Montecitorio. Il suo “delfino” fu Altero Matteoli. Che dal 1983 scalda poltrone parlamentari, senatoriali e ministeriali, dimostrando come sia difficile seguire gli insegnamenti dei maestri. Ma molti altri dovrebbero vergognarsi per il goffo tentativo di arruolare Beppe nelle loro schiere. Sempre da “L’eco della Versilia” n° 8-9 del 31 dicembre 1986 in un pezzo titolato “Europa ed occidentalismo termini inconciliabili” così scriveva “I popoli muoiono, sia pure dolcemente se, dimenticando le proprie radici, si fanno «altro»: si buttano nel grembo della Potenza-madre dicendole: «Fai tu la storia, anche per me; commetti pure le più turpi porcherie, le infamie più ignobili, io non protesterò, sarò sempre al tuo fianco. Mi sacrificherò per te, Occidente! Io non ho più storia, non ho più memoria, non so più chi sono. A che servono i libri di storia? Ha ragione la Falcucci: via, bruciamoli, non ci servono più, siamo Occidente!».
L’Italia, l'Europa non esistono. C'è una realtà diversa, indefinibile, vasta, nella quale immergersi: si chiama Occidente. E l'immagine ultima, il supremo referente dell’Occidente è il modo di vita americano: gli Stati Uniti d'America. La patria: la società americana. È talmente bella che perfino il PCI se ne è fatto il suo braccio secolare: viva, viva dio-denaro, l'economia come destino!
Ma noi come la mettiamo? Applaudiamo? Ci facciamo anche noi Occidente, americanismo, riformismo, mercato? Scomparire, dunque. Non più Nazione, ma zona. Dell'Occidente. Non più cultura, ma mercato. Dell'Occidente. In nome dell'ideologia dominante dell'Occidente che tollera tutto ma non rispetta nulla, in cui niente ha più valore, ma tutto ha un prezzo.” Una analisi impietosa che con largo anticipo descrive i tempi nostri. Che ci fa capire come Berlusconi non sia la causa ma l’effetto e come l’antiberlusconismo non sia la soluzione ai nostri mali in quanto anche lui si nutre degli stessi non valori dell’uomo di Arcore. La domanda giusta da porsi dunque non è tanto con chi oggi starebbe Beppe, quanto con chi non starebbe. Beppe è di tutti, di tutti quelli che senza retorica cercano ogni giorno di portare avanti quel sogno che possiamo condensare nelle parole di Berto Ricci che spesso ci ripeteva “.. L’Italia dura, taciturna, sdegnosa, che porta la sua anima in salvo soffrendo delle contraffazioni, dei manifesti, dei ciarlatani, dei buffoni, dei letterati, dei commendatori. L’Italia che ci fa spesso bestemmiare perché la vorremmo più rigida, più attenta, più macra: vicino alla perfezione dei santi”. Gli altri son solo opportunisti, che niente hanno da spartire con quella storia. Per favore, lasciate perdere Beppe.
Tratto da: http://movimentodiazionepopolare.blogspot.com/2011/03/leretico-e-gli-opportunisti.html
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