di Filippo Giannini
In occasione della ricorrenza della “Giornata della Memoria”, leggo su “Il Messaggero”: “Nasce il museo dello Shoah nel cuore di Villa Torlonia”. E’noto che Villa Torlonia fu, per un certo periodo, la residenza di Benito Mussolini. Con questa iniziativa si vuole rafforzare la tesi della responsabilità del Duce circa le malefatte – reali, supposte o false che siano – di Hitler.
Il 25 aprile 1945 Luigi Longo, uno dei massimi esponenti del Pci e quindi del CLNAI (Comitato Italiano Liberazione Alta Italia), nell’impartire disposizioni per l’esecuzione della condanna a morte del Duce, ordinò:
A distanza di oltre sessant’anni ancora si parla di questo argomento. Perché?
Per avere una visione più chiara su quell’Uomo, è necessario partire dal “Trattato di Pace” del febbraio 1947. Indicare questo Trattato come iniquo è riduttivo. Ricordiamo quanto recita l’articolo 17 (Sezione I – Clausole Generali):
Una qualsiasi persona di media intelligenza dovrebbe chiedersi “cosa può interessare ad una grande democrazia come quella americana, se ci sia o meno un movimento fascista in Italia?”. La risposta la dette proprio Mussolini in una delle sue ultime interviste: “Le nostre idee hanno spaventato il mondo”; per “il mondo” intendeva quello del grande capitale, la plutocrazia, l’imperialismo liberista. E allora, ecco la necessità delle grandi menzogne e delle mascalzonate.
“L’operazione demonizzazione del fascismo” è sviluppata con diversi tentacoli. Leggiamo, sempre su “Il Messaggero”: . In pratica “il sistema” fa dei nostri ragazzi degli automi, il cui carburante è la menzogna.
Per costruire il mostro (e i mostri) si è montata un’accusa che riteniamo la più infamante e la più menzognera: l’essere stato Mussolini un vessatore e il responsabile della consegna degli ebrei ai tedeschi. I detrattori, per rendere l’accusa più plausibile hanno coniato il sostantivo “nazifascista”: termine dispregiativo tendente ad accomunare in un’unica responsabilità fascismo e nazismo per le atrocità commesse da quest’ultimo, sempre che queste non siano frutto di una enorme montatura, come molti studiosi sostengono.
Le diversità dottrinali fra fascismo e nazionalsocialismo sono trascurabili per i detrattori, ma sono evidenziate da diversi studiosi e, tra questi, citiamo Renzo De Felice (“Intervista sul Fascismo”, pag. 88):
Trattare l’argomento “fascismo – ebrei” è stato (e lo è ancora) un cozzare contro un muro eretto dall’antifascismo internazionale: muro costruito e cementato da falsità che con la Storia non hanno nulla a che vedere. Cerchiamo allora un varco che possa dissipare le nebbie artatamente montate e avvicinarci a qualche sprazzo di verità. Questo lavoro è dedicato, quindi, a tutti gli Ebrei di cui ho la massima stima, come d’altra parte l’aveva Benito Mussolini che ad una domanda di Yvonne De Begnac, rispose:
E allora, facciamo un po’ di Storia. Documentata.
Il 29 aprile 1945, dopo la barbara e macabra esposizione dei corpi appesi a Piazzale Loreto, a Charles Poletti (plenipotenziario americano in Italia occupata) fu detto: “La storia è fatta così. Alcuni devono non solo morire, ma morire vergognosamente”. Così ancor oggi, le accuse reiterate su “quel morto” sono le più variegate e le più singolari e tutte poco convinte e, ancor meno convincenti. Ma l’accusa più falsa e più infamante, ripetiamo, e nello stesso tempo più menzognera, è quella di essere stato un vessatore e il responsabile della consegna degli ebrei ai tedeschi.
Lo dobbiamo ricordare: anche se in Italia l’adesione al fascismo da parte degli ebrei era pressoché totale, l’ebraismo internazionale, invece, si era schierato contro il Fascismo, sia nella guerra civile di Spagna che nel decretare le sanzioni, per continuare poi negli anni successivi. Mussolini impose per il problema ebraico le leggi razziali (certamente odiose e inique), ma con l’ordine “discriminare, non perseguire”. Stabilito ciò,
All’orizzonte si stagliava, intanto, sempre più minacciosa la figura di Adolf Hitler, bramoso (non davvero a torto) di riscattare le terre strappate alla Germania a seguito del cervellotico Trattato di Versailles. E’ sufficiente leggere la storia di quel decennio per ricavare la netta impressione che le democrazie spinsero l’Italia fascista verso un’alleanza con Hitler, alleanza non assolutamente voluta da Mussolini.
Se questo è vero e se è vero che la spina dorsale della dottrina nazionalsocialista era il principio della superiorità della razza ariana, anche biologica e, l’antisemitismo, perché allora le leggi razziali del 1938? Nel contempo non possiamo dimenticare che nello stesso momento nel quale Hitler salì al potere in Germania, le lobby ebraiche internazionali dichiararono guerra alla Germania nazionalsocialista. Eppure sino a quel momento nessun attentato alla vita o ai beni ebraici venne attuato. Le teorie hitleriane sull’antisemitismo si fermavano ad una pura teoria filosofica.
A solo titolo di esempio proponiamo quanto scrisse a settembre 1933 (attenzione alle date) il dottor Manfred Reifer nella rivista ebraica Czernowitzer Allgermeine Zeitung: <La Germania è il nostro nemico pubblico numero uno. Ė nostra intenzione dichiararle guerra senza pietà>. Oppure: il 24 marzo 1933 il Daily Express scrisse nella prima pagina: <L’Ebraismo dichiara guerra alla Germania: Ebrei di tutto il mondo unitevi. Il popolo israelita del mondo intero dichiara guerra economica finanziaria alla Germania. Il commerciante ebreo lasci il suo commercio, il banchiere la sua banca, il negoziante il suo negozio, il mendicante il suo miserabile cappello allo scopo di unire le forze nella guerra santa contro il popolo di Hitler>. Tutto questo nel pieno della crisi economica che aveva investito il mondo.
E’ ovvio e accettato che per dare un giudizio storico su un certo avvenimento accaduto in un determinato periodo, è necessario riportarci alla situazione politica di “quel periodo” e, nel caso specifico alla situazione politica internazionale degli anni ’30
“La Seconda Guerra Mondiale”, Vol. 2°, pag. 209 di Winston Churchill:
Ed ecco, allora, di nuovo, l’interpretazione, di Renzo De Felice. <Una volta che Mussolini fu gettato nelle braccia della Germania di Hitler, era impensabile che anche l’Italia non avesse le sue leggi razziali”. Anche lo studioso israeliano Meir Michaelis osserva: “Non si trattava quindi di un problema interno, bensì di un aspetto di politica estera>. E, più specificatamente De Felice (“Intervista sul Fascismo”, pagg. 101-102): <Il fascismo fece propria la dottrina razziale più per opportunità politica – evitare una difformità così stridente all’interno dell’Asse – che per interna necessità della sua ideologia e della sua vita politica>.
Se è vero che trattare l’argomento “fascismo-ebrei” è stato (e lo è tutt’ora) come accostare un fiammifero ad una polveriera, ma questo solo per circoscritti motivi di interessi, che non hanno nulla a che vedere con la verità storica. La verità è che anche intorno a quei drammi è stata costruita una cortina di falsità per i motivi sopra indicati. Vediamo, allora, di cercare uno spazio fra le nebbie, chiamando a testimoniare studiosi e personaggi non davvero fascisti.
Un attento storico dell’”Olocausto ebraico” (oltretutto il termine “Olocausto” è improprio nel caso specifico) Mondekay Poldiel, israelita, che scrive: “L’Amministrazione fascista e quella politica, quella militare e quella civile, si diedero da fare in ogni modo per difendere gli ebrei, per fare in modo che quelle leggi rimanessero lettera morta”.
Sarebbe sufficiente questa attestazione di uno dei massimi storici israeliani per chiudere l’argomento. Ma dato che l’informazione non consente un libero dibattito, ci vediamo costretti ad approfondire il tema. Quelle certamente odiose leggi, furono concepite per necessità politica e, proprio per questo applicate in modo da arrecare il minor danno possibile. Per approfondire l’argomento rimandiamo il lettore al mio volume: “Uno schermo protettore – Mussolini, il Fascismo e gli Ebrei” dove troverà ampissima documentazione.
Continuiamo nella trattazione.
Nel 1934 in occasione dell’incontro con Weizmann, Mussolini concesse tremila visti a tecnici e scienziati ebrei che desideravano stabilirsi in Italia. Nel 1939 (l’Asse Roma-Berlino era già in atto) vennero aperte delle aziende di addestramento agricolo, le “haksharoth” (tecniche poi trasferite in Israele) che entrarono in funzione ad Ariano (Como), Alano (Belluno), Orciano e Cavoli (Pisa). Così, sempre in quegli anni, nei locali della Capitaneria di Porto, la scuola marinara di Civitavecchia ospitava una cinquantina di allievi che poi diverranno i futuri ufficiali della marina israeliana.
Tutto ciò può essere un sufficiente esempio per illustrare il criterio delle applicazioni delle “Leggi Razziali” in Italia. Nel 1979, in occasione della presentazione del film “Olocausto”, la televisione francese “Antenne 2”, riunì un gruppo di scampati dai “campi di sterminio”. Di questo gruppo faceva parte Simon Veil, che se non esistesse uno strano caso di omonimia, dovrebbe essere stata l’ex Presidentessa del Parlamento europeo. Le domande dell’intervistatore vertevano sul tema: “E’ vero che in Francia nella zona di occupazione italiana non ci fu alcuna persecuzione? E’ vero che sulla Costa Azzurra i carabinieri italiani impedirono ai poliziotti francesi l’arresto degli ebrei?” E la risposta fu unanime: Sì, è proprio così, rispose per tutti la signora Veil.
<Era la fine del 1939, quindi la Germania e l’Urss avevano già invaso la Polonia e l’Italia era alleata del Terzo Reich, e nasceva in Italia la Delasem (Delegazione Assistenza Emigrati), un’organizzazione ebraica che avrebbe salvato migliaia di israeliti profughi dai Paesi dell’Est europeo e, in particolare dalla Germania e dai territori che i nazisti andavano occupando. Il 1 dicembre 1940 Dante Almani (Rappresentante ufficiale della Delasem) ebbe un colloquio chiarificatore con il capo della polizia Bocchini>. Così scrive Rosa Paini, ebrea, nel volume “I sentieri della speranza, pag. 28”. E’ da tener presente che Bocchini era l’unica persona alla quale Mussolini concedeva ogni mattina udienza per essere relazionato sui fatti giornalieri.
Mentre si svolgevano questi drammi, il Governo italiano intensificò i suoi sforzi per salvare e assistere i fuggitivi. In merito De Felice scrive (“Storia degli Ebrei sotto il Fascismo”, pag. 404):
Ancora Rosa Paini (pag. 111) riferisce: “Nella sua visita di febbraio ’43 a Roma, Ribbentrop insistette per tre giorni presso Mussolini per ottenere la consegna degli ebrei jugoslavi; alla fine, dopo parecchio tergiversare il duce accondiscese”.
A questo punto si inserisce un fatto che illustra lo “stile” con il quale è stato condotto lo studio della storia in questo interminabile dopoguerra. Nel gennaio 1998, il giornalista della televisione italiana, Paolo Frajese, conduttore di un servizio sulla vita degli ebrei nelle zone occupate dalle nostre truppe durante l’ultimo conflitto, nel ricordare il “visto” concesso da Mussolini alla richiesta di Ribbentrop, commentando il fatto, con voce di rimprovero e di condanna, disse: “Così il Duce dette l’ordine di consegnare gli ebrei ai nazisti”. Il solerte Frajese ha trascurato un particolare, ricordato da De Felice (e altri studiosi onesti e seri) con queste parole: “Ma subito dopo il Duce, parlando con il Generale Robotti, confermò il suo disappunto: E’ stato a Roma per tre giorni e mi ha tediato in tutti i modi il Ministro Ribbentrop che vuole a tutti i costi la consegna degli ebrei jugoslavi. Ho tergiversato, ma poiché non si decideva ad andarsene, per levarmelo davanti, ho dovuto acconsentire (…). Ma voi inventate tutte le scuse che volete per non consegnare neppure un ebreo”.
E così fu: non fu mai consegnato un ebreo, sia esso residente in Grecia, a Salonicco, in Jugoslavia, in Francia, in Italia. Qualunque sia la storia stroppiata scritta e ripetuta con la penna della “vulgata resistenziale”, mai a un ebreo fu torto un capello: esso era protetto, come ha scritto lo storico ebreo Lèon Poliakov (“Il nazismo e lo sterminio degli ebrei”, pagg. 219-220): <Mentre, in generale, i Governi filofascisti dell’Europa asservita non opponevano che fiacca resistenza all’attuazione di una rete sistematica di deportazioni, i capi del fascismo italiano manifestarono in questo campo un atteggiamento ben diverso. Ovunque penetrassero le truppe italiane, uno schermo protettore si levava di fronte agli ebrei (…). Un aperto conflitto si determinò fra Roma e Berlino a proposito del problema ebraico (…). Appena giunte sui luoghi di loro giurisdizione, le autorità italiane annullavano le disposizioni decretate contro gli ebrei”.
Anche il dottor Salim Diamond, autore del libro “Internment in Italy - 1940-1945”, ha scritto: “Non ho mai trovato segni di razzismo in Italia (…). Nel campo controllato dai Carabinieri e dalle Camicie Nere, gli ebrei stavano come a casa loro”. Il dottor Diamond attesta che il Governo fascista concedeva otto lire (al valore dell’epoca) al giorno agli internati i quali potevano spenderle come desideravano.
Il famoso docente dell’Università ebraica di Gerusalemme, George L. Mosse, nel suo libro: “Il Razzismo in Europa”, a pag. 245, fra l’altro scrive: <Come abbiamo già detto, era stato Mussolini stesso a enunciare il principio: discriminare non perseguire. Tuttavia l’esercito italiano si spinse anche più in là, INDUBBIAMENTE CON IL TACITO CONSENSO DI MUSSOLINI>.
Potrei continuare a lungo, ma non posso abusare più di tanto dello spazio a me concesso. Però desidero porgere alcune domande (che sicuramente non avranno risposta) al signor Pacifici e alle signore Fiamma Nirestein e Tullia Zevi:
1) perché gli ebrei che fuggivano dalla Germania e dalle zone occupate dai nazisti si rifugiavano in Italia? Eppure, qui, erano in atto le “leggi razziali”;
2) perché, invece di cercare rifugio nell’Italia fascista non si recarono in Gran Bretagna, o in Francia, o negli Stati Uniti? Forse perché quelle frontiere erano a quegli infelici sbarrate? Infatti Roosevelt fece intervenire la Us Navy per impedire con la forza l’approdo di un gruppo di ebrei fuggiaschi da Amburgo. E che fine fecero quei disgraziati? Lo dice il giornalista Franco Monaco (“Quando l’Italia era ITALIA”, pag. 175): “Quando fu vietato l’attracco a New York quei fuggiaschi vennero accolti in Italia e poi dislocati in varie zone della Francia, della Dalmazia e della Grecia” (neanche a dirlo, vero?). Oppure perché no nella regina delle Democrazie: in Gran Bretagna? Forse perché gli inglesi, in Palestina fucilavano e impiccavano gli ebrei? Oppure perché a Solina, nel Mar Nero il Console britannico salì a bordo di una nave che trasportava un gruppo di fuggitivi, informandoli che se non si fossero immediatamente allontanati aveva l’ordine di prenderli a cannonate?
3) E qui “la cosa” assume l’aspetto fosco. Scrive lo storico Robert Tucker (“The revolution from above 1928-1941): “Non ho conosciuto mai la violenza di un terrorismo di Stato pari a quello verificatosi in Unione Sovietica; in quegli anni furono fucilate milioni di persone dopo essere state torturate alla Lubianka, o deportate nei campi di lavoro della Siberia (…). Tra questi c’erano tutti gli ufficiali ebrei”. Oppure quanto scrive Paolo Veltri (Stalin e gli ebrei) il quale attesta che dal settembre 1939 al luglio successivo, in seguito alle annessioni sovietiche, due milioni di ebrei dei tre Stati Baltici passarono sotto l’Urss. Nella zona polacca occupata dai sovietici, a partire dal febbraio 1940, la polizia Nkvd di Beria arrestò e deportò circa mezzo milione di ebrei. Molti morirono durante il viaggio. Queste operazioni continuarono anche negli anni Quaranta. “Un’intera generazione di sionisti ha trovato la morte nelle prigioni sovietiche, nei campi, in esilio”. E ancora – ma non ultimo – lo scrittore russo Arkady Vaksberg nel suo libro “Stalin against the Jews” sostiene “dopo accurate ricerche” che gli ebrei eliminati da Stalin siano stati “presumibilmente cinque milioni”. Sempre lo stesso autore afferma che, esistendo l’alleanza Molotov-Ribbentrop, migliaia di famiglie di ebrei che fuggivano dall’incalzante avanzata delle truppe tedesche in Polonia, si rifugiarono nel territorio occupato dall’Urss, ebbene Stalin le fece restituire ai nazisti.
Ma torniamo a Benito Mussolini. Se una colpa gli si può adottare fu quella di aver salvato decine di migliaia di ebrei.
Allora, fu una colpa? Se non lo fu, sollecito un atto di giustizia: che similmente ad altri meritevoli, venga innalzato a suo nome un monumento nella “Valle dei Giusti” in Israele. D’altronde sarebbe in ottima compagnia, perché in quel luogo vengono ricordati altri fascisti che ebbero gli stessi meriti, fra questi voglio ricordare: Guelfo Zamboni (console italiano a Salonicco); Giovanni Palatucci (Questore di Fiume durante la Rsi, deportato e ucciso in un lager perché accusato della salvezza degli ebrei); Giorgio Perlasca (che operò a Budapest nel salvataggio di circa cinquemila ebrei).
Perché tanto rancore contro Benito Mussolini? Provo a dare una risposta sempre avvalendomi di personaggi “al di sopra di ogni sospetto”. Il 13 ottobre 1937 Bernhard Shaw in una intervista concessa al “Manchester Guardian”, fra l’altro disse: “Le cose da Mussolini già fatte lo condurranno prima o poi ad un serio conflitto con il capitalismo”.
Cosa aveva fatto Mussolini di tanto grave?
Prova a spiegarlo Zeev Sternhell, professore di Scienze Politiche presso l’Università di Gerusalemme, col saggio “La terza via Fascista”, nel quale fra le tante e varie considerazioni attesta: <Il Fascismo fu una dottrina politica, un fenomeno globale, culturale che riuscì a trovare soluzioni originali ad alcune grandi questioni, che dominavano i primi anni del secolo (…). Il corporativismo riuscì a dare la sensazione a larghi strati della popolazione che la vita fosse cambiata, che si fossero dischiuse delle possibilità completamente nuove di mobilità verso l’alto e di partecipazione>. E da qui giungere alla “Socializzazione dello Stato” il passo sarebbe stato breve. Immaginatevi il danno che un’idea del genere avrebbe arrecato ai “reggitori delle chiavi delle casseforti mondiali”.
E allora guerra. E per non far rivivere quell’idea, ancora oggi attuabile, si carichi su quell’uomo e sul suo regime ogni infamia possibile.
D’altronde la cosa non riuscì difficile… l’importante è avere a disposizione l’informazione; ed il gioco è fatto!
Tutto ciò – e tanto altro ancora – può essere un esempio sufficiente per illustrare il criterio delle applicazioni delle “Leggi Razziali” in Italia.
Quanto sin qui scritto è solo l’inizio della lunga storia che riguarda i rapporti fra il fascismo e gli ebrei. La documentazione più completa, ripetiamo, è contenuta in un mio libro che tratta appunto l’argomento, ma desidero porre alcune domande ai detrattori, ai dispensatori di ingiurie maramaldesche, scagliate un po’ per ignoranza e molto per un bieco, ignobile, servile tornaconto, contro un Uomo che tutto il mondo ci invidiava:
1) perché non spiegare alle scolaresche e ai telespettatori cos’era la DELASEM? Da chi fu autorizzata? che funzioni svolgeva? E, soprattutto, in quali anni operò?
2) Perché gli ebrei tedeschi, austriaci e quelli che vivevano nei Paesi occupati dalle truppe germaniche si rifugiavano nell’Italia fascista? E pur, sapendo bene che nell’Italia fascista vigevano le leggi razziali?
3) Perché quegli stessi ebrei non chiedevano asilo ai “Paesi democratici” o, meglio ancora, al “paradiso sovietico”.
4) Perché non ricordare quanto hanno scritto su questo argomento storici ebrei come Mondekay Poldiel, Rosa Paini, George L. Mosse, Menachem Shelah, Emil Ludwig? E questo è solo un frammento di quanto c’è da raccontare e da scrivere.
5) Perché non parlare di personalità ebraiche come Ludwig Gumplowicz, Cesare Goldman, Duilio Sinigaglia, Aldo Finzi, Dante Almasi, Guido Jung, Margherita Salfatti e mille altri ancora?
6) Perché non ricordare gli ordini che dette Mussolini al generale Robotti dopo la visita di Ribbentrop?
7) Perché non far presente quando e in quale occasione i tedeschi misero le mani su tanti infelici sino a quel giorno al sicuro dietro lo “scudo protettore” italiano?
8) Quindi, e di conseguenza, sarebbe fuori luogo asserire che gli ebrei furono consegnati alle camere a gas (sempre che siano esistite realmente) dal primo governo antifascista? Cioè da Badoglio?
9) Ma un altro “perché” è doveroso porlo, anche se è drammatico e frustrante: perché dei discendenti del Duce (a parte Donna Rachele) mai nessuno si erse, o si erge a difenderne la memoria? Eppure le possibilità non sono mancate.
Per concludere: quell’Uomo merita davvero quanto questo infido sistema politico, per sopravvivere a se stesso fa, per infangarne la memoria?
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