venerdì 11 febbraio 2011

LA VERA MONETA










Sintesi dal materiale del sito www.signoraggio.info

Per un Mondo senza imposte e tasse; senza debito pubblico; e soldi per tutti per vivere una Vita degna di un Essere Umano. Non è Utopia, ma lo sarà fino a che la gente non capirà cosʹè la Moneta.
12/8/2005

1.0 – Premessa: Per un'economia di giustizia e solidale

Pretendere di conoscere l'Economia senza conoscere la Moneta, equivale a pretendere di conoscere un'auto senza conoscerne il motore. E senza motore, l'auto non parte. Per questa fondamentale funzione che essa svolge, nella nostra disamina della scienza economica abbiamo ritenuto necessario partire dal concetto di Moneta, ed in particolare dal concetto che più di tutti mostra la natura convenzionale del valore monetario: il Signoraggio.
Il Signoraggio è un concetto che merita di essere approfondito data la sua importanza per ogni società i cui scambi sono basati su una Moneta. In sintesi, è la differenza tra il valore nominale della Moneta ed il suo costo di produzione. Tale differenza, data la natura istituzionale della Moneta, dovrebbe spettare ai cittadini i quali attraverso un organo che li rappresenta dovrebbero emettere la stessa moneta.
Oggigiorno invece la Moneta è emessa da una privata Banca Centrale e creata da un privato sistema bancario. Si ritiene invece che la natura istituzionale della Moneta richieda una emissione ed una creazione della Moneta solo ed esclusivamente pubblica (statale ad esempio, o di altra comunità), accreditando la Moneta stessa ai cittadini e non indebitandola al momento dell'emissione. Ed utilizzando in tal modo il Signoraggio per scopi di natura pubblica e sociale.
Consideriamo il libero mercato dei beni e dei servizi la più efficiente ed equa forma di allocazione delle risorse, pur ritenendo la moneta (coerentemente con la nostra teoria monetaria) non un bene od un servizio di mercato bensì una convenzione istituzionale che misura il valore di tali beni e servizi e che, nella sua forma più pura, necessita di una gestione pubblica. Riteniamo inoltre che sia dovere morale della comunità garantire, nel rispetto del libero mercato dei beni e dei servizi, il soddisfacimento dei bisogni primari di ogni essere umano.
Riteniamo importante sia il libero arbitrio d'azione dei singoli individui sia l'influenza delle istituzioni sul comportamento umano, ed altresì sosteniamo l'importanza della Storia come fonte di conoscenza del pensiero umano, sostenendo però la necessità di una indipendenza della teoria dalla storia stessa.

2.0 - Tipologie di Signoraggio
Abbiamo definito il Signoraggio come la differenza tra il valore nominale della Moneta ed il suo costo di produzione. Esso è un profitto di cui si appropria chi ha il potere di emettere quella data Moneta. Tale profitto esiste per ogni forma di Moneta oggigiorno utilizzata: metallica, cartacea e scritturale.
Il Signoraggio sulla Moneta metallica è solitamente per legge attribuito allo Stato. Quello sulla Moneta cartacea è per legge attribuito alla Banca Centrale (solitamente privata). Quello sulla Moneta scritturale è invece (seppur senza riferimento legislativo) attribuito al sistema bancario nel suo complesso (Banca Centrale compresa, dato che anch'essa può creare denaro dal nulla prestandolo senza l'emissione di banconote).
Il Signoraggio sulla Moneta metallica è costituito dal valore facciale (nominale) totale di tutte le monete metalliche coniate da un determinato Stato in una determinata valuta, al netto del costo di produzione delle stesse.
Il Signoraggio sulla Moneta cartacea è costituito dal valore facciale totale di tutte le banconote emesse da una Banca Centrale in una determinata valuta, al netto del costo di produzione delle stesse.
Il Signoraggio sulla Moneta scritturale è costituito dal valore nominale (facciale in questo caso non è corretto, non essendo questa Moneta fisica) di tutta la Moneta prestata dal sistema bancario (credito) sotto forma di conto corrente (c/c), al netto del costo di produzione della stessa (che è nullo: una semplice digitazione su un computer o scrittura su un foglio di carta di cifre numeriche).
Mentre il Signoraggio sulla Moneta fisica (cartacea e metallica) è solitamente ben identificato, quello sulla Moneta scritturale risulta spesso non compreso a causa della non automatica identificazione di quest'ultima come Moneta vera e propria: ciò che non è sensorialmente percepibile è di più difficile comprensione. Tale confusione è accentuata ancor più dall'esistenza della Contabilità e del Bilancio: in quanto costituiti della stessa sostanza (cifre numeriche su PC o su carta), si tende a fare confusione tra la Moneta scritturale (c/c) ed una generica computazione di cifre monetarie (Contabilità e Bilancio). La prima è Moneta, la seconda un semplice conteggio della stessa Moneta. Il conto corrente, in altre parole, non è Contabilità, come viene solitamente definito, bensì vera e propria Moneta non fisica. Che gode del suo Signoraggio, come ogni Moneta il cui valore nominale è superiore a quello intrinseco (nullo in questo caso). Riguardo al Signoraggio delle banche ordinarie si consiglia di leggere l’articolo “Riserva frazionale vs. riserva totale”
http://www.signoraggio.info/riserva_frazionale_vs_riserva_totale.htm
Nota: il Signoraggio qui discusso è in altre parole parte del Capitale prestato dal sistema bancario (o addirittura il Capitale stesso nel caso della Moneta scritturale, non avendo essa alcun costo di produzione). Tale profitto si aggiunge a quello derivante dagli Interessi sullo stesso Capitale prestato.

3.0 - La vera Moneta
Per comprendere il concetto di Moneta è necessario analizzare l'origine logica della stessa, un'origine che non per forza corrisponde sempre con quella storica: non sempre infatti gli esseri umani hanno vissuto e creato secondo una Vera Logica.
Vediamo meglio quindi lo sviluppo logico del concetto di Moneta.
La Vita umana è vita di comunità, vita sociale. Quando si parla di comunità o società umana? Quando un certo numero di esseri umani vivono assieme: quando essi quindi innanzitutto comunicano tra loro ed agiscono per un fine comune. La comunicazione viene prima dell'azione consapevole, in quanto non si può agire consciamente senza una comprensione della realtà; comprensione che può avvenire solo nel momento in cui vi è la capacità di distinguere tra essenze e tra sostanze diverse: in sintesi, solo quando vi è un linguaggio.
Esistono 3 tipi di linguaggio: verbale, gestuale e numerico.
Il linguaggio numerico è l'unico tipo di linguaggio che conosciamo che ci può permettere di comunicare con tutto ciò che non è umano ed è spazio-temporale.
Cosa significa questo? Significa che l'unico modo per creare uno scambio di informazioni (una comunicazione appunto) che siano comparabili tra loro, tra noi e qualsiasi altro essere, animato o no, è attraverso il numero. Ora, se è vero che con gli esseri animati tendiamo a preferire una comunicazione più umana e sensoriale, con i beni (oggetti non animati) non abbiamo alternativa.
Ora, in una comunicazione numerica, che tipo di informazione viene scambiata? Come in ogni tipo di comunicazione, si scambia un valore. Esso infatti è l'essenza stessa di ogni cosa esistente: proprio perché esiste, ogni essenza ha valore. Il valore è cioè una caratteristica spirituale di ogni essenza esistente. Tutto ciò che è Vita ha valore, proprio perché è: è l'essenza divina di ogni cosa che gli dà valore.
L'unico modo per scambiare un valore numerico tra noi è la creazione di una misura che renda comparabili tutti gli oggetti misurati. Se non vi fosse un'unica misura, il concetto stesso di valore numerico non avrebbe senso: avremmo infatti semplici e puri numeri, e non un valore numerico. Avremmo cioè, senza una misura, una semplice "definizione numerica" e non l'indicazione numerica del valore di tale "definizione". E comparare "definizioni" senza un linguaggio comune (in questo caso numerico) non è possibile.
Per comparare tali valori numerici al fine di renderli finiti, limitati, e quindi comprensibili è necessario quindi creare un'unica misura del valore che valga per i valori di tutto ciò che si desidera comparare. Senza una misura unica, infatti, ogni valore sarebbe fine a se stesso, senza significato, in quanto di per sé illimitato, senza definizione, senza limiti, e quindi non comprensibile. Solo ciò che è finito, infatti, è definibile e quindi comprensibile.
Questa misura del valore numerico è quella che oggi chiamiamo Moneta. Come si presenta questa misura? Una misura di per sé è una convenzione, una istituzione ossia una finzione collettivamente accettata; è quindi un concetto astratto, mentale, una regola 4
che per uso, consuetudine o legge viene utilizzata per misurare il valore numerico. Può essa avere una sua rappresentazione fisica? Per capirlo, confrontiamola con altri tipi di misura, ad esempio la misura della lunghezza.
Nella misura della lunghezza, nel nostro Paese per convenzione si utilizza come unità il metro. Per misurare nella realtà la lunghezza, si utilizzano rappresentazioni fisiche di tale misura (es: corda, stecche di plastica o legno). Queste rappresentazioni della misura sono anch'esse lunghezza, utilizzate per comodità per avere una percezione sensoriale chiara della misura. Nella misura del valore, oggigiorno nel nostro Paese per convenzione si utilizza come unità l'euro. Per misurare nella realtà il valore numerico, si utilizzano rappresentazioni fisiche di tale misura (monete metalliche e banconote; in passato metalli preziosi o altri beni). Queste rappresentazioni sono anch'esse valore numerico, utilizzate per comodità per avere una percezione sensoriale chiara della misura. Tali rappresentazioni, sia per la lunghezza sia per il valore numerico, sono quindi dei mezzi fisici di comunicazione della misura della lunghezza e del valore numerico rispettivamente. Ma essi non sono misura, ma solo appunto un mezzo di trasmissione della misura, una sua rappresentazione o, per dirla in termini economici moderni, un suo titolo. Monete e banconote sono quindi titoli monetari e non moneta.
Così come la misura è una convenzione, allo stesso modo lo è per deduzione logica il mezzo che rappresenta fisicamente tale misura, in quanto esso stesso derivante da una convenzione, la misura appunto. Non ha alcuna importanza quindi, per logica, il fatto che il bene utilizzato come mezzo di scambio abbia un valore intrinseco o meno agli occhi della gente.
La misura di per sé, in quanto concetto astratto, immaginario, non è cumulabile fisicamente, ma può esserlo a livello immaginario, tenendo il conto a livello numerico (a mente, su un foglio, su un computer, ecc.) di quanta misura del valore numerico si ha cumulata. E' quello che succede oggi: la maggior parte dei mezzi di pagamento che utilizziamo sono misura del valore (conti correnti, puri numeri) e solo in minima parte mezzi di scambio (rappresentazioni della misura del valore, titoli monetari: monete metalliche e banconote).
Il mezzo di scambio, invece, in quanto bene fisico (e per ovvi motivi di praticità) durevole e fungibile è per sua natura cumulabile. Sia la misura del valore sia il mezzo di scambio possono quindi rappresentare una riserva di valore: nel primo caso immaginaria, nel secondo fisica.

La vera Moneta è innanzitutto Misura del Valore e, solo di conseguenza, anche mezzo di scambio.

La Moneta, come ogni misura, è per definizione stabile: l'unità monetaria, cioè, deve misurare sempre la stessa quantità di valore. In altre parole:
1) se esistono più Monete, esse devono avere un cambio fisso.
2) la quantità di Moneta prodotta (emessa) deve coprire solo un reale valore prodotto di beni e servizi, ossia deve coprire un costo di produzione di beni e servizi che rappresenta un lavoro.
Se queste due caratteristiche non sono soddisfatte, allora non siamo in presenza di una Moneta, bensì di qualcosa d'altro. Se questo "altro" funge da mezzo di scambio, esso può essere definito Certificato monetario: esso svolge infatti la funzione di "mezzo di scambio" tipica della Moneta ma non è Moneta, in quanto non è prima di tutto "misura del valore"

Le caratteristiche che tale Certificato può avere sono, diversamente dalla Moneta:
1) cambi flessibili, in quanto non è misura del valore.
2) la quantità di Moneta emessa non per forza copre un reale valore prodotto.
La moneta attuale, in uso presso tutte le nazioni, è una “versione distorta” della vera Moneta, che qui chiamiamo Certificato monetario. Ed anche tale Certificato ha un suo profitto costituito dalla differenza tra valore nominale e costo di produzione dello stesso Certificato. Che viene erroneamente chiamato Signoraggio: tale Certificato non è infatti Moneta, ma un semplice bene utilizzato convenzionalmente come mezzo di scambio.

4.0 – La Proprietà della moneta (Sovranità monetaria)
Abbiamo prima definito il Signoraggio come un "profitto di cui si appropria chi ha il potere di emettere una data Moneta". E' il potere di emettere Moneta, ossia di essere proprietari della Moneta stessa, che determina cioè la proprietà del profitto conseguente alla sua emissione.
Analizzando quindi la proprietà della Moneta, comprendiamo automaticamente anche la proprietà del profitto di tale Moneta.
Oggi la moneta è di proprietà privata, cioè delle Banche Centrali (BC e BCE) e delle banche ordinarie, che la prestano allo Stato ed ai privati con l’aggiunta di un interesse. Perciò viene chiamata anche moneta-debito, in quanto basata sul debito. E’ una moneta privata legalizzata dai nostri rappresentanti politici (collusi e corrotti con le banche) che hanno venduto l’anima al diavolo (la proprietà della moneta alle banche), per avere potere e soldi. La moneta prestata allo Stato genera il Debito Pubblico che cresce ogni anno di più e che lo Stato ripaga tassando i cittadini.
Invece la proprietà della vera Moneta, in quanto misura del valore, è di tutti coloro che partecipano alla convenzione istituzionale e quindi legale accettandola per il pagamento dei debiti e dei crediti. Di conseguenza anche la proprietà della Moneta in quanto mezzo di scambio, se è prima di tutto misura del valore, è anch'essa di tutti coloro che la accettano. La Moneta è quindi di proprietà pubblica.

Un Popolo NON può avere la vera Sovranità se non ha la proprietà della Moneta!

A Maastricht è stata svenduta l'Europa. A partire dal 1992 è iniziata la sottomissione dell’Europa al Trattato di Maastricht, concepito per sottoporre le diverse nazioni ad una totale dittatura monetarista al servizio degli interessi dei banchieri. La burocrazia sovranazionale di Bruxelles ha seguito una politica volta a distruggere le ragioni e gli ideali dei padri fondatori di un’Europa unita e solidale, fatta di stati nazionali sovrani, tra i quali ricordiamo Mattei, De Gasperi, De Gaulle, Adenauer e Schumann. In tal modo questa burocrazia sottraeva la sovranità sulla moneta per imporre delle politiche di austerità e di stupidi e incompetenti automatismi sui bilanci bloccando il motore economico dell’Europa e con esso gli investimenti in nuove tecnologie e in nuove e moderne infrastrutture.
Il Trattato di Maastricht viola la Costituzione Italiana! La Corte Costituzionale deve assumersi le proprie responsabilità in merito alla questione monetaria.
Oggi il trattato di Maastricht si sta sgretolando perché le fondamenta su cui è stato costruito sono marce. Se si vuole realizzare un progetto che veramente corrisponda ai bisogni e agli interessi della gente, bisogna avere anche il coraggio di abbandonare tempestivamente le strutture che ci stanno crollando addosso. Dopo il no francese e olandese al referendum sulla costituzione europea -- un no che in realtà è rivolto ai dettami di Maastricht -- ora anche la Germania è scossa da una profondissima crisi economica e politica provocata dai diktat di Bruxelles e della Banca Centrale Europea.
E l’Italia? L’unica soluzione è l’uscita unilaterale dal Trattato di Maastricht e dall’Unione Monetaria Europea, ritorno alla LIRA come moneta nazionale emessa direttamente dallo Stato, in nome e per conto del Popolo sovrano. Su questa questione occorre essere chiari: non si litiga su "euro si", "euro no", ma occorre convenire sulla necessità di disporre di una moneta con cui uno stato sovrano può varare piani di sviluppo.

Come deve essere emessa tale Vera Moneta?
In quanto proprietà del popolo, e con lo scopo di favorire gli scambi al fine di mantenere il benessere nella comunità, la Vera Moneta deve essere emessa a favore del popolo stesso, e quindi a credito; e per lo stesso motivo, in quanto credito in possesso della Comunità per se stessa, tale Vera Moneta deve essere distribuita all'emissione in modo eguale tra i cittadini (Reddito di Cittadinanza), oltre ad essere utilizzata per pagare i servizi pubblici. Quindi la vera moneta è una moneta-credito, in quanto viene accreditata ai cittadini (al Popolo).
Possono esservene più di una su uno stesso territorio? In quanto convenzione sociale, è libera scelta del popolo quante Vere Monete avere su un territorio, a seconda dei propri desideri. Ma è effettivamente utile averne più di una? Il fatto che i bisogni locali siano diversi dai bisogni di realtà più grandi significa che la presenza di monete diverse sia utile? In realtà, se la moneta utilizzata è una Vera Moneta, con le caratteristiche elencate in questo articolo, non vi è alcun bisogno di creare monete a livello locale: basta una sola moneta globale, a livello nazionale. La necessità di creare monete locali si fa strada solo quando la moneta globale (o quella di un territorio comunque più vasto) non soddisfa i bisogni monetari locali: questo fatto può avvenire solo in presenza di moneta-debito. Se l'emissione monetaria è invece a credito e suddivisa tra i cittadini, logicamente non vi sarà mai scarsità di moneta per i bisogni reali di una comunità.
In quale quantità tale Vera Moneta deve essere presente nella Comunità? La Vera Moneta è presente in un ammontare pari alla emissione monetaria effettuata dall'organismo pubblico preposto all'emissione. Data la proprietà pubblica della moneta e data la necessità logica della Vera Moneta di essere anche fisica, ne consegue che nessun organo non pubblico ha il permesso di creare esemplari della moneta per convenzione riconosciuta nella comunità: tale divieto vale naturalmente, in quanto entrambe parti della Vera Moneta, sia per la misura del valore sia per il mezzo di scambio.
Data l'influenza che l'ammontare dell'emissione ha sui prezzi dei beni e servizi, attraverso la legge della domanda e dell'offerta [1], è necessario controllarne la quantità in circolazione affinché rispecchi effettivamente beni e servizi: è proprio infatti la funzione intrinseca della moneta come mezzo di scambio di beni e servizi che rende implicitamente necessario che la sua quantità rispecchi reali scambi di beni e servizi. Ed un bene ed un servizio sono reali quando si basano sul lavoro, e quindi su un reale costo di produzione del bene o del servizio. E' necessario quindi che la moneta emessa dall'organo predisposto costituisca un reale costo di produzione: se così non fosse, non solo non sarebbe Vera Moneta (in quanto non basata su uno scambio reale) ma sarebbe altresì altamente inflazionistica in una società che rispetta la "legge" della domanda e dell'offerta. Se vi è una certezza di avere moneta gratuita senza dover lavorare, infatti, tale moneta verrà spesa principalmente per il consumo, stimolando quindi l'aumento dei prezzi. E’ quello che accade oggi con la moneta-debito che privilegia la massimizzazione del profitto, soprattutto tramite l’usura delle banche (signoreggio) e la speculazione di borsa.
Ciò significa che la Vera Moneta, che l'organo pubblico emette, dovrebbe costituire un costo (seppur virtuale, dato che la moneta per coprire tale costo viene creata dal nulla) per l'emittente stesso: quindi sia la spesa pubblica sia la moneta distribuita ai cittadini deve essere emessa come pagamento (e non come finanziamento a monte) di determinati beni e servizi. Tale forma di emissione garantirebbe, inoltre, un più corretto utilizzo sia della spesa pubblica (la comunità paga il lavoro pubblico emettendo moneta solo a lavoro ultimato, o comunque a tranches a vari stadi di completamento dei lavori) sia del "reddito di cittadinanza" che è costituito in tal caso da titoli di credito nominativi non monetari spendibili presso esercenti convenzionati, i quali poi offerto il bene o servizio alla gente sconta tali buoni nominativi in moneta presso l'organo emittente. L'utilizzo di titoli di credito niminativi al posto della moneta reale garantisce inoltre che essi vengano spesi solo per i beni e servizi offerti dalla comunità: un reddito di cittadinanza monetario sarebbe invece non etico in quanto tale moneta, oltre ai limiti già accennati (vedi:
http://www.ascensione.org/obiettivi_principali_del_movimento_per_la_umanita.htm ),
sarebbe anche spendibile per sua natura in beni e servizi dannosi all'individuo e di conseguenza alla società nel suo complesso, diventando potenzialmente una disutilità piuttosto che una utilità sociale.
Come misurare se la moneta in circolazione è in eccesso, giusta o in difetto? La moneta come detto rappresenta un costo di produzione: laddove essa non è tale, siamo in presenza di non moneta. Se vi è un eccesso di moneta nel sistema rispetto ai costi di produzione del sistema, allora in caso di inflazione (che è una forma di tassa indiretta sulla gente) è necessario prelevare la moneta in eccesso rispetto ai costi di produzione. Da dove si preleva questa moneta? Se è in eccesso, significa che vi è della non moneta che circola nel sistema, cioè moneta che non rappresenta un costo di produzione reale. In un sistema in cui vi è solo un organo pubblico che può creare moneta e la crea solo ex post come pagamento del lavoro svolto (pagamento anche a tranches, come detto sopra, per facilitare lo svolgimento dei lavori), vi sono solo due possibili origini di tale non moneta: la falsificazione o un surplus, cioè un profitto.
Per un approfondimento sui fattori che determinano l’iflazione/deflazione si consiglia di leggere il materiale del sito http://www.signoraggio.info/inflazione_e_deflazione.htm .
Il controllo della correlazione tra moneta circolante e beni e servizi reali necessita quindi di un controllo sia delle possibili falsificazioni monetarie sia del profitto creatosi nel sistema. Solo in questo modo si può sapere se vi è effettivamente moneta in eccesso nel sistema e quanta. E solo in questo modo l'organo monetario pubblico può di conseguenza prendere le misure necessarie per avere una Vera Moneta. Una moneta cioè che sia misura del valore, innanzitutto, e che mantenga quindi la sua natura istituzionale non venendo meno alla convenzione stessa: convenzione che è valida solo se rimane tale, e quindi una moneta è tale solo se la sua funzione di misura del valore rimane immutata nel tempo.
La misura per sua natura è tale solo se rimane costante, in quanto convenzione. Ed una convenzione se mutata, non è più la stessa convenzione, ma qualcosa di diverso. Forse il metro di oggi è diverso da quello di ieri? O, a livello di rapporti tra misure di lunghezza diverse, il rapporto tra metro e piede è diverso oggi da ieri o da domani?
In realtà, quindi, una Vera Misura del Valore potrebbe rimanere realmente stabile ed essere quindi una Vera Misura solo se:
1) se esistono più Monete, esse devono avere un cambio fisso;
2) la quantità di Moneta prodotta (emessa) deve coincidere con il reale valore prodotto di beni e servizi, ossia deve coincidere con il costo di produzione totale degli stessi beni e servizi.
Se queste due caratteristiche non sono soddisfatte, allora non siamo in presenza di una Moneta, bensì di qualcosa d'altro.
Se questo "altro" funge da mezzo di scambio, esso può essere definito Certificato monetario: esso svolge infatti la funzione di "mezzo di scambio" tipica della Moneta ma NON è Moneta, in quanto non è prima di tutto "misura del valore".
E' necessario quindi avere un controllo del reale profitto esistente nel sistema, cioè di quella non moneta che viene spacciata come tale e che è in surplus rispetto ai beni e servizi. Ed in primis, di quel profitto derivante dallo stesso potere di emettere moneta falsa, un non costo di produzione, emessa cioè come finanziamento, sia nella forma di prestito sia nella forma a fondo perduto. Ma anche di quel profitto derivante dal potere di emettere Vera Moneta, quel profitto costituito dalla differenza tra il valore nominale della moneta emessa ed il suo costo di produzione, spesso chiamato signoraggio. Signoraggio che, se reinvestito dall'organo pubblico monetario come pagamento di beni o di servizi per la collettività, non è inflazionistico.
Il profitto o nelle imprese odierne l'utile netto [2], non è un costo di produzione: esso è un guadagno monetario in eccesso rispetto al lavoro reale, rappresentato dai costi di produzione. Tale guadagno in eccesso, tale non moneta, se reinvestita diventa essa stessa un costo di produzione e quindi vera moneta. Se invece tale profitto viene speso per il consumo, esso è un potenziale generatore di inflazione eccedente alla moneta reale: è tale profitto quindi, in quanto moneta non reale e non basata sul lavoro, che è da prelevare dalla massa monetaria in circolazione in caso di eccesso di moneta inflazionistico.
In caso di difetto di moneta nel sistema rispetto ai costi di produzione, invece, significa che o si è conteggiato come costo di produzione un costo che non è stato pagato in moneta, o che si sono pagati costi di produzione con una moneta diversa da quella emessa dalla comunità locale. Nel primo caso vi è una evidente irregolarità punibile dal rispettivo organo giudiziario pubblico, nel secondo vi è invece solo da verificare con gli organi monetari emittenti le altre monete estere in questione se i pagamenti effettuati in tali monete risultanti dai bilanci corrispondono ai loro calcoli.
L'organo pubblico emittente una Vera Moneta ha quindi il compito di intervenire solo quando vi è un eccesso di moneta rispetto ai reali beni e servizi (misurati come detto dai costi di produzione); nel caso di difetto di moneta rispetto ai reali beni e servizi, infatti, esso di certo non dipende dall'organo emittente moneta dato che lo stesso organo controlla direttamente tutta la massa monetaria e la emette solo ed esclusivamente come costo di produzione ed a credito: cosa che garantisce l'impossibilità logica di una scarsità di moneta nel sistema rispetto ai beni e servizi.
NOTE:
[1] quella "legge" economica, causa della influenza della quantità di moneta sui prezzi, secondo cui date certe condizioni (libero mercato e concorrenza perfetta) i prezzi dei beni e dei servizi sono determinati dall’incontro della domanda e dell’offerta. In breve, se l’offerta è superiore alla domanda, i prezzi tenderanno a diminuire; se invece la domanda è superiore all’offerta, i prezzi tenderanno ad aumentare. E' importante sottolineare che, come ogni legge umana, essa è una convenzione. Essa cioè vale soltanto se tutti (o comunque la maggior parte degli attori del mercato) accettano e rispettano tale legge. E’ possibile, infatti, che vi siano persone che non ragionino secondo tale legge e che reputino normale che, se l’offerta supera la domanda, il prezzo tenda non a diminuire bensì ad aumentare (perché, ad esempio, i produttori devono supplire ai costi maggiori derivanti dalla deperibilità dei loro prodotti) o che, ad esempio, se vi è un eccesso di domanda i prezzi debbano per "correttezza morale" rimanere sempre gli stessi nel momento in cui non si è presentato alcun nuovo costo di produzione che giustifichi l'aumento di prezzo. Il verificarsi di tale legge dipende quindi dalle aspettative degli agenti nel mercato che tale "legge" non scritta sia rispettata. Legge che, è doveroso sottolinearlo, è economicamente etica nel caso in cui i prezzi diminuiscono per un eccesso di offerta sulla domanda (bisogno del venditore), ma non lo è nel caso in cui i prezzi aumentano per un eccesso di domanda sull'offerta (egoismo del venditore).
[2] inteso come il valore della produzione meno i costi di produzione in senso stretto (salari, interessi passivi, ammortamenti, consumi intermedi), al netto dell'eventuale lavoro stipendiato dell'imprenditore.

5.0 – Riforma della Costituzione
L’attuale art. 1 della Costituzione dice che “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”, per cui la sovranità monetaria è parte integrante e inscindibile di quella dello stato nazionale e non può essere delegata ad interessi bancari privati, tantomeno può diventare proprietà di interessi privati.
L’Art. 3 aggiunge che: "E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.” Senza disporre delle leve della moneta, del credito e dell’economia, qualunque governo, a prescindere dal suo orientamento politico, non sarà mai in grando di realizzare questo compito di sviluppo e giustizia economica e sociale.
L’Art. 47 sottolinea che “La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito”. Anche in questo caso la cosa non è possibile giacché la Banca d’Italia, controllata da interessi privati, non può che rispondere, soprattutto nelle decisioni strategiche, agli indirizzi e agli interessi dei proprietari. 10
Prima di attuare la riforma monetaria occorre procedere ad una riforma della nostra Costituzione in cui, nell’Art.1, si sancisce esplicitamente la sovranità inalienabile del Popolo sulla politica e sulla moneta. Inoltre si stabilisce che la emissione e la gestione della moneta è di competenza del Consiglio del Potere esecutivo Monetario autonomo (CPM) i cui vertici vengono eletti direttamente dal Popolo sovrano, così come vengono eletti i parlamentari (potere politico) ed i vertici del potere giudiziario (CSM).
Inoltre viene sancito, nell’ Art. 2 della Costituzione, che lo Stato, tramite il potere monetario, accredita mensilmente ad ogni cittadino sin dalla nascita un Reddito di Cittadinanza (RdC) che gli consente di soddisfare i propri bisogni primari: alimentazione, alloggio, vestiario, prodotti per la pulizia del corpo, istruzione ed assistenza sanitaria. Con il RdC si attua finalmente il diritto divino di ogni cittadino al pane quotidiano, cioè ad una vita degna di un Essere Umano.
Il potere esecutivo monetario viene esercitato da un consiglio (CPM) i cui membri sono eletti direttamente dal Popolo. I membri eletti dal Popolo eleggono al loro interno uno di loro quale Ministro del Tesoro il quale, pur facendo parte del potere esecutivo (Governo), è autonomo in materia di gestione monetaria e risponde solo alle leggi costituzionali.
Per quanto riguarda invece il potere Esecutivo, tutti i ministri (escluso il ministro del Tesoro) vengono eletti dal Parlamento. Successivamente i ministri eleggono al loro interno il Primo Ministro (Presidente del Consiglio).

Ricapitolando, il Popolo elegge direttamente:
1. i membri del potere politico-legislativo (il Parlamento).
2. i membri del Consiglio del Potere esecutivo Monetario (CPM), i quali a loro volta eleggono il Ministro del Tesoro, il quale in materia di moneta non risponde al capo del governo, ma direttamente al consiglio del potere esecutivo monetario e alle leggi costituzionali che disciplinano la materia monetaria.
3. i membri del consiglio del potere giudiziario – Consiglio Superiore della Magistratura (CSM).

Tutti i ministri del potere esecutivo (escluso il Ministro del Tesoro) vengono nominati dal Parlamento, i quali eleggono nel proprio ambito il Presidente del Consiglio. Questo perché, a differenza del Ministro del Tesoro, gli altri ministri sono degli esecutori delle decisioni politiche, cioè delle leggi ordinarie emanate dal parlamento.
Anche l’elezione diretta, da parte del Popolo, dei tre poteri di cui sopra (potere politico-legislativo, potere esecutivo monetario e potere giudiziario) deve essere sancita nella Costituzione.
Dobbiamo distinguere tra questioni pubbliche di breve-medio periodo e questioni pubbliche di lungo periodo.
I politici lavorano su questioni di breve-medio periodo, mentre chi gestisce la moneta e chi giudica agisce sul lungo periodo. Per questa differenza di interessi i secondi devono essere indipendenti dai primi. Chi gestisce la moneta svolge sì un ruolo esecutivo, ma esecutivo rispetto alla costituzione, cioè alle leggi di lungo periodo e non esecutivo rispetto al codice di leggi, cioè alle leggi di breve-medio periodo.
In sostanza il ministro del Tesoro è il garante della costituzione in materia monetaria, è il garante dell'ordine degli scambi e deve avere potere di veto sulle spese pubbliche scelte dai politici, non sulla composizione, ma sull'ammontare di tale spesa pubblica. 11
In altre parole esiste una costituzione con leggi definitive (lungo periodo) e vi sono leggi mutanti in base alle circostanze. La moneta fa parte della Costituzione, è un potere fondante, è il mezzo stesso che permette lo scambio nella società, è il mezzo che, prima di ogni altro, permette l'esistenza di una società.
Per questo è un concetto costitutivo di una società, di lungo periodo, fondamentale, quindi della Costituzione. E per questo motivo non deve essere nelle mani di coloro che cambiano ogni 4 - 5 anni, cioè i politici che ovviamente guardano il breve-medio periodo e considerano ciò che serve nel loro periodo storico.

6.0 – Programma di attuazione della Riforma Monetaria
Questo programma potrà essere attuato solo a condizione di poterlo presentare e spiegare ai cittadini italiani i quali, una volta compresa l’attuale truffa monetaria, non avranno nessuna remora a votare tale programma. Il Modum (Movimento dell’Umanità), ed altri movimenti, che si pongono gli stessi obiettivi, dovranno unire le loro forze per costituire una coalizione, con un programma di governo, che si impegni per una vasta e capillare attività di informazione dei cittadini, usando tutti i mezzi a disposizione (internet, tv, carta stampata, radio, volantinaggio, ecc), cercando anche di sensibilizzare (cosa che peraltro si sta facendo) gli uomini politici più aperti e non compromessi con i poteri forti.
Una volta eletta al governo del Paese, la coalizione procederà subito alla istituzione di una Commissione formata da persone integerrime, esperte di economia e moneta (che fanno parte del Centro Studi Monetari), con il compito di redigere un piano dettagliato per l’attuazione a breve-medio termine della riforma monetaria, secondo le seguenti linee guida:
1. revoca immediata del mandato a Bankitalia di gestione della Tesoreria Provinciale dello Stato.
2. revoca immediata del mandato a Bankitalia di stampa/emissione della moneta-debito. Messa sotto sequestro della stamperia monetaria di Bankitalia.
3. uscita dell’Italia dall’unione monetaria europea – ricusazione del trattato di Maastricht che non consente a nessun paese membro di battere moneta propria.
4. ritorno alla Lira: stampa/emissione diretta da parte dello Stato, tramite il Consiglio del Potere Monetario (CPM), della moneta-credito di proprietà del Popolo, sia metallica (come avviene già oggi) sia cartacea sotto forma di biglietti di Stato a corso legale. La moneta emessa serve per il pagamento di opere e servizi di pubblica utilità a suo tempo autorizzate (e già realizzate in parte o in toto) da un'apposita Commissione che ha appunto il compito di valutare ed approvare sia la effettiva rispondenza tecnica ai capitolati dei bandi di gara, sia i costi dei vari progetti presentati dalle imprese che hanno partecipato ai vari bandi di gara.
Inoltre la moneta emessa dallo Stato servirà a coprire le spese correnti dell’amministrazione pubblica, nonché a convertire i titoli di credito presentati dalle imprese convenzionate che hanno prodotto ed offerto beni e servizi primari ai cittadini (Reddito di Cittadinanza). La quantità di moneta da emettere deve essere uguale al costo di produzione, dei beni e servizi. Tutta la moneta in circolazione sarà reale, cioè costituita da monete metalliche e biglietti di Stato, quindi sempre controllabile. Per evitare problemi di inflazione/deflazione, lo Stato potrà all’occorrenza attuare la Fiscalità Monetaria, tassando i profitti (gli utili netti) delle imprese.
5. divieto assoluto alle banche ordinarie di creare moneta scritturale (virtuale). I prestiti bancari devono essere coperti da una riserva obbligatoria costituita al 100% dal proprio capitale sociale e da depositi vincolati a medio-lungo termine; le banche dovranno perciò accollarsi tutti i rischi connessi all’intermediazione finanziaria. La vigilanza sulle banche verrà esercitata dal CPM, eletto direttamente dal Popolo
6. emissione da parte dello Stato di titoli di credito nominativi da accreditare mensilmente ad ogni cittadino quale Reddito di Cittadinanza (RdC), per il soddisfacimento dei propri bisogni primari: alimentazione, vestiario, prodotti per la pulizia del corpo, alloggio, istruzione ed assistenza sanitaria. Il RdC darà un impulso al rilancio dell’economia nazionale, perché incrementerà notevolmente i consumi. Esso inoltre consentirà di eliminare definitivamente la povertà.
7. istituzione di un Tribunale Antiusura che dovrà istruire un processo contro le banche per la restituzione di tutti i capitali e le proprietà sottratti a cittadini privati, imprese e Stato (a causa del signoraggio) da una certa data in poi (da concordare).
8. abolizione di tutto il debito pubblico e privato verso le banche perché illegale. Invece il debito dello stato nei confronti dei cittadini che possiedono titoli di stato sarà onorato a regolare scadenza, con la moneta emessa dallo Stato.
9. abolizione di imposte e tasse. Con ciò si avrà una maggiore equità e giustizia sociale, nonché un rilancio dell’economia.

Ci sarà un periodo di tempo in cui le due monete (l’euro e la lira) coesisteranno con un rapporto di cambio fisso, da stabilire. Nel frattempo lo Stato sostituirà l’attuale moneta-debito (Euro) con emissione massiccia di nuova moneta-credito (Lira).
E’ da escludere che possa verificarsi un collasso dell’economia, come qualcuno paventa, ma anzi ci sarà sicuramente un rilancio dell’economia del paese.
Non ci saranno più monopoli (oligopoli, cartelli, ecc) né pubblici né privati. L’unico monopolio sarà quello dell’emissione della moneta riservato allo Stato, in nome e per conto del Popolo sovrano.
Tutte le attività produttive di beni e servizi saranno svolte da imprese private in libera competizione secondo la legge del libero mercato. Lo Stato dovrà solo vigilare che non si formino monopoli di nessun tipo.

7.0 - Storia della moneta e del controllo monetario fino ad oggi (tratto dal libro ” l’Uomo libero ” di Consoli Mario)
Senza dover ripercorrere la storia della moneta sin dall’antichità, ci concentriamo sugli eventi più importanti che hanno determinato nel tempo la situazione in cui ci troviamo oggi: il controllo mondiale della moneta da parte di poche famiglie che possiedono o controllano banche, imprese multinazionali, mass media, ecc. Tanto per citarne alcune: i Rothschild, i Paterson, i Morgan, i Rockefeller, i Warburg.
Nel 1694, regnante Guglielmo III d'Orange, un gruppo di finanzieri capeggiati da William Paterson prestarono un milione e duecentomila sterline al governo inglese al tasso d'interesse dell'8 per cento annuo. Il re, per ottenere il prestito, concesse alla Banca di Paterson l'autorizzazione a stampare cartamoneta — allora chiamata “nota di banca” — per un importo equivalente alla somma prestata. La Banca si trovò quindi — oltre ad essere proprietaria di un capitale sul quale percepiva gli interessi — a disporre di una massa monetaria fittizia — non corrispondente a nessuna ricchezza reale — con la quale poteva intraprendere fruttuose operazioni finanziarie o concedere prestiti sui quali percepire altri interessi. 13
Per il governo inglese, che rinunciò a battere cartamoneta in proprio — il che sarebbe stato più semplice ed economicamente meno pericoloso —, cominciò la lunga e mai terminata sequela di interessi da versare alla Banca, e nell'economia inglese si consentì la circolazione di denaro inventato col quale illegittimamente si promuovevano speculazioni finanziarie.
Purtroppo l'esempio inglese, nei secoli successivi, fu seguito da pressoché tutti i governi del mondo, permettendo di giungere all'attuale situazione, dove nessun popolo è proprietario della moneta che utilizza e tutti sono debitori delle Banche private che battono moneta.
Le Banche, nel momento stesso della loro nascita, hanno iniziato a creare moneta fittizia — pensiamo all'immensa massa di denaro virtuale oggi circolante nel mondo — dando vita a una colossale truffa ai danni dei popoli. Non bisogna mai dimenticare infatti che il prezzo che gli uomini debbono pagare per l'utilizzo di una cartamoneta “irreale”, creata dal nulla, è il lavoro, la produzione, beni mobili ed immobili, cioè ricchezza “reale”.
Quando le Banche iniziarono a conservare entro depositi blindati i valori dei cittadini che, per motivi di sicurezza, preferivano delegare loro questa incombenza, consentirono anche, agli stessi cittadini, di compilare dei “buoni di cessione” di questi preziosi per utilizzarli come forma di pagamento. Si tratta dei capostipiti del moderno assegno.
Il banchiere notò che la tendenza di chi depositava era rivolta più al risparmio che all'utilizzo a breve dei beni: solo il 10 per cento veniva movimentato. Egli dunque pensò bene che non avrebbe rischiato molto creando, a proprio uso, ricevute di pagamento per un importo pari al 90 per cento dei valori depositati presso la sua Banca. E queste ricevute furono da subito utilizzate per concedere prestiti ad interesse e partecipare a fruttuose attività finanziarie.
Oggi siamo andati molto più in là; il denaro, che l'antico banchiere aveva illegittimamente creato — non essendo lui il proprietario dei beni depositati — era pur sempre garantito da beni esistenti; ora viene semplicemente stampato “ex nihilo”, senza nessuna garanzia e senza nessun limite, e in più si è aggiunto il denaro virtuale, elettronico. La massa di moneta, nelle sue varie forme, attualmente circolante nel mondo ed utilizzata per speculazioni di ogni tipo, è 60 volte superiore a quella usata per lo scambio delle merci.

Un'altra considerazione ci sembra degna di nota: se il popolo fosse il vero proprietario della moneta, questa, al momento del suo conio, dovrebbe essere attribuita allo Stato e non, come oggi avviene, messa a suo debito. E, per di più, il valore monetario nasce dal fatto che il popolo accetta e usa il denaro e non perché qualcuno ha pensato bene di stamparlo. Se lo stesso banchiere avesse emesso pari banconote in un'isola deserta, quale valore potrebbero avere?
Ciononostante, le Banche centrali, che sono banche private, creano moneta addebitandola al popolo e, truffa per truffa, la pongono a bilancio sotto la voce “passivo”. Nonostante l'unica spesa sostenuta sia il costo della carta, dell'inchiostro e della stampa. Quindi le banche sui colossali proventi da signoraggio sulla moneta non ci pagano neanche un centesimo di tasse e perciò sono i più grandi evasori fiscali.
E la moneta viene prestata allo Stato e agli Istituti bancari che, su tali operazioni, dovranno pagare interessi.
Questa trafila è ormai così consolidata che nessuno si pone quesiti sulla sua ineluttabilità.
Pur tuttavia qualcosa di segno opposto è già avvenuto e continua ad avvenire ancora oggi. Lo Stato in effetti conia, presso la sua Zecca, le monete metalliche — per importi assai limitati in confronto a quelli del cartaceo — ed in passato furono stampate in Italia banconote da 500 lire come “Biglietto di Stato a corso legale”. I cittadini non hanno certo rilevato un fatto del genere, così come non se ne rendono conto per ciò che riguarda le monetine che oggi, nell'era dell'Euro, vengono coniate dai singoli Stati, seppure per importi rigidamente determinati dalla Banca Centrale Europea. Siamo cioè arrivati al colmo: ora è lo Stato a dover chiedere al potere bancario l'autorizzazione a battere moneta, peraltro per importi piccolissimi — gli spiccioli appunto —, e non l'inverso, come avveniva nel 1694 in Inghilterra, quando iniziò il lungo percorso della grande truffa monetaria.
Per quale motivo dunque lo Stato, non potrebbe stampare anche la cartamoneta, sottraendo così questa prerogativa alle Banche private? In tal modo si affermerebbe il diritto alla sovranità monetaria, fondamentale per la libertà di un popolo così come quella territoriale, quella militare e quella politica.
Thomas Jefferson, presidente americano dal 1801 al 1808, a tale proposito ebbe a dire: «Credo che per le nostre libertà le istituzioni bancarie siano più pericolose degli eserciti nemici. Sono già arrivate al punto di erigersi in un'aristocrazia del denaro che sfida il governo. La facoltà di emettere moneta dovrebbe essere loro strappata e restituita al popolo, al quale giustamente appartiene. In realtà, il potere di produrre moneta dovrebbe essere riservato soltanto allo Stato, che provvederebbe a metterla in circolazione a seconda delle necessità».
Stretti dalla morsa del ricatto bancario, i governi sono costretti invece a pagare cifre di interessi tali da incidere pesantemente sul bilancio delle proprie nazioni. Le tasse che i cittadini debbono versare, invece di finanziare opere pubbliche, servono a coprire anche questi interessi. Per le strade, gli acquedotti, gli ospedali e tutte le altre strutture necessarie alla collettività, lo Stato è dunque costretto a chiedere nuovi prestiti, sui quali tutti dovremo pagare il balzello riservato ai banchieri.
Si tratta di una situazione assurda e solo apparentemente inevitabile: basterebbe che lo Stato tornasse a battere moneta e tutto sarebbe risolto. Parecchi hanno intravisto la possibilità di questa soluzione, ma sinora nessuno è riuscito a diffondere questa idea, in modo tale da creare una coscienza collettiva, necessaria per una radicale ribellione, né alcun politico è riuscito ad attivare provvedimenti alternativi senza scontrarsi — rovinosamente — con i poteri forti che governano il mondo.
Due presidenti statunitensi, per altri versi assai discussi, tentarono un'inversione di marcia.
Abraham Lincon fece stampare dei “Biglietti degli Stati Uniti” — chiamati, per il loro colore, “greenbacks” — su cui non gravavano interessi da pagare alle banche. Tutti sanno che nel 1865 Lincon fu ucciso; qualche storico induce a collegare la persona dell'assassino, John Wilkes Booth, con casa Rothschild.
John F. Kennedy tentò un provvedimento analogo — alcune banconote prive di interesse stampate allora sono ancora in circolazione —, ma l'iniziativa non ebbe molta durata per quel che avvenne a Dallas nel 1963.
Il 4 giugno 1963, venne fatto un piccolo tentativo per togliere alla Federal Reserve Bank il suo potere di prestare la moneta al governo facendosi pagare un interesse. In quel giorno, il presidente John Fitzgerald Kennedy firmò l'ordine esecutivo numero 11110 che ripristinava al governo USA il potere di emettere moneta senza passare attraverso la Federal Reserve. L'ordine di Kennedy dava al Ministero del Tesoro il potere "di emettere certificati sull'argento contro qualsiasi riserva d'argento, argento o dollari d'argento normali che erano nel Tesoro".
In tutto, Kennedy mise in circolazione banconote per 4,3 miliardi di dollari. Le conseguenze di questa legge furono enormi. Con un colpo di penna, Kennedy stava per mettere fuori gioco la Federal Reserve Bank di New York. Se fosse entrata in circolazione una quantità sufficiente di questi certificati basati sull'argento, questa avrebbe eliminato la domanda di banconote della Federal Reserve.
Dopo che Kennedy fu assassinato, dopo appena cinque mesi, non vennero più emessi certificati garantiti da argento. 15
Virtualmente, tutti i seimila miliardi di dollari di debito sono stati creati a partire dal 1963. Se un presidente statunitense avesse utilizzato l'ordine esecutivo numero 11110, il debito non sarebbe assolutamente ai livelli correnti. Forse l'assassinio di JFK fu un avvertimento ai futuri presidenti che avessero pensato di estinguere il debito eliminando il controllo che la Federal Reserve esercita sull'emissione monetaria. Kennedy aveva sfidato il governo monetario attaccando i due sistemi che sono sempre stati usati per aumentare il debito: la guerra e la creazione della moneta da parte di una banca centrale privata. I suoi sforzi per far uscire dal Vietnam le truppe americane entro il 1965 e l'Ordine Esecutivo 11110 avrebbero seriamente sminuito i profitti ed il controllo esercitato dal sistema bancario di New York.
Il problema inerente la natura delle Banche centrali non è tanto quello della quantificazione degli utili e della loro distribuzione — peraltro in alcune nazioni, per attutire gli effetti dell'increscioso balzello monetario, è stata prevista una restituzione allo Stato di una percentuale del signoraggio —, quanto il potere esercitato sulla politica monetaria e su tutta l'economia nazionale in conseguenza delle prerogative proprie di un Istituto di emissione: stabilire il tasso di sconto, la politica monetaria e del credito, la concessione dei mutui, ecc.; prerogative della sfera politica, nel caso di un Istituto di Stato, ma che sono invece riferibili, nel caso di Istituti privati, a interessi di centri economici e finanziari, per di più quasi sempre non nazionali.
Le Banche di emissione sono dunque Istituti dello Stato o privati?
In Italia, nel 1874, fu promulgata, per la prima volta dalla nascita del Regno, una legge bancaria, per porre un freno alle emissioni di cartamoneta e regolamentare la concorrenza tra le banche che stampavano denaro. Le Banche autorizzate a emettere cartamoneta erano infatti ben sei: la Banca Nazionale del Regno d'Italia, la Banca Nazionale Toscana, la Banca Toscana di Credito, la Banca Romana, il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia. Con tale legge, inoltre, si stabiliva che le variazioni del tasso di sconto dovevano essere autorizzate dal Ministero delle Finanze.
Con la successiva legge del 1893, promulgata a seguito del clamoroso fallimento della Banca Romana, i quattro istituti dell'Italia centro-settentrionale vennero fusi, dando vita alla Banca d'Italia, e rimasero ancora attivi il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia, ma con ruoli di emissione più limitati.
Bisogna arrivare agli anni 1926-27 per vedere attribuito il diritto di battere moneta solo alla Banca d'Italia, che diventa così Banca centrale.
La sua natura — definita e regolamentata nello Statuto approvato con regio decreto solo nel 1936 — fu definita come quella di un “Istituto di Diritto Pubblico”, ma la sua struttura e la sua proprietà rimasero quelle che erano: quelle di una Società anonima, trasformata successivamente in Società per azioni.
Il Governatore assunse da subito un ruolo assai rilevante, non solo per l'amministrazione monetaria, ma anche per l'intera vita economica della Nazione. Lo Statuto stabilì la non revocabilità del Governatore da parte del potere politico, attribuendo questa facoltà solo al Consiglio superiore della Banca d'Italia, organo tecnico ed estremamente frammentato, quindi difficilmente condizionabile.
Nel 1926, mentre si stava discutendo sull'assetto da dare alla Banca di emissione italiana, le pressioni per garantirne la sostanziale autonomia e l'inamovibilità del Governatore furono notevoli. Benjamin Strong, Governatore della Federal Reserve Bank di New York intervenne direttamente su Mussolini per ottenere garanzie sull'indipendenza della Banca d'Italia e sulla permanenza di Bonaldo Stringher al posto di suo Governatore, mettendo sul piatto della 16
bilancia l'appoggio della Federal Reserve e della Banca d'Inghilterra alla stabilizzazione della moneta italiana.
I cedimenti in campo monetario — pur se compiuti nel tentativo di ottenere momentanei benefici — sono sempre anticipatori di ulteriori e più gravi concessioni. Infatti, nonostante numerose correnti del Fascismo spingessero verso la nazionalizzazione della Banca centrale, il decreto del 1936 si limitò a sostituire i vecchio azionisti con un consorzio di Enti e Banche, con prevalenza delle Casse di risparmio. La Banca d'Italia rimaneva dunque una Banca privata.
La sua proprietà, nel corso degli anni, non è sostanzialmente cambiata: la proprietà della Banca d'Italia non è mai stata dello Stato, cioè del popolo, ma delle banche.
E la storia dell'autonomia della Banca d'Italia è, sino ad oggi, una sequenza di tappe sempre più significative, tutte indirizzate ad aumentarne il distacco dallo Stato.
Nel 1981 — quando era ministro del Tesoro Beniamino Andreatta e Governatore della Banca d'Italia Carlo Azeglio Ciampi — si giunse a sancire il diritto della Banca a non sottoscrivere — sia parzialmente che “in toto” — i titoli di Stato; un divorzio sempre più definitivo che dimostrava, senza alcun dubbio, chi deteneva il bandolo della politica monetaria italiana e in quale conto era tenuta l'autorità politica.
Nel 1992 cadde anche la residua possibilità da parte dello Stato di controllare il tasso di sconto: il potere di modificarlo, antico appannaggio del Governo, era stato nel corso dei decenni attribuito al Governatore della Banca d'Italia, che doveva però agire “in concerto” con il ministro del Tesoro.
L'ex Governatore Guido Carli, nei panni di titolare del dicastero economico, il 7 febbraio 1992 fece approvare dal Parlamento l'assoluta autonomia dell'Istituto di emissione in materia di tasso di sconto.
Si tratta di una questione chiave: il debitore riconosce al creditore la facoltà di fissare unilateralmente le regole del prestito. Regole che poi saranno applicate a tutta l'economia nazionale. Che senso possono avere, a questo punto, le scelte elettorali, se nessun candidato, una volta eletto, potrà avere il controllo delle leve economiche del credito? Quale politica di sviluppo può essere programmata da un governo che non sa quanto costerà il denaro?
Così, anche l'ultimo residuo di cordone ombelicale tra Banca centrale e potere politico era stato definitivamente reciso.
Non solo. Con il passare dei decenni i personaggi del mondo monetario, non contenti dell'assoluta autonomia conquistata, si sono proposti in maniera sempre più arrogante come controllori e spesso addirittura gestori del mondo politico.
Nel 1945 l'allora Governatore della Banca d'Italia Luigi Einaudi cumulò la sua alta carica monetaria con quelle di vicepresidente del Consiglio e di ministro del Bilancio. Nel 1948 Einaudi divenne presidente della Repubblica.
Da allora i casi del genere sono stati molteplici e in un crescendo preoccupante: Carli, già Governatore, divenne ministro del Tesoro; Ciampi, dopo essere stato Governatore, è divenuto ministro, poi presidente del Consiglio e infine è approdato al Quirinale; Lamberto Dini, direttore generale della Banca d'Italia, è divenuto ministro e poi Premier; Antonio Maccanico, già presidente di Mediobanca, è divenuto ministro e consigliere del presidente della Repubblica. C'è anche da ricordare la carriera politica di Giuliano Amato — assiduo frequentatore degli ambienti finanziari americani —, più volte ministro e primo ministro, e di Romano Prodi, passato dall'incarico di consulente della Banca Goldmann & Sachs alla poltrona di Palazzo Chigi e successivamente a quella di presidente del Consiglio europeo.
Si tratta di scalate politiche quasi mai scaturite da consultazioni elettorali, ma frutto di alchimie di potere operate in assoluto dispregio del consenso popolare. Bella democrazia!
Con l'avvento dell'Euro e della Banca Centrale Europea le cose sono peggiorate. Le autonomie godute dal mondo bancario si sono rafforzate e la lontananza delle sedi dove si decide e si comanda hanno infittito l'atmosfera di sospetto e di mistero sul mondo monetario ed economico.
È un problema di casta. Le cariche che contano vengono spartite rigorosamente tra di loro, tra gli intoccabili delle Banche centrali nazionali; le cariche della BCE, che sono di spettanza dei Governi, per statuto, devono essere attribuite a «persone di riconosciuta levatura ed esperienza professionale nel settore monetario o bancario».
Mentre gli uomini delle banche continuano sistematicamente ad occupare gli scranni dei politici, a nessun politico è concesso di entrare nei blindatissimi palazzi del denaro.
Non vi è ministro, né presidente del Consiglio, né presidente della Repubblica o monarca ad avere il potere, l'insindacabilità e la durata della carica che hanno a disposizione un presidente e un dirigente della Banca Centrale Europea. La BCE dà “indicazioni” vincolanti ai governi, stabilisce tassi e politica monetaria e nessun potere politico può interferire.

E il popolo? Sempre più lontano, sempre più sottomesso. Bella democrazia!

Analoga la storia delle altre Banche centrali negli altri paesi d'Europa e del mondo.
La più autonoma, la più indipendente, la più spudoratamente privata è indubbiamente la Federal Reserve americana. La sua proprietà è inoltre tenuta scrupolosamente segreta, come segrete sono le riunioni della sua dirigenza. Palese è invece il suo potere, beffardo ed efficace, negli USA e nel mondo.
Scrisse Gertrude Coogan: «La legge sulla Federal Reserve fu un grave errore. Essa consegnò ai banchieri internazionali il controllo assoluto sul sistema bancario americano e, di conseguenza, su ogni attività economica».
Persino nei regimi comunisti, in smaccata contraddizione con i dettami ideologici marxisti, le Banche di emissione finirono in mano ai banchieri internazionali. Nel 1937 la Gosbank, l'Istituto di emissione sovietico, fu privatizzato, e nel Consiglio di amministrazione fu accolto il plurimiliardario ebreo americano Armand Hammer.
Ci fu una sola nazione, nel XX secolo, che osò nazionalizzare la propria Banca di emissione, riconoscendo allo Stato e quindi al popolo la proprietà della moneta: la Germania nazionalsocialista.
Riflettendo sull'accanimento criminalizzante riservato a Hitler ed ai suoi seguaci e sulla nazionalizzazione della Reichsbank, forse si potrebbero formulare spiegazioni inconsuete e illuminanti sull'intera storia del secolo appena trascorso.
Le Banche centrali, quelle cioè che stampano la cartamoneta dei vari paesi del mondo, dunque sono private e i proprietari sono in maggioranza le altre Banche e i grandi finanzieri internazionali.
Ma allora, se il mondo della politica, se i governi, i capi di Stato, i ministri del Tesoro e dell'economia non hanno più voce in capitolo sui tassi di sconto, sulle strategie monetarie, sulle condizioni dei prestiti, sui finanziamenti internazionali, sui cambi, sulle Borse, chi coordina tutto questo complesso mondo di numeri, di previsioni economiche, di interventi piccoli e grandi destinati a influire in maniera determinante sulla vita di tutti i popoli?
Chi prende le decisioni? Chi comanda?
C'è chi afferma che sarebbe il sistema stesso, nel suo complesso groviglio di interessi e di meccanismi automatici, ad auto-governarsi, a funzionare come una enorme macchina avviata così bene da non aver più bisogno di progettisti e macchinisti. Non ci sarebbe nessuno dunque a comandare. Tutto avverrebbe così, naturalmente, ineluttabilmente, come in un Eden illuminato dallo splendore del dio denaro.
Ma si tratta di un'analisi che sa di malafede. Se le cose andassero così come vanno in modo automatico, se non ci fosse nessuno a decidere e comandare, non avrebbe senso cercare i responsabili. A nessuno potrebbe essere imputata la colpa delle crisi economiche, dei crolli monetari, dello sfruttamento delle risorse o del lavoro, e della fame nel mondo. Certo si tratta di una spiegazione eccessivamente comoda e assai difficile da accettare.
Sarà opportuno allora indagare, osservare più da vicino il mondo delle Banche centrali e cercare di individuare il momento e la sede dove queste si incontrano e decidono.
Sì, perché decidono davvero! E gli effetti di tali decisioni sono davanti agli occhi di tutti.
E allora, informandosi, si viene a sapere che a Basilea, in Banhofplatz al n. 2, ha sede la Banca del Regolamenti Internazionali, la BRI (o BIS, Bank for International Settlements), fondata nel 1930, dove si riuniscono, ogni mese, i dirigenti di tutte le Banche centrali del mondo. Proprietarie della BRI sono infatti tutte le Banche centrali del mondo, ma in proporzioni assai differenti tra di loro. Il 25 per cento delle azioni sono della Federal Reserve USA, il 15 per cento della Banca d'Inghilterra e il rimanente 60 per cento è distribuito, con quote minime, tra tutti gli altri. Un 60 per cento talmente frammentato da rendere impossibile una qualsiasi aggregazione percentualmente significativa.
La Federal Reserve, col suo 25 per cento di proprietà e con la costante, servile disponibilità della Banca d'Inghilterra, ha facile mano nel determinare il bello e il cattivo tempo.
Nell'ambito della BRI le Banche centrali dei paesi più industrializzati del mondo — Stati Uniti, Giappone, Germania, Francia, Regno Unito, Italia, Canada, Olanda, Belgio, Svezia e Svizzera — hanno istituito appositi comitati di vigilanza internazionale: il CBVB, Comitato di Basilea sulla Vigilanza Bancaria; il CSPR, Comitato sui Sistemi di Pagamento e Regolamento; e il CSFG, Comitato sul Sistema Finanziario Globale.
Le nomine dei Governatori delle Banche centrali delle varie nazioni del mondo, prima di giungere alla ratifica dei rispettivi Governi, dove ciò è ancora previsto, devono essere approvate dalla BRI; se a Basilea non sono d'accordo, tutto viene rimesso in gioco, si vagliano altre candidature, più gradite ai signori della Banhofplatz, fino ad individuare l'uomo adatto a gestire, a livello nazionale, le decisioni che vengono assunte lassù, nell'Olimpo dei potentissimi, dei Morgan, dei Rockefeller, dei Warburg, dei Rothschild.
Certo, perché, nonostante i proprietari della Federal Reserve siano tenuti segreti e segrete le loro riunioni, si sa per certo che tra di loro ci sono anche questi uomini e che le loro quote pesano molto. Nomi che compaiono da secoli nella storia del denaro e, soprattutto, nella scalata che il potere finanziario internazionale ha fatto ai danni del potere politico.
Quindi chi comanda il mondo del denaro, cioè il mondo dell'economia, cioè il mondo “tout court”, esiste davvero.
In quelle riunioni mensili vengono affrontate tutte le questioni di ogni paese, vengono decisi i tassi di sconto, i beneficiari dei prestiti della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, quali governi devono essere aiutati, facilitati, finanziati, quali monete devono decollare e quali svalutarsi, quali movimenti rivoluzionari devono essere armati e quali riforme devono essere sponsorizzate. Sì, perché chi ha il potere di decidere la politica monetaria può influire, in maniera determinante, su ogni cosa.
Certamente, nei sontuosi saloni della BRI, si è molto discusso, e deciso, prima che venissero firmati gli accordi di Bretton Woods nel 1944, con i quali fu stabilito, tra l'altro, che il dollaro dovesse essere assunto come moneta per gli scambi internazionali. Certamente, negli uffici della Banhofplatz al n. 2, si è molto discusso, e deciso, prima che il presidente USA Richard Nixon, nell'agosto del 1971, annunciasse al mondo l'inconvertibilità del dollaro in oro (sino ad allora per 35 dollari doveva esistere la garanzia di un'oncia d'oro). Certamente a Basilea si è molto discusso, e deciso, prima che la pubblica opinione del mondo venisse a conoscenza della Perestrojka, del Trattato di Maastricht, dell'Euro, della guerra all'Iraq, della guerra nei Balcani, della guerra all'Afghanistan. E, probabilmente, si è parlato anche di attentati, di grattacieli e di tante altre cose. 19
Orbene, nessuno, assolutamente nessuno di questi signori che si riuniscono, discutono e decidono al numero 2 di Banhofplatz di Basilea, è mai stato candidato in nessuna lista di nessun partito, è mai stato eletto da nessun elettore di nessun popolo del mondo.
È dunque questa la democrazia?

CONTROLLORI SENZA CONTROLLI
Mark Alonzo Hanna, consulente del presidente USA William McKinley e mitica figura di organizzatore di campagne elettorali, citato anche da Bush jr., ebbe ad affermare nel 1896: «Per vincere occorrono due cose. La prima è avere molti soldi... La seconda non me la ricordo».
Ed è per questo che la scalata dei signori del denaro non è iniziata all'interno dell'area politica o delle istituzioni rappresentative delle singole nazioni. Si è sviluppata dove i soldi si fabbricano, all'interno delle Banche centrali, affiancandone l'attività con una miriade di istituzioni internazionali, enti, fondazioni, banche di credito e d'affari tutte rigidamente dirette o controllate tra loro. Una ragnatela così ampia e articolata da consentire il progressivo condizionamento planetario di tutte le attività. Ecco qui un elenco delle più importanti:
La Trilateral Commission, il Council on Foreign Relations (CFR), il Bilderberg Group, il Club de Paris, il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, l'Organizzazione Mondiale del Commercio, la Camera di Commercio Internazionale, l'Institute of International Finance, il Forum di Davos; e, ancora, il Comitato di Bali, per la supervisione bancaria; l'IOSCO (International Organisation of Securities Commissions), per la supervisione delle Borse e dei mercati di capitali; l'ISMA (International Securities Market Association); l'IAIS (International Association of Insurance Supervisors), per la vigilanza sulle compagnie di assicurazione; e l'ISO (International Standard Organisation), alla quale è demandato l'incarico di definire gli standard industriali, tanto per citarne i più noti e importanti.
Al condizionamento politico ed economico delle singole nazioni, attraverso il controllo monetario, si aggiunge il potere di influire sui rapporti internazionali. Poco importa se intere nazioni, nel gioco delle speculazioni, sono travolte e ridotte alla fame — vedi i paesi dell'America Latina — o altre vengono a trovarsi in posizione di immeritato vantaggio. Un esempio tra i tanti che si potrebbero fare: il 30 per cento dell'intero ammontare dei prestiti concessi dal Fondo Monetario Internazionale attualmente è assorbito dalla Turchia — favorita dalla sua posizione geo-strategica nel Vicino Oriente — che va salvata per non far perdere un forte alleato a Stati Uniti e Israele.
Inoltre, attraverso il flusso dei finanziamenti, si attivano tutte quelle iniziative che si ritengono funzionali al disegno mondialista e si condizionano pesantemente — spesso sino a stravolgerle — anche quelle iniziative che, a prima vista, potrebbero apparire di segno opposto. Esempio particolarmente eloquente ne è il Movimento dei “No Global”.
Maurizio Blondet, nel suo libro “No Global”, ci informa che, contrariamente a quanto la pubblica opinione è indotta a credere, «l'International Global Forum è largamente finanziato dalla Foundation for the Deep Ecology, un think-tank con sede a San Francisco, erede delle fortune del magnate Douglas Tompkins, il padrone della Esprit Clothing Company, la nota multinazionale di prêt-à-porter. Detta “Fondazione per l'Ecologia Profonda” nel 2000 ha dichiarato attivi per 150 milioni di dollari: grazie a questi fondi essa funziona come una finanziaria, che fornisce capitali iniziali per il lancio di gruppi antiglobal in tutto il pianeta».
Ed ancora: tra i «finanziatori dei “No Global” spicca un nome: Theodor (Teddy) Goldsmith. [...] Teddy è il fratello minore del defunto sir James Goldsmith, speculatore mondiale in materie prime, uno dei dodici uomini più ricchi del mondo, cugino dei Rothschild».
Procedendo nella sua indagine, Blondet mette in luce anche le relazioni che legano il mondo dei “No Global” a un altro celebre miliardario, George Soros. «Ebreo ungherese naturalizzato americano, Soros è diventato enormemente ricco e famoso con speculazioni internazionali sulla lira negli anni 90, il genere di operazioni possibili nel mercato globale. [...] Soros finanzia anche un'altra fondazione “culturale”, il Lindesmith Center-Drug Policy Foundation, che impiega enormi mezzi per fare lobby a favore di una politica di totale liberalizzazione delle droghe e per la legalizzazione dell'eutanasia, naturalmente a livello mondiale».
Dunque, ovunque si cerchi, escono fuori soldi, enormi quantità di soldi, attraverso i quali i soliti signori indirizzano, determinano, controllano.
Per ciò che riguarda l'Europa, taluni sono indotti a credere che l'Euro sia il punto di arrivo spontaneamente perseguito dalle nazioni del Vecchio Continente, nel quadro della loro volontà di unificazione.
Il professor Joshua Paul, docente della Georgetown University, ha pubblicato nell'autunno del 2000 una serie di documenti del Bilderberg Group, sino ad allora tenuti segreti, che documentano come da cinquant'anni quegli ambienti stessero lavorando perché l'Europa si dotasse di un'unica valuta. Già nel 1948 le Fondazioni Ford e Rockefeller avevano dato vita all'American Committee for a United Europe, con lo scopo di condizionare lo sviluppo monetario, economico e politico del nostro Continente in modo convergente agli interessi d'Oltreoceano. Un memorandum della sezione Europa del Dipartimento di Stato americano, in data 11 giugno 1965, riporta precisi suggerimenti al vicepresidente della Comunità Economica Europea, Robert Marjolin, per giungere al varo di un'unica valuta europea, non come concorrente del dollaro, ma come agevole mezzo di controllo delle economie delle singole nazioni europee.
È infatti molto più semplice controllare un'unica entità monetaria e un'unica Banca centrale indipendente, piuttosto che quindici valute e quindici Istituti di emissione con ancora qualche residuo legame con i ministri economici, i governi e il mondo politico.
All'articolo 7 dello Statuto del Sistema Europeo di Banche Centrali e della Banca Centrale Europea si legge: «Né la BCE, né una banca centrale nazionale, né un membro dei rispettivi organi decisionali possono sollecitare o accettare istruzioni dalle istituzioni o dagli organi comunitari, dai governi degli Stati membri, né da qualsiasi altro organismo».
Le Banche centrali delle singole nazioni europee, prima del Trattato di Maastricht, avevano un'indipendenza dal potere politico variabile tra il 40 e il 65 per cento; oggi, dopo i cambiamenti determinati dall'avvento dell'Euro, hanno raggiunto il 90 per cento.
Dunque, mentre nessuna influenza può giungere dal potere politico alla BCE, dai vertici monetari giungono al potere politico continue indicazioni, parametri cui attenersi, precisi paletti che coinvolgono l'intera economia delle nazioni.
Come giustamente osserva Bruno Tarquini, già procuratore della Repubblica a Teramo, nel suo “La banca, la moneta e l'usura”, «lo Stato ha rinunciato alla propria sovranità monetaria, trasferendola a un istituto privato: questo perciò, in perfetta autonomia e indipendenza, esercita una pubblica funzione di essenziale rilevanza per la vita della Nazione, essendo noto che la politica monetaria (vale a dire l'emissione della moneta e la regolamentazione della sua circolazione nonché del mercato monetario) condiziona l'intero sistema economico di uno Stato e influisce quindi anche sulla sua politica generale, e particolarmente su quella sociale».
E’ davvero singolare come il Trattato di Maastricht si sia preoccupato di definire la BCE esclusivamente per ciò che riguarda la sua indipendenza. Francesco Papadia e Carlo Santini, nel loro “La Banca centrale europea”, ricordano: «Dalla lettura del Trattato emerge la particolare collocazione della Banca centrale europea nell'assetto istituzionale dell'Unione europea. L'articolo 4, infatti, non la menziona tra le istituzioni (Parlamento europeo, Consiglio, Commissione, Corte di giustizia e Corte dei conti) della Comunità. Alla Banca, però, il Trattato conferisce personalità giuridica e lo Statuto riconosce la più ampia capacità di agire in ciascuno degli Stati membri. Sotto il profilo giuridico-formale, la Banca centrale europea non è, dunque, un'istituzione comunitaria [...], i suoi atti non sono imputabili alla Comunità. La Banca centrale europea è inserita in una cornice giuridica che ne stabilisce e ne tutela l'indipendenza nell'attuazione della politica monetaria».

La BCE determina dunque, in perfetta autonomia — come se ciò non avesse rilevanza politica e sociale —, il livello dei tassi di interesse ufficiali, cioè il costo del denaro, cioè la politica di espansione o di restrizione monetaria. E, se non bastasse, decide e guida, in perfetta indipendenza, tutte le operazioni di acquisto e di vendita degli euro contro altre valute sul mercato dei cambi. E le Banche centrali nazionali devono conformarsi in tutto e per tutto alle direttive della BCE — il Consiglio direttivo vigila attentamente —, altrimenti bacchettate sulle dita, con tutto il potere per farlo.
La BCE, e di conseguenza anche tutte le Banche centrali nazionali, ufficialmente — ormai è scritto a chiare lettere, nero su bianco, nei Trattati e nei Regolamenti — non possono concedere, per nessun motivo, crediti agli Stati, o alla Comunità europea o a qualsiasi altro soggetto pubblico, e quindi è loro proibito acquistare titoli di Stato, sia al momento dell'emissione che successivamente.
Non solo, se prima di Maastricht qualche Banca centrale, come abbiamo già ricordato, poteva prevedere un parziale ristorno allo Stato del signoraggio — reddito ottenuto attraverso la politica monetaria —, alla BCE si fa obbligo di non fare uscire neanche un centesimo dalle casse del Sistema europeo di banche centrali.
E, ancora, mentre i dibattiti e le sedute della Camera dei deputati e del Senato sono aperti al pubblico, le sentenze delle Corti di giustizia devono essere dettagliatamente motivate e pubblicate, le riunioni del Consiglio direttivo della BCE sono assolutamente secretate ed è lo stesso Consiglio che, di volta in volta, decide se pubblicare le proprie deliberazioni, pubblicarne solo alcune parti o non pubblicarle affatto.
Infine, ciliegina sulla torta, i dirigenti della BCE godono di una sostanziale immunità. Non sono infatti previste, all'interno della BCE, sanzioni per comportamenti impropri. Nei Regolamenti si legge che è sufficiente il rischio di perdere credibilità e fiducia per garantire la certezza dell'operato dei dirigenti. Solo in caso di colpe gravissime e di comportamento palesemente illegittimo può intervenire la Corte di giustizia e occuparsi del caso.
La perdita delle sovranità monetaria e legislativa — parti essenziali della sovranità nazionale — da parte degli Stati europei è stata stabilita in maniera irrevocabile. E alla chetichella.
In Italia, come sottolineò Ida Magli su “il Giornale” dell'11 marzo 2001, «nella legge di riforma della Costituzione, approvata dalla maggioranza di sinistra in gran fretta poche ore prima dello scioglimento delle Camere, c'è un passo fondamentale e che pure non è stato portato a conoscenza dei cittadini né prima né dopo della sua approvazione. Si tratta dell'articolo 117 in cui si stabilisce: “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”. In queste tre righe è codificata la perdita della sovranità legislativa dell'Italia. Per questo l'articolo 117 non è stato discusso apertamente: gli italiani non debbono sapere».
Forse, la democrazia è proprio questa.
Da qualche parte si è sentito il dovere di coinvolgere ed ascoltare il popolo attraverso regolari referendum, e lì — vedi il caso della Danimarca, Francia e Olanda — Maastricht ed Euro sono rimasti lettera morta. Il popolo ha detto no. Grazie ai NO dei francesi e degli olandesi ora il trattato di Maastricht è entrato in crisi. Probabilmente ci saranno altre defezioni tra breve.
Scrive Giulietto Chiesa sul suo recente “La guerra infinita”: «È il denaro che decide non più soltanto come l'economia deve procedere, ma anche — direttamente, immediatamente — come l'America deve essere governata. [...] Il popolo, come tutto il resto, non è più sovrano di nulla, essendo diventato, nel frattempo, consumatore. Non ha forse invitato, l'imperatore 22
Bush, pochi giorni dopo il tremendo impatto terroristico, i suoi elettori a “tornare a fare shopping”?».
L’economia è governata da uomini che — come abbiamo visto — nulla hanno a che vedere con il consenso popolare; su questo non può ormai esservi più dubbio. Ma, si dice, è inevitabile, perché queste sono le regole del Libero Mercato, della globalizzazione, del consumismo e del benessere. L'importante è che il sistema politico — adottato o imposto —, ovunque, in ogni angolo del mondo, sia quello democratico. Si devono svolgere “libere” consultazioni elettorali attraverso le quali il popolo possa scegliere i candidati proposti dai diversi partiti.
A parte il fatto che abbiamo ancora nelle orecchie la frase di Mark Alonzo Hanna, che ci ricordava come nelle campagne elettorali più dei programmi contano i soldi, ci si può legittimamente chiedere cosa possa offrire al popolo una classe dirigente politica privata di ogni potere inerente la moneta e l'economia, e quindi di ogni possibilità di intervenire nel sociale. Ma, sforzandoci di essere ottimisti fino in fondo, osserviamo come la democrazia riesce a gestire l'oggetto principale del suo esistere: il consenso.
E’ per garantire il libero consenso, infatti, che i “padri fondatori” hanno inventato la moderna democrazia. E di questo sistema politico esiste un modello indicato ad esempio, ad ogni pie' sospinto, un vero e proprio santuario: “la grande democrazia americana”.
Osserviamo, dunque, come si esprime il consenso in quel paese.
I dati che si riscontrano non possono che lasciare perplessi. Nelle elezioni presidenziali va a votare meno del 50 per cento degli aventi diritto, quindi il presidente USA rappresenta a malapena un americano su quattro. Nelle altre consultazioni le cose vanno molto peggio: i votanti nelle elezioni dei singoli Stati sono il 35-40 per cento, in quelle di contea e municipali addirittura il 25-30 per cento. Sissignori, nel santuario della democrazia ci sono anche “maggioranze” che rappresentano meno del 13 per cento della popolazione.
Qualcosa non funziona: le motivazioni addotte per condannare le dittature si sono sempre incentrate sui temi della libertà e del consenso. Ma è legittimo domandarsi quanto possa durare un regime quando si basi su un consenso del solo 13 o 25 per cento della popolazione. Negli Stati totalitari certamente molto poco.
Il consenso, quando è una cosa seria, è un fatto di coscienza, è un senso di appartenenza e di partecipazione, è una forza centripeta che ingigantisce l'individuo e lo rende parte fondamentale del popolo, anzi di “quel” popolo.
In democrazia, regno del più sfrenato individualismo, le forze che prevalgono sono invece quelle centrifughe, che rimpiccioliscono il cittadino, lo rendono anonimo e lo collocano in una massa amorfa e spersonalizzata. Una massa che si può governare anche con un misero 13 per cento di “maggioranza”.
Il consenso, in democrazia, ha la dignità di una lattina di “Coca-Cola” venduta sullo scaffale di un supermercato.
E più la democrazia è imposta al mondo, più la finanza internazionale ha mano libera per i suoi traffici, più crescono le sacche di povertà entro le nazioni ricche e più popoli vengono cacciati nel girone della fame.
Nell'ultimo rapporto ONU sullo sviluppo umano — 1998 — si legge che il 20 per cento più ricco della popolazione mondiale consuma l'86 per cento dei beni disponibili, mentre il 20 per cento più povero solo l'1,3 per cento.
E la “grande democrazia americana” prosegue nella sua opera di conquista planetaria. Attraverso quali strumenti?
Siamo alle solite, rispuntano i banchieri. Scrive ancora Giulietto Chiesa: «Strumenti sovra-nazionali di questo progetto sono state le due istituzioni regine di Bretton Woods, il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, cui negli ultimi anni si è aggiunto il WTO (World Trade Organization), loro parente stretto in quanto erede del GATT (General 23 Agreement on Tariffs and Trade).
Non a caso, questi tre strumenti operativi sono estranei alle Nazioni Unite. Altrettanto non a caso, essi sono le uniche istituzioni sovra-nazionali che hanno ricevuto concreti, reali poteri di limitazione, di abrogazione delle sovranità nazionali dei paesi che vi aderiscono. Ma non tutte le abrogazioni sono eguali tra loro. Il “consenso di Washington” ha rappresentato il grimaldello con cui la rappresentatività internazionale del sistema delle Nazioni Unite è stata smantellata per far posto al decalogo della globalizzazione americana».
E la “grande democrazia americana” continua, con ricatti monetari, con azioni militari, con spoliazioni delle sovranità nazionali sempre più devastanti, ad imporre il proprio modello “buono”, “libero”, “politicamente corretto”.
Le regole? I Trattati internazionali? Contano solo se e quando sono funzionali al disegno USA, altrimenti si ignorano, si stracciano o si riscrivono. Una risoluzione dell'ONU non rispettata può essere ottimo pretesto per scatenare una guerra se si tratta dell'Iraq di Saddam Hussein, ma non ha nessuna importanza se nella parte dell'inadempiente si trova lo Stato di Israele.
Quando, nel 1999, l'obbiettivo era lo smantellamento della Serbia di Milosevic, gli americani non esitarono a stravolgere la natura della NATO. Da patto difensivo la trasformarono in alleanza militare offensiva. I regolamenti furono, in quattro e quattr'otto, cambiati. Gli articoli 5 e 6 dello Statuto che circoscrivevano, in chiave difensiva, l'uso della forza, vennero riscritti: la NATO si autodefinì e si comportò, con atto unilaterale e in dispregio dell'articolo 51 della Carta dell'ONU sulla legittima difesa, come il “gendarme del nuovo ordine mondiale”. L'ordine americano e democratico. L'ordine dei banchieri.
Per comprendere quale, puntualmente, si dimostra essere la considerazione che gli americani hanno della legalità e della libertà basta osservarli in una qualsiasi delle loro scorribande.
A titolo di esempio riportiamo la ricostruzione fatta da Noam Chomsky dell'aggressione militare scatenata dall'America di Ronald Reagan contro il Nicaragua: «Il Nicaragua non rispose. Essi non risposero mettendo bombe a Washington. Essi risposero chiamando Washington a difendere il proprio operato davanti al Tribunale internazionale [...] Non ebbero difficoltà a trovare le prove. Il Tribunale le accettò, deliberò in loro favore, [...] condannò ciò che essi avevano denunciato come “uso illegale della forza”, che è un altro modo per definire il terrorismo internazionale, [...] intimò agli Stati Uniti di porre fine al crimine e di pagare massicci indennizzi. Gli Stati Uniti, ovviamente, respinsero con sdegno la sentenza della Suprema Corte e annunciarono che da quel momento non ne avrebbero più riconosciuto la giurisdizione. Allora il Nicaragua si rivolse al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Che emise una risoluzione invitante tutti gli Stati a osservare le leggi internazionali. Nessuno fu nominato, ma tutti compresero. Gli Stati Uniti misero il veto alla risoluzione. Ed essi sono oggi l'unico Stato che ha dovuto subire una condanna del Tribunale internazionale e che, al tempo stesso, ha posto il veto su una risoluzione del Consiglio di Sicurezza che esortava gli Stati a osservare le leggi internazionali. Allora il Nicaragua andò oltre e si rivolse all'Assemblea Generale dell'ONU, dove non esiste tecnicamente un meccanismo di veto, ma dove un voto negativo degli Stati Uniti equivale a un veto. E l'Assemblea approvò una risoluzione analoga a quella del Consiglio di Sicurezza con il voto contrario soltanto degli Stati Uniti, di Israele e del Salvador. L'anno successivo si votò di nuovo e questa volta gli Stati Uniti raccolsero soltanto il voto di Israele [...] A quel punto il Nicaragua non poteva fare nient'altro di legale. Aveva tentato tutte le strade. Ma esse non potevano funzionare in un mondo governato dalla forza».
E’ questa la particolare interpretazione che la “grande democrazia americana” — quella che si attribuì l'autorità per istruire e dirigere i processi di Norimberga e di Tokyo — ha dei valori di libertà, di legalità e di giustizia. Esattamente come quando proclamano il diritto dei palestinesi di avere un proprio Stato, ma a condizione, non solo che sia uno Stato di tipo democratico, ma anche di poter porre il proprio veto sulla scelta della persona che il popolo palestinese vorrà scegliere come capo.
Che strana cosa la democrazia!
Lo spirito “missionario” dei cavalieri a stelle-e-strisce nel “liberare” i popoli del mondo lascia perplessi almeno quanto lo spessore di quel consenso democratico che ci consegna “maggioranze” del 13 per cento.
Ma, a chiarirci cosa sia il consenso democratico, giunge il banchiere Carlo Azeglio Ciampi nella sua nuova veste di presidente della Repubblica. A chi gli chiedeva spiegazioni sulla legittimità di portare avanti riforme della portata dell'Euro e dell'istituzione della Banca Centrale Europea, senza sottoporre le questioni al vaglio di referendum popolari, ha detto: «Si parla a volte di fare un referendum sull'Europa. Ma a me pare che un “referendum di fatto” sia già stato celebrato, il primo gennaio scorso, quando è stato varato l'Euro, e mi chiedo quale consultazione popolare migliore di quella sia possibile».
E bravo il nostro Ciampi! Con una frase breve, lapidaria, chiarissima ci ha spiegato ciò che da parecchie pagine ci andavamo chiedendo: il consenso democratico “migliore” è quello di utilizzare la moneta che è imposta d'autorità e non la lira, che nessun commerciante e nessuno sportello bancario sono ormai disposti ad accettare. Ci sembra proprio giusto; nell'epoca del denaro virtuale è logico che ci si debba accontentare del consenso virtuale.
Probabilmente, proprio questa è la democrazia.
Nell'epoca del denaro virtuale, della “e-money”, cioè del soldi che non esistono, ma che possono determinare il benessere o la povertà per intere popolazioni, la ricchezza o la rovina per intere categorie, è, in fondo, logico che il sistema politico dominante sia quello democratico, dove “sovrano” dovrebbe essere il popolo, ma a decidere sono solo i banchieri e le loro “lobbies”, dove si confondono le alchimie monetarie con i referendum popolari, dove le maggioranze possono essere del 13 per cento, dove si scambia la libertà con l'obbligo a consumare, la dignità con il possesso di una carta di credito, la patria con un titolo quotato in borsa, la vita con la storia di un conto corrente.
Di fronte ai grandi temi di attualità le uniche risposte sono quelle ispirate dall'interesse dei soliti gruppi finanziari. E nessuno si ribella, perché non c'è più un potere politico rappresentativo e autorevole da cui aspettarsi risposte differenti, autonome, ispirate dall'interesse della collettività.
Sul “Corriere della Sera” del 23 gennaio 2002, Giovanni Caprara, affrontando il problema dell'inquinamento, riporta la possibile soluzione indicata dal Nobel Carlo Rubbia: «Per risolvere i problemi bisogna fabbricare veicoli con emissione zero, cioè che non inquinano. E lo strumento ideale è la cella a combustibile a idrogeno. Ne sono già state costruite e dimostrano di funzionare egregiamente. Anche meglio del motore a benzina, per quanto riguarda il rendimento che risulta addirittura tre volte più elevato: 45 per cento la cella, 15 per cento il motore a benzina. [...] In cinque anni l'intero parco dei mezzi pubblici potrebbe essere riconvertito e disponibile. Per le auto private, basterebbe solo qualche anno in più. [...] Bisogna solo decidere politicamente di andare in questa direzione ed esserne tutti consapevoli».
Ma è proprio questo il problema. Per «decidere politicamente», nell'interesse della collettività, occorre un potere politico vero e indipendente, un potere che oggi non esiste più, di cui altro non è rimasto se non l'ectoplasma, un'immagine più o meno decorativa ad uso e consumo degli interessi dei soliti signori.
Per risolvere i problemi dell'inquinamento è inutile ricercare ciò che è buono per il popolo, anzi per “quel” popolo; sarà più opportuno individuare le soluzioni favorevoli agli interessi dei commercianti di petrolio, degli Agnelli, Ford e soci.
Ma, in tutta questa vicenda di ordinaria tirannide finanziaria, i numeri hanno un forte peso e i conti si possono anche sbagliare. Anzi, la storia lo dimostra, prima o poi si sbagliano. Vuoi perché l'avidità è spesso più forte della prudenza, vuoi perché le reazioni della psicologia umana spesso non coincidono con la fredda consequenzialità dei calcoli numerici, vuoi perché a forza di sottrarre libertà e sovranità si arriva al punto in cui i popoli si arrabbiano e si ribellano.
Ha destato scalpore il successo che in diverse parti del mondo ha ottenuto il film “The Bank”. Si narra di un personaggio che si vendica dei torti subiti inventando un sistema informatico capace di distruggere la banca che aveva rovinato la sua famiglia. La storia ha il pregio di mettere a nudo i ricatti, le manipolazioni contrattuali e giuridiche, la sete di potere e il cinico controllo delle vite umane messi in atto dagli istituti che maneggiano il denaro. Alle battute finali del protagonista, «la banca non c'è più» e «odio le banche», nelle sale cinematografiche esplodono ovazioni da stadio.
In Argentina, nelle riunioni familiari, un nuovo gioco da tavolo ha soppiantato la tradizionale Tombola e il Monopoli: si chiama “Debito eterno”. Sulla scatola si legge: «Chi è capace di sconfiggere il Fondo Monetario?».
Forse, gli uomini stanno cominciando a comprendere chi sono i veri nemici, e stanno cominciando ad odiarli.
Il giro di boa che condurrà al crollo della tirannide monetaria e alla riconquista delle sovranità nazionali è probabilmente molto più vicino di quello che, di fronte alla potenza planetaria delle “lobbies” finanziarie, si sarebbe indotti a credere.
Si preparano tempi duri, durissimi, come quelli che già stanno vivendo gli argentini.
Sarà un passaggio traumatico, dolorosamente traumatico; giacché tutte le risorse sono ormai nelle mani di quei signori e gran parte delle nostre qualità lavorative sono state travolte: il villaggio globale ha distrutto l'artefice del prodotto finito e lo ha sostituito con l'operaio costretto a costruire un bullone, un ingranaggio o solamente ad assemblare, e con il fattorino capace solo di consegnare ciò che le multinazionali hanno commercializzato.
Dovremo re-imparare ciò che ci hanno fatto dimenticare. Dovremo trovare il coraggio di intraprendere strade nuove, soluzioni originali. Dovremo sbarazzarci della moneta-truffa dei banchieri e di tutti i loro ricatti e fondare, finalmente, una moneta vera, quella del popolo.
Scrive Bruno Tarquini: «“Siamo seduti su una polveriera” ha annunciato, dall'alto della sua competenza, l'economista Paolo Savona; e non può certamente sostenersi che non ci si renda conto, già da oggi, di quali potrebbero essere gli effetti di una sua eventuale esplosione. L'emissione della “moneta del popolo”, già utile nell'attuale situazione per contrastare la rarità monetaria, arbitrariamente scelta dalle autorità finanziarie per la soddisfazione della loro sete di dominio, in caso di crisi sarebbe anche decisamente necessaria».
I popoli, vere vittime della tirannide delle “lobbies”, sapranno riconquistarsi, pezzo per pezzo, tutta la sovranità che è stata loro sottratta.
Quando il cloroformio del benessere consumista si sarà esaurito, quando il bailamme di gadget, telefonini, computer sarà andato in tilt, quando il “luna park” di supermercati e centri commerciali sarà rimasto senza prodotti, i popoli necessariamente dovranno riscoprirsi, rifondarsi, tornare ad esistere con la propria specifica identità e la propria cultura.
E il sistema consumista, monetario e del Libero Mercato è un sistema entropico. Un sistema destinato, prima o poi, a spegnersi. Esso si basa infatti sul continuo aumento dei consumi, quindi della produzione, quindi dello sfruttamento delle risorse. Un aumento che non può essere infinito e quindi, giunti al punto in cui la disponibilità dei beni sarà inferiore alla quota d'incremento necessaria al perpetuarsi del sistema consumistico, si giungerà ad una implosione economica.
Sarà un momento durissimo.
Ho ascoltato recentemente da un'anziana montanara il racconto dei tempi, non poi così lontani, in cui nelle nostre valli mancava tutto quello che oggi c'è. Si mangiava polenta, latte, castagne, formaggio, cotenne e qualche raro insaccato. Ma non tutto ciò era disponibile sempre; un giorno si mangiava questo, l'altro quello; la povertà era grande. Spesso, tra gli abitanti del villaggio, ci si riuniva e, allora, le cose andavano meglio perché c'era chi portava cotenne, chi cipolle, chi polenta, chi un salame, chi una ciotola di latte. «La miseria ci teneva uniti, e ci ha consentito di superare anche gli inverni peggiori», fu la conclusione del racconto.
I nostri popoli hanno dimostrato già in molte occasioni di saper superare prove tremende, sviluppando una forza e una capacità solidale oggi insospettabili. Anzi, le qualità migliori le abbiamo espresse nei periodi più duri e in quelli della ricostruzione. Qualità che i signori delle banche internazionali non sospettano nemmeno e sicuramente non hanno preventivato.
I popoli europei, oggi ridotti a bracciantato per i servizi necessari allo sviluppo della nuova economia, quella della globalizzazione e delle multinazionali, sapranno ritrovare le proprie caratteristiche produttive e creatrici. Non resteranno, storditi, affamati, accampati accanto agli aeroporti, ad attendere l'arrivo degli “aiuti umanitari”, come avviene in molti paesi del terzo mondo.
I popoli europei non accetteranno i nuovi ricatti di qualche nuova Banca internazionale e sapranno ritrovare la sopita passione per la libertà e l'indipendenza.
La lotta per la Libertà è una costante nella storia degli uomini. La lotta dei popoli per la Libertà e la Sovranità sarà il tema dominante della storia di domani.
Gianfranco Venturi

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