lunedì 1 novembre 2010
Un “fascista” scomodo Giovanni Preziosi
Nel genetliaco della nascita di Giovanni Preziosi urge dare una seria testimonianza di ciò che rappresentò realmente il suo infaticabile lavoro, incominciato con l’abito talare a Torella dei Lombardi e finito in camicia nera a Milano.
Il Nome di Giovanni Preziosi è stato praticamente cancellato dall’album dei ricordi e delle commemorazioni.
E qui, non parliamo, ovviamente, del mondo accademico “democratico”, da cui non è nemmeno lecito aspettarsi qualcosa, ma della cosiddetta “destra” o, meglio, di quell’area di riferimento politico culturale che dice di volersi richiamare al fascismo.
Persino lo storico Renzo De Felice - illustre accademico, prediletto dall’area neofascista che pure gli ha dedicato fittissime pagine - si sofferma unicamente sull’ultimo periodo della sua vita, tralasciando il periodo antecedente alla RSI. L’ unica volta in cui lo sentiamo nominare è per denigrarlo ed accostarlo alle figure più abiette che animarono l’ultimo periodo dell’epopea fascista: la R.S.I. In quest’ambito egli è stato relegato nel posto più basso, tanto che nemmeno i “sedicenti fascisti” osano nominarlo pur di non incorrere nella furia iconoclasta di stampa resistenziale. In realtà, Giovanni Preziosi rimarrà negli annali di storia per essersi guadagnato sul campo la qualifica principale studioso della questione ebraica, della cui rettitudine e analisi ne beneficeranno, due lustri dopo, alti esponenti del Governo Nazional-Socialista tedesco.
Bisognerebbe chiedere ai “neofascisti”, a questo punto: “Voi dove vi collocate?”
Per non parlare poi di coloro i quali non ebbero nemmeno l’opportunità di conoscerlo e di studiarlo con occhio scevro da inutili pregiudizi.
Nessuno si è preso la briga, per esempio, di raccontare le sue azioni prima che diventasse ministro della R.S.I., le sue lotte immani contro le ingiustizie, in difesa degli umili e degli oppressi, dei disoccupati, degli emigranti, soprattutto meridionali, costretti a lasciare il suolo natio per andare al Nord oppure in America.
Ebbene, queste lotte furono condotte con puntualità e lungimiranza, spesso anche contro il volere dei suoi diretti superiori. Oppure quando, seguendo le orme del suo maestro, l’economista Maffeo Pantaleoni, diffondeva – dal 1912 al 1920 – attraverso gli scritti, il suo liberalismo conservatore, contro la teoria e la prassi dello Stato impresario e dissipatore.
Padre Semeria La sua attività di scrittore e pubblicista cominciò prima, agli inizi del secolo, quando, ancora sacerdote, era strettamente legato a figure di primo piano del mondo cattolico: Padre Semeria e Padre Genocchi. Fu proprio allora che il giovane irpino, Democratico Cristiano attivo, strinse amicizia con personalità di primo piano del mondo cattolico, quali Gennaro Avolio, Giuseppe Toniolo, e i già citati Semeria e Genocchi. A partire dal 1901 iniziò la collaborazione con il giornale cattolico «La Patria» per il quale scrisse fino al 1905 numerosi articoli, facendo come proprio cavallo di battaglia la «Questione meridionale». Sempre nello stesso anno cominciò svolgere un’intensa attività di propaganda per conto della Democrazia Cristiana a Torella dei Lombardi. Lì organizzò un convegno, tenutosi successivamente nel capoluogo irpino il 28 dicembre 1902, che aveva lo il manifesto scopo di costituire gruppi locali di giovani democratici cristiani. Tale convegno fu animato dal professor Gennaro Avolio che tenne un serio dibattito sul contenuto dottrinale dei vari documenti pontifici riguardanti l’azione sociale da intraprendere nel Mezzogiorno d’Italia. In questa conferenza emerse subito il dato preoccupante circa l’avanzata in ogni settore dei “nemici del cristianesimo”. I socialisti, in particolare, avevano preso in mano la situazione proprio in mancanza della partecipazione cattolica al problema sociale. Pertanto, anche nella cattolicissima Italia, terra di Papi, il disinteresse per tali problematiche aveva lentamente lasciato che il “morbo” socialista attecchisse ovunque, in specie nelle organizzazioni sindacali. Per ovviare a tale malaccorta “latitanza” delle organizzazioni cattoliche, bisognava intervenire tempestivamente affinché si potessero riconquistare le posizioni perdute. Secondo Preziosi era necessario riguadagnare la fiducia delle masse contadine non solo interessandosi alla risoluzione degli annosi problemi che affliggevano le classi meno abbienti, ma anche facendo un lavoro di pulizia morale negli ambienti ecclesiastici, rivendicando altresì un’indipendenza d’azione dei gruppi sociali cattolici nel perseguire l’opera di riaffermazione dei diritti sociali. La sua disamina abbracciava l’intero panorama meridionale e nazionale. Attraverso la pubblicazione di numerosi studi denunciava a chiare lettere la colpa dei vari governi liberali nell’affrontare il problema del «Mezzogiorno d’Italia». A tale proposito occorre ricordare che, dal 1905 al 1912, parimenti all’azione esercitata in Germania per conto de l’«Opera Bonomelli», Preziosi si recò più volte negli Stati Uniti d’America, ove prestò la sua opera alle riviste «Rassegna Contemporanea», «La Voce del Popolo Italiano» di Cleveland, «L’Italia all’Estero», e, in particolare a Philadelphia per conto de l’«Istituto Coloniale Italiano» da lui rappresentato al II congresso degli italiani all’estero tenutosi nel giugno 1911. Lì, il giovane irpino diede prova della sua tenacia e della sua verve polemica. Il bersaglio di quegli attacchi, era rappresentato da Carlo Barsotti, direttore del «Progresso italo-americano» in New York. Nel corso dei suoi soggiorni americani, Preziosi aveva raccolto le accuse (fondate) che venivano mosse al banchiere italo-americano dalla stampa quotidiana statunitense concernenti contatti e relazioni con la malavita mafiosa, raccolta di firme false, concussione e corruzione. Preziosi, con un certosino lavoro di indagine, provò che, dietro il patriottismo (peloso) di Barsotti, si celavano oscure trame ordite al fine di appropriarsi di buona parte dei fondi raccolti (per cui richiedeva un rimborso spese di ventimila dollari per l’impegno di raccolta) ; oltre a falsificare le firme per ottenere l’incarico di rappresentante della comunità italiana di Nuova York.
Le accuse pubblicate sulla rivista provocarono ovviamente la reazione di Barsotti che intentò causa contro Preziosi e il condirettore della rivista. Tale processo terminò nel dicembre del 1912 con la piena assoluzione degli imputati per «inesistenza di reato».
I testi fondamentali prodotti in quel periodo sono: “L’emigrazione Italiana negli USA», “il Problema della colonizzazione agricola» (Milano 1907) ed anche “il problema dell’Italia oggi», in cui si denunciavano le enormi responsabilità dei vari governi liberali succedutisi in quegli anni. Egli non fu tenero nemmeno nei riguardi dei suoi concittadini e dei meridionali in genere. Infatti, affinché iniziasse un reale processo di affrancamento di quelle terre era necessario agire su due piani: quello politico e quello morale. Più volte denunciò il degrado morale in cui versavano le popolazioni meridionali, non sottacendo il mefitico stato di perenne apatia che mieteva ancor più vittime di quanto non avevano fatto l’incoscienza e l’incompetenza dei pessimi governi che si erano succeduti nel tempo.
Preziosi scriveva:
“Il governo passato voleva il popolo ignorante e felice, quello attuale ci ha tenuto come pretoriani in riserba, servendosene per le maggioranze elettorali”.
VitaItaliana - Nel 1913 Giovanni Preziosi fondò la rivista “La vita italiana all’estero” che con l’entrata in guerra dell’Italia assunse la denominazione finale de “La Vita Italiana”. A questa celeberrima rassegna mensile collaborarono intellettuali di chiara fama e di enorme e variegato spessore culturale. Tra di essi spiccano: il già citato Prof. Maffeo Pantaleoni, Colonna di Cesarò, Angiolo Cabrini, Luigi Villari, Agostino Lanzillo, Piero Pellicano, Julius Evola e tanti altri. Alla vigilia della «grande guerra», pur avendo ricevuto nel 1903 un congedo illimitato in quanto sacerdote, il giornalista irpino partì come volontario e prestò servizio nella Sanità militare prima di esserne esonerato per un difetto di vista. Non dunque un “grigio burocrate” al servizio del Terzo Reich, ma un uomo tutto d’un pezzo (questo si!), severo prima con se stesso e poi anche con gli altri, che non venne mai meno alla sua coscienza e alla sua intima ricerca della verità.
Egli dimostrò infatti come certe sciagure siano state propiziate proprio dall’intervento ebraico diretto e non. Infatti, nel maggio del 1914, con l’articolo “Il fattore bancario nella politica estera italiana”, incomincerà una vera e propria indagine sul ruolo delle banche negli Stati sovrani al fine di denunciare e mostrare agli italiani il vero volto della politica italiana, gestita e dominata dall’alta banca tedesca attraverso l’azione diretta dalla «Banca commerciale» e dai politici ad essa asserviti . In questo preciso frangente è proprio l’ebreo-massoneria a farla da padrone. Infatti l’animatore di tali ingerenze era un ebreo polacco di nome ToeplizGiuseppe Toeplitz. Preziosi scriverà, anche molto più tardi:
«Non mi fu difficile precisare che i governi italiani erano la maschera dietro la quale una masnada di caporioni ebrei
internazionali guidati dai giudei Joel, Wiel e Toeplitz decidevano le sorti, la pace o la guerra della Nazione; e dimostrai con una inconfutata ed implacabile documentazione come la plutocrazia internazionale, attraverso l'alta banca, tedesca di nome ma ebraica di fatto, operava la conquista e l'asservimento dell'Italia».
Tali pericoli furono puntualmente sottolineati e raccolti in modo organico nell’opera denominata: “La Germania alla conquista dell’Italia» (Firenze 1916). La data di pubblicazione del libro smentisce sonoramente quanti vollero vedere nello studioso Irpino un mero agente del III Reich in Italia.
Un altra importante data da annoverare nella storia del futuro politico irpino è quella legata al 1917, allorquando, in seguito allo sfondamento delle linee italiane da parte delle truppe austro-tedesche, Il paese cadde nel panico e nello sconforto più totale; Preziosi ed altri convinti nazionalisti passarono immediatamente all’attacco, dando vita al «Fascio parlamentare di difesa nazionale». La nascita del «Fascio» e i suoi obiettivi sono ricordati da Preziosi nell’articolo: «Nel solco della storia. Come sorse il «Fascio parlamentare di difesa nazionale» («La Vita italiana», fasc. CCIV, marzo 1930, a. XVIII), dove si legge che mentre i neutralisti della Camera volevano la pace separata, lui e altri interventisti esigevano la prosecuzione della guerra. Così Giovanni Preziosi e Maffeo Pantaleoni cominciarono dai primi di dicembre a carpire l’adesione di importanti uomini politici interventisti (Salandra, Di Cesarò, Pirolini, Martini, Federzoni, Corradini, Bruccolieri, Giardini) che, il 9 dicembre alle ore 22 in via dell’Umiltà 25 (sede de «La Vita Italiana»), diedero vita al «Fascio parlamentare di difesa nazionale» (dal 24 maggio 1918 «Fascio nazionale italiano»). In quella seduta e nelle successive (10 e 12 dicembre), si stabilì la strategia da attuare alla Camera che, come proposto da Preziosi, prevedeva lo spostamento degli oltre 150 deputati (e 90 senatori) aderenti al «Fascio» sui banchi di destra, mentre lo stesso Preziosi con il suo solito intransigentismo chiedeva senza successo anche l’arresto dei leaders socialisti (in quanto disfattisti) e l’espulsione delle spie.
Nel 1920 il fascista irpino tradusse e pubblicò:«I Protocolli dei Savi Anziani di Sion» che divennero il “motore immobile” di tutto il suo pensiero.
Da quel momento in poi la sua vita rimase imperniata attorno al “problema ebraico” che abbracciava tutti gli altri.
Già all’epoca della pubblicazione si dubitava sull’autenticità degli stessi. Oggi si è praticamente certi della loro falsità. Ma… c’è un ma. Al lettore dei Protocolli non serve un documento che ne certifichi l’autenticità. Al lettore vien risparmiato pure lo sforzo di provare il contrario. Non occorre un grande afflato investigativo per mettere in ordine cronologico la serie di eventi che ci portano all’oggi.
Si dirà: “Tutti noi, in fondo, abbiamo una strega nell’armadio e un orco onnipresente nei nostri incubi per cui risulta sin troppo facile attribuire all’ebreo errante tutti i mali di questo mondo.” Vero! Ma nessuno, anche la persona “malata” di razionalismo, può confutare il fatto incontrovertibile che esistono altrettante vicende inquietanti di cui sicuramente vi è traccia provata negli annali di storia e che rivestono una somiglianza impressionante con l’assunto dei Protocolli.
Marco Dolcetta, per esempio, che sicuramente non può essere sospettato di nutrire simpatie filonaziste o anche semplicemente fasciste, nel n. 7 del periodico Il nazismo esoterico (Hobby & Work, Milano 1994) scrive:
"Oggi il dibattito verte non sulla autenticità dei Protocolli, ma sulla cosiddetta veridicità degli stessi", e ci informa che: Esiste una grande analogia tra i Protocolli e un documento che fu pubblicato ne Le Contemporain il 1° luglio 1886, col titolo: Resoconto degli avvenimenti storico–politici avveratisi negli ultimi dieci anni.
Si tratta di un discorso programmatico tenuto a Praga dal rabbino Reichhorn in occasione di un’adunanza dei rabbini, denominata "Caleb", presso la tomba delgran rabbino Simeon-Ben-Jhuda>";
Ora, lungi dall’approfondire questo fatto che richiederebbe da solo almeno un lungo post, si può serenamente affermare, che quanto scritto nei Protocolli e la situazione odierna.
Sotto questo aspetto vengono smentite tutte quelle voci – autorevoli e non – secondo cui Preziosi sarebbe stato notevolmente influenzato dall’ascesa di Hitler al potere.
Lo studioso irpino, con notevole anticipo sui tempi, indagò tanto sul problema del Mezzogiorno tanto su quello ebraico e venne alla conclusione che essi erano strettamente collegati.
Solo che il suo rigore e la sua serietà non gli permettevano di sferrare l’attacco apertamente senza avere delle prove. Mancava ancora all’appello qualcosa che potesse spiegare il tutto: un legame inscindibile fra cose apparentemente scollegate.
Tale “prova”, a conferma delle sue ipotesi, gli sarà fornita solo dalla lettura dei «Protocolli» che, a partire dal 1920, divennero il suo punto di riferimento.
Preziosi eccezionale interprete del fascismo napoletano.
La penetrazione del movimento fascista nell’ambito dei partiti tradizionali, fu facilitato, molto probabilmente, da una comune matrice massonica, che costituì, in un certo senso, un freno nello scontro tra gruppi essenzialmente borghesi. Per quanto riguarda la vicinanza del fascismo ai “popolari” essa andava ricercata più che altro nelle cricche clientelari che spinsero i candidati dell’ala moderata a confluire nel partito vincente. Nello scontro tra le due fazioni del moderatismo, il fascismo si schierò, in genere, con la corrente progressista, più incline alle istanze del nuovo ceto politico.
Nel capoluogo irpino la classe dirigente fascista fu cooptata dalle file del Partito Popolare, il cui ultimo segretario provinciale, Modestino Romagnosi, rivestiva la carica di rettore dell’amministrazione provinciale, affiancato da un altro popolare: l’avv. De Cunzo.
Aurelio Padovani - Il fascismo irpino era formato essenzialmente da due fazioni: una fanatica e violenta, che faceva capo ad Aurelio Padovani e l’altra più opportunista (quella vincente) cooptata dal vecchio sistema politico mediante il tradizionale trasformismo, rappresentata dal marchese Paolo De Cristofaro, affiancato dal giurista Alfredo De Marsico. La refrattarietà all’attecchimento del fascismo nel capoluogo irpino va ricercata nella fitta rete clientelare preesistente e dalle forze politiche tradizionali, che avevano dalla loro parte soprattutto i ceti impiegatizi medio-superiori. Ciò fece si che le resistenze si protrassero ben oltre la marcia su Roma e il consolidarsi del potere fascista. Il fascismo - sosteneva Preziosi - aveva creato nel Mezzogiorno «una nuova classe trasformistica, la cui forza era riposta nell’opera di mediazione tra il Governo centrale e le masse inerti».
Come ho accennato nell’incipit, Preziosi non fu un “fascista di regime”, un uomo di apparato, un borghese arrivista, né, tantomeno, un “grigio” burocrate. Al contrario, egli si fece - sin dalla sua precoce adesione al fascismo – interprete di una linea liberal-conservatrice, pervicacemente contraria ad ammettere clientele e favoritismi di qualsiasi tipo, ivi comprese quelle nazionaliste. La sua intransigenza e il suo rigore morale fecero si che appoggiasse persino persone contrarie al suo modo di pensare ma che, nel contempo, rispecchiassero quell’ideale di pulizia morale che da sempre tenacemente perseguiva. E’ il caso dell’espulsione di Padovani dal PNF. Ebbene, Preziosi fu nella capitale partenopea in veste di mediatore tra gli inviati della direzione nazionale ( Italo Balbo e Emilio De Bono) ed il gruppo dissidente napoletano.
Preziosi, pur rappresentando, in linea di massima, la linea “destra” del partito, non esitò a schierarsi con il “fascista di sinistra” Padovani, poiché quest’ultimo (come lui) faceva della drittura morale la caratteristica primaria del suo agire. Questa caratteristica non giovò alla carriera politica di Preziosi che, ben presto, si vide emarginato ed escluso dalle “stanze dei bottoni”, e più tardi, in seguito ad altre polemiche, perse pure la direzione de il quotidiano napoletano «ROMA» e persino de il «Mezzogiorno».
L’ascesa di Hitler al potere
Adolf HitlerNel 1933, quando Adolf Hitler salì al potere, Preziosi ricominciò gradualmente la sua ascesa politica. L’anno successivo, Preziosi, pur sapendo di non fare cosa gradita al Duce riprese la sua lotta all’idra ebraica. Da «La Vita Italiana» furono lanciate invettive durissime contro gli ebrei e contro la Massoneria, vero cancro del fascismo italiano. In questa sua immane lotta fu affiancato da Farinacci che condivideva in pieno la linea dello scrittore irpino.
Nel 1937 Preziosi e Farinacci ripubblicarono i «Protocolli dei Savi Anziani di Sion», suscitando risentimento e reazioni sempre contrarie.
L’anno dopo, vi fu una vera e propria campagna stampa condotta non solo da «La vita Italiana» ma anche da altri giornali come «Il Tevere», «il Quadrivio», e ad un più alto livello, il «Regime fascista». Quell’anno vide ala nascita di un’altra rivista: «La difesa della Razza», diretta dall’ottimo Telesio Interlandi. Quest’ultimo allargò la campagna razziale a tutti i settori dello scibile umano. La campagna stampa prese ancora più vigore allorquando Paolo Orano pubblicò un panphlet dal titolo: «Gli ebrei in Italia». Dalla prima metà del 1938 apparvero tutta una serie di articoli antisemiti anche in quotidiani prestigiosi e più diffusi come il «Corriere della Sera» e il «Giornale d’Italia».
Il 1938 fu un anno cruciale per l'ebraismo europeo. Per la prima volta dopo l’unità d’Italia, si assistette in Italia al passaggio da un razzismo frammentario, composto di pregiudizi religiosi e di atteggiamenti intolleranti, a un vero e proprio razzismo di stato. L’Italia ad imitazione della Germania, varò una legislazione propriamente razzista e, proprio per questo, tutto cambiò dal momento in cui il razzismo diviene un fenomeno propriamente politico e più ancora statale. In questo preciso frangente vengono legittimate teorie e pratiche preesistenti nella società attraverso una loro valorizzazione dall'alto e viene fornito un impulso che fa compiere un salto di qualità al razzismo generico.
Alla vigilia della seconda Guerra Mondiale, Preziosi mandò alle stampe un libro dal Titolo: «Come il Giudaismo ha preparato la guerra», che metteva in luce la reale situazione che la Germania e l’Italia si dovevano preparare ad affrontare. L’opera successiva fu:
«Giudaismo, Bolscevismo, Plutocrazia, Massoneria». Si tratta di una raccolta di scritti di Preziosi durante l’arco di 25 anni. In quest’opera - più ancora che nella precedente - Preziosi dimostrò come si fosse instaurato un vero e proprio programma d’azione del giudaismo internazionale e delle dipendenti forze occulte (Massoneria), volte a favorire prima, e a scatenare poi, la guerra nel mondo, per assicurare il dominio di Israele sull’intero pianeta. Tutte queste cose - che allora sembravano solo “illazioni” prive di fondamento- si sono dimostrate oggi come indubitabili verità. La collaborazione e la vicinanza dello studioso irpino con Farinacci favorì sicuramente il primo, tanto che Mussolini nel 1942 lo nominò Ministro di Stato.
Bruno Spampanato in un suo contro memoriale, parlando di Preziosi, si limita a definirlo come “giornalista famoso per le sue polemiche”. La risposta di Preziosi, come sempre accadeva in questi frangenti, non si fece attendere: scrisse a Mussolini dicendogli che se avesse voluto salvare il fascismo avrebbe dovuto agire per tempo, poiché il Partito, dove si era appena insediato il nuovo segretario Scorza, era diventato un’altra cosa. Preziosi, ovviamente, non poteva scrivere che la scelta del Duce ricaduta su Scorza fu affatto sbagliata, ma le sue parole furono altrettanto inequivocabili. Attraverso quella scelta, a dir poco infelice, il Duce aveva perso il controllo del Partito. Il PNF era ormai solo un enorme edificio burocratico con molto marmo e allumino nelle sedi, ma con poca capacità e drittura morale. A ben vedere, dunque, «La Vita Italiana» si dimostrò - nei fatti - una rivista tanto temibile per gli oppositori quanto per molti “discussi” personaggi del regime. Inoltre lo Spampanato riferisce aver avuto una conversazione con il Ministro Irpino nel giugno del 1943. In questa conversazione Preziosi avrebbe detto:
“Sono moltissimi quelli che sono fedeli a Mussolini ma questa gente sentimentale e onesta conta meno che niente. Chi conta sono i traditori, i profittatori che stanno ai posti di comando. Loro si butteranno a mare per primi. Non penseranno che a salvarsi. Questo nel caso migliore. Ma c’è anche qualcuno che tenterà di far saltare la baracca piuttosto che restarci sotto”.
Ed ancora: “Troppa gente si vede. Che stanno preparando Grandi, Bottai e Federzoni? Che fa Ciano alla Santa Sede?”
Poco tempo dopo, le previsioni di Preziosi si avverarono puntualmente. Il 24 Luglio del 1943 il Gran Consiglio del Fascismo mise in minoranza Mussolini, dando al Re il pretesto per desautorarlo e, indi. arrestarlo. Il giorno successivo Preziosi, che aveva moltissimi nemici, si rifugiò in Germania. In terra tedesca l’ex sacerdote irpino trovò consensi, appoggi e acclamazioni; ebbe numerosi contatti con Rosemberg e fu più volte ricevuto dallo Stesso Adolf Hitler.
8-09-1943 - L’otto settembre Preziosi, Pavolini e Farinacci dettero inizio a trasmissioni fasciste da Radio Monaco che continuarono persino durante la RSI. Gli eventi nefasti del 25 luglio e dell’8 settembre 1943 avevano determinato la ferma convinzione che occorreva mettere mano alla questione ebraica quanto prima possibile. Si era aspettato sin troppo a lungo per tentennare ancora. Preziosi, infatti, già nel settembre del ‘42 scriveva:
"Per effetto della guerra ebraica, siamo - gomito a gomito con la Germania e con gli alleati - impegnati per la vita e per la morte contro le forze coalizzate dell’ebraismo antifascista mondiale”
e anche… «è urgente - prima di ogni cosa - un’opera di ricerca e di indagine per precisare quanto sangue ebraico è stato immesso palesemente e alla chetichella negli Italiani».
Quest’ultima dichiarazione – apparentemente assurda – trova la sua ragion d’essere nel fatto che molti ebrei furono naturalizzati italiani attraverso cambi di cognome e quant’altro. Molti ebrei e massoni controllavano l’economia italiana, per cui è ben difficile asserire (oggi) che il Duce abbia realmente governato.
Nel marzo del 1944 Preziosi era a capo dell’ “Ispettorato generale della Razza”; stabilì la sede dell’Ispettorato a Desenzano sulle rive del Garda; si mise subito all’opera: mise a punto un piano dettagliato per eliminare gli ebrei dalla R.S.I. Due mesi dopo aveva già elaborato i primi provvedimenti di carattere razziale che avrebbero innovato la legge già varata (1938-1943). E’ da segnalare una cosa importantissima: uno dei primi atti emanati dal governo Badoglio fu quello di abrogare le cosiddette leggi razziali!
Purtroppo i provvedimenti varati da Preziosi furono tutti bocciati e, soprattutto, l’applicazione delle leggi esistenti trovarono poco zelo da parte degli italiani tutti che, anzi, si diedero da fare per mettere in salvo quanti più ebrei fosse possibile. Ci fu, se non proprio una gara, sicuramente una vasta partecipazione di tutta la popolazione italiana che, a vario titolo e a vari livelli, dai più elevati a quelli più umili, fece in modo da dare copertura, riparo e solidarietà.
Anche qui Preziosi trovò numerosi ostacoli. Il ministero delle Finanze, D.G. Pellegrini, riuscì ad imprimere all’operazione soprattutto un carattere economico-finanziario. I beni degli ebrei furono confiscati e resi all’erario.
Epilogo
Giovanni Preziosi si tolse la vita, insieme con la moglie Valeria, a Milano, dopo una fuga avventurosa da Desenzano del Garda, dove vi era la sede dell'Ispettorato per la Razza. E' l'ultimo atto tragico di un uomo solo, spaesato, che vede ormai intorno a sé soltanto un cumulo di macerie (non soltanto materiali); un mondo di rovine popolato da morti che camminano; un mondo in cui lo “spirito ebraico” aveva pervaso tutto e tutti contagiando gli stessi ariani.
Prima di rendere la sua anima scrisse:
"Ho vissuto tutta la mia vita per la grandezza della Patria. Seguii Mussolini perché vidi in lui l'uomo che alla Patria poteva dare grandezza. Dopo il 25 luglio sperai ancora. Oggi che tutto crolla non so fare nulla di meglio che non sopravvivere. Mi segue in questo atto colei che ha condiviso tutte le mie lotte e tutte le mie speranze. Di questo gesto un giorno nostro figlio Romano andrà orgoglioso."
http://proscritti.blogspot.com/2010/10/un-fascista-scomodo.html
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
"l’applicazione delle leggi esistenti trovarono poco zelo da parte degli italiani tutti che, anzi, si diedero da fare per mettere in salvo quanti più ebrei fosse possibile."
RispondiEliminaRisulta evidente come gli italiani non furono ben informati del perché di queste leggi, quindi dal loro punto di vista si trattava di salvare vite umane e non i loro aguzzini, da questo punto di vista gli Italiani sono da encomiare, il problema vero è stato e rimane ancora oggi che la propaganda del materialismo fa meglio breccia di quello spirituale, questo per via dell'errata interpretazione del messaggio Cristico (che non fu crocefisso né tanto meno sacrificato per la salvezza delle genti).
Proprio su questo fa leva il messaggio satanico oggi propagandato dai massoni perlopiù ebrei (ma non solo), ovvero sul non lavoro su se stessi, sul non sacrificare nulla di ciò che il nostro ego chiede (di fatto la chiesa massonica a prontamente aggiornato il cristianesimo eliminando digiuni e vegli che ancora quando ero piccolo vagamente se ne parlava e praticava).
Badate, è l'ego che viene corrotto non l'anima intellettiva, che però è debole di fronte ad un uomo che attinge forza dal consumismo e dai mille vizi proposti da uno smodato vivere.
Non si possono emanare leggi in tal senso se prima non si è reso l'uomo Vivo e privo di ignoranza, ovvero fede.