sabato 27 novembre 2010

Silvio Gesell - a 80 anni dalla morte (11 marzo 1930) -- e la "moneta del popolo"



Scritto da autori vari
mercoledì 10 marzo 2010

Nel 1931, Woergl - una cittadina del Tirolo - contava 4500 abitanti; e, fra i 2 mila adulti, 1500 disoccupati. Infuriava la grande «depressione», con il suo gelido corollario: la deflazione. Le aziende avevano chiuso, fallite. Il denaro non circolava; anzi era sparito, la crisi suggerendo a chi ne aveva di tenerlo sotto il materasso (nella deflazione, i tassi d'interesse sono troppo bassi per invogliare anche i depositi bancari). Insomma l'economia era congelata. Il paesello affondava nella miseria. Il Comune era formalmente in bancarotta, perché non riceveva più le imposte e i tributi locali e non era in grado di pagare i suoi impiegati. Fu allora che il sindaco - si introduce qui il nome di questo eroe qualunque: Michael Unterguggenberger - decise di battere la sua propria moneta. Era stato un sindacalista, socialdemocratico e anti-marxista. Voleva aiutare i suoi disoccupati, voleva mettere dei soldi nelle tasche dei suoi cittadini, perché costoro ricominciassero a pagare le tasse. Era una moneta del tutto speciale: moneta deperibile. Per tenerla in corso, chi possedeva una di quelle banconote doveva apporvi ogni mese un bollo, che costava l'1% del valore facciale della moneta. Il taglio da 10 scellini (ma l'emissione comprendeva tagli da 1 a 5 scellini) esigeva un bollo mensile di 0,1 scellini. Di fatto quella moneta perdeva ogni anno il 12% del suo valore. Herr Unterguggenberger la chiamò «banconota del lavoro».

L'ammontare della nuova emissione era di 32 mila scellini dell'epoca, pari a circa 4500 dollari di allora. Una cifra ragguardevole per un piccolo paese, e infatti risultò presto in eccesso in proporzione alle necessità di Woergl. Saggiamente, il sindaco scongiurò l'inflazione che avrebbe potuto seguire l'eccesso di emissione, ritirando parte delle banconote; gradatamente, solo un terzo delle monete deperibili rimase in circolazione. L'emissione era «coperta» alla pari: una somma uguale di veri scellini era depositata dal Comune nella locale banca di risparmio.
In ogni momento, ogni detentore di «banconote del lavoro» (moneta deperibile) avrebbe potuto presentarle all'incasso e riscuotere scellini. Ma fu stabilito che, per questa operazione, la banca avrebbe riscosso un «aggio di servizio» del 2%. Poiché il costo di detenzione della moneta deperibile, 1%, era solo la metà del costo del suo cambio in scellini, di fatto nessuno portò mai all'incasso la nuova moneta.
Tutti gli impiegati del Comune, compreso il sindaco, dal luglio 1932 cominciarono a ricevere metà del loro stipendio in moneta deperibile.
Gli operai che lavoravano per il locale «Comitato di soccorso disoccupati» (ed erano impiegati dal Comune in piccole opere pubbliche) ricevevano invece integralmente il loro salario nel denaro comunale.
A tutta prima, i bottegai locali si rifiutarono di accettare quello strano surrogato di moneta, che per di più perdeva - come in un'inflazione pre-programmata - ogni anno il 12 % del valore. Ma il sindaco abilmente ruppe il fronte dei commercianti, convincendone alcuni ad accettare la nuova moneta, promettendo agevolazioni a chi lo faceva.

Anche i riluttanti alla fine saltarono su quel treno: del resto, era praticamente il solo denaro in circolazione. Presto tutti la accettarono senza esitare, per il solo fatto che chiunque altro l'accettava.
Con due sole eccezioni: l'ufficio postale e la stazione ferroviaria - istituzioni dello Stato - rifiutarono le «note del lavoro» e continuarono a pretendere scellini.
La presenza di quella moneta deperibile, che nessuno aveva interesse ad accumulare, fece rinascere vivacemente - a livello locale - la circolazione monetaria, e dunque risorgere l'economia. La gente si affrettava a spendere quei soldi, e riprese a comprare merci (uno dei danni terribili della deflazione è che ognuno ritarda gli acquisti, perché si aspetta che i prezzi calino ulteriormente domani); ci fu chi pagò in anticipo le tasse comunali, per non dovere comprare i bolli dell'1% necessari a tenere in valore la moneta (il Comune, ovviamente, accettava le sue note in pagamento dei tributi).
Era dal 1926 che il Comune non vedeva tanti introiti. Le tasse arretrate e non pagate fino all'introduzione della moneta deperibile ammontavano a 118 mila scellini, ossia al quadruplo dell'emissione di «banconote del lavoro». Nel primo mese della nuova emissione, già 4.542 scellini erano stati pagati. Il Comune non solo potè cominciare a far fronte ai suoi creditori, ma presto riuscì ad occupare parte di quei 1500 disoccupati in opere pubbliche.
Furono asfaltate sette strade di Woergl per un totale di 6 chilometri; migliorate le fognature; piantati nuovi alberi nelle foreste; nel 1933 era in costruzione un trampolino da sci per i turisti (Woergl è una località alpina). Le opere pubbliche attivate dalla moneta deperibile ammontarono al triplo dell'emissione, 100 mila scellini.
Persino la sola banca del paese (filiale locale della Reifeisen Bank) ne ebbe vantaggio. Qui, per tutto l'anno precedente l'introduzione della banconota deperibile, i prelievi avevano superato i depositi. Ma già nell'agosto 1932, dopo un solo mese di vita della nuova banconota, i depositi tornarono a crescere, superando i prelievi di 6591 scellini.
Il microscopico esperimento di «moneta di popolo», insomma, funzionò. Al punto che alcune città vicine, compresa Innsbruck, cominciarono a prendere in considerazione l'idea. Giornalisti, poi economisti, accorsero a visitare quella cittadina tirolese che cominciava a prosperare, unica isola nella miseria della «grande depressione».
Funzionò troppo bene. Il sindaco, felice, raccontò ai giornalisti quanto segue: che il 12% annuo estratto dalla bollatura delle banconote, lui, l'aveva reinvestito e speso per il bene della popolazione.
E che, dato il ritmo della circolazione, ogni mese il Comune vedeva tornare nelle sue casse «venti volte» l'ammontare dei primi stipendi pagati con le banconote deperibili. Il 2000 %. Incauta rivelazione.
Forse senza nemmeno sospettarlo, Unterguggenberger rivelava due segreti vietati: l'enorme profitto che il sistema bancario estraeva dalla circolazione, e quello immenso e occulto che l'emissione monetaria regala a chi batte la moneta.
Fino a quel momento, il governo austriaco non aveva mostrato ostilità verso l'esperimento di Woergl. Fu la Banca Nazionale d'Austria - la banca privata che emette lo scellino, la moneta nazionale - a pretendere l'abolizione di quel fastidioso concorrente, quell'innocente rivelatore della frode fondamentale. A forza di legge, la moneta deperibile fu bandita nel settembre 1933, come contraria al monopolio monetario accordato alla Banca Centrale.

L'idea della moneta deperibile, che accese la fantasia di Ezra Pound, ha un inventore sul cui nome è stato fatto cadere l'oblio: Silvio Gesell (1862-1930).
Come definirlo? Utopista socialista, antimarxista, economista selvaggio, conobbe anni di celebrità. John Maynard Keynes lodò la sua genialità. I suoi libri conobbero molte traduzioni, e le sue teorie ebbero molte applicazioni persino in USA, negli anni '30.
Tedesco di nascita, Gesell era un uomo pratico: commerciante e importatore in Argentina. Nel 1880, l'Argentina conobbe una crudele deflazione: il tipo di crisi su cui Gesell meditò, e a cui propose il suo eretico rimedio. Fenomeno contrario dell'inflazione, la deflazione (che segue spesso una bolla speculativa, un boom malsano) consiste in una continua caduta dei prezzi.
Di conseguenza, i consumatori tendono a ritardare i loro acquisti, nell'aspettativa di poterli comprare più tardi a prezzi meno cari. Le imprese produttrici vedono le loro merci restare invendute; poiché sono indebitate presso le banche, rischiano di non essere più in grado di pagare gli interessi sui debiti. Si risolvono ad abbassare i prezzi, per invogliare gli acquirenti, limando sui propri profitti: ma ciò aggrava il ribasso e dunque la crisi deflazionistica. Viene il momento in cui le aziende devono dichiararsi insolventi; falliscono, licenziano. I disoccupati aumentano, il potere d'acquisto diminuisce, ancor più merci restano invendute. Alla fine è l'intera produzione, l'intera economia, che si paralizza.
La circolazione monetaria declina, fino tendenzialmente all'arresto. Non si spende più. Chi ha denaro lo accumula anziché investirlo, aggravando il male. Del resto, le banche non trovano più imprenditori disposti a chiedere prestiti: una delle conseguenze della deflazione è che, anche se il denaro è prestato all' 1 %, allo 0,5 %, è ancora troppo caro. I tassi d'interesse reali sono troppo costosi in deflazione, perché al
tasso nominale va aggiunto il peso della diminuzione dei prezzi. Se i prezzi sono calati del 6 % (-6), anche un tasso nominale dell' 1 % risulta, per il debitore, del 7 % reale.
Keynes, preoccupato dello stesso fenomeno che mobilitò Gesell, la deflazione appunto, raccomandò l'abbassamento dei tassi.
Ma, come abbiamo visto, questa decisione non basta a riavviare l'economia, perché i tassi reali sono sempre troppo cari.
Per contrastare l'inflazione è utile (fino a un certo punto) rialzare i tassi; ma per combattere la deflazione bisognerebbe applicare tassi «negativi», il che è impossibile: come si può convincere il risparmiatore a investire (prestare) 100 euro con la condizione che, alla fine, ne otterrà 96?
Per questo la deflazione è molto peggio che l'inflazione: è incurabile.
Nella storia, il solo modo escogitato per uscire dalle fasi di deflazione è stato la guerra: grande consumatrice che si sostituisce ai consumatori.
E' la moneta deperibile di Gesell la soluzione al problema. Anziché «premiare» il capitale con la concessione di un interesse a chi lo presta, il suo sistema «penalizza» chi detiene capitale inoperoso, chi non lo spende. La lieve penalizzazione - il bollo mensile per mantenere in corso le banconote - rende conveniente spendere quei soldi.

Di fatto, Gesell inserì la sua idea monetaria in una teoria economica utopica, socialista (alla Proudhon, non alla Marx) che chiamò economia liberata (Freiwirschaft), e a cui attribuiva doti palingenetiche di giustizia sociale e progresso umano.
Non solo voleva liberare il credito dall'interesse, ma la terra dal costo delle rendite e degli affìtti. Secondo lui, in un'organizzazione «economica liberata» dai privilegi e dai lucri dei proprietari terrieri e dei prestatori finanziari, i lavoratori avrebbero ricevuto finalmente il frutto integrale del loro lavoro.
La concorrenza avrebbe avuto garantite per tutti uguali condizioni iniziali, l'economia sarebbe fiorita; ma senza confische forzose, né autarchia, né collettivizzazione. Come?
Gesell analizzò l'interesse monetario, l'aggio che il creditore riscuote dal debitore, e lo dichiarò costituito da tre parti.
La prima è la quota d'interesse, legittimo, che retribuisce il rischio insito nel prestar denaro (il debitore potrebbe fallire, fuggire, rubare).
La seconda è la quota d'interesse che compensa l'inflazione attesa, ed è anch'essa legittima: il prestatore ha diritto a vedersi restituire almeno lo stesso potere d'acquisto dei risparmi che (invece di spenderli per i propri piaceri) ha prestato a un imprenditore.
Ma la terza quota - Gesell la chiama «tributo» - è ciò che il creditore riscuote per il vantaggio naturale di possedere denaro anziché altri beni, e questa quota è illegittima.
Perché mentre gli altri beni, le merci, deperiscono, invecchiano, si consumano e si usurano, la moneta è l'unico bene che non deperisce, e la cui detenzione non comporta costi.
Questo interesse è un «tributo» perché, come prelievo occulto, pone un limite inferiore al tasso di profitto atteso da un progetto produttivo, agricolo o industriale.
In altri termini: ogni capitalista presterà il proprio capitale solo se il suo tasso d'interesse, oltre a retribuire il rischio e compensare l'inflazione, comprenderà anche il «tributo»; e ognuno comprerà e investirà solo con l'aspettativa che il prezzo di vendita supererà il prezzo d'acquisto accresciuto del «tributo». Altrimenti, il capitale verrà tenuto da parte.
Il panettiere non può fare a meno di vendere il suo pane; chi detiene la moneta può accumularla in attesa di tempi migliori, perché la moneta non diventa rafferma, non caglia, non marcisce, non si usura (tranne nell'inflazione: ma Gesell ha di mira la deflazione).
Per questo - come Gesell ha capito meglio di Keynes - non vale abbassare.

http://it.wikipedia.org/wiki/Silvio_Gesell

Nessun commento:

Posta un commento