sabato 9 ottobre 2010

A proposito della questione sull’autenticità dei «Protocolli» dei Savi Anziani di Sion


di Francesco Lamendola

Da quando hanno fatto la loro comparsa nella storia d’Europa (la prima traduzione italiana apparve nel 1921 a cura di Giovanni Preziosi), i «Protocolli dei Savi Anziani di Sion» non hanno cessato di polarizzare l’attenzione degli storici, dei politologi e dell’opinione pubblica intorno alla controversia sulla loro autenticità.

Il libro, apparso nella Russia di Nicola II all’interno di un’opera più vasta del mistico russo Sergej Nilus, è scritto in prima persona da un “grande vecchio” che rivolge le sue parole a un’assemblea di anziani ebrei, esponendo le linee guida di un piano strategico dalla straordinaria vastità di concezione e mirante, addirittura, alla conquista e alla sottomissione del mondo da parte degli Ebrei, il “popolo eletto”.

Infiltrandosi come una prodigiosa, efficientissima e segretissima quinta colonna nelle società cristiane, e segnatamente nei centri del potere economico, finanziario, culturale e dell’informazione, gli Ebrei - stando a questo testo - si porrebbero l’obiettivo dichiarato di indebolire la fibra morale di tutte le società non ebree, sovvertendo gradualmente, ma inesorabilmente, tutti i valori, tutte le certezze, tutte le tradizioni, fino a creare le condizioni adatte perché il mondo intero cada, come un frutto maturo, in potere dell’ebraismo internazionale, che agisce per mezzo di banchieri, uomini politici, giornalisti ed esponenti del mondo della cultura.

Dal momento che i «Protocolli» si prestano ad una lettura in chiave antisemita e che, effettivamente, essi entrarono a far parte del bagaglio propagandistico antisemita del nazismo (e, in misura molto più blanda, del fascismo, ma solo all’epoca delle leggi razziali del 1938), con tutto quello che ne è derivato, gli storici della seconda metà del Novecento hanno liquidato l’intera questione della loro autenticità, dichiarandoli un falso confezionato dalla «Ochrana», il servizio segreto zarista, probabilmente a Parigi e con lo scopo di creare una sorta di giustificazione morale per i “pogrom” che infuriavano, di quando in quando, in Russia, in Ucraina, in Polonia.

Anche il saggista Sergio Romano, col suo libro del 1992 «I falsi protocolli», ha impostato così tutta la problematica ad essi relativa, come già il titolo suggerisce chiaramente: come se, una volta assodata la loro non autenticità, venisse a cadere interamente l’altra questione, ad essa collegata, ma che nessuno osa anche soltanto accennare, tanto forte è il timore di essere accusati di antisemitismo o addirittura di simpatie per il nazismo: se, cioè, le cose espresse in quel documento possano corrispondere a dei fatti reali e se, inoltre, siano o meno in linea con la Legge ebraica e con il sentire ebraico nei confronti dei “gojm”, dei Gentili.

Ma torniamo al legame fra l’«Ochrana» e i «Protocolli».

Ora, a parte il fatto che si potrebbe discutere se tutti i “pogrom” fossero voluti e organizzati dagli ambienti antisemiti della Russia e dai servizi segreti zaristi, o se non possano ricondursi anche, almeno in parte, ad una manovra delle potenti lobbies ebraiche dell’Europa occidentale e degli Stati Uniti, proprio allo scopo di screditare il governo zarista (ne abbiamo già parlato nell’articolo «Possono darsi delle verità così tremende che nessuna voce umana riuscirebbe a pronunziarle», inserito sul sito di Arianna Editrice in data 28/02/10), forse sarebbe il caso di domandarsi se la questione della autenticità, affermata o negata che sia, costituisca davvero la questione centrale che ci si dovrebbe porre davanti a questo impressionante documento.

Infatti, posto e stabilito che nessuna seria società segreta lascia documenti scritti relativi ai suoi complotti (e, in questo senso, i «Protocolli», nella versione in cui li conosciamo, sono quasi certamente un falso), il punto è che non si dovrebbe guardare il dito che indica la Luna, ma la Luna in se stessa: si dovrebbe cioè vedere se, nello sviluppo della storia moderna e nelle prescrizioni e invocazioni della “Torah”, della “Misnah” e del “Talmud”, i concetti espressi nei «Protocolli» trovino corrispondenza, oppure no.

A proposito dell’intera questione, Julius Evola, autore della «Introduzione» all’edizione italiana del 1938 dei «Protocolli», curata dalla rivista di Giovanni Preziosi «La vita italiana», così si esprimeva (pp. 9-10):

«Due punti vengono particolarmente in risalto nei “Protocolli”. Il primo si riferisce direttamente alla questione ebraica. Il secondo ha una portata più generale e conduce ad affrontare il problema delle forze vere in atto nella storia. Perché il lettore si renda pienamente conto dell’uno e dell’altro punto, crediamo opportuno svolgere alcune considerazioni, indispensabili per un giusto orientamento.

Per un tale orientamento, occorre anzitutto affrontare il famoso problema della “autenticità” del documento, problema sul quale si è voluto tendenziosamente concentrare tutta l’attenzione e misurare la portata e la validità dello scritto. Cosa invero puerile. Si può infatti negare senz’altro l’esistenza di una qualunque direzione segreta degli avvenimenti storici. Ma ammettere, sia pure come semplice ipotesi, che qualcosa di simile possa darsi, non si può, senza dover riconoscere che, allora, s’impone un genere di ricerca ben diverso da quello basato sul “documento” nel senso più grossolano del termine. Qui sta precisamente – secondo la giusta osservazione del Guénon – il punto decisivo, che limita la portata della questione dell’”autenticità”: nel fatto, che NESSUNA ORGANIZZAZIONE VERAMENTE E SERIAMENTE SEGRETA, QUALE SI SIA LA SUA NATURA, LASCIA DIETRO DI SÉ DEI “DOCUMENTI” SCRITTI. Solo un procedimento “induttivo” può dunque precisare la portata di “testi”, come i “Protocolli”. IL CHE SIGNIFICA CHE IL PROBLEMA DELLA LORO “AUTENTICITÀ” È SECONDARIO E DA SOSTITUIRSI CON QUELLO, BEN PIÙ SERIO ED ESSENZIALE, DELLA LORO “VERIDICITÀ”. Giovanni Preziosi già sedici anni or sono, nel pubblicare per la prima volta il testo, aveva ben messo in rilievo questo punto. La conclusione seria e positiva di tutta la polemica, che nel frattempo si è sviluppata, è la seguente: CHE QUAND’ANCHE (cioè: dato e non concesso) I “PROTOCOLLI” NON FOSSERO AUTENTICI NEL SENSO PIÙ RISTRETTO, È COME SE ESSI LO FOSSERO, PER DUE RAGIONI CAPITALI E DECISIVE:

1) Perché i fatti ne dimostrano la verità;

2) Perché la loro corrispondenza con le idee-madre dell’Ebraismo tradizionale we moderno è incontestabile.»

Che l’antisemitismo di Evola non fosse di tipo biologico - e quindi razzista - è attestato, peraltro, dal seguente passaggio (che, ove ipotizza una strumentalizzazione degli stessi Ebrei da parte di poteri occulti corrispondenti ad un livello più alto, che potrebbe far capo a forze non interamente umane, ricorda, sia detto fra parentesi, la posizione sostenuta al presente da David Icke; op. cit., p. 21-22):

«Diciamo subito che noi personalmente non possiamo seguire, qui, un certo antisemitismo fanatico che, nel suo voler vedere dappertutto l’Ebreo come “deus ex machina”, finisce col cader esso stesso vittima di una specie di tranello. Infatti dal Guénon è stato rilevato che uno dei mezzi usati dalle forze mascherate per la loro difesa consiste spesso nel condurre tendenziosamente tutta l’attenzione dei loro avversari verso chi solo in parte è la causa reale di certi rivolgimenti: fattone così una specie di capro espiatorio, su cui si scarica ogni reazione, esse restano libere di continuare il loro giuoco. Ciò vale, in una certa misura, anche per la questione ebraica. La constatazione della parte deleteria che l’Ebreo ha avuto nella storia della civiltà non deve pregiudicare una indagine più profonda, atta a farci presentire forze di cui lo stesso Ebraismo potrebbe esser stato, in parte, solo lo strumento. Nei “Protocolli”, del resto, spesso si parla promiscuamente di Ebraismo e di Massoneria, si legge” cospirazione massonico-ebraica”, “la nostra divisa massonica, ecc., e in calce della loro prima edizione si legge: “firmato dai rappresentanti di Sion del 33 grado”. Poiché la tesi, secondo la quale la Massoneria sarebbe esclusivamente una creazione e uno strumento ebraico è, per varie ragioni, insostenibile, già da ciò appare la necessità di riferirsi ad una trama assai più vasta di forze occulte pervertitrici, che noi siamo perfino inclini a non esaurire in elementi puramente umani. Le principali ideologie consigliate dai “Protocolli” come strumenti di distruzione e effettivamente apparse con questo significato nella storia - liberalismo, individualismo, scientismo, razionalismo, ecc. - non sono, del resto, che gli ultimi anelli di una catena di cause, impensabili senza antecedenti, quali per esempio l’umanesimo, la Riforma, il cartesianismo: fenomeni dei quali però nessuno vorrà seriamente far responsabile una congiura ebraica, così come il Nilus, in appendice, mostra d credere, inquantoché fa retrocedere la congiura ebraica niente di meno che al 929 a. C. Bisogna invece restringere l’azione distruttrice positiva dell’internazionale ebraica ad un periodo assai più recente e pensare che gli Ebrei hanno trovato un terreno già minato da processi di decomposizione e d’involuzione, le cui origini risalgono a tempi assai remoti e che sui legano ad una catena assai complessa di cause: essi hanno utilizzato questo terreno, vi hanno, per così dire, innestato la loro azione, accelerando il ritmo di quei processi. La loro parte di esecutori del sovvertimento mondiale non può dunque essere assoluta. I “Savi Anziani” costituiscono invero un mistero assai più profondo di quanto lo possano supporre la gran parte degli antisemiti, e così pure, per un altro verso, coloro che invece fanno cominciare e finire ogni cosa nell’internazionale massonica, o simili.»

Per Evola, la questione dell’autenticità o meno è una falsa questione, perché quello che conta è la piena concordanza fra lo spirito della Legge ebraica e lo spirito che emerge dalle pagine dei «Protocolli; e, in particolare, l’idea della rivincita mondiale dell’ebraismo su tutto il resto dell’umanità, sui Gentili, considerati alla stregua di bestiame, se non di autentica spazzatura destinata, comunque, ad un ruolo totalmente subalterno nel “nuovo ordine mondiale” che verrà instaurato nel gran giorno (idem, pp. 24-26):

«Per ben inquadrare il problema ebraico e comprendere il vero pericolo dell’Ebraismo bisogna partire dalla premessa che alla base dell’Ebraismo non sta tabto la razza (in senso strettamente biologico), ma la Legge. La Legge è l’Antico Testamento, la “Torah”m, ma altresì, e soprattutto, i suoi ulteriori sviluppi, la “Mishna” e essenzialmente il “Talmud”. È stato giustamente detto che, come Adamo è stato plasmato da Jehova, così l’ebreo è stato plasmato dalla Legge: e la Legge, nella sua influenza millenaria attraverso le generazioni, ha destato speciali istinti, un particolar modo di sentire, di reagire, di comportarsi, è passata nel sangue, tanto da continuare ad agire anche prescindendo dalla coscienza diretta e dall’intenzione del singolo. È così che l’unità d’Israele permane attraverso la dispersione: in funzione di un’essenza, di un incoercibile modo d’essere. E insieme a tale unità sussiste e agisce sempre, fatalmente, o in modo atavico e inconscio, o in modo oculato e serpentino, il suo principio, la Legge ebraica, lo spirito talmudico.

È qui che interviene un’altra prova della veridicità dei “Protocolli” quale documento ebraico, inquantoché trarre da questa Legge tutte le sue logiche conseguenze nei termini di un piano d’azione significa – esattamente – venire più o meno a quanto di essenziale si trova nei “Protocolli”. Ed è essenziale questo punto, CHE MENTRE L’EBRAISMO INTERNAZIONALE HA IMPEGNATO TUTTE LE SUE FORZE PER DIMOSTRARE CHE I “PROTOCOLLI” SONO FALSI, ESSO HA SEMPRE E CON LA MASSIMA CURA EVITATO IL PROBLEMA DI VEDERE FINO A CHE PUNTO QUESTO DOCUMENTO, FALSO O VERO CHE SIA, CORRISPONDE ALLO SPIRITO EBRAICO. E proprio questo è il problema che ora vogliamo considerare. L’essenza della Legge ebraica è la distinzione radicale fra Ebreo e non-Ebreo più o meno negli stessi termini che fra uomo e bruto, fra eletti e schiavi; è la promessa, che il Regno universale d’Israele, prima o poi, verrà, e che tutti i popoli debbono soggiacere allo scettro di Giuda; è il dovere, per l’Ebreo, di non riconoscere in nessuna legge, che non sia la sua legge, altro che violenza e ingiustizia e accusare un tormento, una indegnità, dovunque il dominio, che egli ha, non sia l’assoluto dominio; è la dichiarazione di una doppia morale, che restringe la solidarietà alla razza ebraica, mentre ratifica ogni menzogna, ogni inganno, ogni tradimento nei rapporti fra Ebrei e non-Ebrei, facendo dei secondi una specie di fuori-legge; è, infine, la santificazione dell’oro e dell’interesse come strumenti della potenza dell’Ebreo, al quale soltanto, per promessa divina, appartiene ogni ricchezza della terra e che deve “divorare” iogni popolo che il Signore gli darà. Nel “Talmud” si arriva a dire: “Il migliore fra i non-Ebrei (“gojm”), uccidilo”. Nel “Shemoré Esré”, preghiera ebraica quotidiana, si legge: “Che gli apostati perdano ogni speranza, che i Nazzareni e i Minim (i Cristiani) periscano di colpo, siano cancellati dal libro della vita e non siano contati fra i giusti”. “ Ambizione senza limiti, ingordigia divoratrice, un desiderio spietato di vendetta e un odio intenso” si legge nei “Protocolli” (XI) e difficilmente si saprebbe dare una più adeguata espressione di ciò che risulta a chi penetri l’essenza ebraica. E mai è venuta meno, all’Ebreo, la speranza del Regno, è in essa che sta, anzi, in gran parte, il segreto della forza inaudita che ha tenuto in piedi ed ha conservato uguale a sé stesso Israele, tenace, caparbio, orgoglioso e vile ad un tempo, attraverso i secoli. Ancor oggi, annualmente, nella festa del Rosch Hassanah, tutte le comunità ebraiche evocano la promessa: “Innalzate le palme e acclamate, giubilando, Dio, poiché Jehova, l’altissimo, il terribile, sottometterà tutte le nazioni e le porrà sotto ai vostri piedi”.»

Le considerazioni di Evola ci sembrano non prive di un certo spessore concettuale e meritevoli, comunque, di essere prese seriamente in esame, piaccia o non piaccia la figura di colui che le ha formulate ed il ruolo da lui rivestito nella cultura antisemita dell’epoca.

La prima domanda che ci dovremmo porre è se una cospirazione globale sia possibile e verosimile e se sia dato di scorgerne non già le prove - abbiamo visto che nessuna società segreta ne lascerebbe alle proprie spalle -, ma almeno degli indizi abbastanza riconoscibili.

La seconda domanda è se sia possibile che non già gli Ebrei indiscriminatamente, ma alcuni gruppi ebraici potenti e sperimentati, facendo leva su una Legge che è stata loro inculcata per innumerevoli generazioni, non possano essersi prestati ad un disegno del genere, magari in collaborazione con altri centri di potere occulto.

Alla prima domanda ci sembra sia difficile rispondere in maniera assolutamente negativa.
Che i membri del “villaggio globale” si trovino in una condizione di vera e propria schiavitù psicologica e culturale, instupiditi da demenziali programmi radiofonici e televisivi, disinformati da una stampa asservita e fuorviati da sedicenti intellettuali che fanno a gara, ormai da lungo tempo, nel fare a pezzi ogni parvenza di valore tradizionale e nel descrivere la vita come decadenza, dolore, noia e disperazione: tutto questo è sotto gli occhi di tutti, se si possiedono ancora - beninteso - occhi per vedere e una mente per riflettere.

Ora, è difficile pensare che tutto questo sia frutto del caso o di una spontanea convergenza di circostanze; senza contare che l’esperienza ci insegna che i grandi gruppi finanziari e industriali non tralascerebbero alcuna strategia, alcuna manovra, alcuna bassezza, per quanto criminosa, nel perseguire i loro fini inconfessabili: che non sono solamente quello di vendere una quantità sempre crescente di prodotti inutili o addirittura nocivi, ma anche quello di distruggere ogni residuo di spirito critico nel suddito-consumatore, in modo da renderlo il più simile possibile ad uno “zombie”: perché solo così si può essere certi che egli non prenderà consapevolezza della sua reale condizione e non tenterà di sottrarvisi.

Scatenare guerre e rivoluzioni, finanziare gruppi terroristici magari di opposta matrice ideologica, istigare colpi di stato, provocare crisi finanziarie, promuovere filosofie e movimenti artistici che inneggiano al nichilismo e alla distruzione della società: sono tutte azioni che un tale gruppo di potere occulto, attraverso le sue innumerevoli ramificazioni, non esiterebbe a mettere in atto e che non presentano, sotto il profilo tecnico, ostacoli insormontabili, specialmente se si dispone di possibilità finanziarie praticamente illimitate.

Alla seconda domanda ci sembra che si possa egualmente rispondere in maniera affermativ; o, quanto meno, che una risposta affermativa possa costituire una ragionevole ipotesi di lavoro sulla quale indagare.

Gruppi di potere occulto sappiamo che esistono, primo fra tutti la Massoneria, che affonda le proprie radici in una tradizione ormai plurisecolare e la cui regia nascosta è ormai accertata dietro fatti storici rilevanti, a cominciare da quelli riguardanti la nascita del nostro Stato nazionale, nel corso del Risorgimento.
Che, poi, esista una sorta di federazione tra tali gruppi, ciascuno dei quali persegue, in realtà, un proprio disegno egemonico e ciascuno dei quali spera di servirsi degli altri per realizzare i propri fini particolari: anche questo rientra nell’ambito del possibile e perfino del probabile; come suggerisce, ancora una volta, l’osservazione di fatti storici ormai noti, come la collaborazione che si instaura fra organizzazioni criminali internazionali, ciascuna delle quali particolarmente interessata ad un certo ambito delle attività illecite.

Che, infine, salendo di livello in livello, si giunga al vertice della piramide che nessuno ha mai potuto conoscere di persona, anche perché i suoi membri più importanti, i burattinai supremi del grande gioco, sono - forse - creature di origine non umana: ebbene, ciò può essere solo oggetto di speculazione teorica, mancando prove o anche indizi concreti tali, da poter dirimere la questione per via documentaria.
Chi studia il fenomeno della cospirazione mondiale non può servirsi dei normali metodi di ricerca dello storico professionista, perché la materia stessa è completamente diversa da quella della storia. Lo storico procede di documento in documento; ma lo studioso della cospirazione globale sa che non troverà mai dei “documenti” paragonabili a quelli di cui si servono i suoi colleghi della storia, chiamiamola così, profana.

Possiamo da ciò trarre la conclusione che non è cosa da persone serie mettersi a studiare la cospirazione globale, dato che, a rigore, non siamo affatto certi nemmeno del fatto che esista il soggetto di una tale ricerca?

Certamente no.

Il fatto che non esistano prove assolutamente certe e incontrovertibili di una costante presenza aliena sul nostro pianeta non è un argomento per squalificare gli studi che si possono fare in proposito o per denigrare quanti decidono di dedicarvisi; e la stessa osservazione può farsi per tutti quegli ambiti di studio che abbracciano materie prive di un riscontro materiale oggettivo, a cominciare dalle religioni.
Gli studiosi “seri”, però, temono il ridicolo: sono gente che ha molto amor proprio, anche se non esitano a mangiare alla greppia di istituzioni, giornali o televisioni che si aspettano da loro appunto quel tipo di “serietà” che consiste nel non fare mai, assolutamente mai, delle domande veramente scomode, ma nel blandire, al contrario, la pigrizia mentale del pubblico.

Ora, il ridicolo (o peggio) è quasi inevitabile per chiunque si addentri nel labirinto della cospirazione globale; e i più petulanti nel ridere alle spalle di un tale ricercatore sono, senza dubbio, proprio coloro i quali - ne siano consapevoli o no - hanno subito in dosi più massicce l’opera di omologazione e istupidimento perseguita dal Pensiero Unico dominante. Perché a quei signori pieni di sussiego e di serietà, magari baroni universitari con ampie gratificazioni professionali, non va molto a genio l’idea di prendere in esame la possibilità, anche solo teorica, di essere, né più né meno di chiunque altro, soltanto dei poveri burattini eterodiretti.
Come se non bastasse, fa parte, da sempre, della tecnica di tutti i gruppi di potere occulto, quella di operare una sistematica disinformazione, lasciando trapelare brandelli di verità, mescolati però a tali e tante inverosimiglianze, da confondere completamente le carte e da screditare anche il lavoro di quanti concentrano le proprie spassionate ricerche proprio su quei brandelli.

Certo, finché il conformismo intellettuale continuerà a dominare incontrastato, i signori dei poteri occulti potranno dormire sonni tranquilli ancora a lungo.
Finché qualcuno, un poco alla volta, comincerà a scuotersi dal torpore e a farsi delle domande scomode e politicamente scorrette: a farle a se stesso in primo luogo; e poi, in un secondo tempo, a farle anche agli altri.

Allora, i signori del Pensiero Unico cominceranno a non sentirsi più tanto tranquilli.
Avranno paura che la verità cominci a venir fuori: non quella mezza verità che essi stessi lasciano fuggire, di quando in quando, aprendo e chiudendo il rubinetto della disinformazione; ma la verità vera, quella che a loro non piace affatto, perché disturba i loro progetti e i loro affari.

Quel giorno, forse, si sta avvicinando.

Un principio di consapevolezza incomincia a soffiare, qua e là, nella stagnante palude in cui siamo sprofondati.

Speriamo che quella brezza si trasformi quanto prima in un vento impetuoso e che sia abbastanza forte da disturbare i piani e gli affari di chi ci vorrebbe eternamente schiavi, e sia pure schiavi di lusso, imprigionati mani e piedi con delle catene d’oro massiccio.

www.ariannaeditrice.it

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