giovedì 12 agosto 2010

Adriano Romualdi

Tratto dalla Rivista della Thule Italia (numero luglio/agosto 2010)

Adriano Romualdi: il respiro profondo della nuova EuropaLe radici spirituali, culturali e politiche della Rivoluzione Europea

Il mondo contemporaneo non merita che si faccia qualcosa per lui: ciò che esiste oggi, il momento dopo può crollare. Dobbiamo lavorare per il mondo passato e per il futuro: per il primo, per ricostruirne i meriti, per il secondo, per cercare di innalzarne il valore.(Johann Wolfgang Goethe)

Il primo dovere è quello di lottare per la restaurazione dell’Ordine. Non questo o quell’Ordine particolare, questa o quella formula politica contingente, ma l’Ordine senza aggettivi, l’immutabile gerarchia dei poteri spirituali all’interno dell’individuo e dello Stato che vede in alto quegli ascetici, eroici, politici e in basso quelli meramente economici ed amministrativi. Per la creazione di questa Rangordnung, della rinnovata gerarchia dei ranghi auspicata da Nietzsche, si sacrificarono gli uomini dei movimenti nazionali travolti nella catastrofe del 1945. Oggi, spenta l’estrema luce del rogo che consumò con l’Europa stessa l’ultima élite politica del nostro continente, grandi ombre, vasti silenzii calano sempre più fitti sul crepuscolo dell’Occidente.(Adriano Romualdi)



Sono ormai trascorsi quasi trentasette anni da quel fatale 12 agosto 1973 che annunciò la scomparsa di Adriano Romualdi, la sua infausta e prematura scomparsa. Una traumatica circostanza, un tragico incidente automobilistico rese un’intera area politica orfana di una magnifica figura, perché tale era stato Adriano Romualdi, un severo maestro di vita e di pensiero, privandola del privilegio e della possibilità di poter avere un’occasione in più per finalmente avviare un percorso di crescita politica e di maturazione culturale oltremodo fondamentale, traendo le energie indispensabili per tutto questo dalla sua inesauribile forza e dalla sua contagiosa sensibilità, dalla sua inespugnabile coerenza e dalla sua altrettanto ferma intransigenza. Appena trentasette anni ci separano da quella sciagura, eppure sembra che sia trascorsa una eternità, tanti infatti sono stati i cambiamenti, le metamorfosi e gli avvenimenti che nella buona e nella cattiva sorte hanno segnato questo segmento di storia contemporanea. Le nazioni e i popoli non sono più costretti a respirare la mefitica atmosfera partorita dagli scenari della “guerra fredda”, del conflitto concorrenziale che contrapponeva l’Occidente democratico e liberale all’Oriente sovietico, una plumbea stagione che, però, tra le pieghe di una stagnazione consolidata permetteva nonostante tutto di intravedere timidi spiragli ricchi di aneliti di cambiamento e allo stesso tempo carichi di aspettative che vennero poi, all’indomani della caduta della “cortina di ferro”, irrimediabilmente disattese lasciando il campo indifeso all’offensiva del progetto universalistico e mondialistico dello sradicamento dei popoli portato fino alle estreme conseguenze dal liberalismo nella cultura e nel costume e dal capitalismo nel pervertimento delle economie nazionali.Proprio contro questa minaccia, che già alla fine degli anni sessanta prefigurava un cupo avvenire per i popoli europei annunciando come una logica evoluzione lo sfiguramento dell’Europa in una babele di raccolta mondiale di tutti gli sradicati e i cosmopoliti del pianeta, si volgevano le acute riflessioni di Adriano Romualdi che mettevano in guardia nei confronti della desertificazione morale e spirituale che sarebbe emersa dagli scenari futuri del post-“guerra fredda”, ma anche nei confronti di quelli che sarebbero stati provocati dal post-marxismo, facendo puntualmente riferimento all’enorme pericolo che un’Europa sempre più estenuata avrebbe corso, ovvero di quando le culture europee sarebbero state divelte in nome del cosmopolitismo, a quando tutti gli uomini sarebbero stati omologati e a quando tutti i valori fondanti di una Civiltà più che millenaria sarebbero stati soppiantati dall’individualismo liberale, dal materialismo edonista, dall’indifferenzialismo e dal consumismo. Una deleteria deriva che conseguentemente avrebbe innescato un’accelerazione sempre più marcata verso il potenziamento dei processi di finanziarizzazione dell’economia e una maggiore e capillare diffusione del sistema di rapina partorito dall’usurocrazia capitalistica.Anche per questo, Adriano Romualdi, rivolgendosi ai maggiormente qualificati esponenti dell’allora area nazional-rivoluzionaria (sia a coloro che militavano ancora nel MSI e sia a quelli che si riconoscevano nelle formazioni del radicalismo di destra) e soprattutto rivolgendo il suo discorso a quelle ancora cospicue frange di una gioventù non conformista fortemente attratte dall’impegno politico, incessantemente poneva l’accento sulla inderogabile necessità che costoro si facessero promotori prima e portatori dopo di una autentica Weltanschauung che recuperasse e valorizzasse tutti quegli aspetti migliori e più importanti che avevano caratterizzato e identificato le precedenti ideologie nazionalpopolari (e non a caso insisteva sul fatto che venisse costantemente indicata come esemplare l’esperienza rivoluzionaria nazionalsocialista), affinché si venissero poi a delineare le condizioni ottimali per l’emergere di una Weltanschauulicher Stosstrupp (come lo stesso Romualdi amava definirla), cioè una sorta di truppa d’assalto nel campo della visione del mondo per aprire un varco nel plumbeo orizzonte della cosiddetta neutralità della cultura borghese e che fosse in grado di fronteggiare efficacemente il più grave pericolo che la macchina da guerra del cosmopolitismo liberal-marxista avesse messo in campo contro l’Europa, cioè la disintegrazione delle sue specificità etniche e culturali, attraverso uno scientifico annullamento delle tradizioni e della memoria dei popoli e quindi cancellando le ragioni stesse del passato di quei popoli affinché sopravvivesse soltanto il primato incontrastato della concezione materialistica su quella spirituale, del consumismo livellante e degradante esaltato dal dominio della finanza usurocratica sulla concezione organicista delle comunità nazionali e sociali radicate nei valori etnici e culturali di appartenenza, il tutto riassumibile in sostanza nell’assalto disumanizzante lanciato dal liberalismo democratico-borghese dell’Occidente atlantico-americano ben identificato nelle oligarchie parassitarie e speculatrici di “Wall Street”, saldamente alleato con le altrettanto parassitarie oligarchie burocratico-marxiste dell’Oriente sovietizzato contro l’essenza stessa dell’Europa, contro il cuore pulsante della vita culturale, spirituale e sociale europea.Infatti, e sempre non casualmente, l’approdo fideistico che una certa sinistra marxista ha manifestato poi nel corso del tempo nei confronti degli USA, e in particolar modo nei confronti dell’americanismo, della sua conturbante American Way of Life, e quindi della sua perniciosa sotto-cultura cosmopolita, non poteva che essere la dimostrazione tangibile del legame che era sempre esistito fra il marxismo e il liberalismo, della comune matrice e logica riscontrabile tanto nel marxismo internazionalista e cosmopolita come nel capitalismo multinazionale.Tornando a Adriano Romualdi, possiamo con certezza affermare che seppe imporsi come figura centrale di riferimento per quanti si avventurano nella difficoltosa disamina delle caratteristiche che il radicalismo di destra di derivazione neo-fascista aveva assunto, pur nella sua complessa eterogeneità e molteplicità, dagli anni sessanta in poi. Nella definizione di “radicalismo di destra” si intendeva anche comprendere i vasti e larghi ambienti presenti nell’allora MSI (di cui peraltro il padre di Adriano, Pino Romualdi, era stato uno dei principali co-fondatori e dove vi continuava a svolgere importanti funzioni dirigenziali) che, pur partecipi della contrastata vita politica della più consistente formazione del campo neo-fascista, ne criticavano aspramente la linea legalitario-moderata priva di una qualsiasi progettualità a vasto respiro impressa dall’allora segreteria di Arturo Michelini, periodo quello che venne, poi, etichettato con la poco lodevole espressione di “stagnazione” micheliniana appunto per evidenziarne il vuoto pneumatico politico e culturale che lo contrassegnava.Contro quella “Destra” vagante senza meta e alla deriva dello scenario politico nazionale e sempre più ostaggio di interessati ambienti benpensanti e piccolo borghesi, che ad altro non ambivano se non al perpetuarsi di velleità protestatarie di natura qualunquistica nei confronti della politica, ed esclusivamente dedita a patetici giochi parlamentari consumati sotto banco, sempre in soccorso del “partito di maggioranza” e, peggio che mai, oltremodo volutamente priva di una seria costruzione di politica culturale, Adriano Romualdi lanciava, con pesanti argomentazioni, la sua critica:Ci si aggira in un’atmosfera deprimente fatta di conservatorismo spicciolo e di perbenismo borghese. Si leggono articoli in cui si chiede che la cultura tenga maggior conto dei “valori patriottici”, della “morale”, il tutto in una pittoresca confusione delle idee e dei linguaggi. A Sinistra si sa bene quel che si vuole. Sia che si parli della nazionalizzazione dell’energia elettrica o dell’urbanistica, della storia d’Italia o della psicoanalisi, sempre si lavora a un fine determinato, alla diffusione di una certa mentalità, di una certa concezione della vita. A Destra si brancola nell’incertezza, nell’imprecisione ideologica. Si è “patriottico-risorgimentali” e si ignorano i foschi aspetti democratici e massonici che coesistettero nel Risorgimento con l’idea unitaria. Oppure si è per un “liberalismo nazionale” e si dimentica che il mercantilismo liberale e il nazionalismo libertario hanno contribuito potentemente a distruggere l’ordine europeo. […] Forse gli uomini colti non sono meno numerosi a Destra che a Sinistra. Se si considera che la maggior parte dell’elettorato di Destra è borghese, se ne deve dedurre che vi abbondano quelli che hanno fatto gli studi superiori e dovrebbero aver contratto una certa “abitudine a leggere”. Ma, mentre l’uomo di Sinistra ha anche degli elementi di cultura di Sinistra, e orecchia Marx, Freud, Salvemini, l’uomo di Destra difficilmente possiede una coscienza culturale di Destra. Egli non sospetta l’importanza di un Nietzsche nella critica della Civiltà, non ha mai letto un romanzo di Jünger o di Drieu La Rochelle, ignora il “Tramonto dell’Occidente”, né dubita che la rivoluzione francese sia stata una grande pagina nella storia del progresso umano. Fin che si rimane nella cultura egli è un bravo liberale, magari un po’ nazionalista e patriota. È solo quando incomincia a parlare di politica che si differenzia: trova che Mussolini era un brav’uomo e non voleva la guerra e che i films di Pasolini sono “sporchi”. Basta poco ad accorgersi che se a Destra non c’è una cultura ciò accade perché manca una vera idea della Destra, una visione del mondo qualitativa, aristocratica, agonistica, antidemocratica, una visione coerente al di sopra di certi interessi, di certe nostalgie e di certe oleografie politiche. Ancor più drammaticamente mancava la viva coscienza storica e politica della virile visione del mondo incarnata dall’Europa combattente nel corso della seconda guerra mondiale, della potenza guerriera manifestata dalle sue avanguardie di soldati-politici, dell’amore da essi evocato per la propria patria carnale racchiusa nel binomio di sangue e suolo, un amore che seppero allargare all’intero continente europeo e, più in generale, dello spirito che promanava da quegli uomini e da alcuni di essi in particolare. Come non continuare a fare riferimento quindi al leggendario Leon Degrelle, il pluridecorato combattente della Waffen SS che con le sue eroiche gesta compiute sul fronte orientale aveva saputo incarnare splendidamente l’epopea dei combattenti politici che si battevano per un nuovo spazio imperiale europeo, oppure come non pensare alla superiore nobiltà compresa nella scelta orgogliosa e coraggiosa del suicidio compiuta da un Pierre Drieu La Rochelle, anche lui cantore della rivoluzione europea e per questo motivo anche ardente sostenitore di una fattiva collaborazione franco-tedesca, un intellettuale europeista particolarmente apprezzato da Adriano Romualdi, per passare poi alla resistenza europea che si oppose con tutti i mezzi all’invasione anglo-americana, all’evento epocale della strenua difesa di Budapest stretta nella morsa dell’assedio sovietico da parte delle unità delle Waffen SS e dalle migliaia di camicie verdi appartenenti alle milizie crocifrecciate ungheresi di Ferenc Szalasi, ed infine come dimenticare il sacrificio totale e disinteressato, anche esso divenuto leggendario, dei giovani della Hitlerjugend consumato nell’inferno della battaglia di Berlino e poi, nel cuore di cotanta travolgente passione, la tenuta esemplare di Adolf Hitler, la sua assoluta fedeltà conservata fino alla fine nella missione politica del popolo tedesco per la rinascita dell’Europa, la viva coscienza che il Führer del Terzo Reich aveva, nel 1945, del dramma di una sconfitta che non avrebbe riguardato nelle tragiche conseguenze solamente la Germania Nazionalsocialista, ma che avrebbe rappresentato ancor di più la sconfitta e l’annuncio dell’ineluttabile declino storico di tutta l’Europa.Era più che evidente che in Adriano Romualdi emergesse un profondo radicalismo nello stile e nel pensiero coniugato con una eccezionale formazione intellettuale interamente spesa al fine di stimolare una antropologica rivoluzione culturale ed esistenziale all’interno dell’intera area neo-fascista che convulsamente agitava lo scenario politico negli anni ’60/’70.Uno spazio politico, quello neo-fascista, che offriva numerose chiavi di lettura, differenziazioni e sfumature, spesso anche contraddittorie tra loro sui vari argomenti che andavano dalle analisi di politica estera, eventi di cultura generale e di costume, questioni istituzionali, ecc., giungendo finanche agli innumerevoli sforzi profusi per una definizione identitaria di massima che li potesse rappresentare. Cioè alla lettura critica che i militanti neo-fascisti, o per meglio dire nazional-rivoluzionari (definizione correttamente adottata per gli appartenenti alle formazioni più radicali) davano di loro stessi, al fine di poter spiegare e giustificare la loro esistenza, la loro presenza politica, il loro essere soggetto animatore e culturale. Una esigenza di identificazione che doveva tenere anche conto della logica filiazione dai movimenti compromessi dalla sconfitta del 1945, ma dalla cui pesante eredità non volevano rimanere schiacciati.In questo clima di eterogeneità, tensioni idealistiche e antinomie emergeva prepotentemente la statura intellettuale e politica di Adriano Romualdi che farà propria quell’esigenza di identificazione apportando le proprie puntuali riflessioni e le conseguenti analisi interpretative al dibattito che attraversava l’area; rettifiche dottrinarie, interpretazioni politiche ed analisi culturali che riflettevano anche il debito di riconoscenza che Adriano Romualdi aveva nei confronti del pensiero e dell’opera espressa da Julius Evola, quanto anche del rapporto di reciproca stima e considerazione che lo legava al barone.Tramite le collaborazioni espresse sia nell’ambito ufficiale missino che in quello collaterale di marcata impronta nazional-rivoluzionaria, come nel caso del Centro Studi Ordine Nuovo o con iniziative politico-editoriali collegabili alla riproposizione di una cultura tradizionalista, si manifestava la ferma volontà di Adriano Romualdi di intervenire nel rettificare il più possibile l’ambito teorico e dottrinale agendo nella riflessione culturale e nell’elaborazione di universi sistematici ideologici inerenti ad una Weltanschauung richiamante i canoni dell’organicismo politico, direttive ideologiche che non dovevano rimanere fini a se stesse, ma agissero verso sbocchi realistici in concrete attività politiche e si caratterizzassero in termini di radicale alternativa al sistema partitocratrico, in aperta polemica con le prassi di negoziato e compromesso tipiche dell’allora dirigenza missina.Uno dei tanti esempi di un tale impegno lo troviamo espresso nel contenuto della relazione dedicata ad una corretta enunciazione politica di uno schema costituzionale de Lo Stato dell’Ordine Nuovo, che venne pubblicata nel 1970 sul terzo numero dell’omonima rivista del Centro Studi Ordine Nuovo e dove emergeva ben evidenziata un’applicazione di principi organicistico-tradizionali unita ad una pratica e snella formulazione di ordinamento istituzionale. Si trattava di una proposta politica operativa che risentiva fortemente di una formazione nietzschiana che andava incontro ad una riscoperta del pensiero politico di Platone che Adriano Romualdi considerava come una fondamentale ed imprescindibile architrave dottrinaria e filosofica nella critica delle ideologie democratiche e dell’egualitarismo: “Ma, nel cielo d’Occidente che annotta, risplende, tra le costellazioni che non tramontano, l’insegnamento di Platone. Platone, l’aristocratico di sangue divino, l’assertore della dura selezione dei migliori, il profeta della élite dei sapienti e dei guerrieri, ci ammonisce ancora una volta che grave sciagura incoglierà a quello Stato dove la razza bronzea e ferrea degli uomini servili sostituirà nel comando la stirpe aurea ed argentea dei veri Capi”.Anzi, Platone proprio in qualità di assertore della vita come totalità di anima e corpo, della predominanza dei valori politici sull’organizzazione economica e della totale subordinazione della stessa ai bisogni della comunità, il promotore di severe misure eugenetiche volte alla salute del popolo e di una particolare concezione qualitativa dell’educazione e della selezione nell’ambito di una visione totalitaria dello Stato, veniva a giusta ragione presentato come un precursore storico ed ideologico dei movimenti nazionalpopolari del ventesimo secolo, ponendosi coerentemente nel solco tracciato a suo tempo da Hans Friedrich Günther: “Concludendo si può affermare che si rinviene una incontestabile eredità platonica nei movimenti fascisti europei. L’identificazione dello Stato con la minoranza eroica che lo regge, il fervido sentimento comunitario, l’educazione spartana della gioventù, la diffusione di idee-forza per mezzo del mito, la mobilitazione permanente di tutte le virtù civiche e guerriere, la concezione della vita pubblica come spettacolo nobile e bello cui tutti partecipano: tutto ciò è fascista, nazionalsocialista e platonico insieme. L’evidenza parla da sola”.Naturalmente nel nutrito impegno intellettuale di Adriano Romualdi non poteva mancare comprensibilmente una attenta riflessione ed una presa di posizione riguardo al periodo contrassegnato dall’esperienza fascista, soprattutto per i perduranti riflessi che continuava ad avere nei confronti di coloro che, anche se solo emotivamente, se ne erano fatti carico e ripetitori in qualità di eredi. Una riflessione che non poteva non prendere spunto, anche se criticamente, dall’analisi che Julius Evola aveva dedicato ai rapporti culturali che sarebbero dovuti intercorrere fra una “vera Destra tradizionale” e il fenomeno fascista, poi concretizzatasi nella discutibile opera Il fascismo visto dalla destra.Tale analisi si riassumeva nella visione complessiva della rivoluzione fascista come di una generosa risposta virile di reazione alla crisi della modernità e alla incipiente sovversione bolscevica, un insieme di valori gerarchici, eroici e ideali che tramite il veicolo combattentistico dello squadrismo vollero agire come una superiore Idea formatrice e animatrice capace di sottrarsi al divenire storico e favorire pertanto l’emersione del mito sostanziatosi nell’Idea dello Stato autoritario e nella persona del Duce. Allo stesso tempo, però, Adriano Romualdi non voleva nascondere gli enormi limiti strutturali che avevano caratterizzato il regime fascista e lo avevano frenato nel perseguimento dei suoi obbiettivi, le troppe compromissioni e i troppi comodi aggiustamenti che lo avevano minato dall’interno contribuendo anche ad inficiare l’elaborazione di una originale e autentica cultura fascista, e polemicamente poneva poi in contrapposizione il paragone che di conseguenza faceva con la cultura nazionalsocialista da lui ritenuta molto più concreta, rigorosa ed incisiva: “Ma, nei confronti del Fascismo, il Nazionalsocialismo ebbe il merito di costringere la cultura neutra a una resa dei conti. Esso, molto più del regime italiano, ebbe la coscienza di rappresentare un’autentica visione del mondo, violentemente ostile a tutte le putrefazioni e le storture dell’Europa contemporanea. La mostra dell’arte degenerata, il rogo dei libri ebbero, se non altro, un significato ideale rivoluzionario, un carattere di aperta rivolta contro i feticci di un mondo in decomposizione”.L’analisi romualdiana sul fenomeno fascista inoltre non indugiava più di tanto sulle tante “componenti” dell’humus fascista, tanto meno su quelle etichettate come forme residuali di natura populistica, come quelle di matrice sindacale che non interessavano minimamente Julius Evola quanto Romualdi; difatti, anche le vicende riguardanti il periodo della Repubblica Sociale Italiana venivano rilette alla luce di un’interpretazione combattentistico-legionaria che faceva salvo il motivo della giusta salvaguardia dell’onore nazionale violato e della mantenuta fedeltà all’alleato tedesco, ma trascuravano, volutamente, il dibattito relativo alla riforma della socializzazione, sulla quale lo stesso Julius Evola aveva avuto modo di esprimere, in più occasioni, il proprio drastico e categorico giudizio negativo.Insomma, quello che era uno dei problemi maggiormente sentiti dall’immaginario collettivo del neo-fascismo, missino e non, cioè il fenomeno fascista e la sua collocazione storica unitamente alla RSI e alla proposta sulla socializzazione ad essa collegata, subiva la severa disamina di quella componente del radicalismo di destra che richiamandosi ai valori della Tradizione riletti attraverso la chiave interpretativa evoliana si presentava come un soggetto politico irriducibile non solo agli scenari strettamente politici del dopoguerra, ma anche nei confronti di una modernità (e in quella modernità veniva polemicamente inclusa anche l’esperienza fascista) che stava procedendo sempre più speditamente lungo la via della decadenza. Possiamo comprendere quindi come si elevi la statura di Adriano Romualdi, pensatore non conformista, non solo per le tematiche che riusciva a sviluppare, a fronte di una destra ufficiale e parlamentare, che se da una parte annaspava nella palude del piccolo cabotaggio parlamentaristico senza respiro, dall’altra, per sopperire a difficoltà strutturali, agitava richiami emozionali e consolatori riferiti ai bei tempi che furono, continuando a stuzzicare la mai sopita vena nostalgica; mentre la destra radicale, quella che non vestiva i panni della rispettabilità salottiera e quindi “meno presentabile”, pur sforzandosi, anche con intelligenza e buona volontà, di arricchire il proprio bagaglio politico-culturale con corroboranti sorsate di cultura non-conformista anche e soprattutto attingendo alla inesauribile fonte evoliana, non perdeva l’occasione di commuoversi al pensiero dei “nuovi centurioni” cercando poi di rincorrere vaghe e altrettanto improbabili scorciatoie.Si deve soprattutto ad Adriano Romualdi il merito di avere contribuito in maniera determinante a riscrivere il lessico ideologico spostandolo da una scala nazionale a quella europeistica e quindi a respiro continentale, infatti da allora la rivendicazione di un nazionalismo europeo interpretato come veicolo di una terza forza da contrapporre agli equivalenti imperialismi occupanti rappresentati dalle superpotenze USA e URSS caratterizzò gli ambienti più preparati, evoluti ed attenti alle vicende internazionali della cosiddetta area nazional-rivoluzionaria, e tutto ciò non rappresentò poca cosa se messo in rapporto con quei settori del neo-fascismo che erano ancora attardati al solo concetto della diga anti-comunista eretta a difesa della tradizione nazionalistica, come ad esempio le mobilitazioni promosse dal MSI per la difesa dei confini orientali e per l’italianità di Trieste, ecc.Adriano Romualdi era fermamente convinto che il secondo conflitto mondiale aveva decretato la fine del motivo richiamante i nazionalismi delle piccole patrie, mentre aveva inaugurato la nuova fase storica dei nazionalismi continentali ed infatti, forte di questo convincimento, la sua panoramica ideologica e culturale volgeva la sua attenzione principalmente nei confronti del Nazionalsocialismo piuttosto che verso il Fascismo: in pratica, per il Romualdi, proprio a partire da Adolf Hitler e dall’ideologia nazionalsocialista, e soprattutto dall’invasione americana del continente europeo, lo scontro non sarebbe più stato fra nazioni, bensì fra continenti. In sostanza, se il Fascismo si era manifestato prevalentemente come un fenomeno nazionalista e come tale si era innestato nel tessuto italiano, il Nazionalsocialismo invece, proprio in virtù della sua precisa connotazione ideologica identitaria e socialista, si era rivelato fortemente europeista e quindi con il suo progetto rivoluzionario di unificazione continentale, tramite una guerra di liberazione social-razziale guidata dalla Germania, avrebbe restituito all’Europa la centralità che le era stata sottratta dall’irruzione sulla scena mondiale delle superpotenze americana e sovietica. Per Adriano Romualdi il Nazionalsocialismo aveva rappresentato una salutare e drastica rottura con le vecchie e superate concezioni diplomatiche e le anguste visioni della politica estera che avevano segnato le trascorse epoche delle nazioni europee, da quel momento in poi si sarebbe inaugurata una nuova stagione geo-politica fondata sulla convinzione di Adolf Hitler che nell’epoca della costituzione degli smisurati spazi continentali rappresentati dagli USA e dall’URSS si dovesse necessariamente ragionare in termini di grandi spazi geo-politici di potenza, quindi solamente i vasti orizzonti di un Grossraum europeo avrebbero potuto salvaguardare il perdurare delle specificità storiche, culturali e razziali di un immenso Lebensraum europeo lanciato ad Est ben oltre la catena montuosa degli Urali. Così facendo Adriano Romualdi recuperava e riproponeva quelle che erano state, decenni prima, le motivazioni e le convinzioni e quindi le scelte di vita dello scrittore francese Pierre Drieu La Rochelle, un campione dell’europeismo militante: “Sono diventato fascista perché ho misurato i progressi della decadenza in Europa. Ho visto nel fascismo il solo strumento capace di frenare e di contenere questa decadenza; inoltre, non avendo più fiducia nelle risorse politiche della Francia e dell’Inghilterra e rifiutando l’intrusione nel nostro continente degli imperi stranieri della Russia e dell’America, ho visto l’unica salvezza nel genio di Hitler e del nazionalsocialismo”.Emergeva così in tutta la sua piena nitidezza, tramite la sapiente evocazione di Adriano Romualdi, l’immagine dell’Europa e il mito dell’Europa tornava alla luce in tutta la sua potenza anche attraverso la scienza dello studio delle radici e delle origini arcaiche indo-europee, con la consapevolezza che il concetto della Civiltà dell’Europa non doveva avere più solamente un mero valore storico e folcloristico, bensì essere l’espressione viva di una spiritualità solare, di un sentimento della vita che si traduceva in una prospettiva ideale, di simboli e di personalità aventi un carattere innato e non acquisito, qualità che erano proprie del primordiale e dell’originario, perché la scienza dello studio delle radici indo-europee aveva la proprietà di poter stabilire e quindi poi discriminare ciò che era affine da tutto ciò che risultava estraneo e difforme alla natura dei popoli europei, preservando la memoria ancestrale europea nell’insieme di quei valori politici e spirituali così preziosi da tutelare ad ogni costo e che avevano avuto nel corso della Storia una delle più luminose manifestazioni nella olimpica bellezza della Sparta dorica e nell’ideale classico ed ellenico della perfezione, l’ideale eroico del Kalòs kài aghathòs. Sempre a tal proposito, Adriano Romualdi tornava a riproporre l’affascinante motivo dell’arianesimo come un fondamentale elemento dell’idea rivoluzionaria del nuovo nazionalismo europeo e come un irrinunciabile riferimento per quelle che lui connotava come le superstiti energie europee:“Con l’idea ariana non intendiamo soltanto un sano senso di appartenenza alla razza bianca, ma l’accettazione consapevole dei valori in cui prende forma la tradizione indo-europea nella storia della civiltà. È esistita un’unità spirituale che andava dalla germanica Islanda all’India ariana, un’unità che lascia la sua potente impronta in monumenti epici come l’Iliade, il Mahabharata, il Nibelungenlied. All’interno di questa unità fiorirono la Grecia e Roma, i valori aristocratici, qualitativi, agonistici del mondo classico. La consapevolezza di questa tradizione di sangue e di spirito, la sua contrapposizione a forme di religiosità semitica infiltratesi al tramonto del mondo classico, e che tornano oggi a manifestarsi come forze dissolutrici, potrebbe essere di grande importanza per la definizione di una visione del mondo specificamente europea”.Un mito europeo che si legava indissolubilmente alla consapevolezza dell’inevitabile crepuscolo dell’Occidente, un crepuscolo che pesava come una lapide tombale e che era stato già preannunciato da Oswald Spengler e da una vasta letteratura della crisi, spesso di origine germanica, ben conosciuta e studiata da Adriano Romualdi e che lo aveva portato ad individuare nel modo più pregnante quello che i movimenti fascisti europei e soprattutto il Nazionalsocialismo dovevano all’opera di Friedrich Nietzsche, ovvero una presa di coscienza storicamente nuova, la coscienza dell’avvento fatale del nihilismo e cioè, per dirla con una terminologia più moderna attualmente molto in voga, dell’imminenza della fine della Storia. Cristianesimo in quanto progetto mondano propagandato da una Chiesa sempre più secolarizzata, democrazia, liberalismo e capitalismo, marxismo e comunismo appartenevano tutti complessivamente e indistintamente al campo unitario dell’egualitarismo, del cosiddetto umanesimo. Le loro filosofie ed ideologie potevano nel particolare differire e porsi anche in temporaneo contrasto fra loro, ma in sostanza nell’insieme obbedivano al medesimo sistema di valori, avendo tutte loro la stessa concezione del mondo e dell’uomo, tutte coscientemente o inconsciamente progettavano una fine della Storia e, dunque, erano, da un punto di vista nietzschiano, nihiliste, e pertanto negative. Il Fascismo inteso come un fenomeno generale europeo e soprattutto il Nazionalsocialismo appartenevano invece all’altro campo, quello definito correttamente come anti-egualitario e sovrumanista, con un riferimento preciso proprio al movimento spirituale che lo aveva generato e che lo conformava e che aveva tratto origine proprio nella nietzschiana critica della mitologia egualitaria come Adriano Romualdi seppe ben evidenziare: “Nietzsche segna il punto focale dello svolgersi del pensiero contro-rivoluzionario dal 1979 ad oggi, il punto in cui si abbandona la linea su cui ci si difende per quella in cui si attacca. Con Nietzsche, dal tipo del mero conservatore che difende sempre peggio qualcosa di sempre più difficilmente difendibile, si distacca quello ben altrimenti aggressivo e pericoloso del conservatore-rivoluzionario, quale prese forma nel fascismo e soprattutto nel nazionalsocialismo”.Adriano Romualdi aveva ritrovato infine il principio dell’azione nel sistema di valori propugnato da Friedrich Nietzsche, e il destino comune nell’immagine trascinante dell’Uomo Nuovo, cioè nella fondazione di una nuova e vitalistica speranza in una superiore personalità e in un sentimento di appartenenza ad una stirpe consapevole delle maggiori responsabilità che le spettavano e che andasse al di là della previsione dell’inevitabile fine della Storia cui ci avevano biblicamente condannano duemila anni di egualitarismo e di umanesimo.Un crepuscolo quindi annunciato da tempo, che però aveva manifestato tutta la sua drammaticità all’indomani della catastrofe politica e militare del 1945, allorquando capitolarono strangolati nella morsa della congiunta tenaglia americano-sovietica i combattenti della nuova Europa, le avanguardie militanti di quella nuova gerarchia dei ranghi auspicata da Friedrich Nietzsche, espressione di un tipo umano differenziato che, dopo avere misurato gli effetti della decadenza, avrebbe sostanziato il “miracolo” di un Nuovo Ordine europeo traducendo nei fatti quanto l’intellettuale collaborazionista francese Pierre Drieu La Rochelle aveva trascritto nei versi di una sua bellissima e ispirata poesia: “La razza degli Ariani ritrova la sua unione / E riconosce il suo dio dall’aspetto possente / Trecento milioni di uomini cantano in un solo campo / Un solo stendardo rosso sta sulla cima delle Alpi / Ecco i tempi sacri della risalita dagli inferi”.Un ferale crepuscolo che ancora non finisce di avvolgere il provato destino dell’Europa, minacciando di travolgerla definitivamente dopo averla stordita sotto i colpi di una incessante e debilitante propaganda umanitaria, progressista, egualitaria e cosmopolita.Contro questo aberrazione si era levato forte l’accorato appello di Adriano Romualdi rivolto a tutti i “buoni europei” affinché si risvegliassero dal torpore e tornassero ad abbracciare la battaglia dell’orgoglio europeista attraverso la coscienza un nuovo nazionalismo militante europeo che, rinnovando le arcaiche e ancestrali radici culturali e popolari dell’Europa delle origini indo-europee, trovasse le motivazioni superiori per legittimare davanti alla Storia la sua azione politica.



Maurizio Rossi

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