lunedì 28 giugno 2010

DAI PAROLAI MI GUARDI IDDIO CHE DAGLI INTENDITORI MI GUARDO IO












E' tornato di nuovo il signor Balbinot (non è cambiato!)

Di Filippo Giannini

Qualche lettore più affezionato ricorderà la polemica (chiamiamola così) che si svolse per alcune settimane di qualche anno fa tra il sottoscritto e il signor Balbinot, in merito, neanche a dirlo, alle malefatte del male assoluto.

L’ho scritto, non so quante volte, che sono prontissimo a rivedere le mie opinioni sull’infausto Ventennio, ma mi si devono presentare validi e scientificamente probanti argomentazioni e non i soliti, stantii, interessatissimi argomenti dati in pasto solo ed esclusivamente per salvaguardare gli interessi dei detentori di questo oscuro periodo, detentori che ben sanno che qualsiasi serio confronto con le proposte mussoliniane uscirebbero clamorosamente sconfitti. E, purtroppo il signor Balbinot è parte, sicuramente in buona fede, degli apologeti dell’attuale regime..

Quando si svolse quella polemica, dato che, a mio modo di concepire la Storia il signor Balbinot ripresentava le sue argomentazioni che nulla avevano a che vedere con la scientificità, lo pregai di interrompere perché, dissi, non avevo tempo da perdere. Ora si è ripresentato e lascio decidere ai lettori se è il caso di pregare il signor Balbinot di interessarsi di altri argomenti e di lasciar perdere la Storia.

Fra le tesi avanzate dal signor Balbinot ci sono anche quelle riguardanti il tentativo di fuga in Svizzera del dittatore. Rispondo: decine di testimoni attestano il contrario senza trascurare il fatto che in quei giorni c’era un S/79 (un trimotore italiano) e un sommergibile alla fonda a Trieste pronti, l’uno e l’altro, per trasportare Mussolini ovunque, ma questi rigettò ripetutamente anche solo l’idea di qualunque tentativo di fuga. Ovviamente quanto scritto lo posso dimostrare in qualsiasi momento.

Scrive il signor Balbinot (che originale!): <Mi dica Sig. Giannini, quale Tribunale e quale legge è stata usata per sopprimere brutalmente Giacomo Matteotti e tantissimi altri?>.

Rispondo: Data l’interessata confusione artatamente montata anche su questo argomento, si dovrà provvedere ad argomentazioni oggettive, oltre che a testimonianze. Il signor Balbinot dovrebbe sapere che gli assassini di Giacomo Matteotti furono giudicati da un Tribunale subito dopo la loro cattura (in periodo fascista) e immediatamente dopo la fine della guerra (in periodo antifascista). Ma c’è tanto, ma tanto altro. Ad esempio ecco cosa scrive a pag. 72 Arrigo Petacco (“L’Uomo della Provvidenza”): . Ed ecco l’opinione di Matteo Matteotti, figlio del deputato socialista (“Storia Illustrata” novembre 1985), ad una domanda del giornalista Staglieno, fra l’altro disse. <Mussolini voleva – fin dal 1922, subito dopo la marcia su Roma – riavvicinarsi ai socialisti (…). Ci sono in proposito due testimonianze: quella di Giunta e quella di Carlo Silvestri (notissimo socialista, nda). Anzi, a quest’ultimo, come risulta da una sua deposizione al processo Matteotti rifatto nel 1947, fu proprio Mussolini in persona a dichiararlo, aggiungendo che Matteotti era stato vittima di loschi interess., No, il duce non aveva alcun interesse a farlo uccidere: si sarebbe alienato per sempre la possibilità di un’alleanza con i suoi vecchi compagni, che non finì mai di rimpiangere (…)>. Dato che il signor Balbinot accusa Mussolini anche della morte di Don Minzioni e , allora esorto il signor Balbinot di presentare la prove di quanto asserisce; è un suo preciso dovere. Se non sente questo diritto-dovere, allora taccia!

Il signor Balbinot accusa i di varie atrocità. Allora,

rispondo: I “repubblichini” che a centinaia di migliaia si arruolarono nelle file della Rsi, lo fecero per combattere gli angloamericani e, posso asserirlo, non uno per combattere contro altri italiani. Furono i partigiani a scatenare la così detta “guerra civile”; infatti: già il 29 settembre 1943 fu ucciso il diciottenne Salvatore Morelli della Legione “M”. In precedenza, l’11 settembre, i comunisti sistemarono una bomba nell’ufficio germanico della Stazione Centrale di Milano uccidendo due soldati tedeschi. Il comando delle “SS” pretese la fucilazione di 20 ostaggi. Il Federale Aldo Resega (anche lui cadrà assassinato nel dicembre successivo) si oppose decisamente alla richiesta. A Torino il 24 ottobre fu ucciso il Seniore della Milizia Domenico Giardina; il 31 a Brescia un ordigno fu fatto esplodere uccidendo due militari; il 5 novembre a Imola cadde assassinato il Seniore Fernando Baroni; il 6 nei pressi di Bologna furono trucidati due fascisti e due carabinieri; il 7 a San Gaudenzio in un agguato caddero quattro fascisti; altri ancora a Como, a Follonica, a Verona, a Desio, a Vercelli, a Sarzana, e così di seguito. Si ritiene (“Lotta su tre fronti” di Enrico Accolla, pagg. 57/58) che i fascisti o “supposti tali”, caduti in imboscate tra l’8 settembre ’43 e la fine aprile ’45 siano stati circa 15 mila. A tali uccisioni, per espresso ordine di Mussolini, non seguì alcuna repressione, anche se l’animo dei fascisti era in ebollizione.

Per quanto riguarda le direttive scellerate ricordate dal signor Balbinot sulla conduzione della guerra d’Etiopia: <tutti i prigionieri devono essere passati per le armi; impieghi il gas> ecc. ecc.

Rispondo. Conosco il testo del telegramma 6595, ma non ho avuto tempo di consultare i telegrammi inviati da Badoglio e Graziani per richiedere l’uso dei gas e le motivazioni. Ricordiamo che l’uso del gas era proibito dalle Convenzioni Internazionali, ma erano proibite anche l’uso delle pallottole dum-dum, come era proibito seviziare e evirare i prigionieri, cosa che, invece, era d’uso per gli etiopi. Ho avuto modo di svolgere delle ricerche e riporto alcune testimonianze.

Premessa. Quando l’Italia affrontò l’impresa etiopica Francia e Inghilterra profetizzarono che l’Italia di Mussolini sarebbe andata incontro ad una grave disfatta. Grande fu lo scorno della “Perfida Albione” allorquando quel conflitto si risolse per noi vittoriosamente in una manciata di mesi. Tralasciamo le argomentazioni del signor Angelo Del Boca che nel suo volume non centellina le accuse di “brutalità” e la “ferocia del tiranno” a danno di quell’infelice Paese: l’Etiopia. Per inquadrare il grado di attendibilità dell’Autore, trascrivo quanto egli ha riportato a pag. 45: <Montanelli ad esempio ha finalmente (?) ammesso l’impiego dei gas in Etiopia (…)>. E oltremodo strano che uno storico fornito (a suo dire) di ampia documentazione avverta la necessità di ricevere approvazione alle sue tesi da parte di un giornalista, anche se del prestigio di Indro Montanelli. Nella realtà il De Boca asserisce una grande inesattezza; Montanelli in data 12 gennaio 1996 su “Il Messaggero” ribadisce: <Se la guerra a cui ho partecipato corrisponde a questi connotati, vuol dire che ne ho fatta un’altra. Che non c’ero. Ma quali gas?>. Alla domanda: <Lei continua a non credere nei gas?> Montanelli rispose:<Vorrebbe dire che ero cieco, sordo, imbecille. No, guardi di quelle cose non c’era traccia. Una cosa sono le carte, che possono anche essere scritte per la circostanza (vero signor Balbinot? Nda), un’altra le testimonianze vissute>.

E passiamo alle altre “testimonianze vissute”. Pietro Romano, “Il Giornale” del 18/2/96: <All’epoca ero un semplice gregario del Gruppo Diamanti. Poiché il mio reparto, come è risaputo, operò sempre in avanguardia nel Tigrai e altrove, nessuno dei suoi gregari sarebbe sfuggito alle contaminazioni, se fossero stati usati i gas (…). Posso assicurare che i gas non furono mai usati>. Il colonnello Spelorzo, in data 18/3/96 mi ha fra l’altro scritto: <Ho la buona sensazione che il Sig…. e gli altri cretinissimi italiani ne sappiano molto meno di me. Già, io ho avuto la ventura di percorrere tutto l’Impero A.O.I. (…). Mai sentito parlare di gas>. Poi il colonnello ha ribadito: <I gas! Nessun militare del nostro esercito conquistatore era dotato di maschere antigas! Ne sono testimone vivente: sbarcato a Mogadiscio il 24 giugno 1935, rimbarcato a Massaua il 28 marzo 1938!>.

Segue l’interessante dichiarazione del Sig. Giovanni De Simone su “Il Giornale d’Italia” del 23 marzo 19/1/96:<In A.O.I. non vennero usati i gas. Se così fosse stato io sarei stato il primo a saperlo prestando servizio al Sim ove giungevano decrittati tutti i messaggi della intera rete radio del nemico captati dal “Centro Intercettazioni” di Forte Bracci; un vero libro aperto per noi in possesso di “decifratore”. Mai rilevata una parola sui gas>.

E ancora, “Il Giornale d’Italia” del 29/4/96, il Sig.. Giulio Del Rosso testimonia: <Posso tranquillamente affermare che nel settore del fronte etiopico, dal fiume Mareh, confine fra l’Eritrea e l’Etiopia, fino al lago Tana, (oltre 1000 Km. pedibus calcantibus) ove ha operato il VI° Corpo d’Armata, comandato dal generale Babbini e del quale faceva parte il mio reparto, non sono mai stati usati gas tossici. Avevo raggiunto, io, Addis Abeba dopo le ostilità ed avevo avuto l’occasione di contatti con commilitoni provenienti da altri fronti e da altre località ove si susseguirono battaglie cruente e sanguinose, non ho mai sentito la parola gas. Altra perla, me la riferì una graziosa francesina incontrata a Firenze nel ’37, secondo la quale giornali francesi e inglesi riportavano che noi CcNn. Avremmo mangiato a colazione bambini abissini>. “Le Camicie Nere mangiavano i bambini? E la felicità dei signori Balbinot e Del Boca!”.

Lo stesso Winston Churchill nella sua collna “La Seconda Guerra Mondiale”, a pag. 210, esclude l’uso dei gas nei seguenti termini: <I gas asfissianti sebbene di sicuro effetto contro gli indigeni non avrebbero certo accresciuto prestigio al nome d’Italia nel mondo>.

Non è male ricordare un fatto che traumatizzò l’opinione pubblica nazionale e che i signori Balbinot e Del Boca si guardano bene dal richiamare alla memoria: il 13 febbraio 1936 a Mai Lahlà operava, ubicato imprudentemente oltre il Mareh, un cantiere Gondrand. Su questo opificio piombò una banda di 2000 guerriglieri abissini al comando del Ras Immirù, che dopo aver ucciso in modo atroce tutti gli operai, torturò, come sapevano fare, l’ingegnere milanese fino ad ucciderlo. Violentarono ripetutamente la moglie Lidia Maffioli e, prima di finirla, le misero in bocca i testicoli del marito. Nel caso del genere (ed è solo una ipotesi) contro gli autori di simili misfatti, l’uso del gas sarebbe stato più che motivato. A questo proposito ricordiamo quanto stabilivano le Convenzioni de l’Aja e di Ginevra, Convenzioni che fra l’altro stabilivano: <(…). La rappresaglia è, cioè un atto di violenza isolato nel tempo e nello spazio, avente lo scopo di imporre il rispetto del diritto in relazione ad una violazione subita>. E ancora più precisamente: <La scelta delle misure da infliggere spetta allo Stato offeso. Questo, però, prima di passare all’azione, deve assicurarsi che l’offensore non voglia o non possa riparare il danno>: E veniamo allora ai “Gas di Mussolini”, citando una nuova testimonianza, questa volta di Alberto Franci (“Voce del Sud”, 18/5/’96): <Chi scrive, allora giovanissimo, seguiva attentamente le operazioni belliche attraverso la stampa italiana ed estera, e ricorda ancora qualche episodico impiego di gas contro gli etiopi, ma a puro scopo di rappresaglia a causa di violazioni di norme internazionali commesse dalle formazioni etiopiche (…). Ricordo ancora con raccapriccio, l’episodio del tenente pilota Minniti, sul fronte dell’Ogaden, che, costretto all’atterraggio, si difese con la rivoltella, finché sopraffatto e catturato venne inesorabilmente torturato e, alla fine evirato (…). Inoltre dovrebbe risultare che il Governo italiano più volte inoltrò formali proteste alla Società delle Nazioni (in Ginevra) per il sistematico impiego – da parte etiopica – dei micidiali proiettili “dum-dum” che, all’impatto, si frantumavano producendo ferite gravissime e, quasi sempre inevitabili mutilazioni. Perciò le “dum-dum” erano bandite dalle Convenzioni (…)>. Per quanto mi risulta i casi del cantiere Gondrand, del tenete Minniti e delle pallottole “dum-dum” vengono graziosamente obliate sia dal signor Balbinot che da Del Boca. Ed ora giungiamo ai citati telegrammi di autorizzazione.

Il 2 gennaio 1936 il capo del fascismo telegrafa a Graziani e per conoscenza a Badoglio: <Approvo pienamente bombardamento rappresaglia e approvo fin da questo momento i successivi, soltanto cercare di evitare le istituzioni internazionali della Croce Rossa>. Evidentemente era in attesa delle decisioni ginevrine in merito alle attività irregolari degli etiopi e della loro condanna. Ma come abbiamo scritto poco sopra si dovrebbero conoscere i testi dei telegrammi inviati da Badoglio e da Graziani circa le motivazioni per cui si chiedeva l’autorizzazione dell’impiego dei mezzi di rappresaglia; in ogni caso tre giorni dopo e precisamente il 5 gennaio, Mussolini inviò a Badoglio il seguente telegramma: <Sospenda l’impiego dei gas sino alle riunioni ginevrine a meno che non sia reso necessario da supreme necessità offese aut difesa>. I toni duri si ripetono nel telegramma “Segreto”, sempre a Badoglio, del 29 marzo: <Dati metodi di guerra del nemico le rinnovo autorizzazione impiego gas di qualunque specie e su qualunque scala>. Il 10 aprile un nuovo telegramma questa volta a Graziani, il Duce ordina: <Non faccia – dico: non faccia – impiego di mezzi chimici sino a nuovo ordine>. Pochi giorni dopo, il 17 aprile, un nuovo telegramma ordina: <Visto che gli abissini continuano a impiegare le pallottole “dum dum” autorizzo V.E. – se lo ritiene necessario – all’impiego dei gas a titolo di rappresaglia – esclusa l’iprite>. Pertanto dai telegrammi si evince che l’autorizzazione di usare i gas, come è chiaramente dimostrato “per rappresaglia”, giuste le Convenzioni Internazionali, è riscontrabile, ma non è dimostrato che questo sistema di rappresaglia venne posta in atto, date le testimonianze di coloro che vissero quelle vicende. Anche il signor Dosanti (“Il Giornale d’Italia” dell’1/4/96), attesta: <Ho conosciuto recentemente un ex sottufficiale del Genio che faceva parte della colonna Graziani da Belet Ven (in Somalia) ad Addis Abeba, che mi ha detto: “Non ho mai sentito parlare di gas”>.

Per giungere verso la conclusione. Nel compilare l’articolo contattai il generale Angelo Bastioni, Presidente del gruppo Medaglie d’Oro, scomparso da qualche anno. Alla domanda, sdegnato rispose: <E una vigliaccata, rieccoci con le carognate. Io e i miei indigeni eravamo le avnguardie di ogni assalto, ci avrebbero almeno dato le maschere antigas. Alla battaglia conclusiva di Maiceo, al lago Asharaghi, quella a cui partecipò anche il Negus; perché lui che ne avrebbe avuto tutto l’interesse mai disse che lo combattemmo coi gas?>.

Giro la domanda al signor Balbinot: 1) perché nessun milite italiano fu mai fornito di maschere antigas? 2) Perché il Negus, benché fosse di casa alla Società delle Nazioni mai denunciò l’uso di “armi illegali” da parte degli italiani? Proveremo noi a dare una risposta: qualora i gas fossero stati usati (e come visto date le testimonianze la cosa è fortemente dubbia) e in ogni caso per ragioni di rappresaglia, atti previsti, lo ripetiamo, dalle Convenzioni Internazionali, il Negus avrebbe dovuto riconoscere i casi del cantiere Gondrand, le torture inflitte ai nostri prigionieri, l’uso delle pallottole dum dum e tanti altri casi di reale barbarie in questo contesto omessi.

Il signor Balbinot termina con queste parole: <Usufruisca pure della libertà democratica alla quale ho alacremente contribuito, canti pure a squarciagola Faccetta Nera, però fino all’ultimo respiro, che non credo sia lontano, io canterò “BELLA CIAO BELLA CIAO”>.

Il signor Balbinot con ciò ci fa sapere che ha fatto il partigiano. La cosa sarebbe comica se non fosse tragica. Essi, i partigiani, sono ancora oggi convinti di aver fornito un contributo essenziale per la sconfitta della Patria. Si rassicuri, legga come i suoi alleati angloamericani giudicano il partigiano e non se ne vanterà più; altro che “Bella Ciao…”.

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